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Full text of "L'Adone : poema del cavalier Giambattista Marino"

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NAZIONALE 


FONDO 
DORI  A 


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IL  MARINO 

OPERE  SCELTE 


DALLA  STAMPERIA  DI  CRAPELET 

ni'E  DE  VAI'GIRARD,  9 


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4 


A 


L’ADONE 

POEILI 

DEL  CiVALlER  GIAMBATTISTA  MARINO  > 


CON  GLI  ANGOMENTI  DI  FOKTDNIANO  SANVITALE 
E LI  ALLECOklE  DI  DON  LODENIO  SCOTO 

LA  STRAGE  DEGL’INNOCENTI 

ED  UNA  SCELTA  DI  POESIE  LIRICHE 

NUOVA  EDIZIONE  COMPLETA 
CON  I N DISCORSO  PRELIMINARE 


DI 

eiUSEPPE  ZIBARDIil 


PARIGI 

UmTLSSSLtA  SimOPEA 

« J 

3,  OVAI  MALAQDAIS,  PEAS  LE  PONT  DES  ARTE 

1849 


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DI 

GIAMBATTISTA  MARINO 

E DEL  SUO  STILE 


Varie  sono  le  vicende,  alle  quali  siccome  le  arli  hanno  a servire 
le  lelterc,  la  bellezza  delle  quali  non  così  tiene  presi  gli  occhi  e le 
menti  degli  uomini  che  non  si  lascino  tirare  da  ombre  che  han  faccia 
di  vero,  e non  si  stanchino  de’  cibi  i più  succosi  e i più  squisiti,  per 
pascersi  di  grossi  e privi  d’ogni  virtù  nutritiva.  A nissuno  è ignoto 
che  dopo  Cicerone  c Virgilio,  fiumi  d'eloquenza,  vennero  Seneca  e 
Lucano,  impuri  torrenti , dopo  Dante  e Petrarca , i secentisti  ; dopo 
Alfieri  e Byron,  dai  quali  verri  questo  secolo  nominarsi,  un’in- 
finita schiera  di  versificatori  vuoti  di  sapienza  e d’  affetto.  Questi 
esempi  ci  paiono  utilissimi  alla  storia  del  Buono  e del  Bello,  e però 
non  shrà  vano  il  parlare  d’  un  Poeta,  fattosi  per  abbondanza  d’inge- 
gno capo  di  corruzione,  c della  quale,  per  istrana  vicenda,  abbiam 
pur  ora  vive  l’immagini. 

GiAMnATTisTA  .Mari>o  nacquo  a Napoli  nel  15G9  di  padre  giurecon- 
sulto. Veduto  il  figliuolo  nemico  a quegli  studj  tanto  cari  e pei  quali 
aspettava  in  lui  un  erede  di  quel  po’  di  gloria  venutagli  dalla  giu- 
risprudenza, sdegnalo  di  saperlo  volto  all’arte  povera  del  poeta, 
cacciollo  di  casa,  c gli  fu  avaro  di  pane.  .\t  duca,  di  Bovino  » 
ed  al  principe  di  Conca,  grande  ammiraglio  del  regno  di  Napoli, 
venne  fatto  di  leggere  alcuni  versi  del  giovane,  e scorgendolo  di  fe- 
condissima vena,  furongli  generosi  di  conforto  ed  aiuto.  Chiaro  era 
l’ammiraglio  per  l’amor  suo  a’  letterati  di  che gloriavasi,  e però  le 
amicizie  de’  migliori  ingegni  non  mancarono  al  Mari.no,  e così 
'crebbe in  lui  dottrina  ed  amore  alla  poesia  per  la  quale  aveva  avuto 
a vile  le  discipline  civili  e canoniche^  Nò  picciolo  vanto  fu  a lui  di 


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II 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


vedere  ed  ammirar  vivo  Torquato  Tasso  che  nella  dolce  aria  na- 
tiva ristoravasi  allora  dalle  molte  ingiurie  di  Fortuna.  Forse  più 
che  non  dovesse  fu  il  Marivo  vago  d’ amori,  anzi  disse  alla  sua 
maniera  : 


Quelle  catene  In  eh'  lo  son  preso  e vinto 
Insieme  colle  fasce  mi  legaro. 

E tanto  se  ne  compiacque  da  farsi  istrumento  alla  pericolosa  tresca 
d’ un  amico,  ma  squarciato  quel  velo  e condotti  tutti  e due  prigioni, 
non  potè  uscire  che  morto  improvvisamente  il  compagno.  Kè  la 
bellezza  di  Napoli  potò  vincere  in  lui  il  dolore  della  sciagura,  al 
quale  sperò  un  refrigerio  partendosi  precipitoso.  Pietro  Aldobran- 
dino , cardinale , avutolo  a se  in  Roma,  il  condusse  a Ravenna  c 
poi  a Torino.  I versi  del  giovane  non  cranvi  ignoti  e il  duca 
Carlo  Emmanuele,  letto  il  panegirico  che  di  lui  avea  fatto  il  Poeta , 
cbbclo  a segretario  c lo  decorò  della  croce  di  San  Maurizio.  Gasparo 
Mortola , poeta  e familiare  pur  egli  a quel  principe , invidioso  delle 
grazie  onde  il  padrone  era  cosi  largo  al  forestiero,  s’ argomentò  vin- 
cere il  rivale  svillaneggiandolo.  11  Marino  allora  non  potè  tenersi  di 
farsi  bcITe  in  un  sonetto  di  quel  poema  del  Mondo  creato,  onde  il 
Muntola  menava  tanto  rumore.  Rispose  questi  con  una  satira  intito- 
lala : Compendio  della  vita  delcavalier  Marino.  Nè  fini  qui  il  furore 
letterato,  chè  il  primo  scrisse  la  Marineide , Risate  del  Murtola,  e 
r altro  la  Murtoleide,  Fischiate  del  Marino.  Questa  non  fu  solo  guerra 
d’inchiostro,  perchè  il  Mortola  troppo  vedutosi  inferiore  a quella 
lotta,  perdutone  il  senno  daddovero , appostato  un  dì  il  Marino,  la 
rabbia  fece  errar  la  mano,  chè  in  quella  vece  ferì  d’archibugiata 
un  compagno  al  Poeta  e amico  al  duca.  Parlò  il  Marino  di  quella 
vendetta,  e l’ antitesi  campeggia  nella  descrizione  di  quel  colpo 
che  pur  non  era  una  baia  : 


Girò  l' infausta  chiave,  e le  sue  strane 
Volgendo  intorno  e spaventose  rote. 

Abbassar  fe’  la  testa  al  fero  cane 
Che  In  bocca  tien  la  formidabii  cote. 

Sicché  toccò  le  macchine  inumane 
Onde  avvampa  il  baien  che  altrui  perente, 

E con  fragore  orribile  e rinihonibo 
Avventò  contro  me  globi  di  piombo. 

E qui  viene  a rallegrarci  una  virtù  del  Marino.  Fatto  prigione 
l' uccisore  del  cortigiano,  avrebbe  della  lesta  pagalo  il  fio  di  quella 


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E DEL  SUO  STILE. 


Ili 


malia  vernicila,  se  il  Pocla  non  avesse  avulo  il  cbieslo  perdono. 
Quesle  furono  le  grazie  rendulegli  dal  Murlola,  clic  parlilo  per 
Roma,  Irovalo  il  poemclio  della  Cuccagna,  scritto  dal  Makho  in 
gioventù,  e venutegli  scoperte  alcune  ottave  in  cui  potessi  far  per- 
suaso il  duca,  che  in  esse  il  Poeta  avesse  voluto  larlo  segno  ad  in- 
giuria, mandolle  a Torino,  e godè  di  saper  prigione  I’  emulo  gene- 
roso. Corta  fu  la  difesa,  nè  lunga  la  prigionia  del  Mabivo.  Invitato 
dalla  regina  Margherita,  rifuggiossi  in  Francia,  parutagli  più  sicuro 
porto. 

Maria  de’ Medici  non  gli  fu  meno  cortese  della  morta  regina;  chè 
anzi  l'apoteosi  fattane  nel  poemetto  il  Tempio,  foco  montare  la 
pensione  del  Poeta  a dieci  mila  franchi  incirca.  Il  re  c la  corte 
furono  larghi  di  grazie  al  Marino.  Compilo  il  Poema  dell’ bi- 
done ogni  copia  manoscritta  di  questo,  dicesi,  fosse  venduta  cin- 
quanta scudi  d’oro.  Stampalo  in  Parigi  nel  1623,  le  lodi  toccaron  le 
stelle.  •>  Questi  amici  che  lo  hanno  sentilo,  scriveva  egli,  ne  vanno 
'])azzi.  • 

Nè  del  Poema  dell’ilrfone  avvisiam  noi  dover  lacere  senza  biasimo, 
e perchè  è la  prova  di  quel  che  potesse  l'ingegno  del  Marino  c per- 
chè fu  delizia  d’un  secolo.  E non  è forse  senza  pericolo  il  parlarne  ; 
se  si  pensi,  aver  egli  in  quello,  siccome  in  molte  sue  liriclie,  falla 
strumento  d’infido  diletto  quella  Poesia  il  cui  ufficio  è dilettare 
giovando,  ed  il  vero,  assai  volte  amaro,  render  soave.  Noi  afl'er- 
miamo  perù  che  la  vaghezza  e la  novità  delle  descrizioni  d’ogni 
genere  c la  fecondità , più  presto  inaudita  che  rara,  onde  i versi 
paiono  nati  fatti,  e che  non  viene  mai  meno  per  ben  venti  lunghi 
Canti,  induce  anche  adesso  maraviglia.  Ma  di  questa  fecondità 
grave  è la  noia,  perchè  oltre  le  bizzarrie,  arguzie  e bisticci,  ha 
tale  con  lei  una  schiera  di  metafore  e di  similitudini , da  parere 
assai  volte  un  vocabolario  di  figure  rcttoriche.  Chi  avesse  ta- 
lento di  vederne  un  saggio,  getti  gli  occhi  in  sulle  [irime  ottave  del 
Canto  IV,  ov’è  parlalo  della  virtù  che  più  è oppressa,  più  in  alto  si 
leva,  e in  quelle  del  Canto  XII,  ove  gridasi  contro  la  gelosia.  Ma 
chi  leggerà  il  canto  X le  Maraviglie,  c nel  quale  Mercurio  dimostra 
a Venere  salila  in  cielo  con  Adone,  tutto  che  contiene  il  mondo 
nostro,  vedrà  quanto  fosse  l’altezza  e la  dottrina  del  Marino,  dio 
in  questo  Canto  non  si  lasciò  governare  da  quella  prepotente  fan- 
tasia che  troppo  spesso  trasportollo  in  altri  a voli  infelici.  Del  quale 
errore  più  presto  che  il  Poeta  debbono  accagionarsi  le  smisurate 
Iodiche  di  lui  risuonarono  in  Italia  ed  in  Francia.  «Or  quanto,  dice  il 
Crescimbeni  nella  sua  Storia  della  volgar  Poesia,  fosse  apfilaudita  e 


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IV  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

Stimata  una  sì  smoderata  licenza  non  sarebbe  agcvol  cosa  riferire  e 
dare  altrui  a comprendere,  se  la  vicinanza  del  tempo  non  ne  avesse 
trasportato  intero  il  grido  anche  alle  nostre  orecchie  e fattici  udire 
appianai  di  quella  sorta  chè  nè  Dante,  nè  Petrarca,  nè  il  Tasso  in  lor 
vita,  e per  avventura  ninno  degli  antichi  Greci  e Latini  ebbe  fortuna 
vivendo  di  guadagnarsi.  » 

Claudio  AchHIini  che  Luigi  XIII  premiò  dì  oltre  cinquemila 
franchi  per  una  Canzone,  scriveva  di  Bologna  al  Mìrivo  ; « Nella 
più  pura  parte  dell’ anima  mia  sta  viva  questa  opinione,  che  voi 
siate  il  maggior  Poeta  di  quanti  ne  nascessero  o tra’  Toscani,  o 
tra’  Latini,  o tra’  Greci,  o tra  gli  Egizi,  o tra  gli  Arabi,  o tra’  Caldei, 
o tra  gli  Ebrei...  lusomma  Tapi  di  Pindo  non  sanno  stillar  favi  piu 
dolci  di  quelli  che  fabbricano  nella  vostra  bocca  e la  fama  poetica 
non  sa  volar  con  altre  penne  che  con  la  vostra.  L’ invidia  poi  de’ 
vostri  detrattori  non  sente  i suoi  funerali  più  risoluti  che  nelle  mie 
parole.  » Nè  il  Marino  ebbe  solamente  maravigliose  lodi  da  poveri 
ingegni,  c ne  piace  rapportar  quello  che  il  cardinale  Bcntivoglio 
scrivevagli  a Parigi,  perchè  l’esempio  d’ un  ottimo  faccia  meno 
strano  Terror  de'  mediocri  : 

« Se  non  ho  potuto  goder  la  vostra  conversazione,  ho  goduto  al- 
meno quella  de’  vostri  versi  nell’ armonia  della  vostra  dolce  Sampo- 
gna.  Per  istrada  questo  è stato  il  mio  gusto,  ed  ora  che  sto  ferroo' 
questa  è la  maggior  ricreazione  eh’  io  abbia.  Oh  che  vena  ! oh  che 
purità!  oh  che  pellegrini  concetti  ! Ma  di  tant’altri  vostri  componi- 
menti, che  sono  di  già  o finiti  o in  termine  di  finirsi,  che  risolu- 
zione piglierete  ? (Iran  torlo  in  vero  fareste  alla  gloria  di  voi  mede- 
simo, alla  liberalità  d’un  re  così  grande  , alla  Francia  ed  all’ Italia  , 
cospiranti  in  un  volo  stesso , o più  tosto  emule  nella  participazione 
de’  vostri  ap[ilausi,  se  ne  dilVeriste  più  lungamente  la  stampa.  So- 
prattutto ricordatevi,  il  mio  caroCavìilicre,di  grazia,  come  tante  volte 
v’  ho  detto,  di  purgar  V Adone  dalle  lascivie  in  maniera,  ch’egli  non 
abbia  da  temere  la  sferza  delle  nostre  censure  d’ Italia , e da  morir 
più  infelicemente  al  line  la  seconda  volta  con  queste  ferite,  che  non 
fece  la  prima  con  quelle  altre  che  favolosamente  da  voi  saranno 
cantate.  Confido  però  che  non  vorrete  essere  omicida  voi  stesso  de” 
vostri  parli.  Fra  tanto  goderemo  il  suono  di  questa  soave 
in  fronte  della  quale,  perchè  avete  voluto  voi  porre  quella  lunga  lei- 
tera,  o più  tosto  apologia,  aU’Acbillini  ed  al  Preti  ? Troppo  aveteab- 
bassata  la  vostra  virtù,  e troppo  onorato  il  livore  de’  vostri  malevoli. 
All’invidia  il  maggiore  castigo  è il  disprezzo,  e mai  saetta  non  ferì 
il  cielo.  Chi  è giunto  alla  vostra  eminenm,  non  deve  fhr  caso  alcuno 


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V 


E DEL  SUO  STILE. 

di  quattro  o sei  ombre  vane,  che  non  concorrono  a’  comuni  ap- 
plausi di  tutto  il  teatro.  » 

A meglio  conoscere  il  Makino  e le  intenzioni  del  suo  stile,  assai  più 
delle  nostre  parole  e di  quelle  d’altrui,  giovano  le  sue.  Però  |mre 
a noi  non  inutile  opera  il  porre  innanzi  al  Lettore  la  lettera  so- 
praddetta dove  si  vedrà  come  il  concerto  di  lodi  che  gli  risuo- 
navan  d’intorno,  avesse  tanta  forza  nel  Poeta  da  impedire  la  mo- 
destia : 

Il  Cavalier  Marino  a Claudio  Achillini. 

« In  un  medesimo  punto  e per  una  medesima  mano  ho  ricevuto 
insieme  due  lettere  a me  carissime,  l'una  vostra,  l’altra  del  signor 
Preti  ; care  dico , perchè  mi  vengono  da  due  de’  più  cari  amici , 
ch’io  mi  abbia  al  mondo;  e care  anche,  perchè  caramente  mi  lo- 
dano c mi  lusingano.  Risponderò  a voi,  ma  parlerò  con  l’uno  e con 
l’altro,  perchè  voglio,  che  siccome  ad  amenduc  è comune  una 
istessa  patria  ed  una  istessa  affezione,  così  eia  ancora  ad  amendue 
comune  una  mia  sola  risposta.  Ma  piano  di  grazia , piano  con 
tanti  encomi,  chè  se  l'Invidia  vi  sente,  voi  le  farete  scoppiare  il 
fiele.  So  che  siete  troppo  teneri  dell’ onor  mio,  e che  soverchio 
amore  vi  fa  smoderare.  Lasciarsi  però  tanto  trasportar  dall’siletto, 
che  si  trabocchi  in  iperboli,  lodandomi  in  guisa,  ch’io  conosca  la 
loda  trapassar  di  gran  lunga  la  capacità  de’  meriti  miei , questo  mi 
fa  doppiamente  vergognar  di  me  stesso.  Forse  il  fate  per  dimostrar 
l’altezza  del  vostro  spirito,  il  qual  siccome  in  tutte  l’ al  tre -operazioni 
tenta  sempre  l’eminenza  e cerca  la  sovranità,  cosi  ancora  lodando, 
non  contento  delle  lodi  ordinarie,  trascende  i gradi  mezzani  e si 
difionde  negli  eccessi.  Certo  io  debbo  prenderle  senza  alcun  so- 
spetto d’adulazione,  sì  perchè  da  animi  così  candidi,  come  sonoi 
vostri,  eziandio  quando  si  lasciano  cadere  in  passione  di  parzialità, 
non  si  può  sperare  altro,  che  gìudicio  sìncero,  sì  perchè  essendo  la 
loda  frutto  della  virtù,  non  deve  stare  in  su  i termini  della  Irivialì'.à. 
Anzi  (se  mi  è lecito  dirne  con  libertà  la  mìa  opinione  ) io  per  me 
stimo  migliori  e più  tollerabili  le  detrazioni  gravi , che  le  ludi  me- 
diocri. Colui  che  biasima,  quanto  il  fa  con  maggiofi^eroenza , 
tanto  meno  è creduto , perciocché  quanto  i biasimi  sottcrflù  acerbi , 
più  il  fanno  conoscere  per  nemico  del  biasimato.  MaJBohùsche  loda 
.lindamente  ed  a bocca  secca,  discopre  o malignità  db^orc in 
occupare  quelle  qualità  dell’  amico,  che  non  si  deono  lacere,  o pe- 
nuria d’ingeguoin  non  saper  ritrovare  invenzione  da  lodar  con  effi- 
cacia, nè  parte  alcuna  nel  lodato,  che  possa  meritar  l’altrui  loda. 


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VI 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


Per  questo  ragioni  tutte  quSnte  le  lodi , che  dalle  vostre  penne,  « 
dalle  vostre  lingue  mi  sono  attribuite,  si  riflettono  in  voi  stessi,  per- 
chè lodando  sì  bene,  date  ad  intendere  a chi  legge  ed  a chi  ode, 
che  sapete  eccellentemente  lodare  anche  coloro  che  non  sono 
lodevoli.  Comunque  sia,  s’ìo  dicessi,  che  Tesser  lodato  non  mi 
piace,  senza  dubbio  mentirci,  che  la  loda  è una  musica  che  diletta 
a lutti  ed  un  incanto,  ch'agli  aspidi  istcssi  per  ascoltarlo,  farebbe 
cavar  la  coda  dell' orecchio.  Che  sarà  poi , quando  la  loda  esce  di 
bocca  di  persone  lodale?  Quella  invero  si  può  chiamar  loda  glo- 
riosa, e l’ambizione  del  gloriarsene  è ragionevole , laddove  al  con- 
trario i lodatori  indegni  allora  commendano  quando  vituperano , ed 
allora  avviliscono  quando  esaltano,  perciocché  ne’ lodati  da  cotali 
uomini  si  presume  conformità  di  costumi,  e negl’  ingiuriali  contra- 
rietà. 1 veri-  onori  e le  vere  glorie  si  derivano  da’  par  vostri , c 
s’ alcun  di  voi  dicesse  mal  di  me,  allora  non  potrei  fare  di  non  af- 
fliggermi, e restarne  morliKcalo,  perchè  crederei  fermamente,  che  i 
mici  difetti  avessero  sussistenza , per  essermi  accusali  da  chi  ha  in 
se  la  dottrina  uguale  alla  integrità.  Voglio  adunque,  che  la  fede,  che 
voi  avete  fatta  del  mio  picciolo  valore,  sia  autenticata  dalle  slampe, 
e che  a guisa  d’un  privilegio  immortale  sia  posta  in  su  ’l  fronte- 
spizio dell’  opere  mie,  si  perchè  a lutto  il  mondo  sia  palese  T ono- 
rcvolezza che  mi  viene  da  testimoni  sì  grandi  ; sì  per  obbligami  in 
un  jnedesìmo  tempo  a sostentare,  quando  occorra  il  bisogno,  quel 
che  avete  di  me  una  volta  scritto.  Più  mi  glorio  io,  che  TAchillini 
intelletto  mirabile,  la  cui  feconda  miniera  produce  sempre  nuove 
ricchezze  di  concetti  preziosi  ; e il  Preti  spirito  dilicalissimo,  nel  cui 
stile  Geriscono  tutte  le  delizie  c tutte  le  grazie  delle  Muse,  mi  ab- 
biano celebralo  nelle  lor  carte,  che  non  mi  turbo  de’  cicalecci  di 
mille  balordi,  che  mi  vanno  lacerando  la  fama.  Più  mi  pregio,  che 
il  conte  Ridolfo  Campeggi,  una  delle  più  franche  penne , che  oggidì 
volino  per  lo  cielo  italiano,  nel  suo  Poema  delle  Lagrime  della  Ver- 
gine abbia  fatta  onorata  menzione  di  me,  che  non  mi  tribolo, 
clT  alcun  moderno  Archimede,  fabbricatore  di  mondi  nuovi  ne’ suoi 
stracciumi  indiani , abbia  motteggiato  sopra  il  mio  nome  con  vili- 
pendio. mi  piace  di  vedere  nella  Primavera  di  monsig.  Giovanni 
Bolero,  nomo  consumato  nelle  lettere  ; e nelTi4Mt«nno  del  conto 
Lodoviflp  d’Agliè, suggello  compiuto  in  tutte  quelle  condizioni,  che 
si  riebti^ono  a cavaliere  e a letterato,  vivere  registrata  la  mia 
memoria,  che  non  mi  attrista  T avermi  sentito  traflggerc  con  acute 
punture  dalle  schìcchcralrici  delle  Scanderheidì.  Più  mi  giova,  che 
prima  dal  conte  Lodovico  Tesauro , tesoro  veramente  non  meno 


E DEL  SUO  STILE.  VII 

d’incomparabil  gentilezza,  che  di  scelta  e peregrina  erudizione;  e 
poi  dal  Capponi,  dal  Dolci,  dal  Forteguerra  e dal  Valesio,  cime  e 
fiori  degl’ingegDi  elevati,  sia  stata  abbracciata  la  mia  difesa  contro 
l’altrui  opposizioni  con  si  dotte  risposte,  che  non  mi  nuoce  l’essere 
stato  sindicato  con  oltraggiose  e mordaci  esumine  dai  fiscali  della 
Poesia,  Amo  meglio,  che  in  molte  famose  Accademie  d’Italia,  c 
principalmente  in  quella  degli  Umoristi  di  Roma  , paragone  dove 
s’affina  l’oro  del  vero  sapere,  si  sieno  più  volte  avute  pubbliche  le- 
zioni sopra  i miei  componimenti,  privilegio  a nìuno  altro  degli  scrit- 
tori vivi  conceduto,  eccetto  a me , che  se  fossi  stato  buccinato  per 
divino  dalle  rauche  trombe  d’ infiniti  ignoranti.  Non  darei  l’ onor 
fattomi  da  Filippo  di  Portes,  dal  marchese  d’Urfè,  da  mons.  il  Sec- 
chi, da  mona,  di  Vaugelà  , da  monsig.  di  Brussin,  da  altri  nobilis- 
simi ingegni,  che  si  sono  compiaciuti  di  tradurre  gran  parte  delle 
mie  composizioni  in  francese,  per  quanto  mi  potesse  dar  di  grido  la 
garrula  voce  di  tutta  la  turba  volgare.  Non  vorrei  non  ritrovarmi 
appoggiato  all’ autorità  del  P.  Giulio  Mazzarini,  torrente  d’eloquenza 
e specchio  di  bontà , che  nell’  ultima  parte  del  suo  Miierere  si  è ab- 
bassalo a comprovare  molle  sue  proposizioni  con  le  sentenze  de’ 
miei  versi , per  centomila  vane  acclamazioni , che  potessero  fare  in 
mia  loda  le  bocche  di  tutto  il  resto  de’  goffi.  Mi  basta,  eh’  un  Cardinal 
di  Perona , oracolo  e miracolo  di  sapienza , un  cavalier  Battista 
Guarini , un  conte  Pomponio  Torelli , un  conte  Guidobaldo  Bona- 
relli,  un  Ascanio  Pignatellì , un  Gio.  Battista  Attendolo,  un  Ca- 
millo Pellegrino,  un  Celio  Magno,  un  Orsatto  Giustiniano,  un  Ber- 
nardino Baldi,  un  Filippo  Alberti,  un  Scipione  della  Cella,  lumi 
del  secol  nostro  tra’  morti;  e mi  basta,  eh’ un  cardinale  Ubaldini, 
ornamento  delle  porpore  e splendore  delle  scienze,  un  monsig.  An- 
tonio Castano , un  monsig.  Antonio  Querenghi , un  monsig.  Por- 
firio Feliciani , un  monsig.  Scipione  Pasquali , un  abate  D.  Angelo 
Grillo,  un  Gabriello  Cbiabrera,  un  Guido  Casoni,  un  Gio.  Battista 
Stroast,  un  Ottavio  Rinuccini,  un  Giulio  Cesare  Bagnoli,  un  Pier 
Francesco  Paoli , simulacri  della  immortalità  tra’  vivi,  parte  con 
vive  voci  in  diverse  corone  di  virtuose  ragunanze , e parte  con  pri* 
vale  lettere  scrittemi  di  lor  proprio  pugno , abbiano  testificato 
quello  istesso,  che  ora  mi  viene  ratificato  da  voi.  Questi  sì , che  son 
personaggi,  i quali  possono  o parlando,  o scrivendo  recare  altrui 
onore,  o disonore;  e quando  costoro  mormorassero  di  me,  avrei 
ben  giusta  cagione  di  rammaricarmi.  Ma  ciò  non  può  essere,  perchè 
i savi  e i buoni  non  sanno  dir  se  non  bene,  siccome  gli  sciocchi  c i 
malvagi  non  possono  dir  se  non  male.  Poco  ho  io  a temere  sotto  lo 


vili  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

scudo  di  campioni  siflalli  le  saette  spuntate  degli  avversari  male- 
dici; e poco  debbo  curare  con  la  guardia  di  tal  patrocinio  le  vele- 
nose zanne  de'  cagnacci  arrabbiati.  Il  meglio  è lasciar  quelli  bravare 
al  vento  finché  si  stanchino , e questi  abbaiare  alla  luna  tanto  che 
crepino.  Che  m’ importa  , avendo  io  meco  (oltre  l’ universale  ap- 
plauso della  moltitudine)  la  favorevole  protezione  di  chi  più  sa, 
1’  essere  maltrattato  no’  Poemazzi  pasquineschi  dagl’  imitatori  di 
Bovo  e di  Brusiano  ! Lodato  pure  il  Cielo,  che  almeno  non  hanno 
avute  altre  armi  da  pungermi , che  titoli  gloriosi , onde  in  vece  di 
piccarmi , mi  hanno  più  tosto  onorato.  Ch’  io  mi  sia  figliuolo  della 
Sirena , noi  nego,  anzi  me  ne  vanto  ; ma  coloro,  che  ciò  mi  rinfac- 
ciano per  obbrobrio,  vengono  tacitamente  a dichiarare,  eh’  essi  noi 
sono.  La  somiglianza  della  scimia  non  so  come  mi  possa  ben  conve- 
nire, poich’io  non  mi  son  giammai  piegato  a contraffar  loro,  come 
eglino  hanno  contraffatto  me.  Così  fanno  appunto  alcune  buone  fem- 
mine, che  quando  talvolta  vengono  a garrire  con  donne  oneste , 
prima  che  sieno  ingiuriate  di  puttane , le  prevengono  col  proprio 
nome.  Mi  hanno  contraffatto  dico,  imitandomi  non  con  emulazione, 
ma  con  isfacciataggine,  non  solo  nel  soggetto  d’ alcun  poemetto  fa- 
voloso, giada  me  disteso  in  sonetti,  e con  ogni  co4tdcnza  comunicato 
loro  a penna  in  Napoli  prima  che  si  stampasse  ; non  solo  nella 
divisione  delle  rime  liriche  in  capi,  ordine  da  ninno  altro  osservato 
prima  che  da  me,  c poi  seguito  da  essi  ; non  solo  nella  forma  de’ pane- 
girici in  sesta  rima,  nella  quale  con  l’ occasione  del  natale  di  qualche 
principe  hanno  traccialo  il  mio  stile,  ma  ne’ concetti  particolari 
de’lor  canzonieri  ; e non  solo  in  quelli  de’  canzonieri , ma  in  quelli 
delle  lor  colombaie  ; e non  solo  ne’  concetti,  ma  ne’  versi  ; e non  solo 
ne’  versi , ma  ne’  nomi  istessi  delle  persone,  che  vi  sono  introdotte, 
ancorché  ad  altri  poeti  non  ben  conosciuti  ne  sieno  stati  parimente 
tolti  parecchi  di  peso.  Ma  non  è tempo  ora  da  spianar  queste  ciferc. 
Se  per  l’innànzi  sarò  irritalo d’ avantaggio,  dimostrerò  senza  alcun 
rispetto  più  distintamente  queste  ed  altre  cose,  le  quali  non  piace- 
ranno punto  a chi  prende  ardimento  di  stuzzicarmi.  Farò»  veder  le 
bassezze  innumcrabili,  le  sciapitezze  inenarrabili,  le  durezze  iusop- 
portabili , gli  storcimenti  del  buon  parlare , le  conlradizioni  delle 
sentenze,  i barbarismi  delle  frasi,  gli  storpj  della  lingua,  le  freddure 
degli  aggiunti,  le  meschinità  delle  rime,  infino  alle  falsità  delle  de- 
sinenze , scappate  che  non  si  possono  scusare , perciocché  non  son 
notale  nel  registro  degli  altri  errori.  Allora  chiaro  vedrassi  ehi  sia 
la  bertuccia  del  mare,  e chi  il  babbuino  della  terra,  o io,  Che  (la  Dio 
mercé)  son  pur  lodato  da  voi , o altri , che  per  voler  fare  un  saltcUo 


f 


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IX 


E DEL  SUO  STILE, 
dietro  al  Tasso  , discoprendo  il  tondo  pelato  con  quanto  di  vergo- 
gnoso s’ appiatta , sotto  la  coda , ha  data  assai  piacevo!  materia  al 
riso  popolare.  Hanno  procurato  di-giustificarsi  meco , afiiaticandosi 
inutilmente  intorno  a certe  interpretazioni  ridicole  e puerili  ; come 
se  noi  non  sapessimo  assai  meglio  di  loro,  che  quando  si  vuol  mor- 
dere , si  ricorro  all’  equivoco , e si  scherza  col  doppio , acciocché 
possa  in  ogni  caso  il  poeta  lasciare  il  senso  metaforico,  c salvarsi 
nella  ritirata  del  proprio , giuocando  come  i zingari  a eh’  eli’  è den- 
tro, e ch’eli’  è fuora.  lo  per  mene  rimango  quieto,  se  non  soddisfatto, 
e siccome  non  curo  altra  giustificazione  all’ altrui  perfidia,  che  il  giu- 
dicio  del  mondo,  così  non  cerco  altra  vendetta  alla  mia  offesa,  che 
quella  istessa  che  ne  fa  il  caso , o che  ne  fanno  più  tosto  i propri 
libri  loro,  ì quali  o non  essendo  letti,  o essendo  letti  con  irrisione, 
terranno  per  sempre  sepolte  insieine  con  le  glorie  loro  l’ ingiurie 
mie.  Altro  ci  vuole  per  illustrarsi,  che  con  discorsi  spccolalivi  pre- 
sumere di  far  paralelli  e riscontri  tra  i suoi  scartabelli,  e la  Gerusa- 
lemme liberala,  se  poi  alla  j)rova  le  misure  riescono  corte , e si  fa 
come  il  gallo,  che  canta  bene,  ma  ruspa  male,  romanzando  in  uno 
Btilaccio  sì  sciagurato,  che  pare  appreso  dagl’  improvvisanti  di  Pu- 
glia, 0 da’ pitocchi  di  Spoleto.  L’importanza  consiste  nell’alto  pra- 
tico, c non  nelle  parole;  bisogna  sapere  operare  e porre  ad  effetto 
quel  che  si  predica  , perché  molli  conoscono  il  buono  , ma  pochi 
r attingono  ; e chi  non  é nato  a questo , rivolgasi  ad  altri  studj,  ché 
il  moitdo  può  ben  passarsela  senza  un  poeta.  Vaglia  però  a dire  il 
vero,  egli  non  si  può  negare,  che  costoro,  de’  quali  io  parlo,  sebben 
mancano  nella  felicità  dello  slil  poetico  (ch’alia  fiqc  é dono  più  di 
natura,  che  d’arte)  sono  per  altro  nondimeno  dolati  di  buona  cogni- 
zione di  belle  lettere  e di  finezza  di  giudicio  ; e se  questo  talora 
s’ inganna,  se  ne  può  recar  la  colpa  all’  affezione  delle  cose  proprie. 

Il  peggio  è , che  vi  ha  certi  giovanotti , i quali  appena  spoppali  dal 
latte  de’  primi  elementi , vorrebbono  subito  esser  maestri  ; e per 
aver  dato  fuora  un  quinternuzzo  di  sonetlini  c di  madrigalelli,  quasi 
tutti  scroccati  4alle  mie  cose , mi  fanno  il  concorrente  addosso  ^ c 
perciocché  sono  stati  loro  rimproverati  i furti,  si  sono  ingegnati  di 
levargli  via  ristampando  il  libretto  in  altra  forma  ; ma  hanno  con 
tutto  ciò  saltato  meno  in  camicia,  che  in  farsetto.  Oltre  che  nelle  lor 
pistolesse  a’  lettori  (dove  non  ha  però  streccio  di  grammatica)  vanno 
ombreggiaudoja  mia  persona,  e tra’ denti  cinguettando  del  fatto 
mk).  Mostrano  sdegno  e rimordimento,  si  lamentano  ed  arrabbiano,' 
che  nel  proemio  fatto  dai  Claretti  nell’ ultima  parte  deHa  mia  Lira  si  • 
iusse  parlato  troppo  alla  libera  intorno  a certe  Arpiette  dall’  ugne 


X 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


uncinute,  che  vanno  rapinando  i concetti  altrui.  Quando  si  riprende 
un  vizio  in  generale,  ed  altri  appropria  a sè  stesso  solo  quel  che  si 
può  intendere  di  molti,  è segno  eh’ egli  non  baia  coscienza  ben 
netta.  Aggiungasi  di  più,  che  per  discolpar  sè  stessi  e difendersi  dalle 
imputazioni  apposte  loro,  si  sforzano  di  discreditar  me,  rovesciando  ' 
in  me  il  medesimo  fallo.  Se  confessasscr»  con  modestia  di  ricono- 
scere il  bene  da  chi  ’l  ricevono,  c’  si  potrebbe  pure  farne  passaggio  ; 
ma  il  volere  abbellirsi  del  mio,  e di  più  nascondendo  la  fraudo,  cer- 
care ingratamente  d’ intaccar  la  mia  riputazione,  questo  mi  fa  rom- 
pere ogni  freno  di  sofferenza.  Perchè  par  loro  strano , eh’  io  abbia 
tanta  varietà  di  cose  composta,  nò  sanno  comprendere  da  qual 
fontana  scaturisca  una  si  larga  vena,  dicono,  che  ho  tolte  anch’io 
delle  poesie  dal  latino  c dallo  spagnuolo.  Permettetemi  (vi  priego) 
eh’  io  con  una  breve  digressionetia  mi  vada  alquanto  dilatando 
intorno  a questo  punto.  1.’  incontrarsi  con  altri  scrittori  può  ad- 
divenire in  due  modi,  o per  caso,  o per  arte.  A caso  non  solo 
è impossibile,  ma  è facile  essermi  accaduto,  c non  pur  con  Latini, 
o Spagnuoli,  ma  eziandio  d’altre  lìngue,  perciocché  chi  scrive 
mollo  non  può  far  di  non  servirsi  d’ alcuni  luoghi  topici  comuni, 
che  possono  di  leggieri  essere  stati  investigali  da  altri.  Le  cose 
bello  son  poche,  o lutti  gl’ intelletti  acuti  quando  entrano  nella 
specolazione  d’  un  suggello,  corrono  dietro  alla  traccia  del  me- 
glio, onde  non  è maraviglia,  se  talora  s’abbattono  nel  medesimo; 
nè  mi  par  poco  in  questo  secolo , dove  si  ritrova  occupala  la 
maggior  parte  dello  bellezze  principali , quando  tra  molte  cose  ordi- 
narie si  reca  in  mezzo  qualche  dilicatura  gentile.  Ad  arte  c a bello 
studio  si  può  fare  altresì  per  uno  di  questi  tre  capi , o a fine  di  tra- 
durre, 0 a fine  d’imitare,  o a fine  di  rubare.  11  tradurre  (quando 
però  non  sìa  secondo  l’ usanza  pedantesca)  merita  anzi  loda,  che  ri- 
prensione; nò  vi  mancano  esempi  di  mollissimi  uomini  egregi , ì 
quali  comcchò  per  sò  stessi  fussero  fertilissimi  ritrovatori,  non 
hanno  con  tutto  ciò  lasciato  aneli' essi  d’ cscrcitarvisi.  Tradurre  in- 
tendo, non  già  vulgarizzarc  da  parola  a parola,  ma  con  modo  pa- 
rafrastico mutando  le  circostanze  della  ipotesi,  ed  alterando  gli 
accidenti  senza  guastar  la  sostanza  del  sentimento  originale.  Ho  tra- 
dotto senza  dubbio  aneti’  io  talora  per  proprio  passatempo  c talora 
per  compiacerne  altrui  ; ma  le  mie  traduzioni  sono  state  solo  dal 
latino,  o pur  dal  greco  passalo  nella  latinità,  e non  da  altro  idioma, 
e sempre  con  le  mentovate  condizioni  ; sebbene  ancor  questo  sov- 
viemmi  aver  fatto  pochissime  volle,  c queste  poche  le  riduco  sola- 
mente a due  canzoncine  trasportale  da  due  elegie  d’Ovidio,  e stam- 


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E DEL  SCO  STILE.  ' \l 

paté  nella  terza  parte  della  mia  Lira,  cioè  a dire  i Trastulli  estivi,  c 
V Incostanza  d' Amore.  Qualora  si  prende  da  autori  noli,  non  si  può 
dubitare  di  ladroneccio,  perciocché  son  luoghi  pubblici,  ed  esposti  a 
tutti  gli  occhi , che  non  aien  ciechi,  onde  si  concedono  a chi  prima 
gli  occupa , come  le  gemme  sparse  nel  lido  del  mare.  E siccome 
Virgilio  non  arrossi  di  rramettcre  nella  sua-  Eneade  i versi  intieri 
d’ Ennio  e di  Catullo;  nè  altri  lirici  ed  epici  toscani  si  hanno  re- 
cato ad  onta  di  servirsi  di  quelli  di  Dante  e del  Petrarca  ; così  chiun- 
que da  essi,  o da  altri  piglia  a volgere  in  diversa  lingua  alcun  pas- 
saggio più  lungo,  presuppone  che  si  sappia  da  coloro , che  son 
versati  tra’  poeti , nò  deve  esserne  chiamato  usurpalore.<SLnche  tra 
gl’idillj  della  mia  Sampogna  un  ve  h’ha,  il  qualea  pripia  visla  potrà 
forse  parer  Iraslato  da  altro  linguàggio  straniero,  tuttoché  il  primo 
ed  antico  Tonte,  da  cui  procedono  amendue  i nostri  ruscelli , sia 
Ovidio,  e forse  prima  d’ Ovidio  alcun  altro  Greco.  Io  l’ho  poi  (se  non 
in’  inganno)  aiutalo,  illustrato  ed  ampliScato  con  diversi  episodietti 
e descrizioni , onde  quel  che  v’  è rimaso  del  suo  primiero  autore,  é 
sì  poco,  che  si  può  dir  quasi  nulla,  né  so  s’ egli  stesso  così  travestito 
il  riconoscerebbe  per  suo.  Or  avvengaché  per  esser  le  suddette  coso 
(come  dissi)  da  me  accresciute  ed  arricchite  di  molti  lumi,  che  per  « 
l’addietro  non  avevano , io  possa  dire  d’aver  sopra  di  esse  qualche 
giusta  giuridizione , e d’ essermene  non  senza  ragionevole  autorità 
insignorito,  non  voglio  con  tutto  ciò  esserne  tenuto  legittimo  pos- 
sessore. Sìcnsi  traduzioni , per  tali  si  smaltiscano , spcndansi  per 
quel  che  vagliono,'  non  le  vendo  come  mie,  né  pretendo  di  esse  altra 
loda,  che  di  fatica.  Ma  che  diranno  questi  tali,  s’io  farò  loro  toccar 
chiaramente  con  mano,  che  que’met^esimi componimenti,  de’ quali 
essi  mi  appellano  traduttore,  sono  stati  dal  mio  esemplare  tradotti? 
Adunque  tante  mie  poesie,  che  da’ sopraccennali  e da  altri  begli 
ingegni  sono  stale  messe  in  favella  forastiera,  e che  poi  sono  parte 
uscite  alla  pubblica  stampa  e parte  vanno  in  volta  a penna,  si  dovrà 
dire  di  qua  a qualche  anni,  che  non  sieno  originariamente  mie?  Lo 
mio  rime  prima  che  impresse  fussero,  e specialmente  quelle  della 
detta  ultima  parto,  sono  ile  un  gran  tempo  attorno  per  tutte  quante 
le  mani , e dopo  l’ impressiono  per  molle  reiterate  edizioni  hanno 
avuto  tanto  di  dispaccio,  che  chiunque  ha  voluto  o tradurne,  o car- 
pirne qa^IBlé^jtQ , ha  ben  potuto  scapricciarsi  a sua  volontà.  Or 
se  così  è,  pércne^questi  malignetli  avanti  che  detrarre  alla  mia  i ^ 
fama,  seminando  sì  fatto  menzogne  per  le  stampe,  non  si  sonP.^pJ| 
formali  del  vero?  Ha  poniamo  anche,  che  vero  fosse,  ch’io  peMn^^K 
stallo  avessi  due  o tre  sonetti  tolti  alla  Spagna,  o alla  Francia,  e dati  ^ ■ 


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XII 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


all’ Italia,  perchè  con  fare  alla  lor  madre  questo  torto,  la  quale  di 
simili  frutti  è altrctlanlo  feconda,  quanto  quell’ altre  due  pra;vincic 
ne  sono  sterili,  defraudandomi  iniquamente  della  loda  in  quella 
parte  che  mi  si  deve,  ne  tacciono  le  migliaia  fatte  di  mia  propria  ed 
assoluta  inveazionc?  Vengo  dal  tradurre  aU’imitare;  nè  parlo  di 
quella  imitazione , la  qual  dice  Aristotele  esser  propria  del  poeta , 
quella  che  si  confà  con  la  natura , e da  cui  nasce  il  verisimile  e per 
conseguenza  il  dilettevole:  ma  di  quella,  che  c'insegna  a seguir  le 
vestigia  de’  maestri  più  celebri,  che  prima  di  noi  hanno  scritto. 
Tutti  gli  uomini  sogliono  esser  tirati  dalla  propria  inclinazione  na- 
turalmente ad  imitare  ; onde  l’ immaginative  feconde  e gl’  intelleUi 
inventivi  ricevendo  in  se  a guisa  di  semi  i fantasmi  d’ una  lettm» 
gioconda,  entrano  in  cupidità  di  partorire  il  concetto  chen’a))- 
prendono,  e vanno  subito  macchinando  dal  simile  altre  fantasie,  c 
spesso  per  avventura  più  belle  di  quelle,  che  son  lor  suggerite  dalle 
parole  altrui , ritraendo  sovente  da  un  conciso  e semplice  molto 
d’ un  poeta  cose,  alle  quali  l’islesso  poeta  non  pensò  mai,  ancorch’ 
egli  ne  porga  l’occasione  e uc  sia  il  primo  promotore.  Questa  imi- 
tazione può  essere  o negli  universali,  o ne’ particolari.  L’universale 
consiste  nella  invenzione  e nelle  cose;  la  particolare  nella  sentenza, 
e“T)elle  parole;  l’una  è propria  dell’eroico,  l’altra  s’appartiene  più 
al  lirico;  quella  ha  più  del  poetico  e si  può  meglio  dell’altra  nascon- 
dere, questa  è più  sfacciata  e manco  lodevole.  Tralascio  inhniii 
esempi  amichi , e tocco  solamente  i due  epici  eminenti  dell’ età  più 
vicina  a noi.  L’ Ariosto  ha  (secondo  il  mio  giudicio)  assai  meglio,  che 
il  Tasso  non  ha  fatto,  imitali  i poeti  greci  e latini  e dissimulala 
. r imitazione.  Chi  direbbe  mai,  che  Astolfo  con  l’ippogrifo  sia  imi- 
tato da  Perseo?  lo  scudo  d’ Atlante  dal  teschio  di  Medusa?  Isabella 
uccisa  da  Rodomonte,  da  Medea  con  le  sorelle  di  Giasone?  l’Orco 
con  Norandino,  da  Polifemo  con  Ulisse?  Orrilo  dall’Idra?  fi  vero, 
che  talvolta  non  ha  saputo  nel  celare  esser  tanto  accorto,  che  non 
si  sìa  discovcrta  la  ragia.  Ondo  all’incontro  chi  non  direbbe  subito, 
che  Olimpia  abbandonala  da  Direno,  sia  imitala  da  Arianna  abban- 
.^hmata  da  Teseo?  Angelica  esposta  al  mostro  marino,  da  Andromeda 
condannata  ad  esser  divorala  dalla  balena?  Rodomonte  nell’ assedio 
di  Parigi,  da  Capaneo  in  Tebe?  Cloridano  e Medoro,  da  Niso  ed  Eu- 
rialo?  Sobrino,  da  Nestore?  l' Arpie,  dall’Arpie  di  Virgilio?  l’ Amaz- 
zoni, dall’ Amazzoni  di  Stazio?  il  cerchio  della  luna,  dal  cerchio 
della  luna  di  Luciano?  Il  Tasso  all'  incontro  è stato  nilggiore  e più 
manifesto  imitatore  delle  particolarità , perciecchc  senza  velo  al- 
cuno frapporla  ciò  ebe  #itole  imitare,  usando  assai  forme  di  dire 


> E DEL  SUO  STILE.  XIH 

ed  elocuzioni  latine,  delle  quali  troppo  evidentemente  si  serve;  sic- 
come poco  piu  destro  parmi  che  dimostrato  si  sia  nelle  universalità. 
Onde  il  nascimento  di  Clorinda  ci  fa  subito  ricordare  del  nascimento 
di  Cariclia  in  Eliodoro;  lo  sdegno  di  Rinaldo,  dell’ira  d'Achille 
in  Omero  ; l' inferno  e ’l  consiglio  de’  demoni,  dell’  uno  c del- 
l’altro in  Claudiauo  e nel  Trissino;  la  battaglia  tra  i diavoli  e gli 
angioli  nella  espugnazione  di  Gerusalemme,  del  contrasto  degl’  Iddii 
presso  Omero  nella  distruzione  di  Troia;  la  sete  del  campo,  della  sete 
in  Lucano;  Tancredi,  ch’uccide  Clorinda,  dì  Cefalo,  che  saetta  Pro- 
cri; la  Furia  che  stimola  Solimano,  della  Furia,  ch’irrita  Turno; 
Rinaldo  quando  parte  da  Armida,  d’Enea  quando  lascia  Didonc; 
Armida  che  fuggo  nella  rotta  dcU’escrcito  egizio,  seguita  ed  abbrac- 
ciata da  Rinaldo,  d'Abra  sconfìtta,  ed  appunto  nel  medesimo  modo 
^disperata  perLisvarte.  Nell’ una  e nell’ altra  foggia  mi  sono  ingegnalo 
anch’io  d’osservar  l’imttazione.  Per  quel  che  tocca  agli  universali, 
s’io  abbia  bene,  o male  imitato,  ancora  non  si  può  giudicare  dal 
mondo,  poiché  ancora  alcuni  mici  poemi  narrativi  non  sono  esposti 
al  giudicio  suo.  Per  quel  che  concerne  i particolari,  non  nego  d’a- 
vere imitato  alle  volle,  anzi  sempre  in  quello  istesso  modo  (se  non 
erro)  che  hanno  fatto  i migliori  antichi  c i più  famosi  moderni, 
dando  nuova  forma  alle  cose  vecchie,  o vestendo  di  vecchia  maniera 
le  cose  nuove.  E s’ io  questa  sorto  d’ imitazione  mi  abbia  male 

0 bene  asseguita , me  ne  riporto  al  parere  di  chi  più  di  me  sa, 
purché  legga  con  occhio  puro  e con  animo  B)>assìonato  quanl’  io  ho 
scritto.  Ora  discendo  al  terzo  ed  ultimo  capo  del  rubare , sehbcn  di 
questo,  e della  differenza  eh’  è tra  il  furto  c l’imitazione  e della 
regola  da  tenersi  nell’  uno  e nell’  altra,  panni  esserne  stato  ab- 
bastanza discorso  nel  sopradello  preambulo  della  Lira.  E qui  che 
posso,  o che  debbo  io  dire?  Dirò  con  ogni  ingenuità  non  esser  pun- 
to da  dubitare,  eh’  io  similmente  rubalo  non  abbia  più  di  qualsivoglia 
altro  poeta.  Sappia  lutto  il  mondo,  che  infin  dal  primo  dì  eh’  io 
incominciai  a studiar  lettere,  imparai  sempre  a leggere  col  rampino, 
tirando  al  mio  proposito  ciò  eh’  io  ritrovava  di  buono,  notandolo 
nel  mio  zibaldone,  e serv  endomene  a suo  tempo  ; che  insomma 
questo  è il  frutto  che  si  cava  dalla  lezione  de’  libri.  Così  fanno  tulli 

1 valenti  uomini  che  scrivono , e chi  cosi  non  fa,  non  può  giammai 
per  mia  stima  pervenire  a capo  di  scrittura  eccellente,  perché  la 
nostra  memoria  è debole  e mancante,  e senza  questo  aiuto  di  rado 
ci  somministra  perfettamente  le  cose  vedute  quando  1’  opportunità 
il  richiede.  Vero  é,  che  colai  repertorio  ciascuno  se  1’  ha  a fare  a suo 
capriccio  e con  quel  metodo  ordinario,  che  può  più  facilmente 


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XIV 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


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improntargli  le  materie  quando  le  cerca.  Gl’  intelletti  aon  diversi  e 
diversissimi  gli  umori  degli  uomini,  onde  ad  uno  piacerà  tal  cosa, 
che  dispiacerà  ad  un  altro;  e taluno  sceglierà  qualche  sentenza 
d’  un  autore,  che  da  un  altro  sarà  riGutata.  Le  statue  antiche  e le 
reliquie  de’  marmi  distrutti,  poste  in  buon  sito  e collocate  con 
bell’  arliGcio,  accrescono  ornamento  e maestà  alle  fabbriche  nuove. 
Perciò  se,  secondo  i precetti  e le  circostanze  nel  sopraccitato  di- 
scorso contemité , razzolando  col  detto  ronciglio,  ho  pur  commesso 
qualche  povero  furtarello,  me  ne  accuso  e me  ne  scuso  insieme, 
poiché  la  mia  povertà  è tanta,  che  mi  bisogna  accattar  delle  ricchezze 
da  chi  n’  è piu  di  me  dovizioso.  Assicurinsi  nondimeno  cotesti 
ladroncelli,  che  nel  mare.,  dove  io  pesco  e dove  io  traffico,  essi  non 
vengono  a navigare,  nè  mi  sapranno  ritrovar  addosso  la  preda, 
s’ io  stesso  non  la  rivelo.  Ed  almene  non  mi  potranno  querelare, 
eh’  io  abbia  loro  involato  nulla,  com’  eglino  hanno  a me  fatto  ; onde 
si  possono  ben  vantare  d’  aver  rubato  a’  Napoletani,  che  sono 
avvezzi  a saper  farlo  altrui  con  sottilità  e con  grazia.  Stentino  adun- 
que col  malanno,  tanto,  che  svanisca  loro  il  cervello  nel  capo,  e 
crcpino  le  vene  nel  petto,  se  hanno  disiderio  di  gloria,  e vogliono 
farsi  onore.  E se  non  hanno  spirito  atto  a sapere  inventar  novità, 
nè  dottrina  da  potere  scrivere  con  fondamento,  riveriscano  ed  am- 
mirino coloro  che  l’hanno  ; nè  credano  per  chiudere  un  sonettuzzo 
con  una  bella  punta  ( il  che  pure  alla  Gne  hanno  da  me  imparato) 
d'esser  divenuti  immortali  ; o per  istrappazzare  il  mio  nome  dopo  le 
spalle,  di  deprimer  me  ed  avantaggiar  sù  stessi  nella  opinione  del 
mondo.  Ma  io  debbo  di  tutto  ciò  ridermi  e dissimularlo,  perchè  sou 
fanciullacci  più  tosto  da  scudisciar  per  burla  a colpi  di  sonetti  co- 
duti,  che  da  confondere  con  salde  ragioni  ; se  non  eh’  io  mi  ritrovo 
già  un  pezzo  fa  avere  appeso  all'  arpione  lo  slaffii  della  satira,  nè  ho 
volontà  di  ripigliarlo , se  non  son  provocato  più  che  villanamente. 
Quanto  poi  alla  caterva  dozzinale  de’  pedanti  muffi,  de’  critici  falliti, 
c degli  altri  correttori  delle  stampe,  che  non  sapendo  giammai  per 
sè  medesimi  produrre  cosa  di  buono,  fanno  tuttavia  professione  di 
Gccare  il  grifo  per  tutto  crivellando  gli  scritti  e tassando  gli  scrit- 
tori, non  ce  ue  dobbiamo  dolere,  essendo  questo  il  contrassegno 
della  virtù  e il  tocco  del  paragone.  Non  deve  chi  cammina  al  monte 
della  Gloria,  per  la  stitichezza  di  quattro  linguacciuti  nasuti,  a cui 
anche  le  rose  putono,  tralasciare  il  corso  delle  onorate  fatiche,  che 
lo  conducono  alla  Eternità.  Siccome  i legni  hanno  i tarli,  che  gli 
rodono,  cosi  i poeti  hanno  i censori,  che  gli  flagellano;  e siccome  il 
vento  australe  è contrario  alla  serenità , cosi  della  gloria  è stato 


D 


. E DEL  SUO  STILB.  XV 

sempre  nemico  il  livore.  Ditemi*  furono  fors’  eglino  nel  biasimare 
gli  altrui  sudori,  o nel  condannargli  con  perverso  giudiuio  più  mo- 
desti gli  antichi  di  quel  che  si  sieno  i nostri?  L’Orazioni  di  Demo- 
stene ad  alcuni  parevano  smunte  ed  asciutte,  ad  Eschine  barbare,  a 
Demadc  che  olissero  di  lucerna.  Quelle  di  Cicerone  da  Calvo  erano 
stimate  trite  ed  esangui , da  Bruto  dirotte  e dislombate , da  altri 
aride  e secche.  Altri  al  contrario  giudicavano  il  suo  dire  troppo  tur- 
gido e gonfio,  altri  troppo  lubrico  e Quido,  altri  molle  e ricercato, 
altri  superstizioso,  freddo  negli  scherzi  e poco  osservatore  dell’  an- 
tichità. Didimo  grammatico  alessandrino  scrisse  volumi  contro  di 
lui,  così  parimente  Gallo  Asinio  c Larzio  Licinio.  Contro Teofrasto 
scrisse  una  certa  meretrice,  la  qual  si  racconta  avergli  data  grandis- 
sima noia.  Pollionc  not(^n  Livio,  istorico  di  tanta  eccellenza, 
alquante  parole  padovane.  Ed  il  medesimo  poi  riprese  Sallustio, 
principe  delle  romane  istorie  , per  avere  usato  un  vocabolo  in  altra 
signi&canza,  che  non  portava  la  sua  etimologia.  Lucilio,  che  fu  il 
primo  (secondo  che  dicono)  a fare  il  punteruolo  ed  il  postillatore 
dell’  altrui  fatiche,  quanto  acerbamente  lacerò  Euripide,  Accio, 
Ennio,  Pacuvio  ed  altri  poeti  classici  del  primo  secolo?  E pure 
Orazio  riprende  lui,  notandolo  d’impurità.  Or  come  può  mai  chi 
scrive  soddisfare  a tanti  appetiti,  se  non  ha  i sapori  della  manna, 
che  si  affaceva  con  tutti  i gusti?  o come  guardarsi  da  simili  zanzare 
fastidiosette,  che  senza  perdonare  a chi  che  sia  pungono  rabbiosa- 
mente? Non  ha  dubbio,  che  ciò  per  lo  più  non  d’altro  fonte  suol 
nascere,  che  d’invidia,  |>crchè  pensano  costoro  col  censurare  gli 
uomini  illustri  di  rischiarare  i lor  nomi  rugginosi  ed  acquistarsi 
qualche  grido,  chò  altrimenti  sempre  abbietti  c sconosciuti  se  no 
slarebbono  ; in  quella  guisa  istessa,  eh’  Erostrato  con  l’incendio  del 
tempio  di  Diana  si  fece  famoso,  e Pilato  per  la  scelleraggino  della  sua 
ingiusta  sentenza  si  canta  ogni  giorno  nel  simbolo  per  le  chiese. 
Certo  colui,  che  fu  il  primo  a porre  il  nome  a questo  vizio,  con  gran 
ragione  chiamollo  invidia,  poiché  l’invido  par  che  non  vegga  l’altrui 
bene,  ma  osserva  solamente  il  male,  e tutte  quelle  cose  lasciando 
da  parte,  che  in  una  scrittura  sarebbono  per  avventura  lodevoli, 
volge  gli  occhi  solo  a que’  pochi  mancamenti,  che  potrebbono  essere 
riprensibili.  Orazio,  quantunque  fusse  giudice  de'  poemi  molto  severo, 
sapendo  nondimeno  le  difficoltà,  che  nel  comporre  si  passano,  si 
contentava  di  rimetter  loro  molti  falli,  che  gli  parevano  degni  di 
perdono  ; 

c Sunt  delieta  tamen,  quibus  ignovisse  velimi», 

€ Naai  nec  corda  sonum  reddit,  quem  vult  manus  et  mena. 


TSXl 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


■ V. 


• PosceMiquc  graveui,  perucpc  remluU  acutum, 

« Ncc  sctnpcr  fcrict  quodcunque  oiirabilur  arcua.  > 

E conoscendo  egli  oltimamenle,  che  non  tutte  le  palle  (come  dir  si 
suole)  riescono  ri  tonde,  c che  in  un  bel  corpo  si  può  tollerare  qual- 
che neo,  qualche  pedo,  o qualche  picciola  ruga,  senza  prcgiudicio  del 
resto,  scusava  molte  colpe  leggiere  no’  componimenti  in  quegli  altri 
versi  : 

c Veruni  ubi  plura  nitcìU  in  carminc,  non  ego  paucis 

€ Uffemlar  oiacuìis.  • 

Veramente  soverchio  rigore  gli  parera  voler  guastare  l’integrità  del 
lutto  per  una  particella,  e dannare  a morte  un’opera  di  chiaro  au- 
tore per  un  mimmo  peccatuzzo.  Che  se  nello  cose  di  coloro,  che 
furono  in  maggior  credito  ne’  tempi  addietro,  vorremo  incrudelire 
con  tanta  austerità,  che  non  s’ammettano  se  non  gl’  immacolati,  si 
verranno  ad  escludere  forse  tutti  senza  riraanerue  pur  uno.  Perciò 
diceva  il  medesimo  nel  primo  de’  Sermoni. 

€ Agc  quaeso, 

« Tu  niliil  ili  magno  doctus  dcprasliendis  Ilonicro? 

• Nil  Coniis  tragici  mutai  Lucilius  Acci? 

Le  quali  parole  (come  voi  meglio  di  me  sapete)  hanno  a pronun- 
ciarsi interrogativamente  con  irorria,  volendo  quasi  dire  il  contrario, 
cioè  non  esser  poeta,  in  cui  alcuna  cosella  da  emendare  non  si  ri- 
trovi. Vi  sovviene  di  ciò  che  dice  Quintiliano  nel  decimo  libro  al 
capitolo  de  fmilatione?  tn  magnis  quoque  aucloribus  incidunt  ali- 
qua  vitiosa,  et  a doctis  inter  ipsos  etiam  mutuo  reprxhensa.  E 
ristesso  nel  medesimo  libro  al  capitolo  primo  : tSeque  id  stativi. 
legenti  persuasum  sit,  omnia  qvx  omnes  auctores  dixerunt  esse 
per/ecta,  navi  et  labant  aliquando,  et  oneri  cedunt,  et  indulgent 
genioruni  suorum  voluptati.  non  semper  intendunt  animum,  non- 
nunquam  fatigantur,  nam  Ciceroni  dormitare  interdum  non  solum 
Demosthenis  oratio,  verum  etiam  Homerus  ipse  videatur.  Non 
deono  dunque  i signori  sindici  di  Parnaso  e gabbellieri  degl'  im- 
pacci esser  tanto  importuni,  che  vadano  ricercando  sottilmente  nelle 
poesie  col  fuscellino  ogni  scropolctto,  nè  dobbiamo  noi  quando 
altri  ciò  faccia  alterarci  punto,  nè  risentirci  ; ma  sforzandoci  d’appa- 
gare il  disidei  io  di  Fiacco,  ci  basterà,  che  se  pure  ne’  nostri  scritti 
si  troverà  qualch’  emenda  di  poco  momento,  almeno  le  parti  princi- 
pali abbiano  in  sè  tanto  di  bello,  che  ricuopra  qualsivoglia  difetto. 
Chi  ha  giammai  più  di  me soUerti i latrali  di  questi  mastini,  e i zuR'o- 


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E DEL  SUO  STfLE- 


xvir 


liuncnti  di  queste  serpi  ? Io  non  dico  già  di  non  potere  errare,  poiché 
uiuno  scrittore  può  esser  tanto  occhiuto,  quantunque  Argo  sia, 
eh’  alle  volte  non  inciampi  senza  avvedersene,  massime  io,  che  mi 
stimo  più  d’ogni  altro  degno  di  correzione,  e nelle  cui  cose  è vcrisi- 
mile,  che  delle  imperfezioni  non  manchino.  Dovrebbono  però  con- 
tentarsi questi,  non  dirò  ZoHi  ed  Aristarchi,  ma  piu  tosto  Momi  e 
Pasquini,  di  disfogar  contro  l’operc  sole  la  rabbia,  manifestando  le 
mie  sciocchezze,  senza  pregiudicarmi  in  cose,  che  rilevano  molto 
più.  11  continovo  corso  de’  miei  varj  e fortunevoli  accidenti  crederei 
oggimai,  che  bastasse  a farmi  degno  d’essere  più  compatito,  che  in- 
vidiato. E sarebbe  pietà  il  considerare,  che  se  fra  tanti  nroti,  peri- 
coli 0 travagli  qualche  cosa  bo  pur  fatta,  ho  fatto  oltre  il  possibile 
del  poter  mio.  Nò  il  vulgo  de’  poeti  correnti  dovrebbe  con  tante 
persecuzioni  calunniarmi,  avendo  più  tosto  occasione  d'  amarmi,  se 
non  per  altro,  almeno  per  aver  io  portate  le  Muse  toscane  di  qua  dal- 
l’Alpi,  ed  introdottele  nelle  camere  reali  ; e per  aver  fatto  oltracciò  al 
lauro,  eh’  è pianta  infeconda,  in  vece  di  coccole  produrrò  scudi  del 
Sole,  che  ben  del  Solo  meritano  il  nome,  poiché  a sostentamento 
de’  seguaci  d'  Apollo  si  dispensano.  Conviene  pertanto  darsene  pace, 
e soggiacere  con  pazienza  a sì  falla  infelicità,  ringraziando  tntlavia 
la  divina  Provvidenza,  eh’  almeno  non  diede  a costoro  le  forze  pari 
all’orgoglio  ed  all’  arroganza,  sicché  ci  possano  nuocere,  l’na  delle 
grazie  principali,  che  ci  abbia  falle  la  Natura,  fu  per  mio  avviso  il 
non  aver  dati  i denti  ai  ranocchi,  perciocché  |>oco  ci  gioverebbe  il 
|M)8sedero  le  delizie  di  questo  mondo,  se  ci  fosse  bisogno  al  passar 
de’  fossati  armar  le  gambe  di  borsaechini  di  ferro  per  difenderci 
da’  morsi  loro.  Buon  per  noi,  eh’  essi  abbiano  la  bocea  sdentata,  chè 
altrimenti  la  darebbono  in  barba  agli  aspidi  cd  allo  vipere  ; là  dove 
essendo  tali,  quali  sono,  basterà  che  noi  siamo  più  tosto  ben  forniti 
d’  orecchi,  che  d’  altre  armature.  Craechino  pure  c garriscano  a 
posta  loro,  chè  il  vero  antidoto  di  questo  veleno  si  ò il  tacere  c pro- 
curar d’avanzarsi  ogni  giorno  di  bene  in  meglio.  Così  si  confonde 
l’ignoranza,  s’abbatto  l’invidia,  si  conculca  la  calunnia,  sì  calpesta  la 
per6dia,  s’abbassa  la  superbia’,  si  sotterra  la  presunzione,  e si  sub- 
bissa la  temerità.  Chiuderò  questa  lettera  salutandovi  di  vivo  cuore, 
abbracciandovi  con  tutta  l’anima,  e ringraziandovi  di  nuovo  del 
vostro  cortese  affetto  in  lodarmi  tanto  ; del  che  non  posso  non  sentir- 
mivi  forte  obbligalo.  Obbligato  dico  di  tutte  l’ altre  lodi  mi  vi  con- 
fe»o,  salvo  solo  di  quella,  che  mi  date  aifcoverandomi  tra  gli  Ebrei, 
poiché  ben  sapete,  eh’  io  non  mi  diletto  punto  di  risprangar  cwppe 
vecchie.  E senza  più  alla  vostra  buona  grazia  mi  raccomando,  pr^. 


Oiqiii'HC  by  Cooglfc 


XVllI 


DI  GIAMBATTISTA  MARINO 


gando  il  Signore,  che  abbia  voi  perpetuamente  nella  sua.  Di  Ps> 
rigi.  » . 

Noi  avvisiamo  che  nessuno  ci  accuserà  d’aver  voluto  ristampare 
tutta  quanta  questa  lettera  del  Maeino  , perchè  è un  buon  saggio 
della  sua  prosa  libera  dagli  errori  in  che  si  lasciò  così  spesso  cadere 
quando  scrisse  poeticamente.  E poi  nella  lunghezza  di  essa  lettera 
potè  il  Poeta  sfogando  l’ ira  contro  i censori , far  chiaro  come  le 
lodi  sperticate  gli  avessero  offeso  siffattamente  l’ intelletto  da  te- 
nere per  fermo  che  la  sua  gloria  non  verrebbe  oscurata  per  volger 
di  secoli , c da  giudicare  che  le  considerazioni  di  chi  avea  per  guida 
gli  esemplari  di  Roma  ed  Alene , fossero  argomento  d’ invidia  e 
d’ ignoranza.  Ma  chi  non  vede  come  il  suo  lamentare  andasse  a 
vuoto?  Troppo  era  lo  splendore  dello  stile  del  Mabino  da  non  abba- 
gliare le  moltitudini.  E può  affermarsi  senza  tema  d’ errare  che  anche 
adesso,  V Adone,  la  Strage  degt  Innocenti , il  canto  VII  della  Geru- 
salemme distrutta,  e le  alcune  poche  liriche  scelte  in  questo  vo- 
lume, offrono  bellissimi  csempj  di  fecondità  e grazia  di  concetti, 
di  purità  e franchezza  di  parole.  Che  se  assai  bello  è misto  a strane 
fantasie,  ne  troviam  chiara  l’ intenzione  nella  sua  sentenza  della 
Murtoleide  : 

È del  poeta  II  fin  la  maraviglia  ; 

Parlo  dell’  eccellente  e non  del  goffo  j 
Chi  non  sa  far  stupir  vada  alla  striglia. 

Questa  fu,  a dir  così,  l’insegna  del  secento,  e da  questa  deriva- 
rono le  puerilità  che  adesso  muovono  a riso  chi  non  sappia  di 
scemo;  questa  faceva  scrivere  in  sul  serio  al  cavaliero  Ciro  di  Pers, 
che  pativa  di  pietra  : 

Io  so  che  in  queste  pietre  arrota  I'  armi 
La  Morte,  e clié,  a formar  la  sepoltura 
Nelle  viscere  mie  nascono  I marmi. 

Discorso  del  Makivo,  non  possiam  tenerci  di  toccare  un  poco  del 
vivente  Victor  Hugo , fallosi  in  Francia  rinnovatore  di  quella  in- 
sensata scuola  de’  secentisti  italiani,  ed  alcuna  volta  dolce  e potente 
di  queir  affetto  che  troppo  spesso  affoga  in  ua  mar  di  metafore  c 
di  similitudini.  E a dir  vero  le  slrapezze  di  che  va  bruttando  le 
odi  alla  Colonna  di  Napoleone,  all'Arco  di  trionfo,  e non  poche  delle 
sue  liriche,  son  più  vergognose  delle  antiche , e perchè  l’ essere 
quegli  errori  divenuti  favola  di  tutta  Europa,  avrebbe  avuto  a ren- 
derne impossibile  il  rinnovamento , e perchè  le  glorie  francesi  son 


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E DEL  SUO  STILE.  XIX 

più  presto  alte  ad  innalzare  gli  spiriti  che  abbassarli  a fanciulleschi 
concetti,  de’  quali  ne  piace  dare  un  esempio  fra  i molli,  tolio 
alla  seconda  delle  Odi  sopraddette  nella  quale  il  poeta  fa  una  così 
strana  pittura  di  Parigi  : 

< Oh!  Paris  est  la  ci  té  mòre, 

< Paris  est  le  licu  solennci 

t Où  le  tourbillon  épliémère  ^ , 

« Toume  sur  un  centre  étemel  ! 

« Paris,  Teu  sombre  ou  pure  étoilc, 

• Morne  Isis  couverte  d'un  voile! 

s Araignée  i rimmense  lolle, 

• Où  se  prennent  Ics  naiions! 

< Fontalnc  d'urnes  obsédée , 

« Mamplle  sans  cesse  iiiondée 

• Où  pour  se  nourrir  de  l’Idée 

€ Viennent  Ics  générations.,.. 

< C’est  elle , hélasi  <pj|  nuit  et  Jour 

« Réveille  le  géant  Europe 

• Avec  sa  cloche  et  son  tambour  ! > 

Legga  le  opere  poetiche  di  Victor  Hugo  chi  avesse  voglia  di  sapere 
se  questi  errori,  scelti  a dimostrare  il  mal  gusto  di  quel  poeta, 
siano  l’abito,  a dir  così,  della  sua  mente  e del  suo  stile,  oppure  un 
accidentale  impelo  di  falsi  e puerili  concetti  |"A  noi  duole  che  sic- 
come il  Marixo  ebbe  colpa  del  corrotto  gusto  del  suo  secolo, 
debba  pure  apporsi  a Victor  Hugo  il  peccato  de’  molti  sconsigliati 
che,  tirali  dall’ imitazion  dell’ immaginoso  maestro,  si  lasciano  por- 
tare dalla  fantasia  senza  un  pensiero  al  mondo  della  bella  natura, 
dell’importanza  del  decoro,  della  castità  dello  stile,  e avendo  in  non 
cale  il  nobilissimo  fine  del  poeta,  la  correzion  de’ costumi;  alle 
quali  cose  chi  non  ponga  mente,  formerà  parole,  somiglianti  a 
bolle  di  sapone  che  splendono  un  poco,  c poi  com’ellc  svaniscono. 
Ma  quasi  a conforto  di  tanta  licenza  vive  ancora  quel  dolcissimo  Bé- 
ranger,  il  quale  o canti  il  valor  della  Francia,  o mediti  sulle  danze 
fanciullesche,  è sempre  sublime  di  spontanei  canti  che  Amore  gli 
dettò,  e che  ne’  poveri  tetti  cosi  spesso  risuonano.  Nè  questo  è il 
solo  premio;  un  altro  e maggiore  s’aspetta  al  virtuoso  poeta,  chè 
l’inesorabile  vecchio  non  lascerà  cader  nell’ onda  dell’obblio  iiis- 
suna  sua  nota. 

Gicseppe  ZIRARDIM. 


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ALLA  UAESTA  CRISTIANISSIMA 


DI  MARIA  DE’  MEDICI, 

REINA  DI  FRANaA  E DI  NAYARRA. 


La  Grecia  di  tulle  le  bell’ arti  inventrice,  la  qual  sotto  velo  di  favolose  Tinzioni 
soleva  ricoprire  la  maggior  parie  de’  suoi  misteri,  non  senza  ailegorico  senti- 
mento chiamava  Ercole  Musagete,  quasi  duce  e capitano  dette  Muse.  Il  che  non 
con  altra  signilìcazione  (s’io  non  m’inganno)  bassi  da  interpretare,  die  per  la 
vicendevole  corrispondenza  che  passa  Ira  la. forza  e l'ingegno.  Ira  'I  valore  e ’l 
sapere,  tra  l’armi  e le  lettere;  c per  la  reciproca  scambievolezza,  che  lega  in- 
sieme i principi  e i poeti , gli  scettri  e le  penne , le  corone  dcU’oro  e quelle  del- 
l’alloro. Perciocebè  siccome  alla  quiete  degli  sludj  è necessario  il  patrocinio 
de’  Grandi,  perchè  gli  conservi  nella  loro  tranquillità;  così  all’incontro,  la  glo- 
ria delle  operazioni  inclite  ba  bisogno  dell'aiulo  degli  scrittori,  perchè  le  sot- 
traggano alla  obblivione.  E siccome  questi  offrono  versi  e componimenti,  che 
possono  a quelli  recare  insieme  col  dHctIo  l'immorlalilh  ; così  ancora  quelli 
donano  ricompense  di  favori  e premj  di  ricchezze,  con  cui  possono  questi  me- 
nare comodamente  la  vita.  Quinci,  senza  alcun  dubbio,  è nato  ne’  signori  il 
nobilissimo  costume  del  nutrire  i cigni  famosi,  acciocché  illustrando  essi  col 
canto  la  memoria  de’  laro  onori , la  rapiscano  alla  voracilà  del  Tempo.  Quinci 
d’altra  parte  parimente  si  è derivata  in  coloro  che  scrivono,  l'antica  usanza  del 
dedicare  i libri  ai  gran  macsiri , a'  quali , per  non  altra  cagione  sogliono  indiriz- 
zargli, se  non  per  procacciarsi,  sotto  il  ricovero  di  tale  scudo,  sicura  difesa  dal- 
l’altrui malignità  e dalla  propria  necessità.  Questi  rispetti  mossero  Virgilio  ad 
intitolare  il  suo  poema  a Cesare,  Lucano  a Nerone,  Claudiano  ad  Onorio,  ed  ai 
nostri  tempi,  i’Ariosto  c 'I  Tasso,  alla  serenissima  casa  da  Kstc.  Questi  islessi, 
dall’altro  lato  mossero  Mecenate  a sovvenire  alla  povertà  d’ Orazio,  Domiziano 
a promevere  Stazio  e Silio  Italico  a gradi  onorevoli,  Antonino  a conlracc.ainbiare 
con  allreltanto  oro  le  fatiche  d'Oppiano;  ed  ultimamente  (per  tralasciare  gli 
altri  stranieri)  i c.incc'co  il  primo,  re  di  Francia,  a remunerare  con  effetti  di 
profusa  liberalità  le  scritture  dell’Alamanni , del  Tolomei , del  Dclininio,  del- 
l’Arclino  e d'altri  molti  letterati  ilatiani;  Carlo  il  nono,  a stimare,  onorare  e 
riconoscere  oltrcinodo  la  virtù  cd  eccellenza  di  Piero  Ronsardo  ; Arrigo  il  terzo, 
ad  accrescere  con  largite  entrale  le  fortune  di  Filippo  di  Portes,  aliale  di  Ti- 
rone  ; ed  Arrigo  il  quarto,  dopo  inulti  altri  segni  d' affezione  parziale,  ad  esaltare 
alla  sacra  dignità  della  porpora  i meriti  del  Cardinal  di  Perona.  Non  mossero  già 
(per  mio  credere)  questi  rispelli  la  maestà  cristianissima  di  Lodovico  il  tredi- 
cesimo, quando  con  tante  dimostrazioni  di  generosità  prese  a tratlener  me 
nella  sua  corte,  sì  perchè  airedilicio  della  sua  gloria,  non  fa  mestieri  di  sì  falli 
puntelli,  sì  anche  perch’io  non  son  tale,  che  basti  a sostenere  con  la  debolezza 
del  min  stile  il  grave  peso  del  suo  nome.  Nè  muovono  ora  similmente  me  a con- 
sacrare a Sua  Maestà  il  mio  Adone,  come  fo,  sì  perchè  l’animo  mio  è tanto  lon- 
tano dall’interesse,  quanto  il  suo  dall’ambizione,  sì  anche  perchè  sono  sialo 
prevenuto  co’  benelici,  ed  ho  licevuli  guiderdoni  niaggioriidel  desiderine  della 
speranza , non  che  del  merito.  Ma  quanlunqae  i fmi  principali  della  sua  prole- 

I 


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s DEDICAZIONE. 

zione  e della  mia  dedicazione  non  slenn  questi , conlulloeiò  tanto  per  la  parte, 
che  concerne  i debili  della  obliligazion  mia,  quanto  per  quella,  che  s'apparliene 
ai  meriti  della  grandezza  sua , con  ragione  panni  che  si  dehha  il  presente  libro 
al  nostro  re,  c che  da  me  al  noslro  re  sia,  buon  tempo  fa,  giuslamenle  dovuto. 
Deresi  a lui,  come  degno  di  qualsivoglia  onore;  e devesi  da  me,  come  onorato 
(benché  indegnamente)  del  titolo  della  regia  servitù.  Per  quel  che  tocca  a 
Sua  Maestà  dico,  ch’è  proporzionalo  questo  tributo,  essendosi  già  col  sopraccen- 
nato esempio  d’Krcole  dimostralo,  ch'a’ prineipi  grandi  non  disconvengono 
poesie.  E mi  vaglio  della  somiglianza  d’Èrcole,  meritando  egli  appunto  ad  esso 
Ercole  d'essere  per  le  sue  azioni  paragonalo.  Poiché  se  l'uno  ne’  principj  della 
sua  infanzia  ebbe  forza  di  strangolare  due  fieri  dragoni,  il  che  fu  preso  per 
infallibile  indizio  dell’ altre  prove  future;  l’altro  ne’  primordj,  c della  sua  età, 
e del  suo  governo,  conculcò  nè  |iiù  nè  meno  due  ferocissime  c velenosissime 
serpi , diéo  le  guerre  intestine  di  Francia  e le  straniere  d’ Italia , superale  l’ una 
con  la  mano  del  valore,  l’altra  con  quella  dcH’autnrilà;  dal  <|ual  allo  si  può  far 
certissimo  giudicio  dell’allrc  imprese  segnalale,  che  ci  promellono  gli  anni  suoi 
più  fermi.  Havvi  però  di  più  tanto  di  differenza,  che  quel  che  l’uno  operò  già 
adulto  e robiisln,  l'allro  ha  operato  ancor  lenero  fanciullo,  eslirpandn  dal  suo 
regno  un  mostro  ros'i  pestifero,  com’era  l’idra  della  discordia  civile,  le  cui  leste 
pareva  che  d’ora  in  ora  molliplicassern  in  iniìnito.  E sebbene  al  presente  guer- 
reggia tuttavia  co’  suoi  sudditi , il  che  par  che  repugni  alla  pubblica  pace  e con- 
trafaccia  alla  concordia  dello  Stalo,  vedesi  nondimeno  chiaramente,  die  dopo 
l’onordi  Dio,  cli’è  il  suo  primo  riguardo,  il  tutto  è inteso  a quel  medesimo 
scopo,  cioè  di  passare  alla  quiete  per  lo  mezzo  de’  travagli;  nè  altro  pretende, 
che  con  la  dovuta  ubbidienza  de’  pn|ioli  tranquillando  le  continue  tempeste  del 
suo  reame,  stabilirsi  nella  paterna  monarchia.  Gran  cosa  certo  è il  mirare  i mi- 
racolosi progressi  che  fa  questo  mirahile  giovane  in  età  s'i  acerba  con  s'i  maturo 
consiglio,  che  più  di  grave  non  si  desidera  nella  prudenza  de’  più  canuti.  Ecco 
appena  uscito  della  fanciullezza,  mosso  dal  senno,  spinto  dalla  virtù,  guidalo 
dalla  Fortuna,  accompagnalo  dalla  lode,  ascende  a gran  passi  co'  piedi  del  va- 
lore le  sc  ile  della  immorlalilà,  e va  crescendo  in  tanta  grandezza  di  pregio, 
che  oggiinai  i suoi  falli  peregrini  sono  ammirabili,  m»  non  imilabili.  Si  arma 
per  l’onor  di  l'.risto,  comballe  per  la  verità  evangelica,  vendica  l’iiigiurie  della 
corona  gallica,  ristora  i riti  del  cullo  callolico,  fa  inviolabili  le  leggi  della  luiona 
religione,  l.e  sue  forze,  le  sue  armi , le  sue  genti,  i suoi  tesori,  e lulli  i concetti 
alli  del  suo  animo  reale,  non  ad  altro  line  si  rivolgono,  che  alla  gloria  del  Cielo. 
Fassi  esecutore  della  divina  disposizione,  difensore  della  regia  dignità,  punitore 
della  insolenza  de’  rubelli;  ed  in  tutte  le  sue  generose  azioni  si  dimostra  amico 
de’  buoni,  compagno  de’  soldati,  fratello  de’  servi,  padre  de’  vassalli,  e degno 
llgliuol  primogenito  della  Chiesa  aposlolica.  Risarcisce  I quasi  dislriilli  onori 
della  milizia , i disagi  gli  sono  ozj , i sudori  delizie,  le  faliclie  rijinsi.  Fa  stupire 
e tremare,  vince  prima  che  coinballa,  ollicne  più  Irionli,  che  non  dà  assalti,  e 
signoreggia  più  animi,  che  non  acquisla  terre.  Il  suo  petto  è nido  deNa  fortezza, 
il  suo  cuore  rofiigio  della  clemenza , la  sua  fronte  paragone  della  maestà , it  suo 
scniliiante  specchio  dcll'arfaliililà , il  suo  braccio  colonna  della  giustizia,  la  sua 
■nano  fontana  della  lilicralilà.  l a sua  spada  infocala  di  zelo  par  la  spada  del 
serafino,  che  discaccia  dalla  sua  rasa  i conliimaci  di  Dio.  Onde  il  mondo,  che 
gli  applaude,  e che  lia  delle  sue  magnanime  opere  incredibile  aspellazione,  con 
voce  universale  lo  chiama  intelligenza  della  F'rancia,  virtù  del  trono  e dello 
scettro,  angelo  lulelare  della  vera  Fede,  poiché  angelico  veramente  è Usuo 
aspello,  angelico  il  suo  iniellcito,  ed  angelica  la  sua  innocenza.  Cos'i  la  somma 
pietà  di  <|ucl  Dio,  il  qinle  lo  regge,  ed  il  quale  egli  difende,  guardi  la  sua  vita, 
ed  allonlani  dalla  sua  sacra  persona  la  violenza  del  ferro,  la  fraudo  del  veleno  e 
la  perfidia  del  tradimento;  come  in  lui  si  adempiranno  appieno  tutte  le  condi- 
zioni di  perfezione,  che  mancarono  negli  antichi  ('.esari.  E trattandosi  in  questa 
guerra  santa  deH’interesse  pur  di  Dio,  non  mancheranno  a quella  infinita  sa- 
pienza modi  da  terminarla  a gloria  sua,  e con  riputazione  d'un  re  sì  giusto. 


■gle 


ed  D 'i 


DEDICAZIONE.  3 

Quanto  poi  alla  parte,  che  tocca  a me,  itebila  ancora,  non  che  ragionevole 
stimo  io  questa  iledicatura,  acciocché  se  ncll'iino  aMimida  cortesia , ncirallro 
non  manchi  graliliidine.  Ma  con  qual  cambio  o con  qual  elTelIn  condegno,  cor- 
risponderò io  a tanti  eccessi  d' umanità , i quali  soprafaiino  tanto  di  gran  lunga 
ogni  mio  potere  ? Orto  non  so  con  altro  pagargli , che  con  parole  e con  lodi , in 
quella  guisa  istessa  che  si  pagano  le  divine  grazie.  Ben  vorrei  die  la  mia  virtù 
fusse  pari  alla  sua  bontà , per  potere  attrettanto  celebrar  lui , quanto  egli  giova 
a me;  perciocebè  siccome  i suoi  gesti  egregi,  quasi  stelle  del  rie!  della  gloria, 
inOuiscono  al  mio  ingegno  soggetti  degni  d’eterna  lode , cos'i  i lavori , ch’io  ne 
ricevo,  quasi  rivoli  del  fonte  della  magnilieenza,  innaffiano  l’aridilà  della  mia 
fortuna  con  tanta  larghezza,  che  fanno  arrossire  la  mia  villa,  onde  rimango 
confuso  di  non  aver  Un  qui  falla  opera  alcuna,  per  la  quale  appaia  il  merito  di 
SI  falla  mercede.  Potevano  per  avventura  da  questa  ohiazinne  dislormi  due 
circostanze,  cioè  la  bassezza  della  oITcrla  dal  canto  mio,  e l’eminenza  del  per- 
sonaggio dal  canto  suo.  Ma  era  legge  de’  Persiani  (come  Kliaiio  racconta)  che 
ciascuno  tribulasse  il  re  loro  di  qualche  donativo  conforme  alle  proprie  facoltà , 
qualunque  si  fusse.  E Licurgo  voleva  che  si  offerissero  agl’lddj  cose,  ancorché 
minime,  per  non  cessar  giammai  d’ onorargli.  Queste  ragioni  scusano  in  parte  il 
mancamento  del  donatore.  Ma  per  appagare  la  grandezza  di  colui , a cui  si  dona, 
dirò  solo,  che  qiiell’iste'-so  Ercole  di  cui  parliamo,  per  dar  alle  sue  lunKhe  faliche 
qualche  sollazzevole  intervallo,  deposla  lalvolla  la  clava,  soleva  pure  scher- 
zando favoleggiare  con  gli  amori.  Achille,  mentrechi  nella  sua  prima  età  viveva 
tra  le  selve  del  monte  Pelia  sotto  la  disciplina  di  Chimne,  soleva  (secondo  che 
scrìve  Omero]  dilettarsi  del  .suono  della  celerà,  nè  sdegnava  di  toccar  talvolta 
rumll  plettro,  e di  tasteggiar  le  tenere  corde  con  quella  m.inn  islessa  che  do- 
veva poi  con  somma  prodezza  vibrar  la  lancia,  trallar  la  spada,  domare  dcslricri 
indomili  e vincere  guerrieri  invincihllì.  Per  la  qual  cosa  in  non  diihilo  punto, 
che  tra  l’allre  eroiche  virtù,  che  adornano  gli  anni  giovanili  di  Sua  Micsià  in 
tanta  sublimità  di  stato,  in  tanta  vivacità  di  spirito  ed  in  tanta  severità  d’eitura- 
zinne,  non  debba  anche  aver  luogo  l’onesto  e piacevole  trasliilln  della  poesia. 
E se  il  medesimo  eroe  pargoletto  (come  narra  Viloslralo),  quando  ritornava 
dall’esercizio  della  caccia  stanco  per  la  uccisione  delle  fiere,  non  prendeva  a 
schifo  d'accellarc  dal  suo  maestro  le  poma  c i favi,  in  premio  della  fatica  con 
quell’istesso  animo  grande,  con  cui  poi  aveva  da  ricevere  te  palme  e le  spoglie 
delle  sue  vittorie  ; perché  non  deldio  io  sperare . che  Sua  Maestà , non  dico  dopo 
le  cacce,  nelle  quali  suole  alle  volle  nobilmente  esercitarsi,  ma  dopo  le  guerre, 
le  quali  con  troppo  dure  disirazinni  l’incominciano  ad  occupare,  alibia  con  be- 
nignità a gradire  questo  picciolo  e povero  dono  presentato  da  un  suo  devoto,  il 
quale  appunto  altro  non  c,  che  frullo  di  rozzo  intelletto,  e miele  romposlo  di 
fiori  poetici,  quasi  lieto  e sicuro  presagio  de’  rìrclii  Iriliuli  e de' trionfali  onori, 
che  in  più  maturo  tempo  saranno  al  suo  valore  offerti?  l’armi  veramente  la 
figura  biforme  di  quel  misterioso  scmlcavallo  ben  confarevole  al  mio  saggcilo, 
come  molto  espressiva  delle  due  necessarie  c principali  condizioni  del  principe, 
dinotando  per  la  parte  umana  il  reggiuenlo  delia  pace,  e per  la  ferina  l'amini- 
nislrazionc  della  guerra.  La  qual  significanza  sì  allemle,  che  deliba  perfettamente 
verificarsi  in  Sua  Maestà,  rome  degno  figlio  di  si  gran  padre,  ed  erede  non 
meno  delle  paterne  virtù,  che  de’  regni;  la  cui  generosa  ìndole  precorre  Tela 
e vince  l’altrui  speranze.  E già  gli  effetti  ne  fanno  fede , poiché  non  cos'i  tosto 
prese  in  mano  le  redine  dell'Imperio,  clic  slaliilì  per  sempre  la  devozione  nei 
popoli;  ed  appena  assunto  al  possesso  dello  scettro,  gli  fu  commesso  rarhiirìo 
del  mondo.  Egli  è lien  vero,  che  se  il  Centauro  (come  finge  il  medesimo  scrillnrc) 
per  rendersi  uguale  alla  statura  del  giovanetto,  quando  le  delle  cose  nel  greiiilio 
gli  sporgeva,  piegando  le  gambe  dinanzi  sì  chinava,  chiunque  volesse  con  dono 
conforme  pareggiare  gli  eccelsi  pregi  di  Sua  Maestà,  che  ancor  crescente  si  sol- 
leva a pensieri  tanto  sohiimi,  bisogiierehbe  per  contrario,  in  vece  d’ abbassarsi, 
innalzar  più  tosto  sé  stesso  a quel  grado  d’eccellenza , die  nella  mia  persona  e 
nel  mio  ingegno,  manca  del  lutto.  l’er  riparare  adunque  alla  disccnvfeiievolcrza 


« 


4 DEDICAZIONE. 

di  colale  sproporzione,  io  mi  sono  ingegnato  di  ritrovare  un  mezzo  potente,  c 
questo  si  è introdurre  il  mio  dono  per  la  porla  del  favore  di  Vostra  Maestà,  anzi 
aU'una  ed  all’altra  Maestà  farlo  comune,  acciocché  siccome  ella  è per  tutti  una 
fontana,  anzi  un  mare,  onde  scaturiscono  agli  altri  Tacque  della  vena  regia, 
COSI  sia  per  me  una  miniera,  onde  passando  quelle  del  mio  tributario  ruscello, 
piglino  altro  sapore  e qualità , che  non  dispiaccia  a gusto  sì  nobile.  E siccome 
ella  è fatta  (si  può  dire),  lo  Spirilo  assistente  del  regno  suo,  avendolo  tanto 
tempo  governato  con  sì  giusto  e provvido  reggimento,  così  si  faccia  anche  il 
Genio  custode  dell’opera  mia,  rendendola  in  virtù  del  suo  glorioso  nome  e 
della  sua  favorevole  autorità  più  cara  e più  dilettevole.  Veramente,  che  la  ma- 
dre abbia  a partecipare  delle  glorie  e delle  lodi  che  si  danno  al  figlio,  è dovere 
di  legge  umana  c divina;  e che  in  particolare  deliba  ella  aver  parte  in  quelle, 
che  si  contengono  in  questo  volume , è cosa  giusta  sì  per  rispetto  suo,  come  per 
rispetto  mio.  Per  rispetto  suo,  poicIT  essendo  Vostra  Maestà,  la  terra,  che  ha 
prodotta  sì  bella  pianta , e la  pianta , che  ha  partorito  sì  nohii  frutto,  si  debbono 
tutti  gli  onori  attribuire  non  meno  a lei,  come  a cagione,  che  a lui,  come  ad 
effetto.  Per  rispetto  mio,  pei  ciocché  essendo  io  sua  fattura,  e dependendo  tutto 
il  mio  presente  stato  da  lei , per  la  cui  ufficiosa  bontà  mi  ritrovo  collocato  nel- 
Tattual  servigio  di  questa  corte,  siccome  dalla  sua  protezione  riconosco  gli 
accrescimenti  della  mia  fortuna,  così  mi  sento  tenulo  a riconoscere  le  ricevute 
cortesie  con  tutti  quegli  osseqiij  di  grata  devozione,  che  possono  nascere  dalla 
mia  bassezza.  Oltre  che  per  essere  il  componimento,  ch’io  le  reco,  quasi  un  re- 
gistro delle  sue  opere  magnanime , delle  quali  una  parte  (ancorché  minima)  mi 
sono  ingegnato  d’esprimere  in  esso;  e per  avere  io  ridotto  il  suggello,  che  tratta 
(come  per  T allegorie  si  dimostra)  ad  un  segno  di  moralità  la  maggiore,  che 
per  avventura  si  ritrovi  fra  tutte  Tantiche  favole,  contro  l’opinione  di  coloro, 
che  il  contrario  si  persuadevano,  giudico,  che  ben  si  confaccia  alla  modesta 
gravità  d’una  principessa  tanto  discreta.  Or  piaccia  a Vostra  Maestà  con  quella 
benignità  islessa,  con  cui  si  compiacque  di  farmi  degno  della  sua  buona  grazia, 
accettare  e far  accettare  la  presente  fatica;  onde  si  vegga,  che  sebbene  il  mio 
ingegno  é mendico  ed  infecondo,  ed  il  poema , che  porta , è tardo  frullo  della 
sua  sterilità,  vorrei  pur  almeno  in  qualche  parte  pagar  con  gli  scritti  quel  che 
non  mi  è possibile  soddisfar  con  le  forze.  Se  ciò  farà  (per  chiudere  il  mio  scri- 
vere con  l’incomincialo  paralello  d’ Ercole)  ricevendo  ella  per  sé  stessa,  e rap- 
presentando a Sua  Maestà  composizioni  di  poeta,  come  non  indegne  di  re 
guerriero,  nè  disconvenevoli  a reiiia  grande,  conseguirà  la  medesima  lode, 
che  conseguì  già  Fulvio,  quando  delle  spoglie  già  conquistale  in  Ambracia 
trasportò  nel  tempio  dello  stesso  Ercole  da  lui  edificato  i simulacri  delle  Muse. 
E senza  più  augurando  a Vostra  Maestà  il  colmo  d'ogni  felicità,  le  inchino  con 
reverenza  la  fronte , e le  sollevo  con  devozione  il  cuore. 

Di  farigi,  li  30  giugno  1633. 


Di  Vostra  Maestà 

Umilissimo  e devotissimo  Servitore 

Il  cavalikb  MARINO. 


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ADONE. 


L’ 


CANTO  PRIMO. 

LA  FORTUNA. 


ALLEGORIA. 


Nella  sfcria  di  rose  e di  spine,  con  cui  Venere  batic  ii  IÌ!?lio,  .si  fifcura  la  qnaiità 
.degli  amorosi  piaceri,  non  giainniai  di.sconipagnali  da'  dolori.  In  Amore,  clic  com- 
niovc  prima  Apollo,  poi  Voli  ano,  e linalinenlc  Nettuno,  si  dimostra  quanto  questa 
Aera  passione  sia  polente  per  tutto,  eziandio  negli  animi  de’  Grandi,  in  Adone,  che 
con  la  scorta  della  Korluna,  dal  pae.se  di  Arabia  sua  patria,  passa  all'  isola  di  Cipro, 
si  signilica  la  gioventù,  clic  .sotto  il  favore  della  prusperitù,  corre  volentieri  agli 
amori.  Sotto  la  persotia  di  Clizio  s' intende  il  sig.  Già.  Vincenzo  Imperiali,  gentil- 
uomo genovese  di  belle  Intere,  che  questo  nome  si  ha  approprialo  nelle  sue  poesie. 
Nelle  lodi  della  vita  pastorale  si  adombra  il  poema  dello  Sialo  HusIìco,  dal  mede- 
simo leggiadramente  composto. 


ARGOMENTO. 

Passa  in  pieciol  legnctlo  a Cipro  Adnno 
Dalle  sp’.aggie  <!'  Arabia,  ov’egli  nacque. 
Amor  gl)  lui  ba  inbirnu  i venli  e t'aojue; 
Cliziu  paslur  l’ accoglie  in  sua  niagiuiio. 


Io  chiamo  tc,  per  cui  si  volge  e move 
La  più  benigna  c mansueta  sfera. 

Santa  madre  d'Amur,  figlia  di  Giove, 
Bella  Bea  d' Amatunta  c di  Citerà, 

Te,  la  cui  stella,  ond’  ogni  grazia  piove. 
Della  notte  e del  giorno  c inessaggicra, 
Tc,  lo  cui  raggio  lucido  c fcconilo 
Serena  il  ciclo  ed  innamora  il  mondo. 

Tu  dar  puoi  sola  altrui  godere  in  terra 
Di  paclQco  stalo  ozio  sereno. 

Per  te  Giano  placato  il  tempio  serra, 
Addolcito  il  furor  ticii  l’ ire  a freno; 
Poiebò  lo  Dio  dell'  armi  e della  guerra 
Spesso  suol  prigionicr  languirli  in  seno, 
E con  armi  di  gioia  e di  diletto 
Guerreggia  in  pace,  ed  ( steccato  il  letto. 


Dettami  tu  del  giovinetto  amalo 
Le  venture  e le  glorie  alle  c superbe  ; 
Qual  leco  in  prima  visse,  indi  qual  fato 
L'  estinse,  c tinse  'lei  suo  sangue  l’ erbe. 
E tu  m’ insegna  del  tuo  cor  piagalo 
A dir  le  pene  dolcemente  acerbe, 

K le  dolci  querele,  e il  dolce  pianto, 

E tu  de'  cigni  tuoi  m'impetra  il  canto 

Ma  mente'  lo  tento  pur.  Diva  cortese. 
D'ordir  testura  ingiuriosa  agli  anni. 
Prendendo  a dir  del  foco,  che  t’accese, 

I pria  si  grati  e poi  si  gravi  alTanni; 
Amor  con  grazie  alnien  pari  all’  offese 
Lievi  mi  presti  a si  gran  volo  I vanni  ; 

E con  la  face  sua  (a’  io  ne  son  degno) 
Dia  quant’ arsura  al  cor,  luce  all’ ingegno. 


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U MAnlNO. 


E te,  Ch’Adone  Stesso,  o gran  Luigi, 
Di  beltà  \ ilici,  c di  splendore  abbagli, 

E seguendo  ancor  tenero  i vestigi 
Del  morto  genitor,  quasi  I'  agguagli; 

Per  cui  suda  Vulcano,  a cui  Parigi 
Convicn  clic  palme  colga  c statue  intagli. 
Prego  intanto  in’ascolti,  c sostici!  ch'io 
Intrecci  il  giglio  tuo  col  lauro  mio. 

Se  muovo  ad  agguagliar  l' allo  concetto 
La  penna,  che  per  sÈ  tanto  non  saie, 
FaccioI  per  ottener  dal  gran  soggetto 
Col  favor,  che  mi  regge,  ed  aure  ed  ale. 
Privo  di  queste,  il  debile  intelletto. 

Ch’ai  cìci  degli  oiior  tuoi  volar  non  vaie. 
Teme  airardiir  di  sì  lucente  sfera 
Stemprar  l'audace  e teinoraria  cera. 

[avaiua 

Ma  quando  quell’ ardir,  ch’or  gli  anni 
Sciogliendo  al  vento  la  paterna  insegna. 
Per  domar  la  superbia  c la  possanza 
Del  tiranno  criidel,  che  in  Asia  regna. 
Vinta  col  suo  valor  l’altrui  speranza, 

Fia  che  in  sul  (inre  a maturar  si  vegna, 
Allorcon  sparla  al  fianco  c cetra  al  collo 
L’un  di  noi  sarà  Marte  c l'altro  Apollo. 

Cosi  la  Dea  del  sempre  verde  alloro, 
Parca  immortal  de’  nomi  e ilegli  stili. 
Alle  fatiche  mie  con  fuso  d'oro 
Di  stame  adamnntin  la  vita  fili, 

E dia  per  fama  a questo  umil  lavoro 
Viver  fra  le  pregiate  opre  gentili. 

Come  farrS,  che  fulminar  tra  l’armi 
S'odan  co'  tuoi  metalli  anco  i mici  carmi. 

La  donna,  che  rial  mare  il  nume  ha  tolto 
Dove  nacrjutr  la  Dea.  che  adombro  in  carte. 
Quella,  che  ben  a lei  conforme  molto 
Produsse  un  novo  amor  d'un  novo  Marte, 
Quella,  che  tanta  forza  ha  nel  bel  volto, 
Qiiant'  egli  ebbe  nell'  armi  arilire  ed  arte. 
Forse  ni'  udrà,  nè  sdegnerà  che  scriva 
Tenerezze  d' amor  penna  Usciva. 

Ombreggia  il  ver  Parnaso,  c non  rivela 
Gli  alti  misteri  ai  semplici  profani. 

Ma  con  scorza  mentila  a.scond<t  e cela 
(Quasi  in  rozzo  Silen)  cidesii  arcani. 

Perù  dal  vel,  clic  tes.se  or  la  mia  tela 
In  molli  versi,  c favolosi  e vani. 

Questo  sen.so  verace  altri  raecoglia  : 
Smoderato  piacer  tcroiiua  in  duglia. 


Amor  pur  dianzi,  il  ranciullln  crudele, 
Giove  di  nova  fiamma  acceso  avea. 

Arse  di  silegno,  c '1  cor  d’ amaro  fiele 
Sparso,  gelo  la  sua  gelosa  Dea, 

E incontro  a lui  con  llebili  querele 
RicliUmossi  del  torto  a Cilerca, 

Onde  il  garzon  sovra  l'elade  astuto 
Dalla  materna  man  pianse  battuto. 

Oimè,  possibil  fia,  dicca  Ciprigna, 
Cli’io  mai  per  te  di  pace  ora  non  abbia? 
Qual  cerasta  più  livida  e maligna 
Nutre  nel  Nilo  la  deserta  s.d)bia? 

Qual  furia  insana  o (piai  arpia  sanguigna 
Là  negli  antri  di  Slige  ha  tanta  rabbia? 
Dimmi,  quel  tosco,  ond' ogni  core  appesti. 
Aspe  di  paradiso,  onde  traesti? 

Vuol  tu  più  mai  contaminar  di  Gitmo 
Le  legittime  gioie  c i casti  amori? 
l'drò  di  te  mai  più  ricliianio  alcuno, 
Ministro  di  follie,  falibro  d'errori? 
Sollecito  avoltor,  verme  importuno. 
Morbo  de’  sensi,  ebrietà  de'  cori. 

Di  fraude  nato  c di  furor  nutrito. 

Omicida  del  senno,  empio  appetito? 

Ira  mi  vien  di  romperti  que’  lacci 
E queir  arco  clic  fa  piaghe  si  grandi  ; 

Nè  so  chi  mi  ritien  ch’or  or  non  stracci 
Quante  reti  malvagie  ordisci  e .spandi; 
Clic  per  sempre  dal  ciel  non  li  discacci , 
Che  in  esilio  perpetuo  io  non  ti  mandi 
Su  i gioghi  ircani  e tra  le  caspie  selve. 
Arder  villano,  a saettarle  belve. 

Clic  tu  fra  gli  egri  e languidi  mortali , 
DI  cui  s'odono  ognor  gridi  c lanicnti. 
Semini  colaggiù  marlirj  e mali, 

Cunv  ien,  malgrado  mio,  eli’  in  mi  rontenti, 
Masolfiiró  che  in  Ciel  vibri  i tuoi  strali. 
Non  perdonando  alle  beale  genti? 

Clic  sostengali  per  te  strazj  si  rei , 
Serpentello  orgoglio.so,  anco  gli  Dei? 

Clic  più?  fin  delle  stelle  il  sommo  Duce 
Questo  malnato  di  sforzarsi  vanta, 

E spesso.!  stato  tale  anco  il  riduce,  [cinta. 
Che  or  in  niandra,nriiiiiido,orniugghia,or 
I n pestifero  mostro  orlwi  di  luce 
Avrà  dunque  fra  noi  baldanza  tanta? 

Un, die  la  lingua  ancor  tinta  lia  di  latte,. 
Cotanto  ardisce?  E ciò  dicendo,  il  balte. 


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L’ ADOiNK. 


Con  flagello  di  rose  insieme  attorte , 
Ch'avea  groppi  di  spine,  ella  ii  percosse, 
E de’  bid  niembri , onde  si  dolse  forte , 
Fe’  le  > il  aci  porpore  più  rosse. 

Tremaro  i poli , e la  stellata  corte 
A quel  liero  vagir  tutta  si  innsse. 

Mossesi  il  CicI , clic  più  d’Ainor  infante 
Teme  il  furor,  ebe  di  Tifeo  gigante. 

Della  reggia  materna  il  figlio  uscito. 
Con  quello  sdegno  allorse  n'allontana, 
Con  cui  soffiar  per  l' arenoso  lito 
Calcala  suol  la  vipera  alTricana 
0 l'orso  ravernier,  quando  ferito 
Si  sraglia  fuor  della  sassosa  tatui 
E va  fremendo  per  gli  orror  più  cupi 
Delle  valli  liicauc  c delle  rupi. 

Sferzalo  e pien  di  dispettosa  doglia 
Fuggi  piangendo  alla  vlriiia  sfera. 

Là  dove  cinto  di  purpurea  spoglia 
(Gran  uinnarca  de'  tempi}  il  Sole  imiterà  ; 
E in  su  l'oiitrar  della  durata  soglia 
Stella  nuiizia  del  giorno  e eondotticra, 
Lucìfero  inrontrò  che  in  Oriente 
Apria  con  chiave  d'or  l'uscio  lucente. 

E il  crepuscolo  seco  a poco  a poco 
Uscito  per  la  lucida  contrada 
Sovra  un  rorsìer  di  teiicliroso  foco. 
Spumante  il  freii  d'tunbrosia  edi  rugiada, 
Di  fresco  giglio  e di  vivace  croco, 

Foricr  del  iiel  niatlin, spargea  la  stiada; 
E con  sferza  di  rose  c <ii  viole 
Affrettava  il  cajumiuo  intiatul  al  Sole. 

La  bella  luce  ch'in  su  l’aurea  porta 
Aspettava  del  Sul  la  prima  uscita. 

Era  di  (aterea  ministra  e scorta 
D'amoroso  splendor  luna  erliiita. 

Per  varcar  l’oiiihre  innanzi  tempo  sorta 
Già  la  biga  rolaiile  avea  spedila, 

E '1  venir  della  Dea  slava  attendendo. 
Quando  il  fier  pargoletto  entrò  piangendo. 

Pianse  al  pianger  d’.àmor  la  mattutina 
Del  re  de’  lumi  ainhascladrke  stella, 

E di  pioggia  argeiilala  e cristallina 
Rigò  la  faccia  rugiaiiosa  e bella , 

Onde  di  vive  perle  accolte  in  brina 
Potè  l'urna  colmar  l' Alita  novella, 
L’Allia,  che  rasciugò  col  vel  verniìgUo 
L' umido  raggio  al  lagrimoso  ciglio. 


Ricoverato  al  ricco  albergo  Amore 
Trovò,  che  posto  a'  corridori  il  monto. 
Già  s’era  accinto  il  principe  dell'Ore 
Con  la  verga  gemmala  al  novo  cono  ; 

K ì focosi  destrier  slmlTuMdo  ardore 
I.’ altere  ìiibc  sì  sroiean  sul  dorso, 

K sdegnosi  d’indugio,  il  pavimento 
Feriali  cu’  calci,  c co’  nitriti  il  vento. 

Sta  quivi  l’Anno  sovra  l’ali  accorto 
Clic  sempre  il  fin  col  suo  prinripìu  annoda, 
K in  fonna  d'angue  Inn.vnellalo  e torto 
Morde  l’estremo  alla  voliihii  coda; 

E qual  Anteo  ratliitoe  poi  risorto 
('arca  nova  materia  ond'  egli  roda; 

Vi  ha  la  serie  de’  mesi  e i dì  lucenti , 

1 lunghi  e i hrev i , i fervidi  e gli  algeiiU. 

L’aurea  corona,  onde  scintilla  il  giorno, 
Del  Tempo  gli  ponean  le  quattro  figlie. 
Due  schiere  avea  d'alate  ancelle  intorno. 
Dodici  brune  e dodici  vermiglie. 

Mentre  arcoppiav  an  q tieste  al  carro  adorno 
Gli  aurati  gioglii  c le  rosate  briglie. 

Gii  ocelli  di  foco  il  Sol  rivolse,  c il  pianto 
Vide  d'Amor,  che  gli  languiva  accanto. 

Era  Apollo  di  Venere  nemicn, 

E tcnoa  l’odio  ancor  nel  petto  vivo, 
Daccliè  lassù  dell’adulterio  antico 
Pubblicò  lo  spettacolo  lascivo. 

Quando  accusò  del  talamo  impudico 
Al  fahuro  adusto  il  predator  furtivo, 

E con  vergogna  invidiala  in  Ciclo 
Ai  suoi  dolci  legami  aperse  il  velo. 

Orche  gii  espone  .Imorsua  grave  salma, 
F.  clic  sciocchi  dolor,  dice,  son  questi? 
Sei  tu  colui  die  litigar  la  palma 
In  riva  di  Penco  meco  volesti? 

Tu,  tu  niente  del  mondo,  alma  d’ogni  alma, 
Vincilor  de’  mortali  e de'  celesti. 

Or  con  strale  arrotalo  c face  accesa 
Vendicar  non  ti  sai  di  lanla  oITcsa? 

Quanto  fora  il  miglior,  siccome  afllUo 
Di  lagrime  infantili  il  volto  or  bagni. 
Volgere  il  duolo  in  ira,  c il  dardo  invitto 
Aguzzar  nell' ingiuria  onde  ti  lagni? 

Fa  che  con  petto  lacero  e trafitto 
Per  te  pianga  colei  per  cui  tu  piagni  ; 
Che , se  vorrai , non  senza  giuria  e nome 
Scguiramie  l’elTetlo;  ascolta  come: 


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MARINO. 


Là  nella  region  ricca  e felice 
D'Arabia  beila.  Adone  il  giovinetto, 
Quasi  compeliior  della  fenice. 

Senza  pari  in  beltà , vive  soletto. 

Adon  nato  di  lei,  cui  la  nutrice 
Col  proprio  genitor  giunse  in  un  letto  ; 

Di  lei,  che  volta  in  pianta,  i suoi  dolori 
Ancor  distilla  in  lagrimosi  odori. 

Scherni  la  scellerata  il  re  mal  saggio 
Accesa  il  cor  di  sozzo  foco  indegjio, 

Ond'  egli  po;  per  cosi  grave  oltraggio, 
Quant'clia  già  d’amore,  arse  di  sdegno; 
E le  convenne  in  loco  eniio  c selvaggio 
Cime  ad  esporre  il  mal  concetto  pegno; 
Pegno  furtivo,  a cui  la  propria  madre 
Ku  sorella  in  un  punto,  avolo  il  padre. 

Fattezze  mal  si  signorili  c belle 
Non  vide  l’occhio  mio  lucido  e cliiaro. 
Sventurato  fanciullo,  a cui  le  stélle 
Prima  il  rigor,  che  lo  splendor  mostraro. 
Contro  gli  armò  crude  influenze  c felle 
Ancor  ila  Itd  non  v isto,  il  Cielo  avaro  : 
Poiché  mentre  l’ un  sorse  c l’altra  giac(|uc. 
Al  morir  della  madre  il  figlio  nacque. 

Qual  trofeo  più  famoso?  e qual  altronde 
Spoglia  attendi  più  ricca  o più  superba. 
Se  per  costui  ch’or  prende  a solcar  Tonde, 
Il  cor  le  ferirai  di  piaga  acerba? 

Dolci  le  piaghe  flati , ma  si  profonde , 

Ch’  arte  non  vi  varrà  di  pietra  o d'erba. 
Questa  Ila  del  tuo  mal  degna  vendetta; 
Spirito  di  profezia  cosi  mi  detta. 

Più  oltre  io  ti  dirò.  Mira  là,  dove 
A caratteri  egizj  in  note  oscure 
Intagliati  vedrai  per  man  di  Giove 
I vaticinj  dell' età  future. 

Havvi  quante  il  Destino  al  mondo  piove 
Da’  canali  del  del  sorti  c venture. 

Che  de'  pianeti  al  numero  costrutte, 
Sono  in  sette  metalli  incise  tulle. 

Quiti  ciò  che  seguir  deggia  di  questo 
Legger  potrai  quasi  in  vergate  carte. 
Prole  tal  nascerà  del  bell’  innesto 
Che  non  li  pentirai  d’ avervi  parte. 

In  lei , pur  come  gettintc  in  bel  contesto, 
Saran  tutte  del  Ciel  le  grazie  sparto; 

E questa  [oli  per  tal  nozze  a pioti  beato  ! ) 
Al  tiranno  del  mar  prumettc  il  Fato. 


Se  ciò  farai, non  pur  n’andrà  in  obblio 
La  memoria  tra  noi  de'  gran  contrasti , ' 
Ma  tal  premio  n’avrai  d’  un  dono  mio, 
Cile  in  mercédi  tant’opra  io  vo’  che  basti. 
Lira  nel  mio  Parnaso  aurea  scrb’io 
Che  ha  <T  or  le  corde  c di  rubino  I tasti. 
Fu  d’ Armonia  tua  suora , ed  io  di  lei , 

Con  questa  celebrai  gli  alti  imeuci. 

Questa  fla  tua.  Cosi  qualor  ti  stai 
DI  cuore  e d’anni  alleggerito  e scarco. 
Musico  com’arder  trattar  potrai 
Il  plettro  a pardi  me  non  nien  die  l’arco  ; 
Che  T armonia  unii  sol  ristora  assai 
Qiialuiiqiie  sia  più  faticoso  incarco, 

.Ma  mollo  può  co’  numeri  sonori 
Ad  eccitare  ed  incitar  gli  amori. 

Ftir  queste  eflicacissiine  parole 
Folli,  ch’ai  folle  cor  sofllaro  orgoglio, 
Ond’ irritato  abbandonò  del  Sole, 

Senza  far  inolio,  il  lanipeggianie  soglio, 
E riiinaiido  dali’elerea  mole 
Invcrle  piagge  del  materno  scoglio. 
Corse  col  tratto  delle  penne  ardenti 
Più  che  vento  leggier  le  vie  de’  venti. 

Come  prodigiosa  acuta  stella. 

Armata  il  volto  di  scintille  e lampi. 

Fende  dell' aria,  orribii  si,  ma  bella 
Passeggierà  lucente,  I larghi  campi. 

Mira  il  noccliier  da  questa  riva  e quella. 
Con  qual  purpureo  piè  la  nebbia  stampi, 
FI  con  qual  penna  d’or  scriva  e disegni 
Le  morti  ai  regi  e le  radute  ai  regni. 

Cosi  mentre  di’ Amor  dal  ciel  disceso 
Scorremlo  va  la  region  |iiù  bassa. 

Con  la  face  impugnala  c l’arco  te.so 
Gran  traccia  di  splendor  dietro  si  lassa. 
D’ mi  solco  ardenlee  d’auree  fiamme  acce- 
Riga  intorno  le  nubi  nv inique  passa,  [so, 
E trae  per  lunga  linea  in  ogni  loco 
Striscia  di  luce,  impression  di  foco. 

Su  il  mar  si  cala,  esicrom'ira  il  punge. 
Sé  stesso  avventa  impetuoso  a piombo. 
Circonda  i lidi  quasi  niergo,  c liiiige 
Fa  dclTali  stridenti  udire  il  rombo. 

Né  grifagno  falcon  quando  raggiunge 
Col  fiero  artiglio  il  semplice  coloinlio 
F'assi  lieto  rosi,  corn  ei  diventa 
Quando  il  leggiadro  Adon  gli  si  presenta. 


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L’ADONE. 


Era  Adon  nell' eli  chela  favella 
Sente  d’Auior  più  vigorosa  e viva. 

Ed  avca  dispusiczza  alla  novella 
Acerbili  degli  anni  iiileiiipcstiva. 

Ni  sulle  rose  della  guancia  bella 
Alcun  germoglio  ancor  d' oro  lìoriva  ; 

0 seppur  vi  spuntava  ombra  di  pelo. 

Era  qual  Ilare  in  prato  o stella  in  cielo. 

In  blonde  anclla  di  flnor  lucente 
Tutto  si  torce  e si  rìncrespa  il  crine. 

Dell’  ampia  fronte  in  maestà  ridente  . 
Sotto  gli  sorge  il  candido  conrine. 

Un  dolce  minio , un  dolce  foco  ardente 
Sparso  tra  vivo  latte  c vive  brine , 

Gli  tinge  il  viso  in  quel  rossor  che  suole 
Prender  la  rosa  infra  l' Aurora  c il  Sole. 

Ma  chi  ritrae  dell’  uno  e l’ altro  ciglio 
Può  le  due  stelle  lucide,  serene? 

Cbi  delle  dolci  lal)bra  il  bel  veriniglio. 
Che  di  vivi  lesor  son  ricche  e piene? 

0 qual  candor  d’avorio,  oqiial  di  giglio 
La  gola  pareggiar,  eh’  erge  e sostiene 
Quasi  colonna  adamantina , accollo 
Un  del  di  meraviglie  in  quel  bel  volto? 

Qoalor  feroce  c faretrato  arderò 
Di  qnadrella  pungenti  armalo  e carco 
AITronla  o segue  in  un  leggiadro  e fiero, 
0 fere  attende  fuggitive  ai  varco, 

E in  alto  dolce  cacciator  guerriero. 
Saettando  la  morte  incurva  l’arco. 
Somiglia  in  tutto  Amor,  se  non  che  solo 
Mancano  a farlo  tale  il  velo  e ’l  volo. 

Egli  tanto  tesoro  In  lui  raccolto 
Di  natura  e d’ amor  par  che  abitia  a vile, 
E cerca  del  bel  ciglio  e del  bei  volto 
Turbar  il  Sole,  inorridir  l’ aprile. 

Ma  minacci  cruccioso  o vada  incollo. 
Esser  però  non  sa  se  non  gentile; 

E rustico  quantniu|uc  e sdegnoselto,  [tCL 
Convien  pur  eh’ altrui  piaccia  a suodispct- 

Or  mentre  per  l’ arabiche  fores’c, 
Dov’ei  nacque  e menù  l'età  primiera, 
L’orme  seguia  perquelle  macchie  e queste 
D’ alcuna  vaga  e timidetia  fera. 

Errore  II  tra.sse,  nppiir  destiti  celeste  , 
Dalla  terra  deserta  alla  costiera , 

Colà  dove  fa  lido  alla  marina 
Del  lembo  ultimo  suo  la  Palestina. 


Giunto  alla  sacra  e gloriosa  riva. 

Che  con  boschi  di  palme  illustra  Iduuie, 
Dietro  una  cerva  lieve  e fuggitiva 
Stancando  il  piè,  siccom’avea  costume. 
Trovò  di  guardia  e di  governo  priva. 
Ritratta  in  secco  appo  te  salse  spume 
Da’  pescatori  abbandonata  , e cacca 
D’ogni  arredo  mariti,  picclola  barca. 

Ed  ecco  varia  d’abito  e di  volto 
Strania  douna  venir  vede  per  l’otide. 
Ch'ha  sulla  fronte  il  biondo  crine  accollo 
Tultu  in  uit  glubo,  e quel  eh’  è calvo  ascoii- 
\ ermiglioe  bianco  ilvesiimetitOsciollo[ile 
Con  lieve  tremolio  l’aura  confonde. 
Lubrico  è il  IcnilK),  e quasi  un  acr  vano, 
Che  sempre  a chi  lo  stringe  esce  di  mano. 

Nell'ampio  grembo  ha  della  copia  il  cor- 
E nella  destra  una  volubii  palla.  [tio, 
Fogge  ratto  sovente,  c fa  ritorno 
Per  le  liquide  vie  scherzando  a galla. 
Alato  Ita  il  piede , e più  leggiera  intorno 
Che  foglia  al  veiitn,  si  raggira  e balla; 

E mentre  move  al  ballo  il  piò  veloce. 

In  si  fatto  cantar  scioglie  la  voce  : 

Chi  cerca  in  terra  divenir  beato. 

Goder  tesori  e possedere  Imperi , 

Stenda  la  destra  in  questo  crine  aurato , 
.Ma  non  ittdugi  a cogliere  i piaceri  ; 

Citò  se  si  tituta  poi  slagiont  e stalo. 
Perduto  ben  di  raci|ubtar  non  speri. 
Cosi  cangia  lenor  l'Oihe  rotante, 

Nell’  incostanza  sua  sempre  costante. 

Cosi  cantava,  indi  arrestando  il  canto. 
Con  lieto  sguardo  al  bel  garzone  arrise. 
Ed  allo  scoglio  avvicinata  intanto 
Spalmò  quel  legno  e iti  sul  tiinon  s’Sssise  : 
A'Ion , segnimi , disse , c vedrai  quanto 
Cortese  stella  al  nascer  tuo  promise. . 
Prendi  la  treccia  d’or  che  in  man  U porgo, 
Nè  temer  di  venirne  òv’io  ti  scorgo. 

Benché  volgare  opinione  antica 
Mi  stimi  un  iilol  falso,  un’  ombra  vana , 

E cieca  e .stolta , c di  viriti  nemica 
M’ appelli,  inslabii  sempre,  e sempre  insa- 
E tiranna  iinpotenlc  altri  mi  dica,  [na; 
Vinta  lalor  dalla  prudenza  umana; 

Pur  son  fata,  c son  diva,  e son  rcina , 
M’ubbidisce  Natura,  il,Ciel  m’inclilna. 


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IO  MARINO. 


Chiunque  Amore  o Marte  a aexnlr  prende, 
Convieu  che  il  nome  miocclebriechiaini. 
Chi  solca  l'acqua , e chi  la  terra  fende  , 

0 s’ alcun  v'  ha , che  onore  e gloria  brami , 
Porge  pregili  al  min  Nume  e voti  appende, 
Ed  io  dispenso  altrui  scellri  e reami. 
Toglier  jmsso  e donar  tulio  ad  un  cenno, 
E quanto  £ sotto  il  Sul  reggo  a mio  senno. 

Me  dunque  adora,  e in  su  l’ eccelsa  cima 
Della  mia  rota  ascenderai  di  corto. 

Per  me  nel  trono,  onde  ti  trasse  in  prima 
L'empio  iiigaiiuo  ma  terno,  or  sarai  scorto; 
Sol  che  poi  dove  il  Fato  or  ti  sublima 
Sajipi  nel  conservarli  essere  accorto  ; 

Che  spesso  suol  con  preveder  periglio 
Romper  Fortuna  rea  cauto  consiglio. 

Tace  ciò  detto,  ed  egli  vago  allora 
Di  costeggiar  quel  dilellnso  loro. 

Entra  nel  it‘gno,  e drll' angusta  prora, 

1 due  rami  a trattar  prende  per  gioco. 
Ed  ecco  al  sospirar  d'agevoi  ora 
S'alluniana  l'arena  a porca  poco. 
Sicché  mente  ei  dal  mar  si  volge  ad  essa, 
Pgr  che  navighi  ancor  la  terra  istessa. 

Scorrendo  va  piaccvolmenlo  II  lido, 
Menlr’è  plarJilo  c piano  il  molle  argento, 
E da  principio  del  suo  patrio  nnin 
Rade  la  riva  a passo  tardo  e lento. 

Indi  all' insialiit  fé  ilei  flutto  inlido. 

Sé  stesso  crede,  e si  coiiiinetle  al  vento 
Liinge  di  la  dove  a morir  va  l'onda, 

E con  roco  latrar  morde  la  sponda. 

Trasparean  si  le IveHesplaggie ondose, 
Che  si  puleaiideir  umide  spelonche 
Nelle  profonde  visrere  arenose 
Ad  una  ad  una  annoverai:  le  conche. 
ZeBìri  destri  al  volo,  aure  vezzose 
L'  ali  seotean,  ma  tosto  lor  fiir  tronche. 
Il  roar  cangiossi , il  Elei  ruppe  la  fede  : 

O mairaiito  colui  ch’ai  venti  crede! 

0 slolto  qiianln  indiistre,  o troppo  ati- 
Fahbrojvriniier  del  temerà  rio  legno,  [dace 
Clic  osasti  la  tranquilla  antica  pace 
Romper  del  rendo  e procelloso  regno! 
I‘li'i  ehe  aspro  scoglio  c piò  che  mar  vnra- 
Rigido  avesti  il  cor,  fiero  l’ Ingegno,  [ce 
Quando  sprezzando  l' impeto  marino, 
flisU  a sfidar  la  morte  in  fragii  pino. 


Per  far  una  leggiadra  sua  vendetta 
Amor  fu  solo  autor  di  si  gran  molo. 
Amor  fu , eh’  a pugnar  con  tanta  fretta 
Trasse  lurbiiii  e nembi , Affrico  e Nolo. 
Ma  della  stanca  c misera  barchetla 
Fu  sempr’egli  il  poppiero,  egli  il  piloto. 
Fece  vela  del  vel , vento  con  l’ ali , 

E fur  r arco  timon  , remi  gli  strali. 

Dalla  madre  fuggendo  ita  il  figliuolo 
Quasi  banilito  e contumace  intorno, 
Perché,  coni’ io  dicca,  vinto  dal  duolo 
Di  fanciullesca  slizza  arse  c di  scorno , 
Né  perché  poscia  il  richiamasse,  il  volo 
Fermar  volse  giammai,  né  far  ritorno; 

E In  tal  uispetto,  in  tanl’ orgoglio  salse. 
Che  di  vezzo,  o pregar  nulla  gli  calse. 

Per  gli  spazi  sen  già  dell’  aria  molle 
Sriorrheggiamio  rmi  l’ aure  Amor  v olantc, 
F!  detlava  talor  raliliioso  c folle 
Tragiche  rime  a più  d’ un  mesto  amante. 
Talor  lungo  un  riisrello , n sovra  im  culle 
Piegava  l’ali  c raccogliea  le  piante, 

F.  dovunque  ne  giva  il  snperbelto 
Rubava  uii  core,  o trapassava  uu  petto. 

Non  é questo  lo  strai  possente  c fiero, 
Cli’  al  Rcltor  delle  slclle  il  fiaiicu  olTcsc? 
Per  cui  piò  volte  dal  celeste  iiiqiero 
L'aureo  srettro  deposto.  in  terra  scese.’ 
Quel  eh’ al  quinto  del  riel  Nume  guerriero 
Spezzò,  passò  raiianiantìiiu  arnese? 
Qiielche  punse  in  Tessaglia  il  biondo  Dio, 
Superbo  sprczzalor  del  valor  mio? 

Questa  la  face  é pur,  cu!  sola  adori 
(Non che  la  terra  eli  C.ieljSlige  c Caveito; 
Clic  strugger  fc’,  che  fe’  languir  talora 
11  signor  delle  fiamme  incenerito. 

Quella  , da  cui  non  si  difese  ancora 
Di  Tuti  il  freddo  cd  umido  niarilo; 

Che  tra  gelidi  umori  ìnfiamnial  fonti. 
Trai’ ombre I boschi, etra  le  nevi  i monti. 

Ed  or  costei,  da  cui  con  biasnio  derno 
Miti’ onte  gravi  io  mi  sofl'crsi  c tacqui, 
Percljè  dee  le  mie  forze  aver  a scherno, 
Seblven  dal  ventre  suo  ronrclto  io  nacqui? 
Dunque  andrò  daque’lacci  II  cor  materno 
Libero  acuì  (non  eh’ altri) aneli’  lo  soggiac- 

[qui? 

Arse  per  Marte,  è ver;  ma  questo  é poco. 
Lieve  piaga  fu  quella,  e debii  foco. 


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L’ ADONE.  1 1 


Altro  arder  più  penare,  altra  ferita 
Vo’ciie  più  forte  ai  cor  senta  pnr  anco. 

Si  redrù  ch'ella  {stessa  ha  partorita 
La  vipera  cruilel  che  le  apre  il  Uaiicn. 
Degg'io  sempre  onorar  chi  più  in’ irrita? 
Forse  (>er  tema  il  mio  valor  vien  manco? 
No  DO , segua  die  può.  tinsi  dicea 
L’implacabil  figliuol  di  Cllerca. 

Mentre  chequinci  c qidndi,  or  basso  or 
Vola  e risola  il  prrdalor  fellnnc,  [alto. 
Come  prima  lontan  dal  verde  sm.ilto 
Vede  in  piccioi  legnelto  il  vago  Adone; 
Subitamente  al  disegii.uo  assalto 
L'arnii  appareccliia  e l’ animo  dispone; 

E tutto  inteso  a triliolarla  madre, 
Vasscnc  in  Lenno  alla  luagion  del  padre. 

Nella  fiiliginosa,  atra  fucina, 

Dove  il  zoppo  Vulran  suo  genitore 
De'  Numi  eterni  i varj  arnesi  aflilna 
Tinto  di  rumo  c molle  di  siiilore, 

Entra  per  falibricar  tempra  divina 
D'  un  aureo  strale,  iiH|ieriosn  Amore; 
Strai,  di'  ellicaee  e peiictrante  e ioi  te 
Possa  un  |ietto  iuiitiortal  ferire  a morie. 

Libero  1'  uscio  al  cieco  arderò  aperse 
La  gran  ferriera  del  divino  artista, 

Parte  di  già  polite  opre  diverse, 

Parte  ini|>erfette  ancor,  confusa  e mista. 
Colà  fan  ranni  laiiipeggiaiiti  c terse 
(Del  celeste  giicrrier  superba  vista). 

(fui  la  folgur  Haninieggia  alala  e rossa 
Del  gran  1 uimiualor  d'Uliiiipo  e d'Ossa. 

• 

Vi  C (li  Pallade  ancor  lo  .scudo  c l' asta. 

Il  castello  di  Cerere  e il  bidente; 

L’ acuto  spiedo  (li  Diana  casta. 

La  gross,!  mazza  d'Èrcole  possente. 

La  falce.  Onde  Saturno  il  tutto  guasta; 
L’arco,  oiid’ Apollo  uccise  il  flcr  serpente. 
Di  Nettuno  il  traliero,  e di  Plutone 
(à>n  due  punta  d' acebio  havvi  il  forcone. 

Le  trombe  vi  ha,  con  cui  vobndo  suona 
La  F ama,e  gli  altrui  fatti  or  biasnia  or  loda, 
Vi  hai  ceppi,  tra'ciii  ferri  Eolo  imprigiona 
I Venti  insani , e le  Tempeste  inchioda. 

Vi  ha  te  catene,  onde  talor  Bellona 
li  Furor  lega  , e la  Discordia  annoda. 

Evi  ha  le  chiavi,  onde  a dar  pacco  guerra 
Giano  il  gran  tempio  suo  serra  o disserra. 


Preiso  al  focon  di  mille  ordigni  onaslo 
Travaglia  II  nero  fabbro  entro  la  grotta. 

Più  d' un  callo  ha  la  man  forle.e  robusto, 

Alle  fatiche  esercitala  e dotta. 

RiigglAosa  la  fronte,  il  volto  adusto. 

Crespa  la  pelle  cil  abbronzata  e cotta 
.Sparso  II  gremhial  di  mille  avanzi  e nilllo 
Di  limature,  c ceneri,  c faville. 

• 

Quando  orIì  srnrfcr  H ntiUo  pargoletto, 

La  forbici*  c U niartel  lasria,  c ^osponde, 

E cur\o,  c chino  entro  il  lanoso  petto 
Con  un  riso  vlll.m  da  terra  il  pmuic.  * 

Tra  le  ruvide  braccia  avvinto  c stretto  * 

L*  ispido  labbro  per  baciarlo  stende, 

E la  sudicia  barba  ed  incuninosU 
Al  molle  viso  c delicato  accosta. 

Ma  mentre  ch*eRÌi  Taccarezza  e stringe, 
Raccolto  in  braccio  con  paterno  zelo, 

Amor,  perchè  bai  iatido  il  piitiRe  e Unge, 

La  faccia  arretra  dall’  irsuto  pelo, 

K con  quel  sozzo  liii , che  il  sen  gii  cinge, 
per  non  iiiaccbiarsi  di  carline  il  velo, 
All’aspra  guancia  d’mia  in  altra  ruga, 

Deir  immondo  sudur  le  stille  asciuga. 

Padre,  dalla  tua  man,  poscia  gli  dice. 
Voglio  or  or  sopraffina  mia  saetta, 

Lhe  Ha  de’  torti  tuoi  vendicatrice, 

! ascia  la  cura  a me  della  vendetta.*^ 

Il  come  appalesar  nè  vo’,  nè  lice, 

Basti  soltanto,  spacciati,  chè  ho  fretta. 

Non  porta  indugio  il  caso,  altroor  non  puoi 
Da  me  saper,  l' lulcndciai  ben  poi. 

• 

Il  quadrcl,  eli*  io  ti  cltiegglo,  esser  <^n-  * 

Di  pcrfeUoarlificio^obeii  condoUo,  [viene  * 
di' esserne  lin  nelle  più  iuterne  vene 
Deve  nn  petto  divin  foralo  c rotto. 

Se  iMò  mai  sforzo  ad  iiiipiegHr  si  bene 
Il  tuo  braccio,  il  iQuscimo  esfierto  e dolU« 

Fa,  prego.  In  cosa  ov’iui  umo  interesse. 

Del  gf«n  saper  le  meraviglie  esprc^. 

« 

« 

Sfarò  c|Dj  foco  a mliiisirarii  Intento  - 
Sotio  la  rocca  del  camniin,  clic  fuma; 
Acciocché  il  foco  non  rimanga  spento. 
Mantice  li  farò  dell'aurea  piuma. 

E s'rgii  avverrà  pur,  che  manchi  il  vonlo 
Al  tulle,  che  raccende,  e che  raìlmna, 
Promcuo  aacunnilar  Ira  qiiostl  ardori 
In  un  toflio  I so.vpii'  di  mille  cori. 


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12  MARINO. 

Non  pon  Vulcano  in  quell’  affardimori^  I Veggendo  aUerhaoiente  arsicci  e néri 
Ma  sceglie  la  miglior  tra  cento  zolle,  [pestar  ferro  con  ferro  I tre  gran  mostri,  ^ 


E pria  che  iti  su  l'incudine  sonora 
Ei  la  castighi , al  focolar  la  bolle  ; 

E non  la  balte,  e non  la  tratta  ancora 
Fiifchè  ben  non  rosseggia,  e non  vlen 
Uivcnuta  poi  tenera  c vermiglia,  [molle. 
Con  la  morsa  tenace  ei  la  ripiglia. 

Amor^resente  ed  assistente  all'  opra" 
Come  l'aliliia  a temprar,  come  I'  aguzzi 
Gli  mostra,  accioeeliò  poi  quando  l’adopra 
Non  si  rompa,  o si  pieglii,  o si  rintuzzi; 
E di  sua  propria  nian  li  sparge  sopra 
Dell’umord'un' ampolla  alquanti  spruzzi, 
Piena  di  stille  di  dogliosi  pianti 
I>i  sfortunati  c disperati  amanti. 

Mentr’  è caldo  il  metallo,  I tre  fratelli. 
Che  un  sol  oce  Ino  hanno  In  fronte,  e son  gi- 
Con  vicende  di  tiiorn  i gran  martelli  [ganti. 
Muovono  a grandinar  botte  pesanti; 

E il  dolio  inaslro  al  martellar  di  quelli. 
Che  fan  tremar  le  vidle  arse  e fumanti. 
Per  dar  effetto  a quel  die  ha  nel  disegno, 
Pon  gli  stroiiicnli  in  opera  e l’ ingegno, 

Toslochi  il  ferro  éralTrftddalo,  in  prima 
Sbozza  il  suo  lavorio  rozzo  ed  informe. 
Poi  .sotto  piùsoltil  ininiitn  filila 
Con  iBdnstria  maggior  gli  dà  le  forme; 
L’arrota  intorno,  e lo  forbisce  in  cima. 
Applicando  al  pensier  .studio  conforme. 
Col  fuoco  allìn  l' indora  e col  mordente, 

E fa  r acciaio  e l’or  terso  e lucente. 

Poicliè  l'egregio  .irlellce  allo  strale 
Per  tutto  il  liscio  e II  lusl(obadatnappirho. 
N’arma  il  fanchillo  un’asiirciuolafralc, 
Ma  che  Irarigee  ogni  più  duro  seno. 

Gl’  impenna  li  calce  di  due  plcciol  ale 
EH  tinge  di  ilolcissimo  teleno; 

E tutto  pìen  iP  una  superbia  stolta  , 
Pon  la  caverna  e I lavoranti  in  volli. 

Va  della  Dea,  che  generalo  l llutli. 

Il  baldanzoso  e temerario  figlio 
Spiando  intorno,  c i’  ferraniciui  lutti  ‘ 
Della  scola  fabhril  mette  In  scnnipìglio. 
Or  de’ Ciclopi  nioslriiosi  e brutti 
La  difforme  pupilla  e il  vasto  ciglio. 

Or  il  cotto  lallon  del  piò  paterno 
Prende  con  risi  e con  disprezzi  a scherno. 


Troppo  son,  dice,  deboli  c leggieri 
A librar  le  percosse  i polsi  vostri. 

Ornai  con  colpi  assai  più  forti  e fieri 
Questa  mano  a ferir  v’  Insegni  e mostri. 
Impari  ogiiuo  dalla  mia  man,  rhe-spczza 
Qualunque  Si  diamante  aspra  durezza.  ^ 

Volto  a colui,  che  ha  fabbricato  11  telo. 
Soggiunge  poscia  : In  questa  tua  fornace 
Le  fiamme  son  più  gelide  che  gelo  : 

Altro  ardor  più  cocente  ha  la  mia  face. 
Tulio  indi  in  mano  il  fiilmioe  del  Cielo, 

E sciolto  il  freno  all’  insolenza  audace. 

In  colai  guisa,  mentre  il  vibra  e more. 
Prende  le  forze  a beffeggiar  di  Giove. 

Deh  quanto,  oTonator,  che  dalleslclle 
Fai  sdegnoso  scoppiar  le  nubi  orrende. 

Più  della  tua.  clic  a spaventar  Babelle 
Dal  del  con  fiero  strepito  discende. 

Alla  sola  a domar  gemi  riilielle 
Senza  romor  la  mia  saetta  olfcnde. 

Tu  de'  monti , io  de’  cori  abhiam  le  palme, 

L’  una  fulmina  i corpi  e l’altra  Palme. 

Depon  P arme  tonante,  c riccreando 
Di  qua  di  là  Paffumiralo albergo, 

Trota  di  Marte  il  niiiiaerioso  brando. 

Il  fin  brncchier,  P avantaggiato  usiicrgo. 

Or  la  prova  vedrem,  dice  sclicrzando, 

Sca  difendersoiiltuoiiì  il  fianco  c il  tergo. 

Lo  strale  in  questa  uscir  dall’  arco  las.sa. 

Falsa  lo  scudo,  e la  lorica  passa. 

Di  si  falle  follie  sorridea  seco 
Lo  Din  distorto,  die  il  mirava  intanto. 

Tu  ridi,  disse  il  farcitalo  ticco, 

Nòs:d,elic  l'altrui  risolo  cangio  in  pianto, 

E più  che  la  fumea  di  questo  speco 
Farli  d'  angoscia  lacrimar  mi  vanto. 

CIA  dello  al  gran  Nellun  soia  leggiero,  [ro. 
Cbenel  mondd  ddPacquc  liaéonimo  impe- 

Vcloeemcnte  a Tcnaro  sen  viene, 

E l'aria  scos.sa  al  suo  volar  fiammeggia. 
Abiialnr  ilellc  più  basse  arene 
Quivi  Ita  Neliiin  la  cristallina  reggia. 

Clic  ilall’iimor,  di  cui  le  sponde  Ita  piene 
Ilatliila  sempre  e fiagellala  ondeggia. 

Rende  dagli  antri  cavi  rcn-prnfonda 
Rauco  muggito  allo  sferzar  dell’  onda. 


Digilized  jy  G-  ui^le 


L’ADONE. 


Airarrltod’AinordatopironU  [ca, 
Sgorga,  c crespo  di  spama  il  mar  s' imblan- 
Ouioci  e quiiid  i gli  estremi  in  duo  gran  inon- 
Sos|>cndec  Inmezzosiditideeinanca;  [ti 
E scoverti  del  fondo  asciutti  i ponti , 

Del  gran  paI.vgio  i cardini  spalanca. 

Passa  el  nel  regno,  ove  la  madre  nacque. 
Patria  de'  pesci  e reglon  dell’  dOque. 

Passa,  e sei)  va  Ira  I'  una  c r altra  roccia 
Quasi  per  stretta  e discoscesa  valle. 
L’onda  noi  bagna,  e il  mar  nonché  gli  noc- 
Ritira  Indlcii'o  il  piè,  volge  le  spalle,  [eia, 
Filano  incuto  gelo  a goccia  a goccia 
Ambe  le  rupi  del  profondo  calle, 

E tra  questo  e (|neli’ argine  pendente 
Appena  ci  scorger  può  l’ aria  lucente. 

Nè  gli,  mentre  varcava  i calli  ondosi. 
La  faretra  0 la  face  in  ozio  tenne, 

^ Ma  con  acuti  stimoli  amorosi 
* Faville  e piaghe  a seminar  vi  venne; 

E laddove  dell'  acqua  auge!  squamosi 
Spiegano  i pesci  l’argentate  penne. 

Tra  gl’ infiniti  eserciti  guizzanti 
Sparse  mill’ esche  di  sospiri  e pianti. 

Strana  di  quella  casa  è la  struttura. 
Strano  il  lavoro  e strano  è l' ornamento. 
Ha  di  ruvidi  pomici  le  mura  , 

E di  tenere  spugne  il  pavimento. 

Di  lubrico  zalTiro  è la  scnltura 
Della  scala  maggior,  l’uscio  è d'argento. 
Variato  di  pietre  e di  conchiglie 
Azzurre,  e verdi,  e candide,  e vermiglie. 

Nell'antro  istesso  è la  magion  di  Teti, 
E gran  famiglia  ili  Nereidi  ha  seco. 

Che  in  varj  uOicI  ed  esercizi  lieti 
Occupale  si  slan  nel  cavo  speco. 

Queste  con  passi  incogniti  e secret) , 

E per  setilier  caliginoso  e cieco 
Van  dell' arida  terra  irrigatrici 
A nutrir  piante  e fiori,  erbe  e radici. 

Intorno c dentro  all’umida  spelonca 
Chi  danzando  di  lor  le  piante  vibra, [conca, 
Chi  sceglie  o gemma  in  sabliia,  o perla  in 
Chi  fila  l'oro,  e chi  l’ainna  o cribra; 
Qual  do' germi  purpurei  i rami  tronca. 
Qual  degli  ostri  sanguigni  i pesi  libra; 

E sotto  il  piè  d' Amor  v’ha  molle  Ninfe, 
Che  van  di  musco  ad  infiorar  le  linfe. 


Belle  son  tutte  s),  madilTerenlI  t 
Altra  ceruleo,  ed  altra  ha  verde  il  crine. 
Altra  r accoglie,  altra  lo  Icloglie  ai  venti. 
Altra  inirecctando  II  va  d' alghe  marine  ; 

E di  manti  diafani  e lucenti 
Velan  le  membra 'pure  e cristalline. 

Simili  al  viso,  ed  agili  e leggiadre 
Mostran  che  figlie  son  d' un  stesso  padre. 

Pasce  Proteo  pastor  mandra  di  foche , 
Orche,  pistri,  balene  ed  altri  mostri. 

Delle  cui  voci  mormoranti  e roclie 
Fremon  per  tutto  i cavernosi  chiostri; 

E le  guarda  e le  conta,  c non  son  poche, 

E scagliose  han  le  terga,  e curvi  i rostri. 
Glauchi  ha  gli  occhi  lo  Dio, cllestro  II  volto, 

E di  teneri  giunchi  il  crine  involto. 

Giunto  alla  vasta  c spaziosa  corte 
Stupisco  Amor  da  tutti  (pianti  I lati  : 
Polcliè  per  cento  vie,  per  cento  porle 
Cento  vi  scorge  entrar  fiumi  onorati. 

Che  quindi  poi  con  piante  oblique  e torte 
Tornan  per  Invisibili  meati 
Fuor  del  gransen,  che  gli  concepe  e serra, 
Con  chiare  vene  ad  innaOiar  la  terra. 

Vede  l'Eufrale  divisor  del  mondo. 

Che  I bei  cristalli  suoi  rompendo  piange. 
Vede  r originai  fonte  profondo  ' ■ 

Del  MI,  che  il  marron  sette  bocche  frapge. 

K vede  in  letto  rilucente  c liiondo  • 

Del  più  fino  melai  corcarsi  If  Gange, 

Il  Gange,  onde  trae  l'or,  di  cui  si  suole 
Vestir  quaud'  esce  in  sul  mattino  il  Sole. 

Vede  pallido  II  Tago  in  su  la  riva. 

Non  mcn  ricchi  sputar  vomiti  d’oro; 

E trac  groppi  di  gel  nell’  <Mida  vNa 
Il  Reno,  l'Istro,  e il  Rodano  aonoro. 

Di  salce  il  Mincio,  l'Adige  d’oliva, 

L'Arno  al  par  del  Penco  cinto  d'alloro, 
Di  pampini  il  Meandro,  e d’edre  l’ Ebro, 
E d’auree  palme  incoronato  il  Tebro. 

Vedo  di  verdi  pioppo  ombrar  le  corna 
L'  Eridano  superbo  e trionfale. 

Gl)'  ove  il  rettor  del  pelago  soggiorna  * 
Vien  dall’  Alpi  a volar  l'urna  reale;  . 

E mercè  de' suoi  duci,  il  ciglio  adorna 
Di  splendor  glorioso  ed  immortale;  , 
Onde  quel  cb’ènelcieldilume  agguaglia, 
E con  froqte  di  Luna  il  Sole  abbaglia. 


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14 

Poi  di  guido  minor  ne  vede  moiU, 

Che  con  rami  divUi  in  varie  parti 
Per  i’  Italia  rHioe  errano  sciolti 
Del  gran  padre  Appennin  coiiretlieparti. 
E quaidi  canna,  e quai  di  mir  to  avvolti 
Le  tempie,  e (|uai  di  rosa  ornati  e sparti, 
Sonitninistran  con  l'acr|uc  in  lunga  schiera 
Sempiterno  aiimetUo  a pr  itnavera. 

Traqticsti,  umil  tìgliuol  del  bel  Tirreno, 
Il  mìo  Sebeto  ancor  Tacque  cunlonde  : 
Picciolo  si,  ma  ili  delizie  pieno, 

Qnaitto  ricco  d' onor,  povero  d' onde. 
Giriti  intoniu  il  ciel  sempre  sereno. 

Nè  sfìuri  aspra  stagron  le  belle  sponde, 
Nè  mai  la  Uree  dei  tuo  vivo  argento 
Turbi  con  sozzo  piè  fetido  armento. 

Giacque  In  le  la  Sirena,  e per  te  poi 
Sorger  vir  tude,  e fiorir  gloria  io  veggio. 
Trono  di  Giove,  c di  pregiati  croi 
Felice  albergo c fot  tuiiaur  seggio; 

Dolce  urlo  porlo,  agli  aiutanti  tuoi,  [gio, 
Ne’ cui  petti  Irò  II  min  nido, ctcrnoiodeg- 
Padro  di  cigni,  c lor  ricovro  eletto, 

E de’  fratelli  uiioi  lido  ricetto. 

Con  questi  encomj  alTcltiiosi  Amore 
Del  patrio  finmc  mio  le  lodi  spande, 

Cliè  il  riconosce  al  limpido  splendrrrc. 
Che  fra  milTaltri  èsegnalalo  e grande, 

E de’ celil  i fioriti  al  grato  odore. 

Di  cui  s’ inles.se  al  crin  verdi  gbirlande. 
Intanto  nella  gelida  caverna , 

Dove  siede  Nettuno,  i passi  iiiteroa. 

Seggio  di  terso  orientai  cristallo 
Preme  de’ (lutti  il  regnator  canuto. 

Clic  da  colonne  d’ oro  e di  corallo 
Con  basi  di  diamanle  è sostenuto. 

Echi  d'  una  lestndinea  cavallo, 

Chid'un  deliin,  chi  d’ un  vitel  cornuto, 
Cento  altri  Dei  minor.  Numi  vulgari. 
Cedono  a lui  la  monarchia  de’ mari. 


MARINO. 

Tu  vedi  U,  dove  di  Siria  siede 
La  spiaggia  estrema,  che  col  marconfiiù. 
Vago  fanciul  del  mio  bel  regno  erode 
Col  remo  esercitar  Tonda  marina. 
Questo,  che  di  bellezza  ogni  altro  eccede. 
Alla  mia  bella  madre  il  Ciel  destina. 
Onde  frutto  uscir  dee  di  beiti  tanta. 

Clic  sia  simile  io  tutto  alla  sua  pianta. 

Se  deriva  da  te  l’origin  mia. 

Se  a chi  mi  generò  desti  la  cuna. 

Se  il  tuo  desir,  quando  d’ainor  Ungula  , 
Ottenne  uiiqiia  da  me  doleezza  alcuna, 
Acrincch’  io  pos.sa  per  più  farii  via 
Condili  io  a posseder  lauta  fortuna,  ■ 
Mercè  di  quanto  feci,  o a far  ini  resta. 
Siavi  nel  regno  tuo  breve  tempesta. 

Di  questa  immensa  tua  liquida  sfera 
Turbar  la  bella  c plarbla  quiete 
Piacciati  tanto  sol,  eh'  innanzi  sera 
Venga  Auone  a cader  m-lla  mìa  rete. 

E fia  tulio  a suo  prò,  perchè  non  pera 
Si  ricca  merce  in  mal  sicuro  abete. 

Il  cui  navigio  con  incerta  legge 
Più  il  timor  clic  il  limongoveriia  e regge. 

Sai  clic  quando  Ciprigna  in  novi  amori 
Occupala  non  è,  come  ha  per  uso, 
l'surpando  a .Minori a i suoi  lavori 
Non  sa,  se  non  trattar  lasfiola,  o il  fuso, 
Onde  iniilil  letargo  opprime  i cori , 
Torpe  .spento  il  mìo  foco,  il  dardo  ottuso. 
Manca  il  .seme  alla  vita,  ed  infecondo 
A rischio  va  di  spopolarsi  il  mondo. 

Oltre  qiiasic  ragion,  per  cui  dovrei 
Impetrar  qnalcITcITeilo  alle  mie  voci, 
Dee  Tiitil  proprio  almeno  a’preghi  miei 
Far  pili  le  voglie  lue  pronte  e veloci. 

Da  questi  felicissimi  imenei 
Corteggiala  da  mille  e mille  Proci 
Dituc  uscirà,  che  più  iT  ogni  altra  bella 
Fia  delle  Grazie  T ultima  sorella. 


Non  pensar  che  per  ira.  Amor  gli  disse, 
Gran  padre  delle  cose,  a le  ne  veglia  ; 
Gilè  non  può  Dìo  di  pace  amar  le  risse, 

E nel  petto  d' Amore  odio  non  regna; 

Ma  perchè  iiuovanienic  il  Ciel  prefisse 
Impresa  all' an  o mio  nobile  e degna, 
Per  render  l'opra  agevole  e spedita 
Di  cortese  favor  U cliieggio  aita. 


Costei,  siccome  mi  mnsiraro  in  delo 
I.' adamantine  tavole  immortali, 

Dove  nel  cerchio  del  signor  di  Deio 
Giove  scolpi  gli  oracoli  fatali, 

Concede  al  re  del  lit|ucratlo  gelo 
L’ allo  lenor  di  quegli  eterni  annali , 
Perchè  venga  a scaldar  eoi  dolce  lume 
Del  freddo  letto  tuo  T umide  piume. 


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L’ADONE. 


Ma  quando  aneorda  quel,  di’  ivi  scolpio 
Chi«iotc  il  lutto,  il  fato  altro  volgesse, 
Scbbcii  di  Tube  il  giovinetto  Dio 
Fia  tuo  rivai  nelle  bellcuc  istc»c, 

A dispetto  del  Ciel  tei  promelt'  io  : 
Scritte  in  diamante  sicn  le  mie  promesse. 
IO|  clic  Gioie  o destili  punto  non  curo, 
Per  l’ acque  sacre,  e per  uic  stesso  il  giuro. 

Cosi  parlava,  c il  re  deli’  onde  intanto 
A lui  si  tolse  con  tranquilla  faccia: 

0 domatore  indomito  di  quanto 
Il  ciel  ciiTOnda  c l’Oceano  abbraccia, 

A dii  può  dare  altrui  leliaia  e pianto  [eia. 
Ragione  è l>en,  ebe  appieno  orsi  coinpiac- 
Spendl  roniunque  vuoi  quanto  po.ss’  io. 
Pende  dal  cenno  tuo  l'arbitrio  mìo, 

E qual  onda  fla  mai , die  a tuo  talento 
Qui  non  si  remiao  torbida  o tranquilla. 
Se  ardon  nel  niullc  e mobile  elemento 
Per  Cimoloe  Tritoli,  Glauco  per  Scilla? 
Collie  lia  lardo  ad  ubbidirti  ti  Vento, 

Se  il  re  de’  Venti  ancor  per  le  sfai  illa? 

E ricettali  l'ardor  ne’  freddi  cori. 

Borea  d'Orizia,  c Zcliiro  di  Giuri  7 

Tu  virtù  somma  de’supcrni  giri, 

Dispi  nsier  di  ile  gioie  c de'  piaceri , 
Imperator  de'  nobili  desiri, 
llluslralor  de’  torbidi  pensieri. 

Dolce  requie  de'  pianti  c dc’sos|iiri , 
Dolce  Union  de' curi  e de’  voleri. 

Da  cui  Natura  trae  gli  ordini  suoi, 

Dio  delie  meraviglie,  c die  non  puoi? 

Siccome  tanti  qui  numi  die  vedi, 

Del  mio  reame  trìbntarj  sono , 

Cosi  signor,  die  l' aiifmc  pus.sicdi , 
Tributario  son  io  del  tuo  gran  trono. 
Ond'  a quaiit  uggì  brami  c quanto  cliicdi 
Do  questo  scettro  a te  devoto  in  ilono, 

0 gioia,  o vita  uiiiversal  dei  mondo. 
Altro  clic  l' eseguir  più  rispondo. 

Cosi  dice  Nettuno,  c cosi  detto 
Crolla  r asta  trisulca , c il  mar  scoscende , 
D’alpi  spiiiiiose  oltre  If  ceruleo  letto 
Cumulo  vasto  inver  le  stelle  ascende; 
Urtansi  i Venti  in  minaccioso  aspetto, 
Delle  concave  nubi  aninic  orrende  ; 

E par  clic  rotto , o distemprato  in  gelo 
Voglia  nel  mar  prccipUarc  il  deio. 


IS 

Borea  d’ aspra  tenzon  tromba  guerr'icra 
Sfida  il  turbo  a battaglia,  e la  procella. 
Curva  l'arco  dipinto  Iride  arciera, 

K scocca  lampi  invece  di  quadreila. 
Vibra  la  s;iada  sanguinosa  e fiera 
Il  superbo  Orion  torbida  stella, 

K il  ciel  minaccia, ed  alle  nubi  piene 
D’acqua  insieme  e di  foco,  apre  le  vene. 

Fuor  del  confln  prescritto  in  allo  poggia 
T umido  il  mar  di  gran  siqiei  iiia,  e cresce. 
Bninosa  nel  mar  scende  la  pioggia. 

Il  ni.ir  col  cielo  , il  ciel  col  mar  si  mesce. 
In  novo  stile,  in  disnsiila  foggia 
L’augello  il  iiiioio  impara, il  volo  ilpesce. 
Oppoogonsi  eieinenli  ad  elementi,  [li. 
Nubi  a nubi, acque  ad  acque, evenUaven- 

Potè  (tant’alto  quasi  il  fluito  sorse) 

I a sua  sete  ainniorzar  la  Cagna  esliyj. 

K di  uova  leinpesia  a riseliio  torse 
Non  ben  si  cura  in  ciel  la  Nave  argiva. 

E voi  fuor  d'ogni  legge,  o gelid'Oi'se, 
Malgrado  ancor  della  gelnsa  Diva, 

Nel  inar  vietato  i Inniinosi  velli 
Lavaste  pur  delle  su  Hate  pelli. 

Dell  die  farai  dal  patrio  suol  lontano. 
Misero  Adone,  a navigar  mal  alto? 
Vagliezza  pnei  il  tanto  pian  piano 

II  novi  guidato  palischermo  lia  tratto, 
Clic  la  terra  natia  sospiri  invano 

Dal  gran  riseliio  confiisu  c sopralTatlo. 
Tardi  ti  pentì,  c sbigultito  c smorto 
Ornai  cominci  a disperar  del  porto. 

Giù  giù  convien,  ebe  il  timido  nocchiero 
All’  arbitrio  ilel'caso  s’  abbandoni. 
Fremono  per  lo  ciel  torbido  e nero 
Fra  baleni  ondeggianti  i ranclii  tuoni. 

E tuono  aneli’ egli  il  re  deH’ acque  altero, 
Cli’a  suoli  d'austri  soflìaiiti  c d’aquiloni 
Col  fulniiiic  dentato  (emulo  a Giove) 
Tormentaudo  la  terra , il  mar  commove. 

Corre  la  navicdia,  e ratta  c lieve 
La  corrente  del  mar  seco  la  porla. 

Piega  l'  orlo  talvolta,  e I’  onda  beve 
Assai  vicina  a riniaiicrnc  assorta. 

Più  pallida  c più  gelido  die  neve 
Vnigesi  Aduli,  nò  scorge  più  la  KOrU, 
E di  morte  si  vasta  il  licro  aspetn 
Coufonde  gli  occhi  suoi, spaventa  il  petto. 


* 


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IS  MARINO. 


Ha  menirc  privo  dì  terreno  aiuto 
L’agitalo  battei  vacilla  cd  erra,  ' 
Ambo  I lianchi  sdrucito  e combattuto 
Da  queir  ondosa  e tempestosa  guerra. 
Quando  il  ranciiil  più  si  tcnea  perduto, 
Ecco  rapidamente  approda  In  terra, 

K tra  giunchi  palustri  in  su  la  rena 
Vomitato  dall’  acque , il  corso  alTrena. 

Oltre  l’ Egeo,  là  donde  spunta  in  prima 
Il  pianeta  maggior,  che  II  di  rimena , 
Sotto  benigno  c tem|ierato  clima 
Stende  le  falde  un’  isoletta  amena. 

Quindi  il  superbo  lauro  erge  la  cima, 
Quinci  il  famoso  Nil  fende  l’arena. 

Ha  Rodo  incontro , e di  Sorta  t icinl 
E di  Cilicia  i fertili  confini. 

Questa  à la  terra, che  alla  Dea  clic  nacque 
Dall’  onde  con  miracolo  notello. 

Tanto  fu  rara  un  tenipo,  c tanto  piacque, 
Che  disprc/7.ato  |l  suo  ditino  ostello. 

Qui  sovente  godea  fra  1’  ombre  c I’  acque 
Con  invidia  dell’  altro  un  ciel  più  bello  ; 
E v’  ebbe  cretto  all’  immortale  esemplo 
Della  sua  diva  imago  aitare  c tempio. 

Scende  quivi  II  garzon  salvo  all’  asciutto. 
Ma  pur  dubbioso  e di  suo  stato  incerto, 
Chi  ancor  gli  par  dell’  orgoglioso  flutto 
Veder  r abisso  orribilmente  aperto. 
Volgesi  intorno , c scorge  esser  per  tutto 
Circondato  dal  mar,  bosco  c deserto. 

Ma  quella  solitudine  che  tede. 

Gioconda  i si,  che  altro  piacer  non  chiede. 

Quivi  si  spiega  in  un  sereno  eterno 
L’aria  in  ogni  stagion  tepida  e pura, 

Cui  nel  più  fosco  e più  cruccioso  terno 
Pioggia  non  turba  mai,  nè  turbo  oscura; 
Va  preudendo  di  par  l’inglurie  a sclierno 
Del  gelo  estremo  c dell’  estrema  arsura , 
Lieto  vi  ride,  nè  mai  varia  stile 
Un  sempre  verde  e giovinetto  aprile, 

I discordi  animali  in  pace  accoppia 
Amor,  nè  l’im  dall’  altro  offeso  geme. 
Va  con  r aquila  II  cigno  in  una  coppia, 
Ma  col  falcon  la  tortorella  insieme. 

Nè  della  volpe  insidiosa  e doppia 
Il  semplicetto  pollo  inganno  teme. 

Fede  all’amica  agnella  il  lupo  osserva, 
B secura  Col  veltro  erra  la  cerva. 


Da’  molli  campi , I cui  bennati  fiori 
Nutre  di  puro  umor  vena  vivace,  • 

E dolce  confosion  di  mille  odori 
Sparge  e Invola  volando  aura  predace. 
Aura  che  non  pur  là  con  lievi  crrort 
Suol  tra  rami  scherzar  spirto  fugace. 

Ma  per  gran  tratto  d'acque  anco  da  lunge 
Peregrinando  I naviganti  aggiunge. 

Va  oltre  Adone,  e Filomena  e Progne 
Garrir  ode  per  tutto,  ovunque  vanne, 

E di  stridule  pive  , c rauche  brogne 
Sonar  foreste  e risonar  capanne. 

Di  villane  sordine  e dì  sampogne, 

Dì  boscherecci  zufoli  e di  canne , 

E con  alterno  suon  da  tutti  I lati 
Doppiar  muggiti,  c replicar  belati. 

Solitario  garzon  posarsi  stanco 
Vede  all’ ombra  d’ un  lauro  in  rozza  pietra; 
Ha  l’arco  a’  piedi,  e gli  attraversali  fianco 
D’un  bel  cuoio  linceo  strania  faretra. 
Veste  por  di  cerviero  a negro  e bianco 
Macchiata  spoglia,  e tiene  in  man  la  cetra. 
Dolce  con  questa  al  mugolar  de’  tori 
Accorda  il  suon  de'  suoi  selvaggi  amori. 

Di  dorato  coturno  ha  il  piè  vestito , 
Eburneo  corno  a verde  fascia'appende. 
Ride  il  labivro  vivace  c colorito. 

Sereno  lampo  il  plarid’ occhio  accende. 
Ha  fiorita  la  guancia,  il  rrin  fiorito, 

E fiorita  è l’età,  clic  bello  il  rende. 
Tutto  in  somma  dì  fiori  è sparso  e pieno. 
Fior  le  man,  fior  la  chioma,  e fiori  il  seno, 

FormidabiI  mastin  dal  destro  Iato 
In  un  gruppo  giacer  presso  egli  scorse. 
Clic  con  rabliioso  ed  orrido  latrato 
Quando  il  vide  apparir  contro  gli  corse; 
Ma  posto  II  plettro  in  su  l’ erboso  prato 
Il  corte.se  villan  subito  sorse, 

E l’ indomito  can , percliè  ristesse  , 

Fugù  col  grido  c col  baston  corresse. 

Ulibidìscc  il  superbo , a piè  gli  piega 
L’irsuta  testa,  c l’irta  coda  abbassa. 
Quegli  alla  gola  intorno  allor  gli  lega 
Con  tenace  cordon  serica  lassa. 

Poscia  il  reai  donzello  invita  e prega, 
Cile  oltre  vada  seciiro,  ed  egli  passa. 
Passa  colà , dove  raccoglie  umile  . 
Famiglia  pastoral  rustico  ovUe. 


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f 


L’ADONE. 


Stas-sene  aicnn  su  le  florilc  ri  re 
D’ una  sorgente  cristallina  e Tresca. 

Altri  per  l' elei  folte  all' ombre  estive 
I vaghi  augelli  inskiinso  innesca.. 

Altri  ne'  verdi  Tagel  Intaglia  e scrive 
0’  aaior  tutto  soh  lto  il  Toco  e l’ esca. 
Altri  rintraci'in  di  sua  MiiTa  roriiie, 

Altri  salta,  altri  siede,  ed  altri  dorme. 

Quei  con  versi  d'amor  i’aiire  addolcisce 
Al  susurrar  de’  lubrici  crislalli.  [disce. 
Questi  ai  tauro,  al  inonton , die  gli  ubbi- 
Insegna  al  siioii  della  siringa  i balli. 

Qual  liscelle  d’ibisco,  e (piai  ordisce 
Serti  di  fiori  o piirpiirini  o gialli. 

Chi  torce  all’  agile  le  feconde  poppe , 

Chi  di  latte  empie  i giuiiclil,ccbi  le  coppe. 

Col  bel  fanciullo, ove  gran  d'ombra  Sten- 
Pergolato  di  mirti,  il  p.astnr  siede,  [de 
Quivi  Adon  sue  fortune  a narrar  prende. 
Della  contrada  e di  lui  stesso  chiede. 

L’ un  gli  risponde , e l’altro  intaniopendc 
Dal  parlar,  che  d’amore  il  cor  gli  fiede. 
Strani,  gli  dice,  olir’ ogni  creder  quasi. 
Peregrino  gentil , sono  I tuoi  casi. 

Ha  cangiar  patria  ornai  deh  non  ti  spiac- 
Con  si  bel  loro,  e rasserena  il  ciglio,  [eia 
Cbh  se  pur  (come  mostri)  ami  la  caccia. 
Qui  fere  avrai  senr-’ira  e seni' artiglio. 

Nè  creder  vo',  che  indarno  il  Ciel  li  faccia 
Campar  da  tanto  e sì  mortai  periglio, 

0 sena’ alta  ragion  per  via  si  lunga 
Perduto  legno  a ipiestc  rive  giunga. 

Cosi  compia  i tuoi  voti  amico  Cielo, 

E secondi  i desir  destra  forinna , 

Come  fra  quanti  col  suo  piè  di  gelo 
Paesi  inferior  scorre  la  Luna , 

Non  potea  più  conforme  a si  bel  velo 
Terra  trovarsi , o regione  alcuna. 

Certo  con  lei,  che  con  Amor  c|ui  regna, 
Sol  di  regnar  tanta  bellezza  è degna. 

L’ isola , dove  sei , Cipro  s’ appella , 
Che  del  mar  di  Panfilia  in  mezzo  è posta. 
I.a  gran  reggia  di  Amor,  vedila,  è quella. 
Che  io  U ti  addito  In  ver  la  destra  costa. 
Nè  (se  non  quanto  il  vuol  la  Dea  più  bella) 
Colè  giammai  profano  piè  s'accosta. 
Scender  di  elei  qui  spesso  ella  ha  por  uso; 
,ln  altro  tempo  il  ricco  albergo  è chiuso. 


17 

Vi  ha  poi  templi  ed  altari,  havv  i Amor  se- 
Simulacri , olocausti  e sacerdoti , [ co 

Dove  in  segno  di  onor  del  popol  greco 
Pendono  allissi  in  lunga  serie  i voti.  ‘ 
Offrono  al  .Nume  faretrato  e cieco 
Vittime  elette  i supplici  devoti, 

E gli  spargono  ugnor  tra  roghi  e lumi 
Di  ghirlande  e d'incensi  odori  e fumi. 

Qui  perelezion,  non  per  ventura. 

Già  di  Llgnria  ad  abitar  venn’  io. 

Pasco  per  i’ odorifera  verdura 
I bianchi  armenti , e Clìzio  è ii  nome  mio  ; 
Del  suo  bel  parco  la  custodia  in  cura 
Dieinmi  la  madre  deH’ .alato  Dio, 

Doi’  entrar,  fuor  che  a Venere,  non  lice. 
Ed  alla  Dea  selvaggia  c cacciatrice. 

Trovato  ho  in  (pieste  selve  ai  finiti  amari 
Di  ogni  umano  travaglio  il  vero  porto. 
Qui  cibile  guerre  de’  civili  alTari, 

Quasi  in  sicuro  asilo , il  Ciel  mi  ha  scorto. 
Serici  drappi  non  mi  fur  si  cari , 

Come  l’arnese  ruvido  clic  io  porto; 

Ed  amo  meglio  le  .spelonche  e i prati. 
Che  le  logge  marmoree  c i palchi  aurati. 

Oh  quanto  qui  più  volentieri  ascolto 

I susurri  dell’  acipie  e delle  fronde. 

Che  quei  del  foro  strepitoso  e stollo. 

Che  il  fremilo  vnlgar  ranco  confondcl 
Ln’ erba , un  pomo,  e di  foriima  un  volto 
Quanto  più  di  quiete  in  .sè  nasconde 

Di  quel  che  avaro  principe  dispensa 
Sudato  pane  in  mal  comlita  mensa! 

Questa  felice  e semplicetta  gente, 

Che  qui  meco  si  spazia  c si  trastulla. 
Gode  quel  lien , che  b nero  c nascente 
Ebbe  a godersi  poro  il  mondo  io  culla: 
Lecita  libertà,  vita  innocente. 

Appo  il  cui  basso  stalo  II  regio  è nulla. 
Gilè  sprezzare  i lesor,  nè  curar  l'oro 
Questo  è secolo  d’ or,  questo  è tesoro. 

Non  cibo,  o pasto  prezioso  e lauto 

II  mio  povero  desco  orna  e compone. 

Or  damma  errante , or  capriolo  incauto 
L' empie,  or  frullo  maturo  in  sua  stagione. 
Dello  talora  a suon  d' avena,  o flauto 

Ai  discepoli  boschi  umil  canzone; 

Serva  no,  ma  compagna  amala  greggia; 
Questa  mandra  malculia  è la  mia  reggia. 


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MARINO. 


Lungi  da'  Casti  ambiziosi  e ram 
Miè&cettro il  niioba&ton,  porpora  il  vello. 
Ambrosia  il  latte,  a cui  le  proprie  mani 
Servon  di  coppa,  e nettare  il  ruscello. 
Snn  ministri  i biColcbi,  aiuiri  i cani. 
Sergente  il  toro,  c cortigian  l’ agnello. 
Musici  gli  augelletti  c I’  aure  c l'onde. 
Piume  i'crbcltc,  e padiglion  le  fronde. 

Cede  a quest*  ombre  ogni  più  eli  iara  luce, 
Al  lor  silenzi  i più  canori  accenti; 

Ostro  qui  non  fiainineggia  or  nou  riluce , 
Di  cui  sangue  c pallor  son  gli  oruainenli. 
Se  non  baslano  i lìor,clic  il  suol  produce. 
Di  più  bell’  ostro  e più  bell’ or  lucenti , 
Con  seccuo  splendor  spiegar  vi  suole 
Pompe  d’ostro  l’ Aurora  c d’oro  il  Sole. 

Altro  mnrmnrator  non  è che  si  oda 
Qui  mormorar,  che  il  mormorio  del  rivo. 
Adulator  non  mi  lusinga  o loda, 

Fuor  che  lo  specchio  suo  limpido  cvivo. 
Livida  invidia,  chg  altrui  strugga  e roda 
Loco  non  v 1 ha,  poichù  ogni  cor  n’  èschivo. 
Se  non  sol  quandoinquestirami  einquclli 
Gareggiano  tra  lor  gli  emuli  augelli. 

Hanno  colà  tra  mille  insidie  in  corte 
Tradimento  c calunnia  albergo  c sede. 
Dal  rui  morso  crudel  tralitta  a morte 
È rinuorenza  e lacera,  la  fede. 

Qui  non  regna  perfidia , e se  per  sorte 
Pirriol  ape  lalor  ti  punge  e fiede. 

Piede  senza  veleno , e le  ferite 
Con  usure  di  iiiel  son  risarcite. 

Non  sugge  qui  crudo  tiranno  il  sangue, 
tla  discreto  bifolco  il  latte  coglie. 

Non  mano  avara  al  poverellu  esangue 
La  pelle  scarna , o le  sostante  toglie. 
Solo  all’agnel,  che  non  però  iielanguc, 
llavvi  chi  tonde  le  lanose  sjtoglie. 

Punge  stimolo  acuto  il  fianco  a’  buoi , 
Non  destre  iimuodesto  il  petto  a noi. 

Non  si  tratta  fra  noi  del  fiero  Marte 
Sanguinoso  c mol  lai  ferro  piingeiilc. 

Ma  di  (àirere  si,  la  cui  bell’arte 
Snsiieii  la  vita,  il  voiiicre  c il  bidente, 

Nù  mai  di  guerra  in  (|uestau  in  quella  par- 
Furore  insano  o strepito  si  sente,  [te 
Salvo  di  quella,  che  lalor  fra  loro 
Fan  con  cozzi  amorosi  il  capro  c il  toro. 


Con  landa  o brando  mal  non  ai  contrasta 
In  queste  beatissime  contrade. 

Sol  di  Bacco  talor  si  vibra  l’asta. 

Onde  vino  e non  sangtie  in  terra  cade. 
Sol  quel  presidio  ai  nostri  campi  basta 
Di  teiicrelle  e verdeggianti  spade , 

Che  nate  là  su  le  vicine  sponde 
Stausi  tremando  a guerreggiar  con  l’ande. 

Borea  con  soffi  orribili  ben  potè 
Cndlar  la  selva  e batter  la  foresta. 
Pacifici  pensicr  non  turba  o scote. 

Di  cure  vigilanti  aspra  tempesta. 

K se  Giove  lalor  fiacca  e porcole 
Di  ll'alle  querce  la  superba  testa. 

In  noi  non  avvicii  mai  clic  scocchi  mandi 
Fulmini  di  furor  l’ ira  de’  grandi. 

Cosi  tra  verdi  c solitari  bosclii 
Consolali  ne  meno  i giorni  e gli  anni. 
Quel  Sul,  cliescaci  ia  i tristi  orrori  c foschi. 
Serena  anco  i ponsier,  sgombra  gli  affanni. 
Non  temo , o d’orso , o d’angue  artigli,  o 
Non  di  rapace  lupo  iusidie  odamij;  [lascili. 
Citi  non  mitre  il  Icrrcn  fere  o serpenti, 

0 se  tic  nutre  pur,  sono  iuiioccnti. 

Se  cosa  è che  talor  turbi  ed  annoi 

1 miei  riposi  placidi  e tranquilli. 

Altro  non  ò clic  Amor.  l.asso,  dappoi 
Che  mi  giunse  a veder  la  lidia  Filli , 
Perici  languisco,  e sol  per  gli  occhi  suoi 
Cuiiv  idi  die  ipiaiit'  io  viva,  arda  c sfavilli; 
K vo’  che  cbiiida  una  niedesma  fossa 
Del  foco  insidile  il  cenere  c ddi'  ossa. 

Ma  cosi  son  d’  .\mor  dolci  gli  strali,. 
Si  la  sua  fiaiiiiiia  e la  catena  è lieve. 

Che  mille  strazj  rigidi  e mortali 
Non  vagliono  un  piacer,  clic  si  riceve. 
Anzi  pur  vaga  de’  suoi  propri  mali. 
Conosciuto  vden  1’  aniiiia  beve; 

E ili  qiiegii  ordii,  ov  ’ allierga  il  suo  dolore. 
Volontaria  prigion  procaccia  il  core. 

Curi  dunque  dii  vuol  delizie  ed  agi, 
lo  sol  piacer  di  villa  apprezzo  ed  amo. 
Cu’  tuguri  cangiar  voglio  i palagi , 

Altro  lesor,  dir  povertà  non  bramo. 
Sazio  de’  vezzi  perfidi  c malvagi. 

Che  han  sntto  I'  csea  dolce  amaro  l’amo. 
Qui  sol  quella  ottener  gioia  mi  giova. 
Clic  ciascun  va  cercando  e nessun  trova. 


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L’ ADONE. 


Non  ti  maravigliar,  ciic  la  selvaggia 
Vita  tanlo  da  me  pregiata  sia  , 

Gilè  ancor  di  Giano  in  su  la  patria  spiaggia 
Ne  cantai  già  con  rustica  armonia; 

Onde  vanto  immortai  d’ arguta  e saggia 
Concesse  Apollo  alla  sampogiia  mia, 

De'  cui  versi  lodali  in  Elicona 
li  ligustico  mar  tutto  risona. 

Del  maestro  d’amor  gli  amori  ascolta 
Stupido  Ailoiie  , ed  a’  bei  detti  intento. 
Colui,  polcli’ aUrenó  la  lingua  sciolta, 
Fe’  da'  rozzi  valletti  in  nn  moini  nto 
Recar  copia  di  cibi , a cui  la  molla 
Fame  accrebbe  sapore  e condimento. 
Mei  di  diletto  e nellarc  d' amore , 

Soave  al  gusto  e velenoso  al  core. 

Nò  mai  di  loto  abbominabil  frutto 
Di  secreta  possanza  ebbe  cotanto , 

Nò  fu  giammai  con  tal  virtù  costrutto 
Di  bcvand.1  circea  magico  incanto, 

Qic  non  perdesse,  e non  cedesse  in  tutto 
Al  pasto  del  pastor  la  forza  c il  vanto. 
Liquor  insidioso  , e.sca  fallace, 

Dolce  vclcn,  eh'  uccide  e non  dispiace. 

Nel  giardin  del  Piacer  le  poma  colse 
Clizin  amoroso,  c qnimii  il  vino  espresse, 
Ond' ebbro  in  seno  il  giovinetto  accolse 
Fiamme  sottili,  indi  s’accese  in  esse. 
Non  perù  le  conobbe  e non  .si  dolse,  [se. 
Che  fincli’  uopo  non  fii,gìacquer  snppres- 
Qual  serpe  ascosa  in  agghiacciala  falda , 
Che  non  prende  vigor,  se  non  si  scalda. 

Sen  te  un  novo  desir,  ch’ai  cor  gl  i scende, 
E serpendo  gli  va  per  entro  il  petto. 
Ama,  nò  sa  d’amar,  nò  ben  intende 
Quel  suo  dolce  d’amor  non  notoelTello.  [de 
Ben  crede,  e v uole  amar,  ma  non  compren- 
Qual  esser  deggia  poi  l’ amato  oggetto  ; 
E pria  si  sente  incenerito  il  core , 

Che  s’ accorga  il  suo  male  essere  amore. 


Amor  ch’alzò  la  vela,  e mosse  i remi 
Ouando  pria  tragHtollo  al  bel  paese. 
Vasetto  l’ali  fomentando  i semi 
Della  flamnia,  di’ ancor  non  ò palese. 

Fa  su  la  mensa  intanto  addur  gli  estremi 
Della  vivanda  il  cuntadin  cortese. 

Adon  solve  il  digiuno,  e i vasi  liba, 

E quei  segue  il  parlar,  mcnlr'ei  si  ciba. 

Signor,  tu  vedi  il  Sol,  ch’avventa  i rai 
Di  mezzo  l'arco,  onde  saetta  il  giorno. 
Perù  qui  ripo.sar  meco  potrai 
Tanto  che  il  novo  di  f.iccia  ritorno. 

Ben  da  sincero  cor,  prometto,  avrai 
In  albergo  villan  lieto  soggiorno; 

Avrai  con  parca  mensa  e rozzo  letto. 
Accoglienze  cortesi  c puro  affetto. 

Tosto  chesusiirrartra  il  mirto  e il  faggio 
Io  sentirò  l'auretta  mattutina, 

Ti  eo  risorgerò,  per  far  passaggio 
Alla  casa  d'Ainor,  di' è qui  vicina. 

Tu  poi  quindi  prendendo  altro  viaggio. 
Potrai  forse  saldar  l’alta  mina. 
Conosciuto  che  sii  l'unico  e vero 
Successor  della  reggia  c dell’  impero. 

Benché  non  tema  il  folgorar  del  Sole 
Tra  fatiche  e disagi  Adon  nutrito. 

Di  queir  oste  geiilil  non  però  vole 
Sprezzar  l’ offerta,  o ricusar  l’ invito. 
Risposto  al  grato  dir  grate  parole, 
filivi  di  dimorar  prende  partilo; 

E ringrazia  il  di  stili,  che  lasso  e rotto 
A si  cara  niagion  l’ahhia  condotto. 

Sceso  in  tanto  nel  mar  Febo  a colearsi 
lasciò  le  piagge  scolorite  e meste, 

E pascendo  I destrìer  fiinianti  c arsi' 

Nel  presepe  del  del  biada  celeste. 

Di  sudore  e di  foco  umidi  e sparsi 
Nel  vicino  Ocenii  lavar  le  leste; 

E l’un  e l’altro  Sol  stanco  si  giacque, 
Adon  tra’huri.  Apollo  ili  grembo  all'acque. 


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20 


MARINO. 


, CANTO  SECONDO. 

IL  PALAGIO  D’ AMORE. 


ALLEGORIA. 

Le  riccliczzc  della  casa  d’Amnre  c le  sciiluirc  della  porla  di  cssa^contcncnll  ra- 
zioni di  (lerere  c di  Bacco,  ci  danno  a conoscere  le  delizie  delia  sensualità  e quanto 
l’uno  c l’altra  concorrano  al  nutriniento  della  lascivia.  Le  cinque  torri  comprese 
nel  dello  palazzo  son  poste  per  esempio  de’  cinque  sentimenti  umani , che  sono 
ministri  delle  dolcezze  amorose,  e la  torre  principale,  eh’ è più  elevata  dell’altro 
quattro,  dinota  in  particolare  il  senso  del  tatto  in  cui  consiste  l’estremo  e l’eccesso 
di  simili  dilettazioni.  La  soavità  del  pomo  puslato  da  Aliene  ci  insegna,  che  per  lo 
più  sogliono  sempre  1 frulli  d’ Amore  essere  nel  prinripio  dolci  c piacevoli,  il  giudizio 
di  Paride  è simbolo  della  vita  dell’ uomo,  a cui  si  rai>preseiitano  innanzi  tre  Dee, 
cioè  l’attiva,  la  contemplativa  e la  volutlaria;  la  prima  sotto  nome  di  Giunone,  la 
seconda  di  Minerva  e la  terza  di  Venere.  Questo  giudizio  si  commette  all’uomo,  a 
cui  è dato  libero  l’arbitrio  della  elezione,  perchè  dclermini  qual  di  esse  più  gli  piac- 
cia di  seguitare.  Ed  egli  per  ordinario  più  volentieri  si  piega  alia  libidine  c al  pia- 
cere, che  al  guadagno,  o alia  virtù. 


ARCOXEtITO. 

Al  palagio,  nv’Amor  chinile  ogni  gioia. 
Ne  van  Clìzio  ed  Adone  in  compagnia; 
Clizìugh  prende  a raccontar  (atr  via. 

Il  gran  giudteiu  del  paslur  di  Troia. 


Giùnto  a elici  passo  il  giovinetto  Alcide 
Glie  fa  rapo  al  rammin  di  nostra  vita. 
Trovò  dubbio  e sospeso  infra  due  guide 
Una  via,  che  ’n  due  strade  era  parlila. 
Facile  c piana  la  sinistra  ei  vide, 

Di  delizie  c piacer  tutta  fiorita  ; 

L’altra  vestia  l’ ispide  balze  alpine 
Di  duri  sassi  c di  pungenti  spine. 

Stette  lung’ora  irresoluto  in  forse 
Tra’  duo  sentieri  il  giovane  inesperto, 
AIflnc  il  piè  ben  consiglialo  ci  torse 
Lungc  dal  calle  morbido  ed  allerto; 

E dietro  a lei,  eli’ a vero  onor  lo  scorse, 
Scelse  da  destra  il  faticoso  cd  erto. 

Onde  per  gravi  rischi  c strane  imprese 
Di  somma  gloria  in  su  la  cima  ascese. 


E cosi  va  chi  con  giiidido  sano 
Di  virtù  segue  l' onorala  Irarcia. 

Ma  chiunque  credendo  al  vizio  vano 
Cerc.vil  mal,  di’ Ila  di  ben  sembianza  c fac- 
Giungc  per  molle  c .spazioso  piano  [eia. 
Dove  in  mille  ealeno  il  piede  aliacela,  [modi 
Quante  il  perfido,  ahi  quante,  c’n  quanti 
N’  ordisce  astute  insidie,  occulte  frodi.  . 

Per  l’arringo  mortai,  nova  Alalanta 
L'anima  peregrina  c semplicetta. 

Coree  veloce,  c con  .spedita  pianta 
Del  gran  viaggio  al  termine  s’ affretta. 

Ma  spesso  il  corso  suo  stornar  si  vanta 
Il  scuso  adiilalor,  di’  a sè  l’alletta 
Coll  r oggetto  piacevole  c giocondo 
Di  questo  pomo  d’ or,  che  nome  ha  Mondo. 


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L’ ADONE. 


Curi  lo  scampo  suo,  fugga  e disprezzi 
Le  dolci  oDcrte,  i dilettosi  inganni, 

Nè  perchè  la  lusinghi  c l' accarezzi. 
Disperda  in  fiore  il  verdeggiar  degli  anni. 
Mille  ognor  le  propon  con  finti  vezzi 
Per  disviarla  da’  lodali  afianni 
Gioie  amorose,  amabili  diporti. 

Che  poi  fruttano  altrui  mine  e morti. 

Da  si  fatte  dolcezze  ella  Invagliita 
Di  farsi  esca  al  focile,  e segno  all'arco. 
Nella  cruda  magion  passa  tradita 
Di  mille  pene  a sostener  l' incarco; 
Gabbia  senz'  uscio,  e career  senza  uscita. 
Mar  senza  riva,  c selva  senza  varco, 
l.abirinlo  ingannevole  d'errore. 

Tal  è il  palagio  ov’  ha  ricetto  Amore. 

Gièl'augcl  mattutin  battendo  intorno 
L’  all,  a bandir  la  luce  ecco  s' appresta, 

E '1  capo  e '1  piè  superbamente  adorno 
D'aurato  sprone  e di  purpurea  cresta. 
Della  villa  oriuol,  tromba  del  giorno. 
Con  garriti  iterali  il  mondo  desta, 

K sollecito  assai  più  che  non  suole. 

Gii  licenzia  le  stelle  e chiama  il  Sole. 

Quando  di  li,  dove  posò  pur  dianzi 
Dal  suo  sonno  riscosso.  Aduli  risorge. 
Che  veder  vuol  pria  che  'I  calor  s’avanzi. 
Se  'I  ciel  di  caccia  occasion  gli  porge. 
Glizio  paslor  con  la  sua  greggia  innanzi 
Al  vicin  bosco  rarcomp.igna  e scorge. 

Li  dove  a suon  di  ruslira  sambuca 
Gonvien  sul  mezzodì,  eh’ ci  la  riduca. 

Disegna  Adon,  se  pur  Ira  via  s'abbatte 
In  dannila,  in  damo,  o in  altra  fera  alcuna. 
Errando  ancor  per  quell'  ombrose  fratte 
Torcer  dell’  arco  la  cornuta  Luna. 

Quest’ armi  avea  (come  non  so)  ritratte 
In  salvo  dal  furor  della  Fortuna; 

Nè  so  qual  tolto  avria  fra  le  tempeste 
Più  tosto  abbandonar,  la  vita  o queste. 

• 

Cosi,  mentre  vagante  e peregrino 
Scorre  l’ antico  suo  paterno  regno. 

Del  crudo  arcicr,  del  perfido  destino 
Affretta  l'opra,  agevola  il  disegno. 

Ma  stimando  fatale  il  suo  cammino. 
Poiché  campò  gran  rischio  in  piccini  legno. 
Spera,  quando  alcun  di  quivi  soggiorni. 
Che  lo  scettro  perduto  in  man  gli  tomi. 


Veggendo  come  per  si  strania  via 
Dalla  terra  odorifera  salica 
Mirabilmeptc  all’  isola  natia 
Pietà  d’amico  del  scorto  l'area, 

E che  del  loco,  ond’  ebbe  origin  pria. 

Il  leggittimo  stalo  in  lui  cadea, 

NeUavor  di  Fortuna  ancor  confida. 

Che  de'  suoi  casi  a'  bei  progressi  arrida. 

Appunto  il  Sol  su  la  cornice  allora 
Della  finestra  d’ or  levava  il  ciglio. 

Forse  per  risguardar,  s'avesse  ancora 
Nulla  eseguito  Amor  del  suo  consiglio. 
Quando  di  lei,  che  ’l  terzo  giro  onora, 
Dolente  pur  del  fuggitivo  figlio. 

Vieppiù  da  lui,  che  dal  pastor  guidato. 
Giunse  presso  all'  ostello  avventurato. 

Ancorché  chi  usa  sla,  com'  ognor  suole. 
L'entrata  principal  della  magione. 

Tanta  è però  di  si  superba  mole 
La  luce  estcrior,  ch'abbaglia  Adone. 

I j reggia  famosissima  del  Sole 
De'  suoi  chiari  splendori  al  paragone 
Fora  vile  ed  oscura,  e '1  giovinetto 
D' infinito  stupor  ne  colma  il  petto. 

Sorge  il  palagio,  ov’  ha  la  Dea  soggiorno. 
Tutto  d’ un  muro  adamantino  c forte,  [no 
I gran  chiostri,  igranpalchiinvidiacscor- 
Fanno  alle  logge  dell'enipirca  corte. 
Ilaqualtrofrontiequattro  fianchi  intorno; 
Quattro  torri  custodi  e quattro  porte  ; 

E piantata  ha  nel  mezzo  un'  altra  torre. 
Che  vieti  di  cinque  il  numero  a comporre. 

Nc’^uattro  angoli  suoi  quasi  a compasso 
Poste  le  torri  son  tutte  egualmente. 
Quella  di  mezzo  è del  medesmo  sasso, 
Ma  dell’  altre  maggiore,  c più  eminente. 
L' una  all'altra  risponde,  e s'apre  il  passo 
Per  più  d' un  ponte  eccelso  c risplendente; 
G con  arte  assai  liella  e ben  distinta, 
Ciascuna  delle  quattro  esce  alla  quinta. 

Si  alto  e si  sottile  è ciascun  arco. 

Che  sotto  ciascun  puntesi  distende. 

Che  ben  si  par,  che  quel  sublime  iucarco 
Per  miracul  divino  in  aria  pende. 
L’incurvatura,  ond' ogni  ponte  ha  varco. 
Di  unte  gemme  variala  splende. 

Ch’ogni  arco  ai  twni  ed  ai  color  che  veste. 
Somiglia  in  terra  un’  iride  celeste. 


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n MARINO. 


Le  quattro  torri  Inani  eantoncostni  ite 
Son  fatte  in  qnadr»,  c aon  d’ egual  misura, 
Tranne  la  piincipal  fra  l’altra  tutte, 

Ch’è  fabbricata  In  sferica  lifpira. 

Son  distanti  del  pari,  e son  cnndutte 
Le  linee  a fil  con  vana  arcbitetlura, 
Esalvo  la  maiptior, che ’n  grembo  il  tiene, 
Per  ogni  torre  in  un  giardin  si  viene. 

Non  di  porfidi  ornaro,  o serpentini 
Quello  strano  ediflxlo  i dotti  mastri, 

Ma  fer  di  sassi  orientali  e Ani 
Comignoli  e comici,  ardii  e pilastri. 
PreriosI  crisoliti  e rubini 
Segar  di  mamii  in  vece  e d’ alabastri, 

E tutte  qui  dell’ indiche  spelonche, 

E de’  lidi  eritrei  votar  le  conche. 

balle  vene  del  Gange  il  fabbro  scelse 
Il  più  pregiato  e lucido  metallo, 

E dalle  rupi  dell’  Arabia  svelse 
Il  diamante  purissimo  c ’l  cristallo. 

Onde  compose  le  colonne  eccelse 
Con  ben  dritta  misura  ed  intervallo. 

Che  su  diaspro  rìloeente  e saldo 
Fcrman  le  basi,  e i capi  han  di  smeraldo. 

Tra  colonna  e colonna  al  peso  altero 
Sommessi  i busti  smisurati  e grossi, 
Sen'on  d’appoggio  al  grave  magistero 
In  fonna  di  giganti  alti  colossi. 

Son  fabbricati  eT  un  berillo  intero, 

E d’ardente  piropo  han  gli  occhi  rossi. 
Ciascun  regge  un  feston  distinto  e misto 
Di  zafBr,  di  topazio  e d’ ametisto. 

Splende  intagliata  di  fabbrii  lavoro 
I.a  maggior  porla  del  mirabii  tetto. 
Sovra  gangheri  d'or  spigoli  d’oro 
Volge  e serragli  ha  d’ oc  limpido  e schietto. 
R sostegno  e non  fregio  al  gran  tesoro 
Del  ricco  ingresso  il  calcidonio  eletto. 
Soggiace  al  piè,  quasi  sprezzato  sasso. 
Nella  lubrica  soglia  il  fin  Salasso. 

Quel  di  mezzoè  <T  argentoe  milleln  esso 
Illustri  forme  indnstre  mano  incise; 

E di  lor  col  rilievo  e col  commesso 
Gli  atti  e i volti  distìnse  in  varie  guise. 
Vero  il  finto  dirà  vero  ed  espresso 
Uom,  che  T*abbla  le  luci  intente  e Use. 
L’ opra,  eh’  opra  è dell’  arte,  e quasi  spira. 
Com’opra  di  sna  man,  Natura  ammira. 


In  nna  parte  del  superbo  e bello 
Uscio,  ch’ai  vìvo  ogni  figura  esprime. 
Scolpi  Vnican  col  sno  divin  scarpello 
L’alma  Inventrice  delle  biade  prime. 
Fumar  Etna  si  vede,  e Mongibello 
Fiamme  eruttar  dalie  nevose  cime. 

Ben  sepp’cgli  imitar  del  patrio  loco 
Con  rubini  e carbonchi  II  fumo  e ’l  foco, 

Vedesi  là  per  la  campagna  aprica. 
Tutta  vestita  di  novella  messe. 
Biondeggiar  d’oro  ed  ondeggiar  la  spica. 
Sparsa  pim  or  dalle  sue  mani  ìstesse. 
Scoglio  gentil  fpar  che  tacendo  dica. 

Si  lien  le  voci  ha  nel  silenzio  espresse) 
Siami  fido  custode  il  tno  terreno 
Del  raro  pegno,  eh’  k>  ti  lascio  in  seno. 

Ecco  ne  vlen  con  le  compagne  elette 
La  vergin  bior  della  materna  soglia, 

E per  ordir  monili  e ghirlandctte 
De’  suol  freg]  più  vaghi  II  prato  spoglia. 
Già  par  che  i fior  tra  le  ridenti  erbette 
Apra  con  gli  occhi,  c con  le  man  raccoglia. 
Ritrae  non  sapria  meglio  Aprile  o Zeus! 
La  bella  figlia  della  Dea  d’ Éleusl. 

Ed  ecco  aperte  le  sulfuree  grotte. 
Mentre  ch'iella  compon  gigli  e viole. 

Dal  fondo  fuor  della  tartarea  notte 
Il  rettor  delle  Furie  uscire  al  Sole. 
Fuggon  le  Ninfe,  e con  querele  rotte 
|j  rapila  Proserpina  si  dole. 

Spuman  tepido  sangue,  e sbulfao  neri 
Aliti  di  caligine  i destrieri. 

Ecco  Cerere  in  Fiegra  aRlìtta  riede. 
Ecco  gemino  pin  snccidè^e  svelle, 

E per  cercarla,  fattone  due  tede, 
l.e  leva  In  alto  ad  uso  di  facelle. 

Simile  al  vero  il  gran  carro  si  vede 
Ricco  di  gemme  sfavillanti  e belle. 

Van  con  Incido  tratto  H dei  fendenti 
L’ ali  verdi  battendo  I duo  serpenti. 

DalF  altro  lato  mirasi  scolpito 
Il  giovinetto  Dio,  che  ’l  Gange  adora, 
Come  immaturo  ancor,  non  partorito 
Giove  dal  sen  materno  H tragge  flora, 
Come  gii  è madre  il  padre,  indi  nutrito 
Dalle  Ninfè  di  Nisa,  I bosebi  onora. 
Stranio  parto  e mirabile,  che  fne 
Una  rolla  concetto,  e nacque  due. 


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I/ADOIW:. 


Ib  on  carro  di  palmiti  sedere 
Vedilo  altrove,  e gir  sublime  e lieve. 
Tiraao  il  carrtt  rapide  e leggiere 
Quattro  d*  Ircania  grneroic  allieve. 
Leccano  ialinlo  il  freni' orride  fere 
Del  buon  Ucor,  che  fa  gioir  chi  '1  beve. 
Egli  tra  i plausi  della  vaga  plebe 
Paesa  fastoso  e trionfante  a Tebe. 

Il  non  mai  sobrio  e vecchiarel  Sileno 
Sovra  pigro  asinel  vicn  sonnacchioso. 
Tinto  lutto  di  mosto  il  viso  e ’l  seno. 
Verdeggiante  le  chiome  e pampinoso. 

Già  già  vacilla,  e per  cader  vlen  meno, 
Reggon  Satiri  e Fauni  il  corpo  annoso; 
Gravi  porta  le  ciglia  e le  palpebre 
Di  vino  e di  stupor  inmide  ed  ebre. 

Volgo  dal  destro  lato  e dai  sinistro 
Di  fanciulli  e di  Ninfe  si  confonde, 

E par  rh’  a suon  di  crotalo  e di  sislro 
Vibria  tirsi  e corimbi  e frasche  e fronde  ; 
Inghirlandan  di  Hocco  ogni  ministro 
Verdi  viticci,  ove  vermiglie  e bionde  ; 

E son  le  vili  di  smeraldo  Ano, 

L’ ave  son  di  giacinto  e di  rubino. 

Quinci  e quindi  d’  hilomo  ondeggia  e 
La  turba  deile  vergini  Baccanti,  [bolle 
E corre  e salla  Infuriato  e folle 
Lo  strepitoso  stuoi  de’  Cnribanti. 

Par  già  tulio  tremar  iàcriano  il  colle 
Buccine  e comi  e cembali  sonanti. 

Pien  di  lant’arte  è quel  laror  sublime, 
Cbe  nel  muto  metallo  in  suono  esprime. 

Quanto  Adon  più  d’appressoal  loco  Tassi , 
Più  la  mente  gl’  ingombra  allo  stupore. 
Questo  è il  del  della  terra  e quinci  vassi 
Alle  beatitudini  d’ Amore. 

Così  colà  volgendo  I guardi  e I passi, 

In  fronte  gli  nrirò  scrìtto  di  fuore. 

Tatto  d'incise  gemme  era  lo  scritto. 
Tarsiato  a caratteri  d’ Egitlow 

Ecco  il  palagio,  ove  Ciprigna  alberga. 
Disse  aliar  Clialo,  e dos  ’ Amor  dhnora. 
Io  quando  avvim  cbe  ’l  Sol  pi  ù alto  s’erga, 
Menar  qoi  la  mia  greggia  uso  talora. 

Nè  Bnc hè  poi  nell’  Ocean  s’ immerga, 

La  richiama  all’  ovil  canna  sonora. 

Ma  pokliè  Sirie  latra,  io  vo  ben  oggi 
Miglior  ombra  cercar  tra  que’  duo  poggi. 


Tra  que’ duo  poggi,  che  non  lungo  vedi, 
Teco  verrù  per  solitarie  vie. 

Poi  da  te  presi  I debiti  congedi, 

T attenderò  sul  tramontar  del  die, 

E recberoinmi  a gran  mercè,  se  risA 
A ricovrar  nelle  capanne  mie. 

Forse  iiilantoii  tuo  le gno  esposto  aU’ onda 
Fia  cbe  guidi  a buon  porto  aura  seconda. 

Adon  disposto  di  seguir  sua  sorte, 
Cortesemente  al  conladin  rispose. 

In  questo  mentre  Innanzi  alle  gran  porte 
Estraiiie  vide  e dfaius.'ile  cose. 

In  mezzo  nn  largo  pian,  che  vi  fa  corte, 
Stende  tronco  gentil  braccia  ramooe. 

Di  cui  non  verdeggiò  mai  sotto  il  cielo 
Più  raro  germe  o più  leggiadre  stelo, 

C.edan  le  ricche  e fortunale  piante , 
Che  dispiegare  la  pomposa  chioma 
Nel  bel  giardin  dei  libico  gigante. 

Che  il  tergo  incurva  alla  stellata  soma. 
Non  so  se  là  nelle  contrade  sante, 

Carica  i rami  di  vietate  poma, 

Arbor  nutrì  si  preziosa  e bella 

Quel  cbe  suo  Paradiso  il  mondo  appella. 

Ila  di  diamante  la  radice  e il  fusto. 

Di  smeraldo  le  fronde,  i Bor  d’ argento. 
Son  d’ orci  fruiti,  ood’  è mai  sempre  onu- 
K la  porpora  all'or  cresce  ornamento,  [sto. 
Di  contentar  dopo  la  vista  il  gusto 
AI  rurioso  Adon  venne  talento. 

Onde  un  ne  colse , e come  appunto  grate 
Fusse  d’ ambrosia , il  ritrovò  soave. 

E tutto  colmo  d’ un  piacer  neveSa 
Al  pastor  diaiandò  : Clie  frutto  è qnestel 
Il  frutto  di  quel  nobile  arboseello 
Non  è,  rispose,  di  terreno  innesto  ; 

E se  è dolce  alla  becca,  agli  occhi  beile. 
Ben  di  gran  lunga  è più  perfetto  ii  resi». 
Per  la  virtù,  che  asconde  il  suo  sapore , 
S’accresce  grazia,  e si  raddoppia  amore. 

Udito  hai  ragionar  del  perno  ithto. 
Che  in  premio  di  beltà  Venere  ottenne. 
Per  cui  con  tanto  sangue'  il  ferro  acheo 
Fe’  li  ratto  dell’  adultera  solenne. 

Questo  poiché  di  lei  resiò  trofeo , 

La  Dea  qui  di  sua  mano  a piantar  veBiie; 
E piantato  che  fu , volse  dotarlo 
Della  proprielù  di  cui  ti  parlo. 


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■2\  MARINO. 


Deb,  gtisoRglnnse  Adon,senon  U pesa, 
Narra  l’orlgin  prima,  e in  qual  maniera 
Nacque  fra  le  tre  Dee  l' alla  contesa, 
Com'ella  andò  di  si  bel  pomo  altera. 
Dalle  Niiire  saltee  n’ho  parte  intesa. 

Ma  bramo  udir  di  ciò  l’ istoria  intera. 

Cosi  men  malagevole  ne  Ila 
I.'aspro  rigor  della  nialtagia  via. 

Poich’ebbe  Amor  con  tanti  lacci  e tanti. 
Il  pastor  coniiiiciù,  tese  le  reti , 

Che  alfin  pur  strinse  dopo  lunghi  pianti 
In  nodo  maritai  Peleo  con  Teli  ; 

Le  nozze  illustri  di  si  tiegni  amanti 
Vennero  ad  onorar  festosi  e lieti 
Quanti  son  Numi  in  elei,  quanti  ne  serra 
Il  gran  cerchio  del  mare  e della  terra. 

Fu  di  Tessaglia  avventuroso  il  monte, 
Dove  si  celelirar  quest’ imenei. 

Di  mirti  e lauri  gli  fiori  la  fronte. 

Del  trionfo  d’  Amor  fregj  e trofei; 

E le  stelle  gli  fiir  propizie  e pronte, 

E le  genti  mortali  c gli  alti  Dei, 

Se  non  spargea  dissension  crudele 
Tra  le  dolci  \ivande  amaro  fiele. 

Senza  invidia  non  è gioia  sincera , 

Nè  molto  dura  aletin  felice  stato. 

Quel  gran  piacer  della  discordia  fiera , 
Madre  d’ire  e di  liti,  ecco  è turbato; 
Chè  esclusa  fuor  della  divina  schiera, 

E dal  convita  splendirlo  e beato. 

Gli  alti  diletti  c I'  allegrezze  immenso 
Venne  a contaminar  di  quelle  mense. 

Air  arti  sue  ricorre , e col  consiglio 
Di  quella  rabbia,  chela  punge  e rode. 
Corre  al  giardin  d’  Esperia,  e dò  di  piglio 
Alle  piante,  che  il  drago  eblter  custode. 
Quindi  un  pomo  rapisce  aureo  c vermi- 
De’cui  rai  sena’  offesa  il  guardo  gode  [glio. 
Di  minio  c d’oro  un  fulgido  lialeno 
Vibra,  c gemme  per  semi  accoglie  ilseno. 

Nella  scorza  lucente  c colorita. 

Il  cui  folgore  lieto  I lumi  abliaglia , 

I.a  Disa  di  disdegno  imiperìla. 

Cui  nulla  furia  in  fellonia  si  agguaglia. 

Di  propila  mau  (come  il  furor  l’ irrita) 
Parole  poi  siulizio.se  intaglia. 

Dice  il  mollo  da  lei  scolpilo  in  quella: 
Diati  questo  bel  dono  alla  più  bella. 


Torna  ove  la  richiama  aita  vendetta 
Dell’alta  ingiuria  la  memoria  dura, 

E d' astio  accesa,  e di  veleno  Infetta , 

Nel  velo  ascosa  d'iina  nube  oscura. 

Con  la  sinistra  mau  sul  desco  getta 
Dell’esca  d' or  la  perfiila  scrittura. 
Questo  magico  don  Ira  tante  feste 
Gettò  nel  mezzo  all’ assemblea  celeste, 

Lasciaro  i cibi , e da’  fumanti  vasi 
Le  destre  sollevar  tutti  coloro , 

E^di  stupore atloni li  rimasi. 

Presero  a contemplar  quel  si  bell’oro. 
Donde  si  segna  non  san  dir,  ma  quasi 
Un  presente  del  Fato  ei  sembra  loro. 

E si  di  sè  gli  alleila  al  bel  possesso. 

Che  par  che  Amor  si  sia  nascosto  in  esso. 

Ma  sovra  quanti  il  videro,  e il  bramaro 
Le  tre  cupide  Dee , n’ebbcr  diletto , 

E stimolate  da  destre  avaro. 

Che  di  quel  sesso  è naturai  difetto , 

La  sollecita  man  steser  di  paro 
Alla  rapina  del  leggi.idro  oggetto, 

E con  gara  tra  lor  non  ben  concorde. 

Se  ne  mostraro  a meraviglia  ingorde. 

Quando  lo  Din,  che  del  signor  d'.Anfriso 
Guardò  gli  armonli,  e che  conduce  il  gior- 
Meglio  in  e.sso  drizzando  il  guardo  fiso,[no. 
Vide  le  lettre  cli’avea  scritte  intorno; 

E lampeggiando  in  un  gentil  sorriso. 

Di  purpuree  scintille  II  volto  adorno, 

Fe’  delle  note  peregrine  e nove 
Scullc  sulla  corteccia  accorger  Giove. 

Letta  l'iscrizinn  di  quella  scorza. 

Le  troppo  avide  Dee  cessare  alquanto , 
E cangiar  volto,  e in  su  la  mensa  a forza 
Il  depo.sito  d’or  lasciaro  intanto. 

Ode  il  merlo  al  desio,  ma  non  s’ ammorza 
l.’ambizioue  che  as|iira  al  primo  vanto. 
•San , che  averlo  non  può,  se  non  sol  una  , 
Il  voglion  tutte,  c noi  possiede  alcuna. 

Degli  assistenti  l’immorlal  corona 
Nova  coufiision  turba  e scompiglia. 

0>n  vario  disparcr  ciascun  ragiona. 

Chi  di  qua,  cid  di  lì  freme  e bisbiglia. 
Sovra  ciò  si  contende  e si  tenzona. 

Ornai  tutta  sossopra  è la  famiglia. 

Tutta  ri|viena  è gii  d’alto  contrasto 
La  gran  solennità  del  nobii  pasto. 


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L’ADONE. 


Giunon  superba  t si  di  sua  grandezza, 
Che  più  deir  altre  due  degna  s'appella, 
Nè  sè  cotanto  Paliadc  disprrzza , 

Che  non  pretenda  la  vittoria  anch’ella. 
Vencr,  che  è madre  e Dea  della  bellezza, 

E sa  che  è destinato  alla  più  bella, 
Ridendosi  fra  sèdi  tutte  loro. 

Spera  senz’altro  al  mirto  unir  l’alloro. 

Tutti  gli  Dei  nel  caso  hanno  interesse , 
E SOI!  divisi  a favorir  le  Dee. 

Marte  vuol  sostener  con  l’ armi  istesse 
Che  II  ricco  pomo  a CItereasi  dee , 
Apollo  di  Minerva  in  campo  ha  messe 
Le  lodi,  e chiama  l’ altre  invide  e ree. 
Giove , poic|i’  ascoltato  ha  ben  ciascuno. 
Parziale  della  moglie,  applaude  a Giuno. 

Aifln,  perchè  alcnnmal  pur  non  seguisse 
In  quel  drappel,  eh'  al  paragon  concorre. 
Bramoso  di  placar  tumulti  e risse, 

E querele  e litigi  in  un  comporrò. 

Le  cose  bellc(alor  rivolto  disse) 

Son  sempre  amate,  ognun  v’  anela  e corre  ; 
Haquantoaltrui  più  piaceillKlIoeiIbcne 
Con  vie  maggior  diflicolU  s’ ottiene. 

(Jbbidirsia  gran  senno,  ed  è ben  dritto. 
Ch’alia  ragion  la  passion  soggiaccia, 

E che  a quanto  si  vuole  ed  è prescritto 
Dalla  necessità  si  soddisfaccia. 

Che  sebbrn  di  chi  regna  alcun  editto 
Talor  troppo  severo,  avvien  che  spiaccia. 
Non  ostante  il  rigor  con  cui  si  regge, 
Giusto  non  è di  violar  la  legge. 

Parlo  a voi,  belle  mie , tutte  rivolte 
Alla  pretension  d’ un  pregio  istesso. 

Pur  non  può  (|uesto  pomo  esser  di  molte  : 
Sapete  ad  una  sola  esser  promesso. 

Or  se  beilezze  eguali  in  voi  raccolte 
Ponno  egualmente  aver  ragione  in  esso. 
Nè  vogiion  r altre  due  dirsi  più  bruite. 
Come  possibii  sia  conteutar  tutte? 

Giudice  delegar  dunque  conviensi , 
Saggio  conoscitor  del  vostro  merlo, 

A cui  conforme  il  guiderdon  dispensi 
Con  occhio  sano  c con  giudizio  certo. 

A lui  quanto  di  bello  ascoso  tiensi 
Vuoisi  senz' alcun  vel  mostrar  aperto. 
Perchè  le  differenze,  onde  garrite. 
Distinguer  sappia,  e terminar  la  lite. 


35 

10  rinunzio  all’  arbitrio;  esser  tra  vel 
Arbitro  idoneo  in  quanto  a me  non  posso, 
Chè  se  ad  una  aderisco,  io  non  vo’poi 
L’odio  dell' altre  due  tirarmi  addosso. 
Amo  di  par  ciascuna , i casi  suol 
Pariselo  a curar  sempre  mi  ha  mosso. 
Putess’lo  trionfanti  e vincitrici 

Veder  cosi  di  par  tutte  felici. 

Pastor  vive  tra’ boschi  in  Frigia  nato, 
Mal  sol  nel  nome,  c nell’  uOlcio  è tale. 

Che  se  ancor  non  tenesse  invido  fato 
Chiuso  tra  rozze  spoglie  II  gran  natale, 

Al  mondo  tutto  il  suo  sublime  stato 
Conto  fora , e il  lignaggio  alto  e reale. 

Di  Priamo  è Oglio,  impcrador  troiano. 

Di  Ganimede  mio  maggior  germano. 

Paride  ha  nome,  e non  è forse  indegno 
Ch’  egli  tra  voi  la  qiiestion  decida, 
Poirh’htr  integrità  pari  all’ingegno 
Da  poter  acquietar  tanta  disfida. 
Sconosciuto  si  sta  nel  patrio  regno 
Dove  il  Gargara  alticr  s'estolle  In  Ida. 
Itene  dunque  là  ; colui  che  porla 
L’ ambasciate  del  del , vi  sarà  scorta. 

Cosi  diss’egli,  e con  .applauso  i detti 
Raccolti  fur  dal  gran  Hettor superno, 

E scritti  per  man  d' Atropo  fur  letti 
Nel  bel  diamante  del  destino  eterno, 

E le  Dive  a quel  dir  sedar  gli  affetti. 

Pur  di  vento  pascendo  il  fasto  interno 
Già  s’ apprestano  a prova  al  gran  viaggio, 
E ciascuna  s' adorna  a suo  vantaggio. 

L’altera  Dea,  chedel  gran  rege  è moglie 
Dell' usato  s’ainniaiita  abito  regio. 

Di  doppie  fila  d’or  soti  quelle  spoglie 
Tramate  ttttte,  e d’ oro  Itati  doppio  fregio 
Sparse  di  soli,  c folgorando  toglie 
Ogni  sole  al  Sol  vero  il  liiinc  c il  pregio. 
Di  stellante  diadema  il  capo  cinge, 

E io  scettro  gemmato  in  man  si  stringe. 

Quella,  che  Atene  adora,  ha  dì  Ivei  slami 
Di  schietto  argento,  e semplice  la  vesta 
Ricamata  di  tronchi  c di  fogliami 
Di  verde  olivo,  e di  sua  man  contesta 
Tien  d’iina  treccia  degl'istessi  rami 

11  llmpid’elmo  Incoronalo  In  testa. 
Sostieni’ astala dcslrà,c  il  braccio ntanoo 
DI  scudo  adamantin  ricopre  il  Sanco. 

3 


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28 


MARINO. 


L'altra,  ch’ita ne’begliotchl  II  focoell 
D’ artiOcio  fahhril  pompa  non  volse, [telo, 
Ma  tl’uii  serico  appena  aazurro  velo 
La  nudili  de’ bianchi  membri  involset 
Color  dd  mare,  anzi  color  del  cielo. 
Quello  la  generò , questo  l’ aeculsc  ; 
Leggler  leggiero,  e cliiaramcote oscuro. 
Che  Iacea  Irasparer  l’ avorio  puro. 

Prende  Mercurio  il  pomo,  agili  c presti 
Ponsi  alle  tempie  I vanni  ed  ai  talloni, 

E la  verga  fatai , battendo  questi , 

Si  reca  in  man,  che  attorti  ha  due  dragoni. 
Per  ben  seguirlo  l' emiile  celesti 
Lasciai)  colombe,  e notlule,  c pavoni. 
Ed  è lor  carro  un  nnvuletto  aurato 
Lievemente  da  Seffiro  portato. 

Dipinge  un  bel  seTen  l’aria  ridente 
Di  vermiglie  flammellc  e d'aurei  lampi, 
E qual  Sul,  che  calando  in  occidente 
Di  rosali  splemlori  iiitonio  avvampi. 
Segnando  il  tratto  del  scntier  lucente 
Indora  c inostra  I suoi  ci'rulei  campi. 
Mentre  condotta  dalla  saggia  guida 
La  superbia  del  ciel  discende  in  Ida. 

Slassenc  inida  alle  fresche  ombre  estive 
Paride  assiso  a pasturar  le  gregge. 
Laddove  intorno  in  mille  scorze  vive 
Il  bel  nome  d' Enon  scritto  si  legge. 
Misera  Knon,  se  delle  belle  Dive 
Giudice  eletto  ri  la  più  bella  elegge, 

Di  te  che  sia,  ch’hai  da  restar  senz'alma? 
Ahi  che]>erdila  tua  fìa  l'altrui  palma! 

Voglion  costor  la  tua  delizia  cara 
Las  a,  rapirli,  c il  tuo  tcsor  di  braccio. 
Vanne  dunque  infelice,  e pria  che  avara 
Fgrtuiiaim tantoardorconverla  in  ghiac- 
Qiiaiilo  gioir  sapesti,  or  tanto  impara  i^cio, 
A dolerli  di  luì,  che  seioglie  il  laccio; 

E mentre  puoi,  dentro  il  suo  grembo  accol- 
Dacia  Paride  tuo  P ultima  volta.  [la 

A piè  d' un  antro  nel  più  denso  e chiuso 
Siede  il  pastor,  della  s<dinga  valle,  [so) 
La  mitra  ha  hi  fronte,  e (qual  dè'Frigi  è l' u- 
Darbaro  drappo  annoda  insule  spalle. 
Lungo  il  chiaro  Scamaudrocra  diCuso 
L’armento  fuor  delle  sbarrate  stalle; 

E il  verde  prato  gli  nutrisce  e serba 
Di  rugiada  condili  I fiori  e l’erba. 


Egli  gonfiando  la  cerata  canna. 
V’accorda  al  dolce suon  canto  confomw. 
Per  gran  dolcezza  le  palpebre  appanna 
Il  Odo  cane,  e non  lontan  gli  dorme. 
Tacciono  inieute  a piè  della  capanna 
Ad  ascoltarlo  le  lanose  torme. 

Cinti  le  corna  di  fiorite  bacche 
Obbliano  II  pascolar  giovcncfaieTacehe. 

Quand'ceeirdeclinar  la  nubeei  vede. 
Clic  il  fior  d’ogni  bellezza  in  grembo  serra, 
E rotando  colà,  dov' egli  siede. 

Di  giro  in  giro  avvicinarsi  a terra. 

Ecco  alla  volta  sua  drizzano  il  piede 
Acdntc  a nova  e dilettosa  guerra 
Le  tre  belle  netnlcbe  a’  cui  splendori 
lUscbiara  il  bosco  i suol  selvaggi  arreri. 

In  rimirando  si  mìrabii  cosa 
Stringe  le  labbra  allor,  carva  le  ciglia, 

E su  la  fronte  crespa  e spaventosa 
Scolpisce  col  terror  la  meraviglia. 

Sovra  II  tronco  vicin  la  testa  posa, 

F.d  al  tronco  vicin  ai  rassomiglia. 
Lacanzon  rompe,  e lascia  intanto  muta 
Cadérsi  a piè  la  garrula  cicuta. 

Fortunato  pastor,  giovane  illustre, 

II  messaggio  divìn  disscgli  allora. 

Il  cui  gran  lume  ascoso  in  vel  |>alnstre 
Lo  stesso  Ciel , non  che  la  terra  onora  ; 
Degno  ti  fa  la  tua  prudenza  indusUe 
Dì  venture  a mortai  non  date  ancora. 

A te  con  queste  Dee  Giove  mi  manda, 

E che  tu  sta  lor  giudice  comanda. 

Vedi  questo  bel  pomo  ? alla  contesa 
Questo , che  fu  soggetto,  or  premio  fia. 
l'.oleì  l’avrà,  che  in  cosi  lidia  impresa 
Di  bellezza  maggior  dotata  sia. 

Donalo  pur  senza  temere  ollcsa 
A chi  il  merita  più,  clic  a chi  il  desia. 
Iten  sopir  saprai  tu  discordie  tante 
Come  bel,  coni’  esperto , e come  amante. 

Tanto  die’  egli,  e l’ aureo  pomo  sporto 
Conseguaair  altro,  il  qùalfra  gioiacteiaa 
In  udir  quel  parlar  facondo  e scorto, 

E in  risguardar  quella  beltà  suprema. 

Il  prende,  c tace,  c sbigottito  e smorto 
Fuor  di  sè  stesso  Impallidisce  e trrnn. 
Pur  fra  tanto stupor,  ebe  lo  confonde, 
Moderando  i suoi  moti , alfia  risponde-. 


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27 


L’^VDONE. 


La  conosceiua , che  ho  dell*  esser  mio, 
•O delle  stelle  ainbasrlador  felice, 

Questa  gran  novIlA,  che  qui  vegg'lo. 

Al  mio  basso  pensler  creder  disdice; 
Gloria , di  cui  godere  ad  alcun  Dio 
Maggior  forse  lassù  gloria  non  lice; 

Che  dal  Clcl  venga  a povero  pastore 
Tanto  bene  insperato  e tanto  onore. 

Ma  che  abbia  a proITcrir  lingua  mortalo 
Decreto  in  quel  che  ogni  intelletto  eccede. 
Quanto  allo  stato  mio  si  diseguale 
Più  mi  rivolgo,  e tanto  meno  il  crede. 
Nulla  degnarmi  può  di  grado  tale. 

Se  non  l'alto  favor  che  mel  concede. 

Pur  se  ragion  di  merito  mi  manca. 
Grazia  celeste  ogni  vlltA  rinfranca. 

Può  ben  d' umane  cose  ingegno  umano 
Talor  deliberar  senza  periglio. 

Trattar  cause  divine  ardisce  invano 
Senz'aiuto  disin  saggio  consiglio. 

Come  dunque  poss'to  rozzo  e villano 
Non  che  le  labbra  aprir,  volgere  II  ciglio 
Dose  ristessa  ancor  somqia  scienza 
Non  seppe  in  del  pronunziar  sentenza  7 

Com' esser  può,  che  l'csquislta  epiena 
Perfezion  della  beltik  conosca 
Uom , che  oltre  la  caligine  terrena. 

Tra  queste  verdi  tenebre  s'imbosca, 
Dove  altro  mai  di  sua  luce  serena 
Non  n'  è dato  mirar,  che  un'  omisra  fosca? 
Certo  inabil  mi  sento  e mi  confesso 
Di  tali  estremi  a misurar  l'eccesso. 

Se  avessi  a giudicar  fra  toro  c toro , 

0 decretar  fra  l' una  c l'altra  agnella, 
Disccrner  saprei  ben  forse  di  loro 
Qual  si  fusse  il  migliore  e la  più  bella. 
Ma  cosi  belle  son  tutte  costoro. 

Che  distinguer  non  so  questa  da  quella. 
Tutte  egualmente  ammiro  , c tutto  sono 
Degne  di  laude  eguale  c di  egual  dono, 

Dogllomi,  cbè  tre  pomi  aver  torrcl. 
Qual  è quest'  un , cli'a  litigar  l' ha  mosse, 
Chi  allor  giusto  il  giudizio  lo  crederei. 
Quando  cumulila  lur  vittoria  fosse. 
Aggiungo  poi , che  degli  eterni  Dei 
Paventar  deggio  pur  l'ire  e le  posse, 
Poichi  di  questa  schiera  avventurosa 
Due  son ligUe di  Giove,  e rallra.i  sposa. 


Ma  da  che  tali  son  gli  ordini  suoi. 
Forza  immortalte  il  mio  difetto  scusi, 
Piirrlii  delle  due  vinte  alcuna  poi 
Non  sia,  che  irata  il  troppo  ardire  accusi, 
Intanto,  0 belle  Dee,  se  pura  voi 
Place,  ch'il  peso  imposto  io  non  ricusi. 
Quel  chiaro  Sol,  che  tanta  giuria  adduce. 
Ritenga  il  morso  alla  sfrenala  luce. 

Qui  GUeuio  s’  apparta,  ed  ei  restando 
Chiama  tulli  a consiglio  i suoi  pensieri, 

E gli  spirti  al  gran  caso  assottigliando 
Comincia  ad  aguzzar  gli  occhi  severi. 

Giù  s' apparecchia  alla  bell'  opra,  (|uanda 
Con  atti  gravi,  e portamenti  alteri 
Di  reai  maestà,  gli  s'  avvicina, 

E gU  prende  a parlar  la  Dea  Liiciua  : 

Poiché  al  giudizio  uman  si  soltumctie. 
Dalla  giustizia  tua  fatta  sicura 
La  ragion,  che  le  prime  e più  perfette 
Meraviglie  del  del  vince  ed  oscura  ; 

Della  beltà,  eh' eletta  è fra  l'elette, 

Dei  conoscer,  pastor,  la  dismisura. 

Ma  conosciuta  poi,  riconosciuta 
Convicnchc  sia  con  la  mercè  dovuta. 

E s'egli  é ver,  che  l'eccellenza  prima 
Possa  sol  limitar  la  tua  speranza 
DI  mal  meglio  veder,  vista  la  cima, 

E il  colmo  di  quel  bel  eh'  ogni  altro  avanza. 
Acciocché  l' occhio  tuo,  clic  or  ai  sublima 
Sovra  r umana  e naturai  usanza. 

Non  curi  Citerca  più,  né  Minerva, 

In  me  rimira,  c mie  fattezze  osserva. 

Tu  discerni  colei,  se  me  di:ceriii , 

Cui  cede  ogni  altro  Nume  i primi  onori, 
Imperadricc degli  croi  superni. 

Consorte  al  gran  Motor,  re  do'  .Motori. 
Vedi  II  più  degno  infra  i soggetti  eterni. 
Che  il  Ciclo  ammiri  o che  la  terra  adori; 
Innanzi  ai  raggi  della  cui  beltade. 

Lo  slupor  di  slupur  stupido  cade. 

L' istesso  Sol  d' Idolatrarmi  apprese. 

Di  scorno  spesso  c ili  vergogna  tinto; 

E il  mio  più  volte  il  suo  splendore  accasa, 
L’estinse  pria,  poi  ravvivano  estinto. 
Negar  dunque  non  p-  ui  di  far  paleait 
Qiieiimiie  altrui,  che  II  maggior  lume  Ita 
Senza  accusar  di  cecità  la  luce  [ vinto, 

Di  colui,  che  per  tutto  il  di  couduce. 


28  'MARINO. 


Rompe  allorall  silenzio, ed  apre  il  varco 
Alla  voce  il  pastorron  questo  dire; 
Poiché  a’  suoi  cenni  col  commesso  incarco, 
Legge  di  (ilei  mi  sforza  ad  ubbidire, 

Mon  Ila  ritroso  ad  onorarvi  o parco. 
Gloriosa  relna,  il  mio  desire, 

Del  cui  pronto  voler  vi  fari  noto 
IJd  schietto  favellar  libero  il  volo. 

lo  vi  giudico  già  tanto  perfetl*, 

Che  più  nulla  mirar  spero  dì  raro, 

T alchè  il  merlo  di  quel  die  a voi  s' aspetta. 
Contentar  ben  vi  puù,  ché  a tutti  è chiaro, 
Senza  bisogno  alcun , eh’  io  vi  prometta 
Ciò  che  tor  non  vi  dee  giudice  avaro. 
Onde  cosi  la  speme  abbia  a donarvi, 

Cile  in  effetto  il  dover  non  può  negarvi. 

Ben  volonlier  [se  senza  ingiuria  altrui 
Cosi  determinar  fosse  in  mia  mano) 
Concederei  questo  bel  pomo  a voi. 

Nè  dal  dritto  giudizio  andrei  lontano. 

Ma  mi  convien  (com'ammonito  fui 
Dal  facondo  corrler  del  Re  sovrano) 
Darlo  a colei,  eli’ alle  altre  il  pregio  invola, 
E voi  scesa  dal  del  non  siete  soia. 

L'orgogliosa  moglier  del  gran  Tonante, 
Si  fatte  lodi  udir  non  si  scompiacque, 

E senza  trionfar,  già  trionfante. 

Attese  il  fin  di  quel  cerfame,  e tacque. 

Ed  ecco  alior  colei  trattasi  avante. 

Clic  senza  madre  del  gran  Giove  nacque. 
D’onestà  virginal  sparsa  le  gote. 

Chiede  il  pomo  al  pastor  con  ijuestc  note  : 

Tutti  i mortali, egrimmorlaliinqnesto 
Sospetti  a mio  favor  sarrebbon  forse. 
Paride  sol,  che  amico  è dell’  onesto, 

E dal  giusto,  e dal  ver  giammai  non  torse. 
Degno  è d’  ufiicìo  tale,  ed  io  ben  resto 
Paga  d’  un  tanto  oiior,  che  il  Od  gli  porse, 
Poidié  non  so  da  chi  più  certo  or  io 
Ui  potessi  ottener  quanto  desio. 

Tu,  die  Iiinie  cotanto  hai  nella  mente. 
Ed  apprezzi  valore  e cortesia. 

Rivolgerai  nell’  animo  prudente 
Tutto  dòdi’  lo  mi. vaglia,  e ciò  eh’ io  sia, 
Ond’  oggi  crederò,  clic  facilmente 
Vincitrice  farai  la  beltà  mia,  [gcndo. 
Ondi’  ossequio,  e quel  dritto  a me  por- 
che merito,  clic  bramo  e che  pretendo. 


Non  son,  non  son  qual  credi  In  me  vedere  : 
Di  Vener  forse,  o di  Giunon  pensasti 
Lusinglie  false,  ed  apparenze  altere, 

I risi  e i vezzi,  c le  superbie  e i fasti  T 
Cose  tu  vedi  essenziali  e vere. 

Vedi  Minerva,  e tanto  sol  ti  basti, 

Senza  cui  nulla  vai  regno,  o rirchezza, 
Fuor  del  cui  bel  difforme  è la  bellezza. 

Virtù  son  lo,  di  cui  non  altro  mai 
Vide  uoni  mortai,  che  una  li  gora, un’orma. 
A te  però  con  i.isvclali  rai 
Ne  rappresento  la  coriiorea  forma. 

Da  cui,  se  saggio  sei,  prender  potrai 
Della  vera  beltà  la  vera  norma, 

E conoscer  quaggiù  fuor  d’  ogni  nebbia 
Quel  che  seguir,  quel  che  adorar  si  debbia. 

Forse  mentre  tu  miri,  ed  lo  ragiono. 
Per  troppo  meritar  mi  stimi  indegna, 

E la  vergogna  di  si  piedui  dono 
Ti  fa  parer,  clic  poco  a me  convegna. 

Ha  io  mi  scorderò  di  quel  che  sono. 

Sol  chela  palma  di  tua  mano  ottegna; 
Purcli’clla  oggi  da  te  mi  sia  concessa. 
Per  amor  tuo  sconoscerò  me  stessa. 

Dalla  virtù  di  quel  parlar  ferito 
Paride  parer  cangia,  e pensier  muta, 

E dal  presente  oggetto  istupidito 
La  memoria  dell’  altro  ha  già  perduta. 
Diva,  risponde,  il  merito  inlìiillo 
Di  cotanta  beltà  non  più  veduta  [za 
Dona  al  mio  cieco  ingegno  occhi  abbastan- 
Da  potere  ammirar  vostra  sembianza. 

10  ben  conosco  die  quel  che  oggi  appare 
In  quest’  ombroso  e solitario  chiostro, 

È puro  specchio,  e lucido  esemplare 
Della  divinità,  clic  a me  s’  è mostro. 

Ma  se  viltinie  c voti,  incensi  ed  are 
Consacra  il  mondo  al  simulacro  vostro. 
Qual  sacrilicio  or  v’offerisco  e porgo 
lo,  che  vivo,  c non  finto  il  ver  ne  scorgo? 

11  presentarvi  dò  clic  vi  conviene, 

È dover  necessario  e giiisia  cosa; 

E 1’  istcssa  ragion,  che  vi  appartiene, 

Vi  fa  senza  il  mio  dir  vittoriosa. 

La  speranza  del  ben  polote  bene 
Concepire  ornai  lieta  c baldanzosa. 
Intanto  in  aspettandone  l'effetto. 

Purghi  la  grazia  vostra  il  mio  difetto. 


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L’ADONE. 


Queste  oITerte  cortesi  assai  possenti 
Furo  nei  cor  della  più  saggia  Dea. 

E qual  più  cerio  ornai  di  tali  accenti  * 
Pegno  i suoi  duhiij  assecurar  potea? 

Da  parole  sì  dolci  e si  eloquenti, 

Con  cui  quasi  ii  trofeo  pruiiiettea, 

Presa  rimase  e fu  delusa  aiicir  essa 
La  sapienza  e i’  eloquenza  istessa.  ' 

Ha  la  madre  d'Amor,  nel  cui  bel  viso 
Ogni  delizia  lor  le  Grazie  lian  posta, 

Quei  ciglio,  clic  apre  in  terra  il  paradiso. 
Verso  il  garzon  volgendo  a lui  s’  accosta: 
E la  sereuilù  del  dolce  riso 
D*  lina  gioconda  altaliiliù  composta. 

La  favella  de’  cori  iiieantatrlee 
Lusingiicvole  scioglie,  e cosi  dice  : 

Paride,  io  niison  tal,  die  nell'acquisto 
Del  drs  alo  o conibat'u  o pomo. 

Senza  temer  d'  alcun  successo  tristo 
Rifiutar  non  saprei  giudice  Homo. 

Te  quanto  meno,  in  cui  sovente  ho  visto 
Accortezza  e bontà  più  che  in  altr'uomo, 
Quanto  più  voleiitier  senza  spavento 
Al  foro  tuo  di  soggiacer  consento. 

lu  terra,  o in  del  tra’ più  tenaci  aflcttl 
Qual  cosa  più  sensibile  d’  amore? 

Qual  possanza,  o virtù,  dicabbia  ne’ petti 
Più  delle  forze  sue  forza  e valore? 

Orche  pensi?  che  fai?  che  dunque  aspetti? 
Dove,  dove  ò il  tuo  ardir?  dove  il  tuo  corei 
Dimmi  come  avrai  core,  e come  ardire 
Da  poterti  difendere,  o fuggire  ? 

Se  il  pomo,  per  cui  noi  stiam  qui  pu- 
Coniesciiso  non  ha  potesse  averlo,[gnando. 
Tu  lo  vedresti  a me  correr  volando. 

Nè  fora  in  tua  balia  di  rltoiierlo, 

Poicliè  venir  non  potè,  io  tei  dimando 
Siccome  degna  sol  di  possederlo. 
Qualunque  don  la  mia  beltà  riceve 
È tributo  d’  onor  che  le  si  deve. 

La  vista,  il  veggio  ben,  del  mio  bei  volto 
Ti  ha  dolcemente  I’  anima  rapita. 

Or  riprendi  gli  spirti,  e in  te  raccolto 
Il  cor  rinfranca,  e la  virtù  smarrita. 

Quei  clic  mirabii  è,  mirato  hai  molto. 
Comprender  non  si  può  luce  inlìnlla. 

Gli  ocelli  tuol,chevcdutooggi  iropp’han- 
Ad  ogni  altro  splendor  cicclii  saranno,  [no. 


;■!) 

Facclan  prima  però  di  quanto  ban  scor- 
Testimoni  del  ver,  fede  alla  bocca,  [to, 
Acclncchè  poi  sentenziando  il  torto 
Nons'aliliia  a dimostrar  maligna,  o sciocca. 
E s’  è dover  di  giudicante  accorto 
A ciascun  compartir  ciò  clic  gli  tocca. 
Bella  colei  dichiara  infra  le  belle. 

Che  di  beltà  sovrasta  all'  altre  stelle. 

Poiciiè  r istesso  dono  a sè  mi  chiama, 
Il  dritto  il  chiede,  c la  ragion  il  vuole  ; 
Poiché  del  senno  tuo  la  cliiara  fama 
T' obbliga  ad  eseguir  quel  eh'  egli  suole-. 
Se  a quaiit’  oggi  da  me  si  spera  c brama 
Non  corrisponderan  le  tue  parole. 

La  giustizia  dirò  che  ingiusta  sia, 

E chela  verità  dica  bugia. 

Vinto  il  pastor  da  parolette  tali, 

E da  tanta  lieltà  legato  e preso, 

A que'  novi  miracoli  iininortali. 

Senza  sjiirito,  o polso,  è tutto  inteso. 
Amor  gli  Ila  punto  il  cor  di  dolci  strali, 

E di  dolci  faville  il  pelto  acceso. 

Onde  con  sospirar  profondo  e rotto 
Geme,  languc,  stupisce,  e non  fa  motto. 

Paride,  a che  sospiri  7 o percliè  taci? 
Dove  bisogna  nien,  più  ti  confondi. 

Tu  desti  all'  altre  due  pegni  efficaci 
Di  tua  promessa;  aquesta  orche  rispondi? 
Sono  i silenzi  tuoi  nunzi  loquaci 
D'  elfellì  favorevoli  c secondi. 

Dunque  del  tacer  tuo  s’  appaghi  e goda. 
Se  di  ciò  la  cagion  le  torna  in  loda. 

Pensa,  nè  sa  dì  quella  schiera  eterna 
Qual  beltà  con  più  forza  il  cor  gli  mova. 
Gilè  mentre  gli  ocelli  trasportando  alterna 
Or  a questa,  or  a quella,  egual  la  trova. 
I.à  dove  pria  s'  affi-a  e il  guardo  interna, 
I vi  si  ferma,  e quel  che  ha  innanzi  apprnv  a, 
Volgesi  all'  una,  e bella  appìcii  la  stima  ; 
PosciaaH'altra  passando, obblia  la  prima. 

Cella  è Giiinone,c  il  suo  candore  intatto 
Di  perla  orientai  luce  somiglia. 

Ila  leggiadro  ogni  molo,  accorto  ogni  atto 
Del  maggior  D.o  la  bellicosa  figlia. 

Ha  ticn  della  bellezza  il  ver  ritratto 
I.a  Dea  d'  amor  nel  volto  e nelle  ciglia  ; 
E tutta,  ovunque  a risguardarla  prenda, 
Dalle  chiome  alle  piante  è senza  emenda. 


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JO  MACINO. 


Un  Tossor  dal  candor  non  ben  distìnto 
Varia  la  guancia  c la  confonde  e mesce. 
Il  ligustro  di  porpora  è dipinto, 

I.a  dove  manca  I’  un,  1’  altra  s'accresce. 
Or  vinto  il  giglio  è dalla  rosa,  or  vinto 
L’ostro  a par  dall’avorio,or  fogge,  or  esce. 
Alla  neve  colà  la  flamnia  cetle. 

Qui  la  grana  col  latte  in  un  si  vede. 

D'  un  nnhll  fpiadro  dì  diamante  altera 
La  fronte  e chiara  al  par  del  elei  lampeggia. 
Quivi  Amor  si  trastulla,  e <piindi  impera 
Qitasi  in  sublime  e spaziosa  reggia. 

Gli  albori  1’  alba,  i raggi  ogni  altra  sfera 
Da  lei  sol  prende,  e in  lei  sol  sì  vagheg- 
II  cui  cristallo  limpido  tiliice  [già, 
D'  una  serena  e temperata  luce. 

Le  Urei  vaghe  a meraviglia  e belle 
Senza  alcun  paragone  uniclic  e sole, 
Scorno  insieme  e splendor  fanno  alle  stelle, 
In  lor  si  speccliia,  anzi  s'alibaglia  il  Sole. 
Dall’  Interne  radici  i cori  svelle 
Qualar  volger  iram|uiIlo  II  ciglio  stiólc. 
Nel  tremulo  seren  che  in  lor  scintilla 
Umido  di  lascivia  il  guarda  brilla. 

Per  dritta  riga  da’  begli  orchi  scende 
li  fiio  d'  un  c.vtial  fatto  a misura. 

Da  cui  lior  che  s’ appressi,  inv  ola  e prende 
Più  che  tion  porge  aura  odorata  e pura. 
Sotto,  ove  1’  uscio  si  disserra  e fendo 
Dell’  erario  d'  amore  e di  natura. 

Apre  un  corallo  In  due  parli  diviso 
Angusto  varco  alle  parole,  al  riso. 

Nò  ili  si  fresche  rose  in  del  sereno 
Ambiziosa  Aurora  il  crin  s’  asperse, 
Medi  si  ruii  smalli  il  giemlio  pieno 
Iride  procellosa  al  Side  olfersc. 

Né  di  si  vive  perle  ornalo  il  seno 
Rugiailosa  conchiglia  all’ alba  aperse. 
Clic  la  bocca  pareggi  ov’  lia  ridente 
Di  ricchezze  e d’  oduri  un  oriente. 

Seminate  in  più  sferze  e sparse  in  fiocchi 
Seti  vati  le  fila  innanellaie  e biande 
De’capci  d’or  che  a hello  studio  sciocchi 
La.sciva  Irascuraggìne  confonde. 

Or  su  gli  omeri  vaghi,  or  fia’begìiocclii 
Divisati  e dispersi  errano  in  onde; 

E crescon  grazia  alle  bellezze  illustri 
Arti  neglette  e sprezzaturc  industri. 


Delle  Ninfe  del  del  gli  occhi  e le  guance 
^Considerate,  e le  proposte  udite, 

Mentre  ancor  vacillante  in  tlubbia  lance- 
Del  concorso  divìn  pende  la  lite. 

Più  non  vuole  il  paslor  favole  o ciancc , 
Più  non  cura  mirar  membra  vestile. 

Ma  più  dentro  a spiar  di  lor  liclladc 
La  sua  curiosità  gli  persuade. 

Poirlié  del  pari  in  quest’  agon  si  giostra. 
Più  oltre,  dice,  esaminar  bisogna. 

Nè  diilinir  la  controversia  vostra 
Si  può,  se  il  vel  non  s’apre  alla  vergogna; 
Perchè  tal  nel  di  fuor  bella  si  illustra, 
Che  senza  favellar  dice  metizogiia. 

Pompa  di  spoglie  altrui  sovetile  iiigatina, 
K d’un  bel  corpo  i maiicaincuti  appanna. 

Ciascuna  dunque  sì  discìnga  e spogli 
De’  ricchi  drappi  ogni  ornamento,  ogni 
Perchè  la  vanità  di  tali  invogli  [arte. 
Nelle  bellezze  sue  non  abbia  parte. 
Giuiion  s’  oppone  c coti  superbi  orgogli 
Ciò  far  ricusa  e traggesi  In  disparte. 
Minerva  ad  alto  tal  non  ben  sì  piega, 
Tion  gli  occhi  bassi  c per  modestia  il  nega 

Ma  la  prole  del  mar  che  ne’  cortesi 
Gesti  Ila  grazia,  ed  ardir  qiiaiit’avcr  poto. 
Esser  vogl'  io  la  prima  a scior  gli  arnesi. 
Prorompe,  ed  a scoprir  le  parli  ignote. 
Onde  cliiarosi  voggìa  e si  palesi. 

Che  non  solo  ho  begli  ocelli  c belle  gote. 
Ma  che  è conforme  ancora  e corrisponda 
Al  bello  estcrìur  quel  che  si  asconde. 

Orsù,  Palla  .soggiunse,  ecco  mi  svesto. 
Ma  pria  che  scinte  aliiiia  le  gonne  c i manti, 
Ka  tu  paslor,  di’  ella  deponga  il  cesto. 
Se  non  vuoi  pur  che  per  magia  l ineanti. 
Replicò  l’altra:  lo  non  repugno  a questo. 
Ma  tu,  che  di  beltà  vincer  li  vanti. 
Perchè  non  lasci  il  tuo  guerriero  eliucllo, 
F.  lo  spaventi  con  feroce  aspetto? 

Forse  che  in  le  sì  noli  e si  riprenda[no? 
Degli  ocelli  glauchi  il  torvo  lume  liaiscor- 
Inipun  Paride  allor,  che  si  contenda 
Senza  celala  e senza  cinto  intorno. 

Resto  r aspetta  lor,  tolta  ogni  lieiida, 
senz' alcuna  ornatura  ass.vi  più  adorno. 
Si  di  sè  stesse  e non  d’allr'arini  altere 
Nel  grand'  arringo  entrarle  tre  guerriere. 


é 


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L’ADONE.  li 


Quando  le  vaili  aliti  qua*  tre  modani 
Dalla  perfezione  ebber  dcpoite, 

E de’  lor  corpi  iminortaliiieiile  belli 
Fur  le  parti  più  chiuse  al  guardo  esposte, 
Videe  tra  l' ombre  lor  lumi  novelli 
Le  caverne  più  chiiise  e più  riposte  ; 

Nè  presente  1 1 fu  creata  cosa. 

Che  non  sentisse-  in  sè  forza  amorosa. 

Il  Sol  ritenne  il  corso  al  gran  viaggio, 
Inutil  fatto  ad  illustrare  il  Mondo, 
Pcrclièiidc  offuscato  ogni  suo  raggio 
Da  splendiir  più  sereno  e più  giocondo. 
Yolca  scendere  in  terra  a fargli  omaggio. 
Ambizioso  pur  d’ esser  secondo; 

Poi  tra  sè  si  pentì  dell' ardimento, 

E d’ammìrario  sol  restò  contento. 

Onorata  la  Terra  e fatta  degna 
Di  abitatrici  si  beate  e sante. 

Con  bella  gratitudine  s’ ingegna 
Di  rispondere  in  parte  a grazie  tante. 

Di  bei  semi  d’amor  gravida  Impregna, 

E partorisce  a que’  begli  occhi  avente. 
RiugiovenI  Natura  e primavera 
Germogliò  d’ ogn’  intorno,  ove  non  era. 

Contro  lor  naturali  aspri  costumi 
Generar  dolci  poma  i pini  irsuti. 

Nacquer  viole  da’ pungenti  dumi. 

Fiorir  narcisi  in  su  i ginebri  acuti. 
Scaturir  mele  c corser  latte  i fiumi. 

Eli  mar  n’ebbe  più  ricchi  I suoi  tributi. 
Sparscrzallìro  i rivi,  argento  i fonti, 

Fur  d’ ostro  i prati  e di  smeraldo  I luouti. 

Lascia  il  canto  ogni  augel  della  foresta 
Per  pascer  gli  occhi  di  si  lieto  oggetto. 
L’acque  loquaci  in  quella  rupe  e in  questa 
Ferniaro  il  morinoi  io  per  gran  diletto. 
L’acre,  confuso  di  dolcezza, arresta 
I susurrì  dell’  ac(|ue  al  lor  cospetto. 
Trema  al  dolce  spettacolo  ogni  belva, 

E con  atteiuion  tace  la  selva. 

Tacca,  se  non  che  gli  arbori  felici 
Allievi  della  prossima  palude. 

Mossi  talor  da  venticelli  amici 
Bisbigliavano  sol  di' erano  ignuda, 

E voi  di  tanta  glor-a  spettatrici 
Sentiste  altro  veien,  vi|iere  crude; 

Onde  tornando  ai  vostri  duid  amori. 

Vi  saettaste  con  le  lingue  1 cori. 


Le  Naiadi  lascive,  I Fauni  osceni 
Abbandonano  gli  antri, escon  dell’ onde. 
Ciascu  H per  far  con  gl  i occhi  ai  bla  neh  i scn  i 
Qualche  furto  gentil,  presso  s'asconde. 
Vegeta  amor  ne’  rozzi  sterpi  e pieni 
D’ amor  ridono  i fior,  l' erbe  e le  fronde. 
Ai  sassi  esdusi  dal  piacere  immenso 
Spiace  sol  non  avere  anima  e senso. 

Paride  istesao  In  quelle  gioie  estreme 
Non  vive  no,  se  non  per  glroccliisoii. 
Tanto  eccesso  di  luce,  il  niiser  tenie 
Non  la  vista  e la  vita  In  un  gl’ involi. 
Sguardo  non  ha  per  tanii  r.iggi  insieme, 
Nè  cor  bastante  a sostener  tre  Soli, 
Triplicalo  lialeno  il  cor  gli  serra. 

Un  Solo  in  cielo,  e tre  ne  vede  in  terra. 

Ob  Dei , dirca,  che  meravigMc  veggio  T 
Citi  deirullimo  a trami’  insegna  il  meglio? 
Son  prodigi  del  Ciel?  sogno  o vaneggio? 
Qual  di  lor  lascìo?oqiial  fral'altre  sceglie? 
Deh  poiché  in  van  per  far  ciò  clic  far  deggio, 
1 sensi  afiiiio  c riiUollctto  sveglio. 

In  tanto  dubbio,  alcun  de'  r.vggi  vostri, 
0 bellezze  divine,  il  ver  mi  mostri. 

Perchè  non  son  colui , che  d’occhi  pieno. 
La  giovenca  di  Giove  in  guardia  tenue? 
Avessi  in  fronte,  avessi  intorno  almeno 
Quante  luci  la  Fama  ha  nelle  penne. 
Fossi  la  notte,  o fossi  il  ciel  sereno. 
Poiché  dal  del  lama  bellezza  venne. 

Per  poter  rimirar  cose  si  belle. 

Con  tanto  vbtc,  quante  son  lo  stelle. 

Qual  di  santa  onestò  pudico  liuno 
In  quella  nobil  vergine  sfavilla? 

Quanto  di  venerando  ha  l’altro  Nume? 
Qual  d'augusto  decoro  aria  tranquilla? 
Ma  qual  vago  fanciul  balte  le  piume 
Intorno  a questa?  e che  dolcezza  stilla? 
Par  che  rilenga  in  sé  dolce  aUrallivo, 
Non  so  ebe  (li  ridente  c di  festivo. 

Ciò  però  non  mi  basta,  ancor  sospeso 
Un  ambiguo  pensicr  m’aggira  e move  : 
Mentre  or  a questa,  or  soii  a quella  inteso. 
Bramo  il  sommo  trovar,  nè  so  ben  dove. 
S’ lo  non  vo'  di  sciocebezza  esser  ripreso, 
Conviemnii  di  veder  più  ciliare  prove. 
Fia  d’uopo  investigar  meglio  ciascuna, 
E mirarle  io  disparte  ad  tuia  ad  una. 


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82  MARINO. 


Fa,  cosi  (letto,  allontanar  le  due, 

E soletta  riticn  seco  Giunone, 

La  qual  promette  a lui , che  se  le  sue 
Bellezze  alle  bcll'cmulc  antepone. 
Principe  alcun  giammai  non  fia  nò  fuc, 
Più  di  scettri  possente  e dì  corone: 

E che  ogni  gente  al  giogo  suo  ridotta, 

Il  farà  possessor  deH'Asia  tutta. 

Spedito  di  costei , Pallade  appella. 
Che  in  aspetto  ne  vien  bravo  e Orile, 

E patteggiando  gli  promette  anch'ella, 
Gloria  cui  non  lia  mai  gloria  simile; 

E che  se  lei  dichiarerà  più  bella, 

Farallo Invitto  In  ogni  assalto  ostile. 
Chiaro  neirarmi,  c sovra  ogni  guerriero 
Inclito  di  trofei , di  palme  altero. 

No  no,  cosa  in  me  mai  forza  non  ebbe 
Da  poter  la  ragion  metter  di  sotto. 
Tribunal  mercenario  II  mio  sarebbe. 

Se  oggi  a venderla  (pii  fossi  condotto. 
Giudice  giusto  patteggiar  non  debbe. 

Nè  per  prezzo  o per  premio  esser  corrotto. 
Perdon  di  vero  dono  il  nome  entrambi, 
Seavvien  che  con  l'un  don  l'altro  si  cambi. 

Cosi  risponde,  e nel  medesmo  loco 
Accenna  a Citerea  che  veglia  in  campo. 
Ella  comparve,  e di  soave  foco. 

Nel  teatro  frondoso  aperse  un  lampo. 

Da  queir  oggetto,  incontr'a  cui  vai  poco 
A qiial  più  freddo  cor  difesa  o scampo. 
Non  sa  con  pena  di  diletto  mista. 
L'ingordo  spettator  sveller  la  vista. 

La  qualità  di  quelle  membra  intatte. 
Qiiai  descriver  sapt  ian  pittori  imliistri? 
Rendono  oscuro  e l' alabastro  e il  latte. 
Vincono  I gigli , eccedono  i ligustri. 
Piume  di  cigno,  e nevi  non  disfatte, 

Son  foschi  esempi  ai  paragoni  Illustri. 
Vedesi  lampeggiar  nel  bel  sembiante, 
Candor  d’avorio,  c luce  di  diamante. 

Eccomi , disse,  ornai  fa  che  cominci 
A specular  con  diligenza  il  lutto, 

E dimmi  se  trovar  gli  occhi  de'  linci, 
Sapriano  in  beltà  tanta  un  neo  di  bruito. 
Ma  mentre  ogni  mia  parte  e quindi  e quinci 
Rimiri , pur  per  divenirne  iiistrutto, 

Vo’  che  gli  occhi  e gli  orecchi  in  me  rivolti. 
Le  fattezze  mirando,  1 detti  ascolti. 


So,  che  sei  tal,  che  signoria  non  brami. 
Nè  di  scettri  novelli  uopo  ti  face. 

Che  ad  appagar  del  tuo  desir  le  fami , 

Il  gran  regno  paterno  è ben  capace. 

Da  guerreggiar  non  hai,  poiché  i reami, 
E di  Frigia  e di  Lidia  or  stanno  in  pace. 
Nè  dei  tu  d' ozj  amico  e dì  riposi , 

Altri  conflitti  amar,  che  gli  amorosi. 

Le  battaglie  d' Amor  non  son  mortali , 
Nè  s'esercita  in  lor  ferro  omicida. 

Dolci  son  r armi  sue,  son  dolci  I mali , 
Senza  sangue  le  piaghe,  c senza  strida. 
Ma  non  pertanto  ad  imenei  reali, 

Denno  aspirar  le  villanelle  d’ Ida, 

Nè  dee  povera  ninfa  ardere  il  core 
A chi  poli  obbligarla  Dea  d’amore. 

A d uom , chg  d' alta  stirpe  origin  traggo. 
Sposa  non  si  convicn  di  bassa  sorte. 
Nulla  icco  lianiio  a far  nozze  selvagge. 
Nulla  confassi  a te  rozza  consorte. 
Cedano  a tetti  illustri  Incolte  piagge. 
Ceda  l’umil  tugurio  all'ampia  corte. 
Curar  non  dee  di  contadini  amori, 
Pastor  fra  regi,  e rege  Infra  pastori. 

Tu , fra  quanti  paslor  guardano  ov  ili , 
Sci  per  forma  il  più  degno  e per  etade. 
Ma  le  fortune  tue  rustiche  e vili , 

Mi  fan  ceno  di  le  prender  pleiade. 
Peregrini  costumi  e signorili. 

Pregio  (li  gioventù,  lior  di  bcltade. 

Deh  che  giovano  a te,  se  gt>  anni  verdi , 

E te  medesmo  inutilmente  perdi? 

Perchè  tra  boschi, e rupl,e  piante,esassi. 
In  questa  solitudine  romita, 

Co.vl  senz’  alcun  prò  corromper  lassi , 

La  primavera  tua  lieta  e fiorita? 

Perchè  piuttosto  a ben  menar  non  passi 
In  qualche  città  nobile  la  vita , 

Cangiando  in  letti  aurati  erbette  e fiorì , 

E in  donzelle  e scudicr,  pecore  c tori  ? 

Giovinetta  si  bella  in  Grecia  vive. 

Che  di  bellezza  ogni  altra  donna  eccede  ; 
Nè  sol  fra  le  corintie  e fra  l’argivc. 
Questo  pubblico  onor  le  si  concede, 
àia  poco  inferior  ticnsi  alle  Dive, 

E quasi  in  nulla  a me  medesma  cede. 
Questa  agli  sludj  miei  forte  inclinala. 
Ama,  amica  d'auor,  d’essere  amata. 


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L'  ADONE. 


Lasciò  Giove  di  Leda  il  ventre  greve 
Di  questo  novo  Sol , di  cui  favclin, 
Quando  in  aen  le  volò  veloce  e lieve. 
Trasfigurato  in  nobii  cigno  e bello. 
Candida  e pura  è si  coni' esser  deve 
Fanciulla  nata  d’ un  si  bianco  augello. 
Molle  c gentil , come  nutrita  a covo, 
Dentro  la  scorra  tenera  d'un  ovo. 

Ha  tanta  di  beltà  fama  costei, 

Tanto  poi  daircITctlo  il  grillo  è vinto. 
Che  Teseo  il  gran  raoipion  s'armò  per  lei, 
E lascionnc  di  sangue  il  campo  tinto. 
Cliiedcano  i relicissinii  imenei, 

D’Argo  ì principi  a prova  e di  Corinto, 
Ma  Menelao  fra  gli  altri  il  più  gradito, 
Parve  d' EIcna  sol  degno  marito. 

Porse  ti  cal  di  conquistarla  e vuoi. 
Con  un  pomo  mcrcar  tanto  diletto. 

La  ricompensa  de’  servigi  tuoi , 

Eia  di  donna  si  beila,  il  grembo  e II  letto. 
Al  primo  incontro  sol  degli  occhi  suoi. 
Farli  di  lei  signore  io  li  prometto. 

Farò,  che  abhandonalo  il  lido  greco, 
Dovuni|nc  più  vorrai , ne  venga  teco. 

lA  di  I.acedcmonia  all’alta  reggia 
Tu  le  n'andrai  pervia  spedila  e corta. 
Ingegnati  sol  tu , eh’  ella  li  reggia , 
Lascia  cura  del  resto  alla  tua  scorta. 

In  tutto  ciò,  che  un  tanto  alTar  richieggia. 
Amor  fido  ministro,  io  duce  accorta. 

Co’  suoi  compagni  c con  le  serve  mie. 
La  verremo  a disiior  per  mille  vie. 

Qui  lacquc,c  fiamma da’begll  occhi  uscio. 
Atta  a mollir  del  Caucaso  l'asprezza, 
Ond'egli  ogni  altro  bel  posto  in  obblio, 
A queir  incomparabile  bellezza. 

Sforzato  dal  poter  di  (|uel  gran  Dio, 

Che  ogni  cor  vince,  ogni  riparo  spezza. 
Baciato  il  pomo,  c in  lei  le  luci  affisse. 
Riverente  gliel  porse,  c cosi  disse  ; 


Sebbene  a si  gran  luce,  umil  farfalla, 
Il  più  di  voi  mi  laccio  e il  meli  n'accenno. 
Audace  il  dico,  e so  che  in  me  non  falla 
Dal  senticr  drillo  traviato  il  senno. 
Perdonimi  Ginnon  , scusimi  Palla, 
Gareggiar  vosco,  o disputar  non  denno. 
Giudico,  che  voi  sola  al  mondo  siate 
L' idea,  non  che  la  Dea  della  bellade. 

Basta  ben,  ch’alia  gloria  avo!  concessa. 
Fu  lor  dato  poggiar  pur  col  pensiero  ; 

Nè  fu  lor  poco  onor,  che  fosse  messa 
La  certezza  in  bilancia,  il  dubbio  in  vci  u. 
Ora  di  bocca  la  giustizia  istcssa. 

Pubblica  il  suo  parer  chiaro  e sincero. 
L’obbligo  suo  per  la  mia  mano  olferlo. 
Questo  pomo  presenta  al  vostro  merlo. 

Atteggiala  di  gioia,  ebbra  di  fasto. 
Venere  il  prende,  Imll  volgendo  1 lumi , 
Cedetemi  l’onor  del  gran  contrasto. 
Disse  ridente  ai  duo  scornati  Numi; 
Confessa  pur,  Giunon, ch’io  li  sovrasto, 
E che  a torto  pugnar  meco  presumi. 

Nè  splaccia  a le,  liciiona,  a vincer  usa. 
Di  chiamarti  da  me  vinta  c confusa. 

Pensò  runa  di  voi  di  superarmi, 

Per  esser  forse  in  ciel  somma  crina. 

G crede  l’altra  con  sue  lucid’armi. 

Di  spaventar  la  mia  beltà  divina. 

Ma  poco  vi  giovò,  per  quanto  parmi. 
Opporsi  al  ver,  eh’  al  paragon  s’ affina. 

E si  possenti  Dee  vieppiù  m'aggrada. 
Senza  scettro  aver  vinte  e senza  spada. 

Venite,  Grazie  mie,  venite.  Amori, 
Vigorose  mie  forze,  invitte  squadre. 
Incoronate  de’  più  verdi  allori , 

La  vostra  ornai  vittoriosa  madre. 

Ite  cantando  in  versi  alti  c sonori , 

E rispondano  al  suon  l’ aure  leggiadre. 
Viv  a Amor,  viva  Amor,  che  incielo  e in  ter- 
Della  pace  trionfa  e della  guerra,  [ra. 


0 bella  olirà  le  belle,  o sovra  quante 
Ha  belle  il  ciel , licllissima  Ciprigna  ; 
Foco  gentil  d'ogni  felice  aniante. 

Madre  d’ogni  piacer,  stella  benigna. 
Soia  ben  degna,  a cui  s’ inchini  arante 
L*  invidia  stessa , perfida  e maligna  ; 

Se  nuU’altra  beltà  la  vostra  agguaglia. 
Ragion  è ben  che  sua  ragion  prevaglia. 


Mentre  intento  il  pastore  ascolta  c mira 
La  bella,  acni  II  bel  pregio  è tocco  in  sorte. 
Le  due  sprezzate  Dee  ver  lui  cou  Ira, 
Volgon  le  luci  dispettose  e torte. 
Orgoglio  ogni  lor  atto  c sdegno  spira , 
Quasi  mina  minacciante  c morte  { 
Giunon  però  dissimular  non  potè 
La  rabbia  si,  che  non  la  sfoghi  in  note  : 


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84  MARINO. 


Misero,  e come  del  suo  proprio  velo 
Il  cieco  arder,  dicea,  gli  ocelli  t’ involse, 
Sicché  della  ragion  perduto  il  zelo. 

Il  bel  lume  del  ver  scorger  ti  tolse? 

Te  dunque  scelse  il  gran  rettordei  ciclo? 
Te  deputar  per  giudice  iic  volse, 

Quasi  un  uomo  il  miglior  deU’ universo. 
Perchè  poi  si  scoprisse  il  più  perverso? 

Vieppiù  che  gloriosa  a te  funesta 
Sarà , sii  certo , elezion  si  fatta. 

E sappi  pur,  che  quest’onore  c questa 
Gloria,  che  m'ahbi  li  tuo  giudizio  tratta, 
II  vitupero  sia  delle  tue  gesta, 
Erinfamia Imniortal  dcìla  tua  schiatta. 
Qiicirislessa  beltà  malvagia  c ria. 

Che  fu  il  tuo  premio,  il  tuo  supplizio  sia. 

Queir  impudica  c disonesta  putta. 

Clic  dee  con  dolce  incendio  arderti  il  core. 
Ancor  sarà  della  tua  patria  tutta,  . 

E di  tutto  il  tuo  regno,  ulliino  ardore. 
Caduto  Ilio  per  te,Troia  d strutta 
(Cosi  ferisce  c cosi  scalila  Amore), 

Sarà  dell' armi  c delle  fiamme  gioco. 
Campo  di  sangue,  e Mongibcl  di  fuco. 

Tempo  verrà , che  detestando  il  Fato, 
Pcrch’abhi  i rai  del  Sol  goduti  e visti. 

Il  sen  bcstcminierai,  che  t’ha  portato, 

E l’ora  c il  punto  che  alla  luce  uscisti. 

Il  rimorso  c il  dolor  dell' esser  nato, 

Fia  il  minor  mal,  che  la  tua  vita  attristi. 
Dell’ aver  sostenuto  un  si  vii  pondo. 

Sarà  sol  la  memoria  infame  al  mondo. 

Le  stelle  che  tal  peste  hanno  concetta, 
L’aure,chc  al  suo  natal  nutrita l’ hanno. 
Quelle  congiiircransi  alla  vendetta , 
Queste,  il  proprio  fallir  sospireranno. 
Natura,  che  per  te  fia  maledetta, 
T’abirorrirà  con  rabbia  e con  affanno  ; 

E farà , che  nel  fine  albergo  e fossa , 
Neghi  all'  anima  il  del , la  terra  all’  ossa. 

Dopo  la  Dea  di  Samo,  a lui  si  volta, 
Con  cruccioso  parlar  l'altra  più  casta. 

Nè  la  superbia  e l’ira  in  petto  accolta. 
La  modestia  del  viso  a coprir  basta. 
Lingua  bugiarda,  temeraria  c stolta. 

Dice  con  fiera  man  crollando  l’asta , 

Ben  si  conforma  il  tuo  decreto  iniquo. 

Al  cor  fellone  ed  al  pensiero  obliquo. 


Ah  cosi  beo  distribuisci  I premi , 

Preso  a vii  esca  di  fallaci  inganni? 

Cosi  mi  paghi  i gloriosi  semi 

Ch’io  t’infusi  nel  cor  fin  da’  prim’anni  T 

Che  la  lascivia  esalti,  e il  valor  premi , 

E il  vizio  abbracci,  e la  virtù  condanni? 
E per  sozza  mercè  di  molli  vezzi. 

Gnor  rifiuti , c castità  disprezzi  ? 

Ma  per  codesta  tua  data  in  mal  punto 
Sentenza  detestabile  e proterva, 

Non  vico  già  la  mia  stima  a mancar  punto, 
Ch’  io  per  tutto  sarò  sempre  Minerva. 

Se  perdo  il  pomo,  in  un  medesmo  punto 
li  merlo  e la  ragion  mi  si  conserva, 

A te  il  danno  col  biasmo,  e fia  ben  pronta 
L’occaslnn  di  vcmiicar  quest’onta. 

Sarà  questo  tuo  pomo  empio  e nefando. 
Seminario  di  guerre  c di  riiiiic. 

Che  farai?  che  dirai,  misero,  quando 
Colante  ti  vedrai  stragi  vicine? 

Pentito  alfin,  piangendo  e sospirando. 
T’accorgerai  con  lardo  senno  alfine, 
Quant’ erra  quei,  che  dietro  ascorte  infide. 
La  ragion  repulsando,  al  senso  arride. 

Al  parlar  della  coppia  altera  e vaga , 
L’infelice  paslor  trema  qual  foglia, 

E dell’  audacia  sua  pentito,  paga 
Il  passato  piacer  con  doppia  doglia, 

La  qual  ne’  suoi  sospir  par  che  presaga , 
Strani  infortuni  annunziargli  voglia. 

Ma  partite  le  due.  Venere  bella, 
Soavissimamentc  gli  favella  ; 

Paride  caro,  e qual  timor  l’assale? 

Se  è teco  Amor,  di  che  temer  più  dei? 
Non  sai,  che  in  su  la  punta  del  suo  strale. 
Tutti  i trionfi  stali,  tutti  i trofei? 
Cheappo  il  vaIor,clie  sopra  ogni  altro  vaie. 
Sono  Impotenti  i più  potenti  Dei? 

E che  del  fuoco  suo  l’ invitta  forza 
Di  Giove  Istcsso  le  saette  ammorza? 

Queir  unica  beltà,  ch'io  già  ti  dissi. 

Ti  farà  fortunato  infra  le  pene. 

Le  chiome,  che  indorar  potrian  gli  abissi. 
Pian  dell’anima  tua  dolci  catene. 

Quelle,  possenti  a rischiarar  gli  eclissi 
(Idoli  dei  tuo  cor),  luci  serene. 

Ti  faranno  languir  di  tal  ferita, 

Che  avrai  sol  per  morir  cara  la  vita. 


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L’ADORE.  M 


SI  bea  d' ogni  bellezza  In  quel  bel  volto 
Epilogato  II  cumulo  s'unisce, 

E si  perfeltanicnte  insieme  accolto 
Quanto  ha  di  bel  la  terra,  in  lei  Oorisce, 
Che  l'istcssa  beltà  vinta  di  molto, 

Il  paraggio  ne  teme  e n’ arrossisce  { 

E d' aver  lavorato  un  si  bel  velo, 

Pugnan  tra  loro  c la  Natura  e il  Qelo. 

Or  non  può  sola  immaginata  l’ ombra 
Della  figura,  che  t’accenno  or  io. 

Con  queir  idea,  che  nel  pensìer  t'adombra. 
Felicitar  per  sempre  il  tuo  desio  T 
SI  si , sostien  l' alla  speranza,  e sgombra 
Dal  peticr  ogni  timor,  Paride  mio. 
Sapendo,  che  d'Araor  la  genitrice, 

Di  lutto  il  suo  poter  t' è debitrice. 

A quest’ ultimo  motto,  ancelle  e paggi, 
(irazieed  Amori,  intorno  a lei  s’ unirò, 

E il  carro  cinto  di  purpurei  raggi. 
Spalmando  per  lo  sferico  zaffiro. 

La  portar  da  que’  luoghi  ermi  e selvaggi, 
Sovra  l’ali  de’  cigni  al  terzo  giro, 

E di  par  con  gli  auge!  bianchi  e canori, 
Scn  gir  cantando  e saettando  fiori. 

Qual  meraviglia  poi,  che  alcuno  avvezzo 
I piati  a giudicar  de’  cittadini , 

Reai  ministro,  per  lusinga  o prezzo, 
Dalla  via  del  dover  talor  declini , 


Se  in  virtù  sol  d’un  amoroso  vezzo. 
Costui  trapassa  i debiti  confini? 

E d’un  futuro  e tragico  piacere. 

Il  promesso  guadagno  il  fa  cadere? 

Che  non  potran  la  face  e l’arco  d'oro? 
Qual  cor  non  Ila  dalle  lor  forze  oppresso. 
Se  il  sacro  olivo  e il  sempiterno  alloro, 
Inducono  a sprezzar  Paride  isiesso? 

E l’umil  mirto  ei  preferisce  loro. 

Anzi  piuttosto  il  fonerai  cipresso. 

Poiché  il  suo  nome,  onde  si  canta  c scrive. 
Per  tante  morti  immortalato  vive? 

Tenea  l’ orecchie  il  bcll’Adone  intente, 
Le  lodi  ad  ascoltar  di  Citcrea, 

E si  già  figurando  entro  la  mente. 

La  bella  ancor  non  conosciuta  Dea. 
Magiunti  al  loco,  ove  del  di  cocente, 
Qizio  sottrarsi  al  gran  ralor  devea. 

Dal  benigno  pastor  tulta  licenza. 

Con  pensicr  di  tornar,  fece  partenza. 

Tolto  appena  commiato,  un  caso  estrano 
(Mercéd’Ainor  che  lo  scorgea)  gli  avvenne. 
Prese  un  cervo  a seguir,  che  per  quel  piano 
Parve  In  fuggendo  aver  ne’  piè  le  penne; 
E poiché  assai  seguito  cl  l’ebbe  invano. 
Stanco  II  passo  e smarrito  alfin  ritenne. 
Là  dove  molto  da  villaggi  c case, 

E da  gregge  e pastor  lungc  rimase. 


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3C 


MARINO. 


« 


CANTO  TERZO.  . 

L’INN.AMORAMENTO. 


ALLEGORIA. 


In  Amore,  clic  ferisce  il  cuore  alla  madre,  si  accenna  che  questo  Irreparahile  affetto 
min  perdona  a rhi  clic  sia.  In  Venere,  che  s’innamora  d' Adone  addormentato  si  dinota 
quanto  possa  in  un  animo  tenero  la  licllezza,  eziandio  quando  ella  non  è coltivala. 
Nella  medesima,  che  volendo  guadagnarsi  i'affezion  d' Adone  cacciatore,  prende  la 
sembianza  della  Dea  caccialricc  e d’impudica  si  trasforma  in  casta,  s’ inferisce,  che 
chiunque  vuole  adescare  altrui,  si  serve  di  quei  mezzi,  ai  quali  conosce  essere  incli- 
nato l'animo  di  colui  che  disegna  di  tirare  a sò.  E che  molle  volte  la  lascivia  vien 
mascherata  di  modestia,  nè  sì  trova  femmina  cosi  sfacciata,  che  almeno  in  su  i prin- 
cipj  non  si  ricopra  eoi  veio  dell'onesta.  Nella  rosa  tìnta  del  sangue  di  essa  Dea  cd  a 
lei  dedicata,  si  dimostra,  che  i piaceri  venerei  son  fragili  e caduchi;  c sono  il  più 
delle  volte  accompagnali  da  aspre  punture,  o di  passione  veemente,  o di  iicntimcnlo 
mordace. 


AttCOllESTO. 

Mentre  che  stanco  Adon  dorme  in  sul  prato 
t.a  bilia  Citcrea  n’anie  d’amore. 

Egli  sì  desta  e pien  di  pari  ardore 
Vasscnc  seco  in  ver  l' usici  bealo. 


Perfido  è ben  Amor,  chi  n’arde  li  sente, 
a chi  è che  noi  senta,  o che  non  arda  I 
Eppur  la  cicca  e forsennata  gente  [guarda 
Segue  il  suo  peggio,  e il  proprio  mal  non 
Fascino  dilettoso,  onU’uom  sovente 
Pasce , credulo  agnello,  esca  bugiarda. 
Vede  tese  le  reti , e non  le  fogge, 

Nè  vorria  non  voler  quel  clic  lo  strugge. 

Corre  vaga  farfalla  al  chiaro  lume. 
Solca  incauto  iiocrliicr  le  plarid’ondc; 
Quella  nel  fiero  incendio  arde  le  piume. 
Questo  assorbon  talor  l’ acque  profonde. 
Spesso  arsenico  in  oro,  c per  costume 
Rigido  tra  bei  fiori  angue  s’ asconde  ; 

E spesso  in  dolce  pomo , cd  adoralo 
Suol  putrido  abitar  verme  celato. 


Cosi  spada  lucente,  arco  dipinto 
Con  la  pittura,  e con  la  luce  alletta  ; 

Ma  se  r una  è trattata , c l’ altro  è spinto , 
L’uiia  trafigge  poi , l’altro  saetta. 

Così  nuvolo  ancor  di  raggi  cinto 
Fiamme  nel  seno,  c fulmini  ricetta; 

E con  dorato  c luminoso  crina 
Minaccia  empia  cometa  alte  ruine. 

Sirena,  iena,  che  con  falsa  voce, 

E con  canto  mortale  altrui  tradisce; 
Foco  coverto , che  assecura  c coce  ; 

Aspe  che  donne,  c il  tosco  in  sen  nutrisce  ; 
Spietato  lusingbier,  che  alleila  e noce; 
Pietoso  niicidial,  eh’  unge  e ferisce  ; 
Cortese  carcericr,  che  a' rei  di  morte  [le. 
Quando  chiusi  gli  ha  in  ceppi , apre  le  por- 


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L'ADONE. 


Dura  legge,  s«  legge  esser  può  dorè 
Oppressa  la  ragion,  regnala  voglia, 

E Talitia  folle  in  strane  guise  e nove 
Per  vestirsi  d' altrui , di  s6  si  spoglia. 
Crudo  signor,  che  a furia  i sensi  move 
A procacciarsi  sul  tormento  c doglia. 
Fere  come  la  morte,  e non  perdona 
Senza  distinguer  mai  stalo  o persona. 

0 del  Mondo  tiranno  c di  Natura , 

Se  del  materno  duo!  gioisci  e godi,  [ra 
Qiial  Oaeiie  sclicrino,  o scampo  alma  sccu- 
Abbia  dalle  tue  forze,  o dalle  frodit 
Lasso,  e di  me  dio  tia,  ohe  in  prigion  dura 
Vlvo,c  scioglier  del  cor  non  spero  i nudi. 
Finché  quel  nodo  ancor  non  si  discluglla. 
Che  licn  legata  l'anima  alla  spoglia  7 

Erra  nella  stagiun,  die  il  can  celeste 
Fiamme  esala  latrando,  e l’aria  IkiIIo,  [ste 
Ond'arde clangne  inquelle  parti  ein  que- 
ll fiore,  crcrba,c  la  campagna,  c 11  colle, 
E II  pastur  per  .s|K'lunche  e per  foreste 
Rifugge  all’ ombra  ficsca,  aU’umla  mulic. 
Mentre  clic  Fi  Imi  all' animai  feroce. 

Che  fu  spoglia  d'  Alcide,  il  tergo  coce. 

L’olmo,  ilpino,  l’abete,  il  faggine  l'orno 
Già  le  braccia,  e le  eli  ionie  ombrosi  e spcs- 
Che  dar  sul  lind,l  più  cucenle  giorno  [si. 
Agli  arinciui  s dean  grati  recessi. 
Appena  or  nudi,  e senza  fronde  intorno 
Fanno  col  proprio  l ronco  oinbi  aasè  stessi; 
E mal  secura  dall'  eterna  face 
Ricovra  agli  antri  suoi  l’aura  fugace; 

Già  varcala  ha  del  di  la  mezza  terza 
Su  11  carro  ardente  il  luminoso  Auriga , 
E i volanti  corsier,  di' ci  |iungc  e sferza, 
Trannoal  mezzo  delcici  l’aurea  quadriga. 
Tcpidelto  sndor,  die  serpe  e scherza, 

Al  bell' Aduli  la  bella  fronte  irriga; 

E in  vive  perle  c liquide  diseiolto 
Crigtallino  rusccl  stilla  dal  volto. 

Sotto  l’arsura  dell'estiva  lampa, 

Che  dal  più  alto  punto  il  suol  pcrcotc , 
Tutto  andante  il  garzuiicKo  avvampa, 

E il  grave  incendio  sostener  mai  potè. 
Purpureo  foco  gli  colora  e stampa 
Di  più  dolce  rossor  le  belle  gole, 

Che  il  Sol,  che  secca  i fioruu  ogni  riva, 
In  quei  prati  d’Auior  vieppiù  gli  avviva. 


Mentre  che  pur,  dov  'egli  arresti  II  passo, 
Parte  cerca  più  fresca  e meno  aprica,' 
Ode  strepito  d’ acque  a piò  d' un  sasso. 
Vede  chiusa  valletta  al  Sul  nemica, 

Or  questo  il  corpo  a sollevar  già  lasso, 
E travagliato  assai  dalla  fatica. 

Seggio  si  sceglie,  c stima  util  consiglio 
Qui  depor  Farmi,  c dar  ristoro  al  ciglio. 

Fontana  vi  ha,  cui  stende  intorno  oscura 
L’ ombra  sua  protettrice  annosa  piopjia. 
Dove  larga  nuli  ice  empie  Natura 
Di  vivace  lieor  marmorea  coppa. 

Latte  fresco  c soave  è Fonda  pura. 

Un  antro  il  seno  ed  un  camion  la  poppa. 

A ber  sugli  orli  i di '.tillati  umori 
Aproii  1’  avide  labbra  erbette  c fiori. 

L’arco  rallenta,  c dell’  usato  pondo 
Al  fianco  ingiurioso.  Il  fianco  alleggia , 

E il  volto  acceso, e il  criii  filmante,  o biondo 
Lava  nel  fonte, elicili  sul  marmo  ondeggi.v. 
Poi  colà  dove  il  rezzo  i più  profondo, 

E d’ umido  smeraldo  il  suol  verdeggia  . 
All’erba  in  grembo  si  distende,  c l’erba 
Ride  di  talli' onof  liclac  superba. 

Il  gorgheggiar  de’ garrulelti  augelli, 

A cui  da' cavi  alberghi  eco  risponde; 
li  mormorar  de’ placidi  ruscelli. 

Che  van  dolce  nel  niargoa  romper  Fonde; 
Il  vcntillar  de’ tremuli  ai  boscelli, 

Dove  fan  l’aure  siblllar  le  fronde, 

L’ allenar  si,  che  in  su  le  sponde  erbose 
In  un  tranquillo  obblio  gli  ocelli  compose. 

Non  lungo  é un  colle, che  l’ombrosa  fron- 
Di  uiirli  Intreccia  e il  criii  di  rose  infiora,  [te 
E del  Nilo  fecondo  il  chiuso  fonte 
Vagheggia,  esposto  alla  nascente  Aurora. 
E quando  rosseggiar  fa  l'orizzonte 
L'aureo  carro  del  Sul,  clic  i poggi  indora. 
Sente  all’ aprir  del  mattutino  Eoo 
D’Eto  I primi  nitriti,  e di  Piroo. 

A piè  di  questo  I suoi  giardini  ha  Glori, 
E qui  la  Dea  d’ Amor  sovente  riede 
A corre  I molli  e rugiadosi  odori 
Per  far  tepidi  bagni  al  bianco  piede. 

Ed  ecco  sovra  un  talamo  di  fiori 
Qui  giunta  a caso  il  giovinetto  vede. 

Ma  rncmr’ellain  Adon  rivolge  il  guardo. 
Amor  crudele  in  lei  rivolge  il  dardo. 


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38  «ARINO. 


Per  placar  quel  feroce  animo  Iralo 
Venere  sua,  rlical  par  degli  occhi  l'ama, 
Con  l’esca  in  man  d'un  picdoi  globo  aurato 
Gonfiodl  verno,  a si  da  Itinge  il  chiama. 
Tosto  che  vede  il  vagabondo  alato 
La  palla  d'or,  di  possederla  brama. 

Per  poter  poi  con  essa  in  chiuso  loco 
Sfidar  Mercurio  e Gauhucdc  a gioco. 

Hovesi  ratto , e In  spaziosa  rota 
Gli  omeri  dibattendo,  ondeggia  ed  erra. 
Solca  il  elei  ron  le  piume,  in  aria  nuota. 
Or  l’apre  e spiega,  or  le  rii>icga  c serra. , 
Or  il  suol  rade,  or  ver  la  pura  e vota 
Più  alta  regiou  s'erge  da  terra. 

Alfin  colà  dove  Ciprigna  stassi 
China  rapido  l'ali,  e drizza  I passi. 

Ella  il  richiama,  egli  rifugge,  e poi 
Torna,  e intorno  le  scherza  alto  su  i vanni. 
Anime  incaute  e seniplìccUe , o voi , 

Non  sia  chi  creda  a rpic' soavi  inganni. 
Fuggite!  oline',  gli  allcttamenli  suoi , 
Insidie  i vezzi,  c son  gli  scherzi  aOanni, 
Sempre  là  dov’ei  ride,  è strazio  acerbo. 
0 Dio  quanto  i crudcl,  quanto  i superbo  I 

Questa  dolce  magia , che  per  usanza 
L’ anime  nostre  a vaneggiar  sospinge, 

Tal  in  sò  di  piacer  ritien  sembianza , 
Chequasi  in  amo d’orlc  prende c stringe. 
Or  se  tanta  han  d’ Amor  forza  e possanza 
Soli  gli  elTeili,allor  che  inganna  e finge. 
Deh  che  fora  a mirar  viva  c sincera 
Di  quel  corpo  innnortal  la  forma  vera? 

Di  splendor  tanto , c si  sereno  ognora 
Quel  bel  corpo  celeste  intorno  è sparso. 
Che  perderebbe  ogni  altro  lume,  e fora 
(Senza  escluderne  il  Sol)  debile  e scarso. 
Stupor  non  fia,  se  Psiche  (e  chiusi  ancora 
Area  gli  occhi  dal  sonno)  il  cor  n'ebbe  arso, 
G vide  innanzi  a quella  luce  etenia 
Vacillando  languir  l'aurea  lucerna. 

Oh  se  nel  fosco  e torbido  intelletto 
Di  quella  luce  una  scintilla  avessi , 

Si  che,  come  scolpito  il  chiudo  lupetto, 
Cosi  scoprirlo  agli  occhi  altrui  potessi) 
Farei  veder  nel  suo  giocondo  aspetto 
Di  bellezze  divine  estremi  eccessi  ; 

Onde  scorgendo  in  lui  tanta  bellezza, 
Ragion  la  madre  ha  ben,  se  l'accarezza. 


Bionda  testa,  occhi  arzurrl  e bruno  ci- 
Bocca  ridente,  e faccia  ha  dllicata,[gllo. 
Nè  su  la  guancia,  ove  rosseggia  il  giglio. 
Spunta  ancor  la  lanugine  dorata. 

Piume  d'oro,  di  bianco  e di  vermiglio 
Quinci  e quindi  su  gli  omeri  dilata  ; 

Ed  ha  come  pavon  le  penne  belle 
Tutte  fregiate  d’occhi  di  donzelic. 

Molli  d'ambrosia  edi  rugiada  ha  sparte 
Le  chiome  c l' ali,  e ingarzoniscc  appena. 
Bendato,  e senza  spoglie,  il  copre  in  parte 
Sol  una  fascia , che  di  cori  è piena. 

Arma  la  man  con  infallibil  arte  . 
D’arco,  di  strai,  di  face  e dì  catena. 
L’accompagna  in  ogni  atto  il  rìso,  il  gioco, 
E somiglia  al  color  porpora  c foco. 

Corre  ingordo  all’inv  ito,e  colmo  un  lem- 
Di  fioretti,  c di  fronde  in  prima  coglie,  [ho 
Poi  poggia  in  aria,  e sul  materno  grembo 
in  colorila  grandine  lo  scioglie  ; 

Ed  ei  nel  molle  ed  odoralo  nembo 
Chiuso,  c tra'  fiori  involto,  c tra  le  foglie 
Piover  si  lassa  leggermente , c sovra 
La  bellissima  Dea  posa  c ricovva. 

Tal  di  donna  rcal  delizia  e cura 
Picciolo  can,  che  le  sta  sempre  innanzi, 
E delle  dolci  labbra  ha  per  ventura 
Di  ricevere  i baci , e ber  gli  avanzi , 

Se  con  cenno,  o con  cibo  l'assicura 
I.a  bella  man  , che  lo  scacciò  pur  dianzi. 
Scote  la  coda,  c saltellando  riede 
Uniilemente  a rilanibirle  il  piede. 

Pargoleggiando  il  bianco  collo  abbraccia. 
Bacia  il  liel  volto,  e le  mammelle  igniide. 
Ride  per  ciancia,  e la  vermiglia  faccia 
Dentro  il  varco  del  pettoascondeechiuda. 
Ella,  eh' ancor  non  sa  quai  le  minaccia 
L’ atto  vezzoso  acerbe  piaghe  e crude , 
Colma  di  gioia  tutta,  e di  trastullo 
Si  stringe  in  grembo  il  lusinghier  fanciullo. 

Stretto  in  grembo  si  tlen  la  Dea  ridente 
li  dolce  peso  entro  le  braccia  assiso. 

Sul  ginocchio  il  solleva,  e lievemcnto 
L’ agita,  il  culla,  e. se  l’accosta  al  viso. 

Or  degli  ocelli  ribacia  il  raggio  ardente , 
Or  della  bocca  il  desiato  riso  ; 

Nè  sa , thè  gonfia  di  mortai  veleno 
Una  serpe  crudel  si  nutre  in  seno. 


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L’ADON?:.  89 


Le  colorite  piume  e le  bell'  ali , 

Cbc  il  volo  scoinpiglià,  l' aura  disperse , 
E le  chiome  lncom])oste  c discguali 
Polisce  colle  ma»  morbide  c terse. 

Ha  l'arco  iradltor,  gl'lnlldi  strali , 

Onde  dure  talor  plaghe  solTersc, 

Non  s'ari  Ischia  a toccar,  ch(  sa  ben  ella'la. 
Qual  contagio  hanno  in  si  l’asprc  qtiadrcl- 

Seco  però.mentrc  che  In  braccio  II  tiene, 
Oi  alquanto  divisar  pur  si  compiace. 
Figlio,  diiniiil,  direa,  poiché  conviene, 
Ch’  esser  tra  noi  non  deggia  altro  che  pace. 
Perchè  prendi  piacer  dell’ altrui  pene? 
Come  sci  si  protervo  c tanto  audace. 
Che  ognor  con  i’arnii  tue  turbi  e molesti 
La  quiete  del  Clcl  c de'ccicstn 

Bladre,  risponde  Amor,  s’erro  talora , 
Ogni  error  mio  per  ignoranza  arcade. 

Tu  vedi  ben  che  son  ranciullo  ancora. 
Condona  i falli  all' immatura  etadc. 

Tu  fanciun  replicò  Venere  allora, 

Chi  si  stolto  peusier  li  persuade? 
Coetaneo  del  tempo,  c nato  arante 
Alle  stelle  ed  al  cici,  t’ appelli  infante? 

Forse,  perchè  non  hai  canute  chiome. 
Te  stesso  in  ciò  soinpllrrmentc  Inganni? 
E ti  dai  pur  di  pargoletto  II  nome , 
Quasi  l’astuzia  poi  non  vinca  gli  anni. 
Equal  mia  culpa,  Amnrsoggiunse,ocomc 
Altri  da  me  riceve  oCTese  o danni  ? 
Perchè  denno  biasmar  l’ inique  genti. 

Sol  di  gioia  ministre,  armi  innocenti? 

In  che  pecco  qualora  altrui  mostr’lo 
Le  cose  belle?  0 che  gran  mal  commetto? 
Non  accusi  alcun  l’arco  o il  foco  mio, 
Ma  sè  mrdesmosol,  ch’erra  a diletto. 

Se  il  tuo  gran  padre.o  qualunqueallro  Dio, 
Si  lagna  alle  mie  forze  esser  soggetta. 

Di , che  il  dolce  non  curi , Il  bel  non  brami , 
E chi  d’amor  non  vuol  languir,  non  ami. 

Ed  ella  : Or  tu , che  ognor  tante  e si  nove 
Spieghi  superbo  In  del  palme  e trofei, 
Tu,  che  con  alte  e disusate  prove 
Puoi  tutti  a senno  tuo  domar  gli  Dei. 

Tu , che  non  pur  del  sommo  istesso  Giove 
Vittorioso  c trionfante  sei. 

Ma  de’  tuoi  strali  ancor  pungenti  e duri. 
Me , che  tl  generai , non  assecuri. 


Dimmi  ond’  avvien , che  sol  pur  còme 
Abbi  la  face  e la  faretra  vota , [spenta 
Contro  Minerva  è la  tua  man  si  lenta. 
Che  non  l’arda  giammai,  nè  la  percola? 
Che  sul  fra  tanti  un  cor  piaghe  non  senta, 
Che  gli  sla  la  tua  flamma  In  tutto  ignota. 
Soffrir  non  posso  ; o le  facellc  e I dardi 
Depon  per  tutti , o lei  ferisci  ed  ardi. 

Ed  egli  ; Oimè , costei  di  si  tremendo 
Sembiante  arma  la  fronte  e si  severo. 
Che  qualor  per  ferirla  io  l’ arco  tendo , 
Temo  r aspetto  suo  virile  c fiero. 

Po!  del  grand’elmo  ad  or  ad  or  scotendo 
Il  minaccioso  ed  orrido  cimiero. 

Di  si  fatto  terror  suole  ingumbrarmi , 

Che  alla  stupida  man  fa  cader  Tarmi. 

Ed  ella  a lui  : Pur  Marte  era  più  mollo 
Feroce  c formidabile  di  questa; 

Da’  tuoi  lacci  però  non  n’  andò  sciolto, 
Malgrado  ancor  della  terribil  cresta. 

Ed  egli  a lei  : Marte,  Il  ligordcl  vulto 
Placa  sovente,  c mi  fa  gioco  c festa. 
M’invita  ai  vezzi , ad  abbracciarmi  corre; 
L’altra  sempre  mi  scaccia  e sempre  aborre. 

Talor, cheosai  d’avvicinarmi  alquanto. 
Giurò  per  quel  Signor  che  regge  il  mondo, 
0 con  Tasta  o col  piè  rotto  ed  infranto 
Precipitarmi  all’  Èrebo  profondo,  [quanto 
D'angui  chiomato  ha  poi  nel  pctlo,ahi. 
Squallido  in  vista,  un  tescliioe  furibondo, 
Del  cui  ciglio  uscir  suol  tanto  spavento. 
Che  in  mirarlo  agghiacciar  tutto  mi  sento. 

jOdI , die'  ella , odi  sagace  scusa , 

Si  certo,  si:  dunque  paventi  c tremi 
Nel  sen  di  Palla  a risguardar  Medusa, 
Eppurdi  Giove  il  folgore  non  temi? 

Ha  dimmi,  or  perchè  il  cor  d’alcuna  Musa 
Non  mal  del  fuoco  tuo  riceve  i semi? 
Queste , sguardo  non  ban  rigido  e crudo. 
Nè  del  Gorgone  11  mostruoso  scudo. 

Tero  dirotti , egli  ripiglia , lo  queste 
'Non  temo  no,  ma  riverente  onoro. 
Accompagnata  da  sembianze  oneste 
Virginal  pudicizia  io  scorgo  In  loro. 

Poi  sempre  Intente  al  bel  cantar  celeste 
0 in  studio  altro  occupalo  è il  sacro  coro; 
Talché  non  mal,  se  non  né’  molli  versi. 
Da  conversar  tra  lor  varco  m'apctil. 


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MARINO. 


" 10 

Ed  ella  allor  : Poiché  ritieni  a freno 
Tanto  furor,  qui  zelo,  ivi  paura , 

Vorrei  saper,  perchè  Diana  almeno 
Dalle  quadrella  tue  vive  sccuraf 
Né  di  costei , risponde , il  casto  seno 
Vaglio  a ferir,  rivolta  ad  altra  cura, 
Fugge  per  monti , né  posar  concede 
Si  eh'  ozio  mai  la  signoreggi  al  piede. 

Ben  ho  quel  chiaro  Dio,  che  di  Latona 
Seco  nacque  in  un  parto,arcieroanch’csso, 
Dico  quel , che  <li  fuco  il  crii)  corona , 
Piagato,  e d' altra  fiamma  acceso  spesso. 
Cosi  mentre  con  lei  scheiza  e ragiona , 

Il  tratto  stillila  , e le  si  stringe  appresso  ; 

E tuttavia  dialogando  seco 

Coglie  il  tempo  a colpir  rocchiulo  cicco. 

Dal  purpureo  turcasso.il  qual  gran  parte 
Delle  canne  pungemi  in  sé  ricetta 
(Parve  caso  iiiiprovviso,  c fu  heU’artc), 
La  punta  usci  della  fatai  saetta. 

Punge  il  fianco  alia  madre,  indi  in  disparte, 
TiiuiJetlo  e fugace  il  voloalTrctta. 

In  un  punto  luedesuio  il  ficr  garzone 
Ferine  il  core  ed  additollc  Aduno. 

Gira  la  vista  a quel  che  Amor  gii  addita, 
Chè  scorgerlo  ben  può,  si  presso  eì  giace. 
Ed  oimè,  grida,  oiiiiè  ch’io  son  tradita  ! 
Figlio  ingrato  e crudel,  figlio  fallace. 
Ahi,  qual  sento  nel  cor  dolce  ferita  ? 

Ahi , qual  ardor,  che  mi  consuma  e piace  1 
Qual  beltà  nova  agli  occhi  miei  si  mostra? 
Addio  Marte, addio  ciel,non  son  più  vostra. 

Pera  quell’arco  tuo  d’ inganni  pieno, 
Pera, iniquo  fanciul,  quel  crudo  dardo. 
Tu  prole  mia?  no  no,  di  questo  seno. 
No  che  mal  non  nascesti,  empio  bastardo  ; 
Nè  mi  sovvicu  tal  foco  e tal  veleno. 
Concetto  aver,  per  cui  languisco  ed  ardo  : 
Ti  generò  di  Cerbero  Megera , 

0 dell’oscuro  Caos  la  notte  nera. 

Si  svelle  in  questodir  con  duoloe  sdegno 
Lo  strai,  eh’  è nel  bel  fianco  ancor  confitto. 
E tra  Io  penne  c il  ferro  in  mezzo  al  legno. 
Trova  il  nome  d’Adon  segnato  e scritto. 
Volto  alla  plaga  poi  l’ occhio  e l’ ingegno. 
Vede  profondamente  il  sen  trafitto, 

E sente  per  le  vene  a poco  a poco 
Serpendo  gir  licenzioso  foco.  ' 


Ben  egli  é ver,  che  quella  fiamma  è tale. 
Che  non  senza  piacer  langue  c sospira  ; 

E vaga  pur  del  non  curato  male , 

Mille  in  sé  di  pensicr  macchine  aggira. 
Orsi  rivolge  al  velenoso  strale. 

Or  l’esca  del  suo  ardor  Itinge  rimira; 

E in  questi  accenti  alle  confuse  voglie. 
Con  un  ahi  doloroso  il  gruppo  scioglie. 

Ahi,  ben  d’ogni  mortai  femmina  vile 
Ornai  lo  stato  invidiar  mi  deggio  : 

I Poiché  di  furto  e con  insidia  ostile. 

Da  chi  meno  il  dovria,  schernirmi  veggio. 
Mi  ferisce  il  suo  strai , m’ arde  il  fucile , 
Nè  delle  mie  sventure  èquestoii  peggio; 
Chealfin  le  fidmnic  sue  son  tutte  spente. 
Se  la  madre  d’Ainorc,  amor  non  sente. 

Ma  eh'  io  soggiaccia  a si  perversa  sorte. 
Che  le  bellezze  mie  sì  goda  un  fabbro? 
Un  aspro,  un  rozzo,  un  ruvido  consorte , 
Incolto,  irsuto,  alfuniicato  c scabro? 

E che  legge  ininiorlal,  peggior  che  morte. 
Mi  costringa  a baciar  l’ispido  labbro? 
Labbro,  assai  più  neH'orridc  fornaci 
Atto  a solBar  carbon , che  a porger  bàci  ? 

Un , che  al  tro  unqua  non  sa , che  col  mar- 
Tcmpcstando  l’ incudini  infernali , [teilo 
Le  caverne  assordar  di  Mongibello 
Per  temprar  del  mio  padre  i fieri  strali , 
Che  V an  cadendo  in  questo  lato  e in  quello. 
Vano  spavento  ai  semplici  mortali, 

E del  maestro  lor  sembianti  espressi , 
Cairn' é torlo  il  suo  piè,  son  torti  anch’essi. 

Deh  quante  volte  audacemente  accosta 
Importuno  alla  tuia  l’adusta  faccia, 

E quella  man , che  ha  pur  allor  deposta 
La  tanaglia  c la  lima , in  sen  mi  caccia  ; 
Ed  io,  malgrado  mio,  son  sottoposta 
Ai  nodi  pur  dell’  abborritc  braccia , 

Ed  asolTrir,  che  mentre  ci  mi  lusinga. 
La  fuligiuc  e il  fumo  ognor  mi  tinga. 

Pallade,  o saggia  lei , quantunque  meco 
Non  s’agguagli  in  beltà,  ne  fc’  rifiuto. 
Nè  Giove  il  volse  in  ciel , ma  nel  più  cicco 
Fondo  il  dannò  d’iin  baratro  perduto; 
Onde  piombando  in  quel  arsiccio  speco 
L’osso  s’infranse,  c zoppicò  caduto, 

E pur  zoppo  ne  venne  entro  il  mio  letto 
L’altrui  pace  a turbar  col  suo  difetto. 


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L’ ADONE. 


Più  non  mi  è gU  di  mente  ancor  uscita 
La  rimembranza  ilcll' indegno  oITcse. 
Altamente  nei  cor  mi  sta  scoipita 
L'insidia  che  si  prrliila  mi  tese. 

Quando  alla  rete  <li  diamante  ordita, 
Questo  sozzo  villan  nuda  nd  prese, 
Follenieiile  sropremloai  Numi  eterni 
Delle  mie  nuuibra  i penetrali  interni. 

Un  rabbioso  dispetto  ancor  soni’ io 
Del  grave  oltraggio  onde  delusa  io  fui , 
Poìcliòdie  consua  infamia  c biasmo  mio. 
Vergognosa  materia  al  riso  altrui. 

Or  non  si  dolga  no  chi  mi  schernio. 

Se  l'onta  che  mi  fé’  ricade  in  lui. 

S’ei  volle  canrcllar  corno  con  scorno, 
lo  saprò  vendicar  scorno  con  corno. 

L'Aurora  innanzi  dì  si  cala  in  terra 
Per  abbracciar  d’Atcnc  il  cacciatore. 

La  Luna  a niezzanolte  il  del  disserra 
Per  vagheggiar  I'  arcadico  pastore. 

Io  percbi'v  no?  se  il  mio  desir  pur  erra. 
Quella  somma  beltà  scusa  ogni  errore,  [to, 
Vo',  cheil  garzon  ch'io  colà  presso  hoscor- 
Sla  vendetta  all’  ingiuria,  emenda  al  torlo. 

Qui  tace,  c poi  qual  cacciairicc  al  guado. 
Colà  correndo  all'alta  preda  anela. 

Vesta  dì  lieve  c camlido  zendado 
Le  membra  assai  più  candide  le  vela, 
Cile  com' opposto  al  Sol  leggiero  c rado 
Vapor,  le  copre  si , ma  non  le  cela. 

Vola  la  falda  intorno  abile  e crespa  , 
ZetGro  la  raccorcia  c la  rincrespa. 

Sudala  dall'  arlencc  marito 
Sull'omero  gemil  fdihia  di  smalto 
Con  branche  d' oro  lucido  e forbito 
Sospende  ad  un  zalTir  l’ abito  In  alto. 
L'arco,  onde  snoie  ogni  animai  ferito, 
Merci  della  man  bella  ambir  l'assalto 
Con  la  faretra,  che  al  bel  lìanco  scende , 
Ozioso  c dimesso  al  tergo  pende. 

Sotto  il  condn  della  succinta  gonna 
(Salvoilbel  piò,  die  ammanta  aurcocalza- 
Dcll’ una  e l’altra  tenera  colonna,  [re, 
L' alabastro  S|)iranlc  ignudo  appare. 

Non  vide  il  mondo  mai  [se  la  mia  donna 
Non  l' uguaglia  perù  forme  si  care. 

Da  lodar,  da  rilrar  corpo  sì  liello, 

Tracia  canto  non  ha , Grecia  pennello. 


4< 

Voi,  Graxie,  voiiclie  dolcemente  avete 
Nel  nettare  del  del  le  labbra  infuse, 

E ne’  lavacri  più  riposti  siete 
Nude  le  sue  bellezze  a mirar  use  ; 

Voi  snodar  la  mia  llugiia,  c voi  potete 
Narrar  di  tei  ciò  clic  non  san  le  Muse, 
Intelletto  terreno  al  dd  non  sale, 

Nò  fa  volo  divin  pernia  mortale. 

Paslor  di  Troia  , o te  felice  allora, 

Clic  senza  vel  lama  In  llà  mirasti  ; 

E saggio  le,  quanto  felice  ancora. 

Clic  il  pregio  a lei  d'ognì  beltà  donasti. 
Beltà,  che  gli  ocelli  c gli  animi  Innamora, 
Diva  delle  bellezze,  e tanto  basti. 

Se  non  fuss'clla  Cilerea,  direi 
Che  Citcrca  s'assomigliasse  a lei. 

Nou  osa  al  lirH'Adon  Venere  intanto. 
Il  vero  aspetto  suo  scoprir  si  tosto, 

Ma  V noi  per  tome  gioco  innanzi  alquanto. 
Che  sia  sotto  altra  immagine  nascosto. 
Nov’  [io  non  saprei  dir  con  qual  incanto] 
.Simulacro  nieiililo  ha  giù  composto) 

E già  sì  ben  di  Qiizìa  arnesi  c gesti 
Finge,  clic  in  tutto  lei  la  crederesti. 

Va  come  Canzia , Inculla  ed  inomala , 
E veste  gonna  di  color  d’erbetta. 

Tutta  ili  un  fascio  d'or  la  chioma  aurata, 
Le  cade  sovra  l’ omero  negletta. 

Nulla  industria  però  l>en ordinata. 

Tanto  con  l' artilìcio  altrui  diletta , 
Quanto  al  bel  crin,  di’ ogni  ornamento 
Accresce ngiiidisordiiie  bellezza,  [sprezza 

Tien  duo  veltri  la  destra,  al  lato  manco 
Pende  ad  aurea  catena  indico  dente. 

D’ argento  in  fronte  imiiiacolalo  e bianco 
Yedesi  sdiulllar  luna  lucente. 

Lasciasi  l' arco  c la  faretra  al  fianco. 
Prende  d’acuto  acciar  spiedo  pungente. 
Talché  al  c.inl,  agli  strali,  al  cumo,  ali  asta. 
La  più  lasciva  Dea  par  la  più  casta. 

Non  sol  per  suo  diletto  ella  usar  vote, 
Ma  per  infauiar  remula  quest’ arte. 
Perché  temendo,  se  la  vede  il  Sole , 

Non  l’ accusi  a Vulcano,  ovvero  a Marte  ; 
Vuol  di’ egli  o qualche  Satiro,  clic  suole 
Da  lui  fuggire  in  quell' ombrosa  parte, 
A Pan  piuttosto  il  riferisca  e dica: 

Che  ancor  Diana  sua  nou  4 pudica. 


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42  MARIffO. 


Per  piA  spedito  agCTolarsi  H calte 
L'aoreo  coturno  si  disfihliia c scalza, 

Poi  dell'obliqua  eil  intricata  ralle 
Premendo  va  la  dì'^cnsccsa  balza, 

L’erbc  dal  Sole  impallidite  e gialle 
Verdeggian  latte,  ogni  fior  s'apre  ed  alza. 
Sotto  il  piè  peregrìn  del  bosco  incullo, 
Ogni  sterpo  fiorisce , ogni  virgulto. 

Ed  ecco  audace  c temeraria  spina. 

Ma  quanto  temeraria,  anco  felice, 

Che  la  tenera  pianta  alabastrina 
Punge  in  passando,  e il  sangue  fuor  n’elice, 
E vien  di  quella  porpora  di»  ina 
Ad  ingemmar  la  rima  impiagati  ice; 

Ma  coloraiulu  i fior  del  proprio  stelo. 
Scolora  i lior  della  beltà  del  cielo. 

Pallidctia  s’arresta  c dolorosa 
Que’  begli  ostri  a stagnar  col  bianco  lino, 
E Intanto  folgorar  vede  la  rosa , 

Già  di  color  di  neve,  or  di  rubino. 

Ma  per  doppia  ferita  ancor  non  posa. 
Nè  della  traccia  sua  lascia  il  cammino. 
Vinta  la  doglia  è dal  desire,  e cede 
Alla  piaga  del  cor,  quella  del  piede. 

Or  giunta  sotto  il  solitario  monte. 
Dove  raro  iiman  piè  stampò  mai  l’ormc. 
Trova  colà  sul  margine  del  fonte, 
Adonclic  In  braccio  ai  fior  s'adagia  c dor- 
Ed  or  die  già  della  serena  fronte  [me. 
Gli  ajipanna  il  sonno  le  celesti  forme, 

E tien  velato  il  gemino  splendore. 
Veracemente  egli  rassciiibra  Amore. 

Basscmbra  Amor,  qnalor  deposta  e sciol- 
La  face,  c gli  aurei  strali,  c l’arco  fido,  [la 
Stanco  di  saettar  posa  taliolia 
Su  ridalio  frondoso  o in  lal  di  Guido, 

E dentro  I mirti,  ove  tra  l’ombra  folta, 
Han  canori  augelletti  opaco  nido. 
Appoggia  il  capo  alla  faretra,  c quivi , 
Carpisce  il  sonno  al  mormorar  de’  rivi. 

Siccome  sagacissimo  scguso. 

Poiché  raggiunta  lia  pur  tra  fratta  e fratta. 
Vaga  fera  talor,  col  guardo  c il  muso, 
Esplorando  il  eo»il  fermo  s’ appiatta  j 
E in  cupa  macchia  rannicchiato  c chiuso. 
Par  die  voce  non  oda,  orclilo  non  lialta, 
Mentre  il  tacco  e la  preda,  ot’clla  sia, 
Immobilmente  insidioso  spia; 


Cosi  la  Bea  tP Amor,  poiché  soletta 
Giunge  a mirar  l’angelica  sembianza, 
Cdis  alle  gioie  amorose  il  bosco  allctta, 

E del  suo  del  le  meraviglie  avanza, 

• Resta  immobile  c fredda,  e in  su  l’erbetta. 
Di  stiipor  sopraflatla  c di  speranza  ; 

Siede  tremante,  e il  bel  che  l’innamora. 
Stupida  ammira,  e reverente  adora. 

In  alto  si  gentil  prende  riposo. 

Che  tutto  leggiadria  spira  e dolcezza; 

E il  sonno  Istesso  in  si  begli  orchi  ascoso. 
Abbandonar  non  sa  tanta  hellezza. 

Anzi  par  che  di  lor  fatto  geloso, 

DI  starsi  ivi  a diletto  abbia  vaghezza; 

E con  nido  si  bel  non  le  dispiaccia, 
Cangiar  di  Pasitea  l'amate  braccia. 

Placido  figlio  della  Notte  bruna. 

Il  .Sonno  ardca  d’amor  per  Pasitea; 

E perchè  questa  delle  Grazie  er’  una , 

L' ottenne  in  sposa  alfin  da  Citerca. 

Or,  mentre  che  dì  lor  scn  già  ciascuna 
L’erlie  scegliendo  per  lavar  la  Dea, 
Scherzando  Intorno  ignudo  spirto  alato. 
Partir  non  si  sapea  dal  vidn  prato. 

Vanno,  ove  Flora  i suoi  tappeti  stende, 
I.e  Grazie  a cor  qual  più  bel  fior  germoglia. 
Qual  dalla  spina  sua  rapisce  c prende 
La  rosa,  e qual  del  giglio  il  gambo  spoglia. 
Ouelh,  al  balsamo  ebreo  la  scorza  fende, 
Questa,  all’Indica  canna  ilcrin  disfoglia. 
Altra,  ove  suol  vibrar  lingue  di  foco, 
Ricerca  di  Cilicia  il  biondo  croco. 

Or,  il  tranquillo  Dio,  mentre  che  move 
InvisibiI  tra  lori'  ali  sue  chete. 

Posar  veggendo  il  bcH’Adon  là  dove, 
Tesson  notte  di  fronde  ombre  secrcte. 
Per  piacer  alla  figlia  alma  di  Giove, 

Gli  pone  agli  occhi  il  ramoscel  di  Lete; 
Talché  ben  potè,  oppresso  in  quella  guisa. 
Star  quanto  vuole  a contemi>larlo  assisa. 

Tanta  in  lei  gioia  d.vl  bel  viso  fiocca, 

E lal  da'  chiusi  lumi  incendio  appiglia, 
Cile  tutta  sovra  lui  pende  e trabocca. 

Di  desìr,  di  piacer,  di  meraviglia. 

E mentre  or  della  guancia,  or  della  bocca. 
Rimira  pur  la  porpora  vermiglia. 
Sospirando  un  oimè,  svelle  dal  petto. 
Che  non  è di  dolor,  ma  di  diletto. 


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43 


L’ ADONE. 


Qiul  industre  pinor,  che  intento  e fiso 
In  bel  ritratto  ad  emular  natura, 

Tutto  il  Dor,  tutto  il  boi  d’un  vago  viso, 
Celatamentr  investigando  fura  ; 

Bel  dolce  sguardo  e del  soave  riso, 
i*ria  l'ombra  ignuda  entro  il  pcnsicr  figura. 
Poi  con  la  man  discepola  dell’arte. 

Di  leggiadri  color  la  veste  In  carte  ; 

Tal  ella,  qtiasi  con  ponnel  furtivo. 
L’aria  involando  dell’oggetto  amato. 
Bave  con  occhio  cupido  e lascivo. 

Le  bellezze  del  volto  innamorato; 

Indi  dell' iddi  suo  verace  e vivo. 

Forma  l’esemplo  con  lo  strale  aurato, 

E con  lo  strai  niedesinio  d’Araore, 

Se  r Incliioda  e configge  in  mezzo  al  core. 

X piò  gli  siede,  e studia  attentamente. 
Come  la  beila  imago  in  sen  si  stampi. 

In  liilsi  specchia,  ed  all’incendio  ardente. 
Traggo  nov’ esca,  onde  più  forte  avvampi. 
Ma  delle  stelle  Ineclissate  e spente, 
Suscitali  veder  vorrebbe  1 lampi  ; 

E consumando  va  tra  lirla  e trista, 

In  quel  dolce  spettacolo  la  vista. 

Bencliò  il  favor  de’  rami  omitrosi  e densi, 
Dal  Sul  difenda  il  giovane  clic  giace. 
Tur  l’aria  impressa  di  vapori  acccnsi, 

E ripercossa  dall’estiva  face, 

E quel  die  lega  didcemente  i sensi, 

E sopisce  i ivensier,  sonno  tenace. 

Il  volto  insieme  ed  umidetto  ed  arso. 

Di  fiamme  tutto  e di  sudor  gli  bau  sparso. 

Onde  la  Dea  pietosa,  or  della  vesta 
Il  lembo,  or  un  suo  vel  candido  e lieve 
In  lui  scolendo,  a lusingar  s’appresta 
Della  fronte  c del  crin,  l’ ambra  o la  neve. 
E mentre  l’aria  tepida  c molesta 
Move  e scaccia  il  calor  noioso  c greve. 
Con  Paure  vane  a vaneggiar  intesa. 
Sfoga  in  sospir  l’Interna  fiamma  accesa. 

Aure,  0 aure,  dicea,  vaghe  e vezzose. 
Peregrine  dell’ aria,  aure  odorale. 

Voi  che  di  ipicsla  selva  infra  l’ ombrose. 
Cime  sonore  a stiiol  a sUnd  volale, 

Voi,  cui  de’  miei  sospir  Paure  amorose. 
Doppiati  forza  alle  piume,  aure  beate. 
Voi,  dalPcsIiv'o  ingiuriosa  .ardore. 

Deb  difendete  il  nostro  amato  amore. 


Cosi  di  verno  mai,  cosi  di  gelo. 

Ira  nemica  non  vi  oITcnda  o torchi; 

E quando  I monti  han  più  canuto  il  pelo. 
Dolce  dalle  voslr’ali  ambrosia  florclil; 

E securo  vi  presti  II  bosco  e il  cielo, 
Scliernio  dal  vivo  Sol  di  que’  begli  occhi  ; 
E molle  abldatc  c di  salute  piena. 
Ombra  sempre  tranquilla,  aria  serena. 

Indi  al  fiorito  o verdeggiante  prato. 
Letto  di  i vago  suo,  rivolta  dice  : 

Terreno  al  p.vr  del  ciel  sacro  c beato. 
Avventurosi  fiori, erba  felice. 

Cui  sostener  tanta  bellezza  ò dato. 

Cui  posseder  tanla  riceliez/a  lice, 

Cile  di  IP  Idolo  mio  languido  c stanco. 
Siete  guanciali  al  volto,  c piume  al  fianco; 

Sla  quel  raggio  d'Anior.chcvi  pcrcote. 
Di  Sole  invece  a vni,  fiori  ben  nati. 

Ma  che  veggio?  che  veggio?  orche  non  poto 
La  virili  de’  begli  oerhi  aiieor  serrali? 
Dal  bel  color  delle  divine  gole. 

Dal  puro  odor  di  que’  celesti  fiali. 

Vinta  la  rosa,  c vergognoso  li  giglio, 
L’una  paliida  vicn,  l’altro  vermiglio. 

Volgesi  agli  occhì.c  dice:  Un  degli  ardenti 
Vostri  lampi,  ocelli  cari,  or  mi  consoli. 
Ordii  vagli!  c leggiadri,  ocelli  lucenti. 
Ordii  de’  miei  pensieri,  c porti,  e poli, 
Ocdii  dolci  c sereni,  ocelli  ridenti. 

Occhi  de’  iiilcì  desiri,  c specdii,  c Soli, 
Fiiieslrc  dell’Aurora,  usci  del  die, 
Pussenli  arisebiarar  le  nulli  mie. 

Ocelli  ove  Amor  soslien  Io  scettro  e il  rc- 
Ov’egli  arrota  i più  pungenti  artigli,  [giio, 
Voi  .sid  potete  il  mio  battuto  Ingegno, 
Campar  dallo  tempeste  c da’  perigli , 

Non  nien  che  stanco  e travagliato  legno, 
Suglian  di  Leda  i due  lucenti  figli. 

Gii  parrai  in  voi  veder,  veggio  pur  cerio, 
Tra  due  chiuse  palpebre  un  cielo  aperto. 

Ma  perchè  non  v’aprile?c  1 dolci  ral 
Non  volgetca  costei,  clic  iimil  v’inchina? 
Aprili,  ncgliilloso,  c si  vedrai 
A qual  ventura  il  Fato  or  ti  destina. 
Rendi  ai  sensi  il  vigor,  ricbiania  ornai 
L’anima  da’  bei  membri  peregrina. 

All  non  gli  aprir,  che  chiuso  anco  II  bel  ci- 
Spira  l’ arder  del  miospictalo  figlio,  [glio. 


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MARINO. 


Sonno,  ma  tu,  s’ egli  t pur  ver  che  sei, 
Vivac\cracc  immagine  di  morte, 

Anzi  di  qualità  simile  a lei, 

Suo  germano  t’appelli,  c suo  consorte. 
Come,  come  potesti  a danni  miei. 

Entrar  del  elei  nelle  beale  porte? 

Con  che  licenza  oltre  l'usato  ardila. 
Puoi  negli  occhi  abitar  delta  mia  >ita? 

E se  sci  pur  dell’ ombre  e degli  orrori 
Oscuro  figlio  c gelido  compagno. 

Come  i cocenti  raggi,  c i chiari  ardori 
Soffri  di  quel  bel  viso,  orni' io  mi  lagno? 
Kuggi  il  riscliiu  mortai.  Semplici  cori 
Fan  tra  i vezzi  d’ Amor  scarso  guadagno. 
Vanne  vanne,  lontan , vattene  in  loco , 
Dove  tanto  non  sia  splendore  c foco. 

Ma  se  stender  vuoi  pur  le  brune  piume 
Sovra  il  novello  autor  de’  miei  tormenti. 
Deh  porgi  all’oiiibrc  tue  tanto  di  lume. 
Clic  r immagine  mia  gli  rappresenti. 

La  qual  siccome  dolce  io  mi  consume 
Gli  mostri  in  atti  supplici  e dolenti , 
Onde  nel  pigro  cor,  mentre  giac’egli 
Sonnacchioso  dormendo,  Amor  si  svegli. 

Appena  Ila  queste  note  ultime  espresse. 
Che  l’ amico  Morfeo,  che  gli  ò vicino. 
Fabbrica  d’aria  e di  vapori  iiilcsse 
Simulacro  leggiadro  e peregrino. 

Di  lai  rurme  si  veste,  c scopre  in  esse 
Di  celeste  beltà  lume  divino. 

Donna,  eh’ è tutta  luce,  c fuco  spira. 

Nel  teatro  del  sonno  Adone  ammira. 

Corona  tal,  che  altrui  la  vista  oflende, 
Cerchia  la  fronte  Incida  e serena, 

E di  gcninie  stellata  avvampa  e splende, 
E di  stelle  gemmata  arde  e balena. 

E dal  titolo  suo  ben  si  comprende. 

Che  non  6 chi  la  tien  cosa  terrena , 

Ilavvi  scritto  dintorno  in  lettre  aurate  : 
iladre  d'Amore,  e Dea  della  beliate. 

Mentre  d’alto  stupore  Adonvien manco 
Giàpargli  già  la  bella  larva  udire. 

Che  stendendo unaman  d’avorio  bianco, 
Adon, dammi  il  tnocor,gli  prendea dire. 
E fu  quasi  un  sol  punto  aprirgli  il  fianco. 
Dispiccarglielo  a forza,  e disparire. 
Sognando  il  bel  garzon,  si  dote  c geme. 
Si  che  la  vera  Dea  ne  laiiguc  insieme. 


E traendo  un  sospir  piano  e sommesso 
Tempra  il  novo  martir,  che  la  tormenta, 
E languisce  c gioisce  a un  tempo  istesso, 
Spcra,teme,arde,agghiaccia,osa  e paventa. 
La  mano,  eilsen  s’empie  di  fiori, espesso 
Sul  viso  un  nembo  al  bel  fanciul  neavventa. 
Indi  (che  lui  desta  non  vuol)  s’inchina 
Dolcemente  a baciar  1’  erba  vicina. 

Poscia  il  bel  riso  entro  le  labbra  accollo. 
Che  in  carcere  di  perle  s'imprigiona. 
Contempla  attentamente,  e del  bel  volto 
Vagheggiando  la  bocca,  a lei  ragiona  : 
Urna  di  gemme,  ov’è  il  mio  cor  sepolto, 
A te  medesma  II  mio  fallir  perdona, 

S’ io  troppoardlsco,  orche  tu  taci  e dormi, 
L’ alma,  che  mi  rapisti,  io  vo’  ritormi. 

Che  fo,  seco  dicea,  che  non  accosto 
Volto  a volto  pian  plano,  e petto  a petto? 
Vola  il  Tempo  fugace,  e seco  tosto 
Seguilo  dal  dolor,  logge  il  diletto. 

Ahi  quel  diletto,  a cui  non  vien  risposto 
Con  bei  cambio  d' amor,  non  è perfetto  ; 
Nè  con  vero  piacer  bacio  si  prende; 

Cui  l’amata  beltà  bacio  non  rende. 

Qual  dunque  tregua  attendo  a’  miei  mar- 
Sc  occasion  si  bella  oggi  Iralasso  [tiri 
Ma  se  avvien,  che  si  svegli,  e che  s’adiri» 
Dove  rivolgerò  confusa  il  passo? 
Moveranno  il  suo  cor  pianti  e sospiri. 
Purché  non  abbia  l’anima  di  sasso. 

Non  r avrà,  s’egli  è bel.  Cosi  dubbiosa 
Per  baciarlo  s’abbassa,  e poi  non  osa. 

Come  resta  il  villan,se  alle  frcsch’onde 
Quando  più  latra  in  ciel  Sirio  rabbioso 
Corre  per  bere,  e vede  in  sidle  sponde 
La  vipera  crudel  prender  riposo; 

0 come  il  caccialor,  che  fra  le  fronde 
Cerca  di  Kilumcna  II  nido  ascoso , 

E ficcando  la  man  dentro  la  cova. 

Invece dcli'augcl,  i’  aspe  vi  trova; 

Cosi  lieta  in  un  punto,  e timidetta 
Trema  costei  quanto  pur  dianzi  ardia. 
L’allligge  la  beltà,  che  la  diletta, 
li  troppo  stimolar  la  fa  resila. 

Brama  <|uel  che  roCTende,  ed  6 costretta 
Tutlavolia  a temer  quel  che  desia, 
Pentesi,  che  tant’ oltre  erri  il  desire, 

E si  pente  ancor  poi  del  suo  pentire. 


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L’ADONE. 


Tre  volte  al  lievi  e dolci  flati  appressa 
La  bocca  e il  bario,  e tre  si  arresta  e cede, 
E sprone  Insieme,  e fren  fatta  a sò  stessa 
Vuole  e disvuole,  orsi  ritragge,  orrieUe. 
Amor  die  pur  sollecitar  non  cessa. 

La  sforza  alflne  alle  soavi  prede. 

Si  che  ardisce  liliar  le  rugiadoso 
Di  celeste  licor  purpuree  rose. 

Al  suoli  del  bacio,  ond'ella  ambrosia 
L’aildormeiitato  giovane  deslossi,  [bebbe 
E poicliial(|iiaiito  insti  rinvenne, cd ebbe 
Dal  grave  sonno  i lumi  ebbri  riscossi  ; 
Tanto  aquel  v agooggetio  In  lui  si  accrebbe 
Stupor,  che  immuto  e tacito  restossi; 
Indi  da  lei,  che  all' improvviso  il  colse. 
Per  fuggir  sbigottito  il  piò  rivolse. 

Ma  la  Diva  importuna  II  tenne  a freno  ; 
Perchè,  disse,  mi  fuggi? ove  nevai? 

Mi  volgeresti  il  bel  guardo  sereno, 

Se  sapessi  di  me  ciò  che  non  sai. 

Ed  egli  allora  abbarbagliato  e pieno 
D’ Influito  diletto  a tanti  rai , 

A Unti  rai,  clic  un  si  bel  Sol  gli  offerse. 
Chiuse  le  luci,  indi  le  labbra  aperse; 

Ed  : 0 qual  tu  ti  sia , clic  a me  tl  mostri 
Tutu  amor,  tutta  grazia,  o donna,  o diva 
Diva  certo  iminortal,  da  sommi  chiostri. 
Scesa  a bear  (|uesta  selvaggia  riva , 

Se  van,  disse,  tant'  alto  i pivglii  nostri, 
Se  riverente  alTelto  il  Clel  iiou  schiva. 
Spiega  la  tua  cuiidizion,  qual  sei, 

0 fra  gli  uomini  iiau,  o fra  gli  Dei. 

Alla  madre  d'.\mnr,clic  altro  nonvole. 
Clic  aver  le  Inda  quelle  luci  alllsse, 
Parve,  che  aprendo  1’  uno  c l'altro  sole 
De'  duo  liegll  occhi , il  paradiso  aprisse. 
E le  calde  d'amor  dolci  parole. 

Che  a lei  tremando  c sospirando  disse. 

Le  furo  soavissime  c vitali 

l'iamiuc  al  cor, lacci  all'alma, al  petto  strali. 

Ma  pur  dell' esser  suo  celando  II  vero. 
Mentitrice  favella  inianto  forma  : 

Cosi  poro  conosci.  Incauto  arderò, 

Lei,  che  non  solo  il  primo  cielo  informa, 
Che  ha  nel  centro  infernal  non  solo  impero, 
Mada  cui  queste  sidve  han  leggccnorma? 
Eppur  m'imiti  e segui  a tutte  l'oro; 
Poco  mcn  che  non  dissi,  c mi  ardi  li  core. 


Io  mcn  venia,  siccome  soglio  spesso 
Quando  l'estivo  can  ferve  e sfavilla, 

In  questo  hoseo,  a meriggiar  là  presso 
In  riva  atl'onda  lucida  e traur|uilla. 

Che  una  bolla  vivente  anerta  in  esso. 

Di  cavernosa  pomice  distilla, 

E forma  un  fonticel,  che  alle  vicine 
Odorifere  erbette  imperla  II  crine. 

Quando  il  mlnpiòchcperrcslremaarsu. 
Siccome  vcdl,òd'ognl  spoglia  ignudo,  [ra. 
Con  repentina  c rigida  puntura 
Ago  trafisse  ingiinloso  c rruilo. 

E bendi’  uopo  non  sia  medica  cura 
Per  farmi  Incontro  al  duol  riparo  c scudo. 
Colsi  quest'  erbe,  il  cui  vigore  affrcua 
Il  corso  al  sangue  c può  saldar  la  vena. 

Ma  perchè  ogni  mia  Ninfa  erra  lontano. 
Echi  tratti  non  ho  I’  aspra  ferita, 
Porgimi  tu  con  la  cortese  mano 
(A  le  ricorro.  In  te  rìcovro)  aita. 

Qui  del  trafitto  piè,  del  cor  non  sano 
I.'una  piaga  nasconde  c l'altra  addita, 

E scioglie,  testimon  de’ suoi  martiri, 

Un  sospiro  diviso  in  duo  sospiri. 

Non  era  Adon  di  rozza  cole  alpina , 

Nè  di  libica  serpe  al  mondo  nato. 

Ma  quando  fosse  ancor  d’ adamantina 
Selce  c di  crudo  tosco  un  petto  armato, 
Ogni  cor  duro , ogni  anima  ferina 
Fora  da  si  bel  Sol  vinto  c sicmpralo. 

Nè  meraviglia  fia  qualor s’accosta. 

Che  arda  lìamma  vorace  esca  disposta. 

Reverenza , picladc,  amore  c tema 
Fan  nel  dubbioso  cor  fiera  contesa; 

Ma  perdiè  deve  ogni  fortuna  estrema 
Subitamenle  esser  lasciata,  o presa. 

Non  ricusa  il  favor,  ma  gela  c tema 
Mentre  s’ appresta  a sì  soave  impresa'. 

In  quel  gesto  pietoso,  cd  attrattivo 
Con  cui  ride  languendo  occhio  lascivo. 

Santo  Nume,  dieea,  cui  Cinto,  c Dclo 
Porge  voti,  offre  Incensi,  aliarl  Infiora, 
Vostra  grande  in  abisso.  In  terra  c in  ciclo 
Virtù,  chi  non  conosce  c non  adora? 
Scusale  il  cor  se  con  pcrfeiio  zelo 
Cvdcbrar  non  vi  sa,  quanto  vi  onora, 

E r ardir  della  man  prendete  In  pace. 
Che  in  si  degli'  opra  è d’ ubliidln  I audace. 


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ts  MARINO. 


Deh  qual  ventura  mal,  qual  proprio 
D' infelice  mortai  tanl’  alto  giunse  7 [merlo 
Ben  ho  da  benedir  questo  deserto, 

Che  le  fide  da  voi  serve  disgiunse, 

E quel,  per  cui  mi  è tanto  bene  offerto. 
Spinoso  stri,  che  il  bianco  piè  vi  punse  ; 
E to’ segnar  per  tante  glorie  mie 
Con  pietra  lesbla  un  si  felice  die. 

Scintillan  tante  fiamme  e tanti  raggi 
Nei  sembiantecli’ioscorgo,  altero  e bello. 
Che  dar  potriano  invidia  c fare  oltraggi 
Al  vostro  ardente  e lucido  fratello. 

Onde  non  giè  de’ boschi  aspri  e selvaggi. 
Ma  Dea  de'  cori  c degli  amor  vi  appello  ; 
f^liè  s'io  mi  affiso  in  voi,  di  veder  parmi 
Al  volto  Ciierea,  Diana  all'  armi. 

Con  questo  ragionar,  del  piè  gentile 
Si  reca  in  grembo  l’ animato  latte, 

E poscia  che  con  vel  bianco  c sottile 
N'  ha  le  gelate  stille  espresse  e tratte. 
Della  destra  vi  accosta  assai  simile. 

Quasi  in  bi  l paragon,  le  nevi  intatte. 
Disse  Amor,  che  non  era  indi  lontano, 
Non  volea  si  bel  piè  mcn  bella  mano. 

Tasta  la  cicatrice  c terge  e tocca 
Morbidamente  I sanguinosi  avori , 

E mentre  un  rio  di  nettare  vi  fiocca 
Fra  cento  erbe  salubri  c cento  odori, 
Fan  con  occliio  loquace  e muta  bocca 
Eco  amorosa  i tormentati  cori, 

Dove  invece  di  voce  il  vago  sguardo 
Quinci  c quindi  risponde,  ardi  di'  io  ardo. 

Dicea  r un  fra  suo  cor:  Deh  quali  io  miro 
Strani  prodigi  e meraviglie  nove? 

Il  elei  d'anior  dal  cristallino  giro 
Di  sanguigne  rugiade  un  nomilo  piove. 
Quando  tra  gii  alaliastri  unqiia  s’ udirò 
Nascer  cinabri  in  colai  guisa, o dove? 

Da  fonte  eburneo  uscir  rivi  vermigli. 
Dalle  nevi  coralli,  ostri  dai  gigli? 

Sangue  puroc  divin,che  a pocoapoco 
Fai  sovra  il  latte  scaturir  le  rose , 

Vorrei  da  te  .saper,  sci  sangue,  o foco, 
Che  tante  accogli  in  te  faville  ascose? 

0 non  mai  pivi  vedute  in  alcun  loco 
Cemme  mio  peregrine  c preziose; 

DI  si  nobil  miniera  usciste  forc. 

Che  ben  si  vende  a tanto  prozio  ua  core. 


E tu  candido  piede  insanguinato 
Che  di  minio  si  fino  asperso  sci , 

E ricca  pompa  fai  cosi  smaltato 
De'  tesori  d' amore  agli  occhi  miei  ; 
Quanto  più  del  mio  cor  sei  forlnnato. 
Ilei  mio  cor,  che  trafitto  è da  costei? 
l-angue  ferita  e di  ferir  pur  vaga 
Impiagato  mi  ha  il  cor  con  la  sua  piaga. 

A te  fasciato  pur  di  bianco  invoglio 
ERlracc  licer  rimedio  serba. 

Senza  fasce  ei  si  dole,  al  suo  cordòglio 
Non  giova  industria  d'arie,  ovirtù  d’erba. 
Consenta  pure  Amor,  che  s’io  mi  doglio. 
Trovi  ristoro  almen  la  doglia  acerba; 

E stringendomi  II  fianco  in  dolce  laccio. 
Se  mi  ferisce  il  piè , mi  sani  11  braccio. 

Chi  pii'i  giammai  di  me  felice  lìa, 

S'egli  avverrà,  che  questa  bella  esangue. 
Che  al  cliiudcr  della  sua  la  piaga  mia 
Apre  cosi,  che  il  cor  ne  geme  e langue , 
Di  omicida  crudcl,  medica  pia,  [gue? 
Mi  asciughi  il  pianto,  ov'io  l’asciugo  il  san- 
Sì  che  tra  noie  e gioie  e guerre  e paci 
Quante  mi  dà  ferite,  io  le  diabaci? 

Lassa , l' altra  dicea , die  dolce  pena , 
Questa  che  la  mia  piaga  annoda  e cinge  ! 
Non  è fascia,  anzi  è ceppo , anzi  è catena, 
Chomcntre  il  piè  mi  lega,  il  cor  mi  stringe. 
Questo  purpureo  umor,  die  in  larga  vena 
Di  vivace  rossor  mi  verga  e tinge  [pressa 
Ahi  ch’è  l’anima  mia, die  in  sangue es- 
Vuole  a costui  sacrificar  sè  stessa. 

Erbe  felici , che  alle  mie  ferule 
Dolor  recale  e refrigerio  insieme. 

Benché  d’alto  valor,  quella  virtule 
Cile  vive  in  voi,  non  è virtù  di  seme. 
VIen  dalla  bella  man  la  mia  salute. 

Da  quella  man,  che  vi  distilla  c pn-nic. 
Emula  de’begll  occhi  e del  bel  viso. 

Che  sanandomi  il  corpo  ha  il  core  ucciso. 

0 bella  mano,  orni'  è che  curar  v noi 
La  piaga  delmio  piè  con  tanto  affetto? 
l'orse  sol  per  poter  farmene  poi 
Mille  più  larghe  e più  profonde  ai  petto? 
Forse  è destin,  che  fuor  che  ai  colpi  tuoi 
Non  dee  corjio  celeste  esser  soggetto. 

La  palma  che  di  me  mone  non  ebbe, 

A te  sol  si  concede,  a le  si  debbo. 


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L’ADONE. 


Nache  più  tardo  a disvelar  quest’ombra, 
Che  tiene  il  mio  splendor  di  nube  cinto? 
S’or  che  le  mie  Itclleazciii  parie  adombra 
Haitica  benda,  il  mio  avversario  è vinto. 
Che  fia  quando  ogni  nebbia  in  tutto  sgoni- 
Verri  die  cedaal  v ero  oggetto  il  finto!  ^bra 
Disse  e squarciando  le  fallaci  lane 
In  propria  effigie  al  giovanetto  apparve. 

Qual  vergine  talor  semplice  e pura 
Se  avvien,  die  astuta  mano  alzi  e discopra 
Drappo,  eh' alcuna  In  sè  sacra  figura 
Effigiala  ad  arte  abbia  di  sopra, 

Ma  secreta  nasconda  altra  pittura. 

Di  lascivo  penncl  piaccvolopra. 
Tingendo  il  bel  caiidor  di  grana  fina. 
Dall’  inganno  confusa,  1 lumi  inchina. 

Tal  si  smarrisce  Adon,  quando  scoverto 
Della  Dea  gli  si  mostra  il  lume  intero; 

E tanto  più  pur  di  sognar  incerto, 

D’ alta  coofusion  colma  il  pensiero; 
Perchi  conosce  espressamente  aperto 
Del  sogno  suo  nella  vigilia  il  vero. 
Divedendo  colei,  che  poco  dianzi 
Rubatrice  del  cor,  gii  apparve  innanzi. 

Al  bel  garzon,  che  stupefatto  resta 
Veduto  il  primo  aspetto  in  aria  sciolto. 
La  liella  Dea  discopre  e manifesta 
In  un  punto  medesmo  il  core  e il  voUo. 
Benmio,  dicca,  qual  meraviglia  è questa, 
Che  tra  diibbj  peusierti  tiene  involto? 
Quel  traveder,  die  li  fa  star  dubbioso, 
Fu  di  mia  Delti  scherzo  amoroso. 

Or  non  pi  ù m i nasco  ndo.  Io  m i son  quella , 
Per  cui  d’ amore  il  terzo  dei  s’  accende. 
Quella  son  io,  la  cui  lucente  stella 
Innanzi  al  Sole,  emula  al  Sul  rispicnde. 
Taccio,  che  dal  mio  bel  (|ualuiiquc  bella 
Bella  è detta  quaggiù,  bellezza  prende; 
Taccio,  clic  figlia  son  del  sommo  Padre, 
Dirò  sol  ch’amo  e che  d’^Vmor  son  madre. 

Quando  ben  fosse  a tua  notizia  ignoto 
Quel  che  t' abbaglia  insolito  splendore. 
Qual  ò clima  si  inospito  e remoto , 

Alma  qual  0,  che  non  conosca  Amore? 
Che  se  pur  poco  agli. altri  sensi  t nolo, 
Halgrailo  suo,  ne  ha  conoscenza  il  core. 
Se  tl  piace  d’ Amor  dunque  il  piacere. 
Dimmi  U tuo  stato  e dammi  11  tuo  volete. 


Si  disse  e Pito  11  persuase  e vinsq,. 
Ch’entro  le  labbra  della  Dea  si  ascose. 
Pito  ministra  sua  d’ambrosia  intinse 
Quelle  faconde  ed  animate  rose. 

Pilo  in  leggiadri  articoli  distinse 
Le  note  accorte  e il  liel  parlar  compose. 
Pito  dalla  dolcissima  favella 
Sparse  catene  ed  avvento  quadrelli. 

Fosse  la  gran  soavi  tl  di  queste 
Voci,  ebe  il  glovciiil  petto  percosse, 

0 del  bel  cinto,  ond’ella  il  fianco  veste 
Pur  la  virtù  miracolosa  fosse  ; 

Dal  dolce  suon  del  ragionar  celeste 
liivagbiiuUfanciiil lutto  si  mosse;  [sanza, 
Ma  quel  ebe  in  lui  più  eh’  altro  ebbepo» 
Fu  la  divina  oltramortal  sembianza. 

Un  diadema  Ciprigna  avea  gemmante , 
Gemme  possenti  a concitare  amore. 

V’era  la  pietra  illustre  c folgorante, 

Cb'  Ita  dalla  Luna  il  nome  e lo  splendore. 
La  calamita,  cb’  è dei  ferro  amante, 

E in  giacinto,  che  a Cinzio accese  licore; 

Ma  la  virtù  de’  lucidi  gioielli 

Fa  nulla  appo  l’ ardor  degli  occhi  bellL 

La  destra  ella  gli  stese  c il  vago  lino 
Scorcio,  clic  nascondea  la  neve  pura. 
Onde  implicalo  in  un  ccrcliictto  fino. 
Che  con  mista  di  gemme  aurea  scultura 
Ficea  maniglia  al  gomito  divino 
Rigido  di  barbarica  ornatura, 

(Fosse  arte  ocaso]  delicato  e bianco 
Fece  il  fuso  veder  del  braccio  manco. 

Tcnea,  com’  io  dicea,  le  membra  belle 
Appannate  d’  un  voi  candido  c netto, 

E qual  d’Adria  veggiam  donne  e donzelle 
Infili  sotto  le  poppe  ignudo  il  petto. 

Fc’  vista  allor  tra  il  seno  c le  mammelle 
Voler  gruppo  annodar  non  ben  risirello 
E più  leggiadra  c più  secreta  parte 
Fingendo  di  coprir,  scoverse  ad  arte. 

Mentre  languii l’ innamorala  Dea, 
Adon  cun  fise  ciglia  in  lei  rivolto. 

Tutto  rapito  a contemplar  gudea 
Le  meraviglie  del  celeste  volto, 

E quivi  in  vista  attonito scorgea 
Il  bel  del  bello  in  breve  spazia  accolto. 
Fra  1 detti  intanto  e fra  gli  sguardi  amore 
Gli  entrùper  gli  occhi  eperl’orccchiealcore. 


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48  MARINO. 


Nell'  udir,  nel  mirar  s' accese  ed  arse 
DI  non  sentite  ancor  fianiine  novelle, 

E del  foco  del  cor  l’ incendio  sparse 
Su  per  le  guance  delic.ile  e belle. 

Inchinò  a tei  ra  onesiainentc  scarse 
Vergognosetto  le  ridenti  stelle. 

Poi  verso  lei  con  tm  sos)>ir  le  volse, 

AIfln  lo  spirto  in  queste  voci  sciolse  : 

O Dea  cortese,  o s’ altro  i pur  fra  noi 
TUol , eh’ a maestà  tanta  convegna, 

Qual  può  mai  cosa  olTrir  vii  servo  a voi , 
La  cui  pietà  di  coiai  grazia  il  degna  7 
Lo  scettro  no,  poicliò  ne’  regni  suol 
Povero  diredato  or  più  non  regna. 

La  vita  no , che  da  voi  Dei  fatali 
Il  vivere  e il  morir  pende  a’  mortali. 

Voi  siete  tal , eh’  altri  non  può  mirarvi. 
Che  mirando  d' amor  non  se  n’accenda, 
Ma  non  può  alcuno  accendersi  ad  amarvi. 
Che  amando  non  vi  oltraggi  e non  vi  olTen- 
Oflesa  vi  è servirvi  ed  adorarvi , [da. 
VI  oltraggia  uoni  vii,  che  emani’  alto  inten- 
Perchò  con  quel  ch'ogni  misura  passa,  [da, 
Proporzion  non  ha  scala  si  bassa. 

Non  dee  tanto  avanzarsi  umano  ardire. 
Che  presuma  d'  amar  bellezza  eterna, 
Ma  curvar  le  ginocchia  e rcvcrire 
Con  devotg  umiltà  chi  il  del  governa. 

È ben  ver,  che  qualora  entra  in  desirc 
D’Inferior  natura  alma  superna. 

Quella  bontà , quella  virtù  sublime 
Nell’amato  soggetto  il  merlo  imprime. 

Quel  merlo  eh’ esser  suol  d’ amor  cagto- 
In  noi  mortali  è in  voi  relesti  cfTetto,  [ne 
Sicché  quando  alcun  Dio  d’amar  dispone 
Uom  terreno  e caduco,  il  fa  perfetto; 
Che  bencliò  diseguale  sia  1’  unione, 

L’un  dell' altro  però  sgombra  il  difetto; 
E d’ogni  indignità  purgando  il  vile, 

Qò  che  è per  se  villan,  rende  gentile. 

Amor  di  voi  m’ Innamorò  per  fama 
Pria  che  a veder  vostra  beltà  giungessi, 
E da  lungo  vi  amai  non  men  che  si  ama 
Oggetto  bel,  eli’ ingonla  vista  appressi. 
Or  che  quanto  il  mio  cor  sospira  c brama 
Son  condotto  a mirar  con  gli  occhi  istessl, 
E ch’olire  il  rimirarvi,  altro  mi  è dato, 
Vo’  conlcniatido  voi , far  me  bealo. 


Quanto  darvi  mi  lice  e quanto  è mio 
Vi  sacro  c dell’  ardir  chiedo  perdono. 

Se  degno  son  di  voi,  vostro  son  io, 

E se  il  cor  vi  Ila  In  grado , il  cor  vi  dono. 
Se  mendica  è la  man , ricco  è il  desio , 
Siete  donna  di  me  più  eh’  io  non  sono. 

Nè  fuor  che  l’anior  vostro,  amar  potrei, 
Nè  potendo  voler,  poter  vorrei. 

Il  mio  volere  al  voler  vostro  è presto 
Tanto , che  quasi  in  me  ntiUa  n’  avanza. 
Lo  stato  mio,  se  a tutti  è manifesto. 
Come  a voi  di  celarlo  avrei  baldanza? 
Mirra,  dirollo , Il  cui  nefando  Incesto 
I.a  vergogna  ritmnva  alla  membranza. 

Fu  la  tuia  genitrice  c da  colui. 

Che  generolla , generato  io  fui. 

Ed  or  selvaggio  rarciator  ramingo, 
Sagittario  di  damme  e di  cervette. 

L’arco permio  trastulloincoccocslringo. 
Ed  impenno  la  fuga  alle  saette. 

Felice  error,  die  per  l' orror  solingo 
Di  quest’  omlvre  beate  e benedette 
Fuor  di  via  mi  tirò,  nè  ciò  mi  dote. 
Poiché  perdo  una  fera  c trovo  un  Sole. 

Ne'bei  vostri  occhi,  per  cui  vivo  e moro, 
L’ anima  ornai  depositar  mi  piace; 

Ha  perchè  11  cor  sarriliralo  in  loro 
Già  sento  già,  che  in  vivo  ardor  sì  sface, 
E perchè  a quella  bocca,  ov’è  il  tesoro 
D’Ainor,  non  è d’avvicinarsi  audace; 
Ecco  con  rpiesto  bacio,  ancovcliè  indegno, 
A te  candida  matio , io  la  consegno. 

Ed  ella  allor  ; Clic  tu  ti  sia,  mia  vita , 
Esperto  arcicr,  saettatore  accorto. 

Altra  prova  non  vo’,  che  la  ferita. 

Che  in  mezzo  al  petto  Immedicahii  porlo. 
Ma  d' aver  tal  beltà  mai  partorita 
Mirra,  credilo  a me,  sì  vanta  a torto , 
Perchè  fra  rombre  il  Sol  non  si  produce. 
Nè  può  la  notte  generar  la  luce. 

Ella  il  padre  ingannò  di  notte  oscura, 
E tu  porli  negli  ordii  iin  di  sereno. 

Ella  di  scorza  alpestra  il  corpo  indura , 

E tu  più  die  di  latte,  hai  molle  il  seno. 
Ella  amara  e spiacente  è per  natura , 

E tu  sei  tutto  di  dolcezza  pieno. 

Ella  distilla  lagritnnsi  timori, 

E tu  fai  lagrimar  l’ anime  c i cori. 


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L’ADONE. 


Sol  quello  Iim-I  tue  rapaci  e ladre, 

Cbe  iat dando  da’  polii  i cori  vanno. 

Parto  furtivo  di  furtiva  madre 
’T  accuaao  nato  e con  furtivo  inganno. 

Or  se  membra  si  belle  e sì  leggiadre 
Fur  concotte  di  furto  e furar  sanno. 

Non  ti  maravigliar,  se  voglio  anch’io. 

Che  chi  mi  fura  il  cor,  sia  furto  mio. 

N'on  pur  gli  occhi  c le  mani  a tuo  talento, 
La  bocca  e il  sen  li  è posseder  concesso , 
Ma  ti  apro  il  proprio  lianco  e ti  presento 
In  cambio  tl^luocore,il  core  istesso.  [io, 
Vedrai, che  quell’  amor,  che  al  core  ioscn- 
Ti  ha  sculto  no , ma  irasrormato  in  esso. 
Che  sei  de'  miei  pensieri  unico  oggetto, 

E che  altro  cor  che  te  non  ho  nel  petto. 

Con  tal  lusinghe  il  lusinghiero  amante 
La  lusinghiera  Dea  lusinga  c prega. 

Elia  arditetta  poi  la  man  tremante 
Gli  stende  al  collo  e dolcemente  il  lega. 
Qui , mentre  Amor  superbo  e trionfante  , 
L’amoroso  vessillo  in  allo  spiega, 

Strette  a groppi  di  braccia  ambe  le  salme, 
Ammutiscon  le  lingue  e parlati  l' alme. 

Dolce  de’  baci  11  fremito  rimbomba , 

K furandone  parte  Imido  vento , 

Dogli  assalti  d' Amor  sonora  tromba, 

Per  la  selva  ne  mormora  il  concento  ; 

A cui  la  tortorclla  e la  colomba 
Rispondon  pur  con  cento  baci  e cento. 
Amor  de’  fbrti  lor  dal  vìciii  S|ieco 
Occulto  speltator,  sorrise  seco. 

Fu  cosi  stretto  II  nodo,  onde  si  avvinse 
L’avventurosa  coppia,  e si  tenace. 

Che  non  più  forte  vite  olmo  mai  strinse, 
Smilace  spina , o quercia  edra  seguace. 
Vaga  nube  d’ argento  ambo  ricinse. 
Quivi  gli  scorse  e chiuse  Amor  sagace, 
La  cui  perfidia  vendicando  l' onta 
l'«n  mille  piaghe  una  sferzata  sconta. 

La  bella  Dea,  che  insanguinò  la  rosa, 
Benché  trafitta  il  sen  di  colpo  acerbo , 
Contro  il  figliuol  non  si  mostrò  sdegnosa 
Per  non  farlo  più  crudo  e più  superbo. 
Ma  premchdo  nel  cor  la  piaga  ascosa , 

Si  morse  II  dito  e disse  : lo  te  la  serbo. 
Per  questa  volta  con  l’ altrui  cordoglio 
Tanta  mia  gioia  Intorbidar  non  voglio. 


Poi  le  luci  girando  al  vicin  colle , 
Dov'era  il  ces|H>,  che  il  bel  piè  trafisse, 
Fermossi  alquanto  a rimirarlo  e volle 
Il  suo  fior  salutar  pria  che  partisse; 

K vedutolo  ancor  stillante  emolle 
Quivi  porporeggiar,  cosi  gli  disse  : 

Sah  ili  il  del  da  tutti  oltraggi  e danni , 
Fatai  caglotrdc’  miei  felici  affanni. 

Rosa  riso  d’ Amor,  del  Cicl  fattura , 
Rosa  del  sangue  mio  fatta  vermiglia. 
Pregio  del  Mondo  e fregio  di  Natura, 
Della  Terra  e del  Sol  vergine  figlia , 
D'ogni  .Ninfa  e pastor  delizia  e cura, 

Onor  deU’odorìfera  famiglia; 

Tu  tien  d’ogni  beltà  le  palme  prime, 
Sovra  II  vulgo  de’  fior  ^nna  sublime. 

Quasi  in  bel  trono  Imperatrice  altera 
Siedi  colà  su  la  nativa  sponda. 

Turba  d' aure  v czzosa  e lusinghiera 
Ti  corteggia  dintorno  e ti  feconda; 

E di  guardie  pungenti  armata  schiera 
Ti  difende  per  tutto  e ti  circonda. 

E tu  fastosa  del  tuo  regio  vanto 
Porti  d’ or  la  corona  e d’ ostro  il  manto. 

Porpora  de’  giardin,  pompa  de’  prati, 
Gemma  di  primavera , occhio  d’ aprile , 
Di  te  le  Grazie  e gli  Amoretti  alati 
Fan  ghirl.vnda  alla  chioma , al  sen  monile. 
Tu  qualor  torna  agli  alimenti  usati 
Ape  leggiadra,  o Zeflìro  gentile. 

Dai  lor  da  bere  in  lazza  di  rubini 
Rugiadosi  licori  e cristallini. 

Non  superbisca  ambizioso  il  Sole 
Dì  trionfar  fra  le  minori  stelle , 

Che  ancor  tu  fra  i ligustri  c le  viole 
Scopri  le  pompe  tue  superbe  e belle. 

Tu  sei  con  lue  bellezze  uniche  e sole 
Splendor  di  queste  piagge,  egli  di  quelle. 
Egli  nel  cerchio  suo,  tu  nel  tuo  stelo. 
Tu  Soie  in  terra,  ed  egli  rosa  in  cielo. 

E ben  saran  tra  voi  conformi  voglie , 
Di  te  Ila  il  Sole  e tu  del  Sole  amante, 

Ei  deir  insegne  tue , delle  tue  spoglie 
L Aurora  vestirà  nel  suo  levante. 

Tu  spiegherai  ne’  crini  e nelle  foglie 
La  sua  livrea  dorala  e fiammeggiante, 

E per  ritrarlo  ed  imitarlo  appieno , 
Porterai  sempre  un  piccol  Sole  in  seno. 
• l 


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MARINO. 


SO 

E perchè  a me  d’ nn  tal  scr\lKÌo  ancora 
Qualche  grata  mercè  render  s' aspetta , 
Tu  sarai  sol  tra  quanti  Tiorl  ha  Flora 
I.a  favorita  mia , la  mia  diletla. 

E qual  donna  più  bella  il  Mondo  onora 

10  to',  che  tanto  sol  bella  sia  detta , 
Quanto  omcrè  del  tuo  color  vitace 
E le  gole  e le  labirra.  E qui  si  tace. 

Il  palagio  d’ An\or  ricco  e pomposo 
Da  quel  bosco  lontan  non  era  guari , 

Ma  di  ciò  che  tenea  nel  grembo  ascoso 
Degni  giammai  non  fece  occhi  viilgari. 
Non  molto  andar,  che  di  fin  or  squamoso 
VIder  lampi  vibrar  fulgidi  e chiari 
filetto,  onde  facea  mirabilmente 
L’ edilizio  sublime'  ombra  lucente. 

Quella  casa  magnifica,  che  raro 
All’ alimi  visla  I suoi  secreti  aperse. 

Al  novo  comparir  d'  oste  si  caro 
Quanto  di  bello  avea , lutto  gli  oOTerse; 
E non  sol  di  quel  loco  illustre  e chiaro 
La  gloria  incomparabile  scoperse. 

Ma  TattulTò  nel  pelago  profondo 
Di  quante  ha  gioie  e meraviglie  il  Mondo. 

Nella  torre  primiera  a destra  inano 
Entrando  il  Ijell’ Adon  le  piante  mosse, 

E si  trovò  dentro  un  cortile  eslrano, 

11  più  ricco , il  più  bel,  che  Kiammai  fosse. 
Quadro  è il  cortile,  e spazioso  e piano. 
Ed  ha  di  pietre  il  suol  candide  e rosse. 
Par  che  il  palese  un  tavoiicrsoiiugll  [gli, 
Scaccheggiaio  a quartier  bianchi  c vcrnii- 

Torreggiantc  nel  mezzo  ampia  c sublime 
Sorge  lumaca,  onde  si  scende  e poggia. 
Quatlr’archiclicescon  fuor  delle  succimc 
Fanno  una  croce  clic  ai  balcon  s'appoggia, 
A cui  congiunte  senio  stanze  prime. 
Onde  scorrer  si  può  di  lo  ggia  in  loggia. 
SI  clic  una  scala  abbraccia  c signoreggia 
Per  quattro  corridoi  tutta  la  reggia. 

Ne'quattro  quarti  iniorno.onde  ilcortl- 
Dalla  croce  diviso  si  coniparte,  [le 
Havvi  intagliate  da  scalpcl  fabbrile 
Quattro  illustri  fontane,  ima  per  parte, 
DI  lavor  si  stupendo  c si  sottile. 

Clic  ben  si  scorge  die  dii  ina  è l'arte. 

Due  d'alabastro  c d'agata  scolpite  , 
l'uà  di  ccriii(d.i,  1111.1  d' olile. 


Nettuno  è in  una , In  alto  cingiate 
Di  ferir  col  tridente  un  scoglio  alpino, 

E ne  fa  sraturir  per  ogni  lato 
Fiume  d’acqua  lucente  e cristallino. 

Sta  sovra  un  nicchio  da  Delfin  tiralo  , 
Voniita  ancor  cristallo  ogni  Delfino. 
Quattro  Tritoni  iniorno  in  mille  rivi 
Yersan  per  le  lor  trombe  argenti  vivi. 

Nell’altra  entro  una  pila  incisi  e scolli, 
Cile  a colonnetta  piccola  fa  tetto, 

Stan  tergo  a tergo  l'un  l'altro  rivolti 
Diramo  e Tisbe  con  la  spada  al  petto; 

E spruzzan  fuor  molti  ruscelli  e molti 
Per  la  piaga  mortai  di  vino  schietto  , 
Onde  viene  a cader  per  doppia  canna 
Dentro  il  vaso  maggior  piirpiira  manna. 

Tien  l'altra  fonie  in  una  conca  tondi 
Seno  a seno  congiunto  c bocca  a bocca 
Ermifrodilo in  su  la  fresca  sponda. 

Che  U bella  Salniacc  abbraccia  e tocca; 
Ed  a questa , ed  a quello  in  guisa  d’onda 
Dalle  membra  e da’  crini  ambrosia  fiocca; 
E su  I lor  capi  una  grand'  urna  piena 
Piove  nettare  puro  in  larga  vena. 

La  quarta  esprime  Amor,  clic  sovra  un 
Quasi  dormendo,  si  riposa  in  pace,  [sasso 
Le  Grazie  .solto  lui  stan  più  da  basso. 
Come  per  custodir  l'arco  e la  face. 
Sparge  balsamo  fuor  per  lo  turcasso 
L’orbo  faiicltil,  che  sonnacchioso  giace; 
E r amorose  sue  vaghe  donzelle 
Slillan  l' istesso  umor  per  le  mammelle. 

Per  l’alloggio  d’Aclon  ira  quelle  mura 
Va  in  volta  la  sollecita  famiglia; 

Ma  mentre  che  la  Dea  miiiiila  cura 
Degli  alfari  domestici  si  piglia, 

Col  figlio  a rlsgiiardar  I'  alla  slriiltura 
111  disparte  11  garzon  tratl'ien  le  ciglia; 

F.  chi  sia  della  fabbrica,  clic  vede, 

11  posscssor,  r abitator  gli  chiede. 

Questo  [con  un  sospiro  Amor  risponde) 
Clic  cotante  in  sò  chiude  oprcfublimi, 

E il  mio  diletto  albergo,  cd  ho  ben  donde 
Pregiarlo  si , che  sovra  il  elei  lo  stilili. 
Qui  gii  le  dolci  mie  piaghe  profonde  , 
Qui,  lasso.  Incominciar  gl’inccndj  primi. 
Qui  per  colei , clic  preso  ancor  mi  tiene , 
Fu  il  principio  fatai  delle  mie  pene. 


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61 


L’ADONE. 


Non  creder  tu , che  libera  sen  vada 
Dalle  forze  amorose  alma  divina, 

Cbe  a bramar  quel  piacer,  clic  tanto  a^gra- 
Forte  dcsir  naturalinentc  Inclina,  [da, 
Cbè  a questa  legge  sottogiaccia  e cada 
Anco  il  Re  de’  celesti , il  CicI  destina. 

Ed  io,  pur  io,  dalla  cui  mano  istcssa 
Piove  gioia  e dolor,  passai  per  essa. 

Non  restai  di  IaDguir,'perch'  io  possegga 
La  face  eterna,  iusupcrabil  Dio, 

E tratti  l'arco  onnipotente,  c regga 
Cli  elementi , e io  stelle  a voler  mio. 


E se  mi  ascolterai,  vo'  che  tu  vegga. 
Clic  fui  dal  proprio  stral  ferito  anch'io, 
E che  dei  proprio  foco  acceso  il  coro 
Eàl  arse  e pianse  innamorato  Amore. 

0<»1  i'arcier,  die  di  Ciprigna  nacque. 
Venia  di  Mirra  al  bel  Ugliuol  parlando; 

E perchè  assai  d' udirlo  ei  si  compiacqiM , 
Alle  sue  note  attenzion  mostrando. 

Il  dir  riprese  e poiché  alquanto  tacque. 
Non  però  gii  di  passeggiar  lasciando. 
Nel  grazioso  Adon  gli  occhi  converse, 

E in  più  lungo  parlar  le  labbra  aperse. 


CINTO  QUARTO. 

LA  NOVELLETTA. 


ALLEGORIA. 


\ 


La  favola  di  Psiche  rappresenta  lo  stalo  dell'  uomo.  La  diti  dove  nasce  dinota 
il  Mondo.  Il  re  e la  reina  che  la  generano,  slgnificana  Iddio  c la  Materia.  Questi 
hanno  tre  figliuole,  cioè  la  Carne,  la  l.iherli  dell' arbitrio  c l'Anima;  la  qual  uon 
per  altro  si  finge  per  giovane,  se  non  perchè  vi  si  infonde  dentro  dopo  I'  organl/za- 
mento  del  corpo.  Descrivesi  anche  più  bella,  perciocché  è più  nobile  della  Carne, 
e superiore  alla  Liberti.  Per  Venere,  che  le  porta  invidia,  s' Intende  la  Libidine. 
Costei  le  manda  Cnpidine,  cioè  la  Ciipidit.’i,  la  quale  ama  essa  Anima  e si  congiiinge. 
a lei,  persuadendola  a non  voler  mirar  la  sua  faccia , cioè  a non  volere  attenersi  ai 
diletti  della  Concupiscenza,  nè  consentire  agl'  incitamenti  delle  sorelle  Carne  e Li- 
berti. Ma  ella  a loro  instigazinne  entra  in  cm  iositi  di  vederlo  e discopre  la  lucerna 
nascosta,  cioè  a dire  palesa  la  fiamma  del  desiderio  celata  nel  petto  La  lucerna,  che 
sfavillando  cuoce  Amore,  dimostra  l' ardore  della  Concupiscibile,  die  lascia  sempre 
stampata  nella  carne  la  macchia  del  peccato.  Psiche  agitala  dalla  Fortuna  per  diversi 
pericoli  e dopo  molle  faiiehe  e persecuzioni  copulata  ad  Amore,  è tipo  della  Istcssa 
Anima,  cbe  per  mezzo  di  molti  travagli  arriva  finalmente  al  godimento  perfetto. 


sneouesTO. 

Giunto  all'  alhcrgn  de'  vezzosi  inganni 

Il  bell’Atlon  laddove  Amor  s'annida,  ^ 

Gli  conta  Amor,  che  lo  conduce  c guida, 

Le  fui  lune  di  psiche  e i propri  affanni. 


È di  dura  battaglia  aspro  conflitto 
Questa  che  vila  ita  nome,  umana  morte. 
Dove  ognor  l' uom  con  mille  mali  afllillo 
Vlen  combqllnto  da  nemica  sode. 

Ma  fra  l'iogliprie.efra  i contrasti  invitto 
Non  perA^sbtenlliscc  animo  forte. 

Anzi  contro  ogni  assalto  iniquo  e crudo 
S' arma  e difende,  e sua  virtù  gli  è scudo. 


Taior  ne  tocca  la  patema  verga,  * 
Ma  il  suo  giusto  rigor  non  è crudele  ; 
Anzi  perchè  la  polvere  disperga 
N'c  scote  1 panni  e porla  in  dma  li  mele. 
Non  disperi  mai  si,  che  si  sommerga 
Clii  per  quest'  Ocean  spiega  le  vele, 

Ma  do’  llntll  c de’  venti  .il  fiero  orgoglio 
Faccia  un’  alta  costanz.v  aner  r.i  e vceglio, 


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MARINO. 


52 

Sembra  il  flagri,  che  correggendo  avvisa 
Anima  neghittosa,  amaro  In  vista, 

Ma  di  salubre  pur  ralice  in  guisa  [sta. 
La  purga  e giova  altrui,  nienire  che  attri- 
Yite  dal  potator  tronca  e recisa 
Fecondità  dalle  sue  piaghe  acquista. 
Statua  dallo  scalpcl  punta  e ferita 
Me  diventa  più  bella  c più  polita. 

Selcechc  auree  scintille  in  seno  asconde. 
Il  lor  chiuso  splendor  mostrar  non  potè. 
Se  dall’  interne  sue  vene  profonde 
Non  le  traggo  il  focii  che  la  perrotc. 
Corda  sonora  a dotta  man  risponde 
Con  arguta  armonia  di  dolci  note, 

E il  vantaggio  che  trae  dì  tal  offesa. 
Quanto  battuta  C più,  viepiù  palesa. 

Rotta  la  conca  da  mordace  dente. 

La  porpora  reai  si  manifesta. 

Me  del  gran,  nò  del  vin  si  gusta  o sente 
L'eccellenza  e il  valor,  se  non  si  pesta. 
Stuzzicato  carbon  vien  più  cocente. 
Soffiata  fiamma  più  si  accende  e desta. 
Palla  a terra  sospinta  al  cici  s' inalza, 

E sferzato  paleo  più  forte  sbalza. 

La  fatica  c il  travaglio  è paragone, 
Dove  provarsi  suol  nostra  finezza; 

Kè  senz’  affanno  e diiol , premj  e corone 
Può  dì  gloria  ottener  vera  fortezza. 

Dell’ amica  d’ Amor  tei  mostri  Adone 
La  tribolala  e misera  bellezza. 

Or  di'  egli  i tanti  suoi  strani  accidenti 
Ti  prende  a raccontar  con  tali  accenti. 

In  rcal  patria  e di  parenti  regi 
Macquer  tre  figlie  d'ogni  grazia  oniatc. 
Matura  le  arricchì  di  quanti  pregi 
Possa  in  un  corpo  accumular  beltate. 

Ma  versò  de’  suoi  doni  e de’  suoi  fregi 
Copia  maggior  nella  minore  ctatc, 
Perocchi  la  più  giovane  sorella 
Era  dell’ al  tre  due  troppo  più  bella. 

Le  prime  due  quantunque  accolta  in  esse 
Fvssc  d’alte  bellezze,  immensa  dote, 

Tai  non  eran  però  che  non  potesse 
Umana  lingua  esprimerla  con  note. 

Ma  l’ultima  di  loro  a cui  concesse 
Quanto  di  bello  II  Cie|  conceder  potè, 
Tanto  d’ogni  beltà  passava  i modi. 

Che  era  in  tutto  maggior  del  l’altrui  lodi. 


Per  alpestri  senticr  stampando  l’ orme 
Mazioni  peregrine  e genti  estrane. 

Per  veder  se  era  al  grido  il  ver  conforme, 
VI  concorreano  da  region  lontane, 

E giunte  a contemplar  si  belle  forme 
Dico  quel  fior  delle  liellczze  umane. 

Si  confessavan  poi  tutti  costoro 
Obbligati  per  sempre  agli  ocelli  loro. 

Dal  desir  mossi  e dalla  fama  tratti 
Or  quinci , or  quindi  artefici  e pittori , 
Per  fabbricarne  poi  statue  e ritratti 
Yeniano  e con  scalpelli  c con  colori. 

E sospesi  in  mirarla  e stupefatti , 
Immobili  non  men  de’ lor  lavori. 

Dall’  attonita  mano  e questi  e quelli 
Si  lasciavan  cader  ferri  e pennelli. 

Quel  di  vin  raggio  di  celeste  Iiime[strutto 
Che  avrebbe  il  ghiaccio  stesso  arso  e di- 
Risplendea  si,  che  qual  terrestre  Nume 
Adorala  era  ornai  dal  popol  lutto; 

Il  qual  della  gran  Dea,  che  dalle  spume 
Prodotta  fu  del  rugiadoso  flutto , 

Tutti  gli  onor,  tutte  le  glorie  antiche 
Pubblicamente  attribuiva  a Psiche. 

Si  di  Psiclie  la  fama  Intorno  spase 
(Tal  era  il  nome  suo  ) celebre  il  grido , 
Clic  questa  opinion  si  persuase 
Di  gente  in  gente  in  ogni  estremo  lido. 
Pafo  d'  abiialur  vota  riinasc. 

Restò  Citerà  abbandonata  c Guido  ; 
Nessun  più  vi  recava  ostia,  nè  voto 
Orator  fido , o passeggicr  devote. 

Manca  II  concorso  al  frequentati  altari. 
Mancane  i doni  alla  gian  Diva  offerti; 
Non  più  di  fiamme  d’or,  lucenti  e chiari. 
Ma  son  di  fredde  ceneri  coverti. 

Da' simulacri  venerati  e cari 
Ornai  non  pendoli  più  corone,  o serti. 
Lasciando  d’ onorar  più  C.iterca , 
Sacrifica  ciascuno  a questa  Dea. 

Crede  ciascun , che  stupido  s' affisa 
Di  que' begli  occhi  ai  luminosi  rai. 

Novo  germe  di  stelle  in  nova  guisa 
Veder,  non  piò  quaggiù  veduto  mai  ; 

E dalla  terra  e non  dal  tiiar  s' avvisa 
Esser  più  degna  e più  gentile  assai 
Pullulala  altra  Venere  novella. 

Casta  però , modesta  e verginella. 


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L' ADONE.  SJ 


La  Tara  Dea  d'amor,  che  dal  del  mira 
Cotanto  insolentir  lioniia  morule, 

E Tede  pur,  che  inilegnamente  aspira 
A dKin  culto  una  bcllez/a  frale; 
ImpaziriUc  a sostener  più  l'ira , 

Dessi  in  preda  ai  furori  in  guisa  tale, 
Che  crollando  la  fronte  e il  dito  insieme, 
Questi  accenti  fra  sù  mormora  e freme  : 

Or  ecco  li  cM  da'  confusi  abissi 
L’ universo  costrusse  e il  del  compose; 
Per  cui  distinto  in  bella  serie  aprissi 
L’antico  sennnario  delle  cose; 

Colei,  che  accende  i lumi  et  ranti  e i fissi, 
E ne  fa  sfavillar  Qainnie  amorose  ; 

Di  quanto  è nato  e quanto  pria  non  era 
La  madre  prima  e la  tiulrice  vera. 

Con  la  mia  detti  dunque  concorre 
Un  corpo  edificato  d’elenicnli? 

SolTriró,  che  ogni  tanto  a me  di  torce 
Creatura  calittra  ardisca  e tenti? 

Che  sovra  l' are  sue  vittime  a porre 
Sprezzando  i tetnpj  miei,  vadati  le  genti? 
Che  il  sacro  nome  mio  con  liti  insani 
In  soggetto  mortale  or  si  profani? 

SI  si  solTriam,  che  con  oltraggio  indegno 
Nostra  cnnipagna  pur  cosici  si  dica  ; 

Che  comune  tibltia  meco  il  Nume  e il  regno 
Lamia  vicaria  in  terra,  anzi  neinica. 
Ancor  di  più  dissitnnliain  lo  sdegno. 
Che  slam  dette  io  lasciva,  ella  pudica  ; 
Ond'ioceda  in  tal  pugna  c far  non  basti, 
Cile  non  mi  v inca  ancor,  non  clic  con  ti  asti. 

Dell  che  mi  vai.  già  figlia  al  gran  T onante. 
Posseder  d’ogni  onor  le  glorie  prime? 

E poter  della  via  bianca  c stellanlo 
A mio  senno  varcar  I'  eccelse  cime?  [lo 
Qual  prò  che  ogni  al'  roDio  m'assorga  av  aii- 
Comc  a Dea  Ira  le  Dee  la  più  sublime? 

E che  quantunque  il  Sol  vede  e cammina 
Mi  conosca  e confessi  alla  regina? 

I.assa,  son  purculci,  che  ottonili  in  Ida 
Titolo  di  beltà  sovra  le  belle, 

E il  litigato  d'or  pomo  omicida 
Trionfando  portai  meco  alle  stelle; 

Clic  fu  principio  a cosi  lunghe  strida; 

Ed  esca  deirargoliche  flammcllc; 

Onde  sorser  tant'armi  c tanti  sdegni, 
Per  cui  già  d’Asia  incenerirò  i regni. 


Ed  or  fia  ver,  che  in  temeraria  impresa 
La  palma  una  vii  femmina  mi  tolga  7 
Attenderò,  che  fino  in  cielo  ascesa 
L'orbe  mio,  la  mia  stella  aggiri  e volga? 
All  di  divina  macsiade  ofiTesa 
Giusto  fia  ben,  che  ornai  si  penta  e dolga. 
Gilè r ingiuria  in  colui  che  lempoa-speUi, 
Cresce  coldilTerir  della  vcndetla. 

Quai  qual  si  sia  l' usurpatrice  ardila 
Del  grado  allier,  di  si  sublime  altezza. 
Non  molto  gioii à,  noti  impunita 
N'  andrà  lunga  stagion  disua  sciocchezza. 
Vo’  che  s’ accorga , alfin  tardi  pentita , 
Che  dannosa  le  fu  tanta  bellezza. 

Stolta  dell' alte  Dive  emula  audace, 
lo  ti  farò....  Qui  tronca  i detti , e tace. 

Il  carro  ascende  c d’impiegar  disegna 
Del  figlio  inqiicsCnfiar  le  forzee  l'armi, 
Maconvien.  che  i suoi  cigni  a fren  ritegna. 
Che  dubbiosa  non  sa  dove  trovarmi. 

Per  le  belle  contrade  ov'ella  regna. 

Di  lido  in  lido  invan  prei.de  a cercarmi , 
Poiché  quivi  e per  tutto  in  terra  c in  ch  iù 
Come  e ijuaudu  mi  piace  altrui  mi  celo. 

Prendo  qual  forma  voglio  a mio  talento, 
E con  r acque  e con  l' aure  ki  mi  confondo. 
Talor  grande  cosi  mi  rappresento. 

Che  visibil  mi  faccio  a lutto  il  mondo. 
Talvolta  poi  sì  picciolo  divento,  [coiido. 
Cli’  entro  il  giro  d’  un  occhio  anco  m' as- 
liifìnson  tal, che  benché  m'abbia  insello, 
Uii  più  mi  sente  mi  conosce  meno. 

Lascia  la  Grecia  e prende  alni  sentieri. 
Vaga  d’  udir  novelle  ov’  io  mi  sia  : 

Nè  più  nell'  Asia  entro  I famosi  imperi 
Delle  vestigia  mie  la  traccia  spia; 

Ma  sllniolauilp  i musici  corsieri , 

Verso  le  piagge  itaiiche  s’invia: 

Chè  sa  ben  quanto  in  qnc' fioriti  poggi 
Viepiù  che  altrove  io  volciitieri  alloggi. 

Giunge  in  Adria  la  bella  e quiv  i intese, 
Chè  vi  albergava  il  mio  nemico  onore, 

E beltà  cruda  ed  onestà  cortese,  _ 
Nobiltà  , maestà  , senno  e valore. 

Passò  poscia  a l.igurla  c vi  comprese 
Apparenza  d’amor  viepiù  che  amore, 
Cli'  io  ne'  begli  occhi  e ne’  leggiadri  aspetti 
Sol  vi  sogiio  abitar,  ma  non  ne'  petti. 


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MARINO. 


Ville  poi laMarrccchla  eli  .SerclilooIlVaro, 
LabrcnU,IIBrenibo,  la  Uvenza;  e llSIle, 
Bl’Adda,erOglloell  Barchlgllonealparo, 
Superbo  il  Mincio  e II  picclol  Reno  umile, 
IITanaro,ilTesin,laParmac  II  Taro, 

E la  Dora,  che  d' or  riveste  aprile, 

E Stura  e Sesia  e di  fresche  ombre  opaco 
Da  foce  aurata  scaturir  Deliaco, 

Quindi  al  itran  trono  degli  erculei  regi 
Sul  Po  volando  i bianchi  augei  rivolse, 
Dove  ricca  sedea  d’ Illustri  fregi 
La  città,  che  dal  ferro  II  nome  tolse  j 
Male  fu  detto,  che  fortuna  1 pregi. 

Di  cui  florlT  solca , sparse  c disciolse. 
Mille  già  v'ebbi  un  tenipoe  paimceprede. 
Poi  tra  Secchia  e Panava  lo  cangiai  sede. 

Non  lunge  dal  maggior  fiume  Toscano 
Vide  r Arbia  con  l'Ombro,  indi  il  Mctauro, 
E con  risapi  suo  minor  germano 
Presso  il  Roueo  e il  Monton  correrl’Isauro, 
E il  Tremiseli,  laddove  II  verde  plano 
Vermiglio  diverrà  del  sangue  mauro, 
Edal  freddo  Appennin  disreiidor  Trebbia, 
tìrnltor  di  caligine  c di  nebbia. 

Tra  1 campi  arrivò  poi  fcriili  e molli. 
Dove  del  Tebro  il  mormorio  risona, 

E de’ suoi  sette  trionfanti  colli 
il  gran  capo  del  Lazio  s’ incorona. 

Ma  seppe  quivi  furiosi  c folli 
Piuttosto  soggiornar  Marte  c Bellona  ; 

E con  perfìdia  e crudeltà  tra  loro 
Baccar  sete  di  sangue  c fame  d’ oro. 

Posciachà  quindi  le  lombarde  arene 
Ha  tutte  scorse  c quanto  irriga  1’  Arno, 
E quinci  di  Clituuno  c d'Aniene, 

E d’ altri  fratti  lor  le  rive  indarno  ; 

A visitar  dal  Gariglian  ne  viene 
Grati,  LIrl,  Volturno,  Aufldo  e Sarno, 

E vede  Irne  tra  lor  pomposo  c lieto 
Degli  onori  di  Bacco  il  bel  Sebeto. 

Quivi  tra  Ninfe  amorosetle  e belle 
Trovommi  a conquistar  spoglie  e trofei, 
E sebben  tempo  fu,  cli'lo  fui  di  quelle 
Già  prlglonìer  con  mille  strazi  rei , 

Alme  però  non  lia  sotto  le  stelle, 

Che  sien  più  degni  oggetti  ai  colpi  mìei; 
Nè  so  trovare  altrove  In  terra  loco. 

Dove  più  uobii  escile  abbia  il  mìo  fuco. 


Alior  mi  stringe  entro  le  braccia  e niille- 
Groppl  mi  porge  d' infocati  baci, 

Poi  per  r oro  immortal,  per  le  faville 
Delle  quadrella  mie,  delle  mìe  faci , 
Quanto  può  mi  scongiura,  e vive  stille 
Mesce  di  pianto  a suppliche  cIScaci, 

Cile  senza  vendicarla  io  non  sopporti 
Più  lungamente  i suoi  dispregi 'e  I torti. 

Della  bella  rubella  in  voce  amara 
L’orgoglio  e li  fasto  a raccontar  mi  prende, 
E come  seco  in  baldanzosa  gara 
Contumace  beltà  pugna  e contende. 
Distinto  alfine  in  suo  desir  dichiara, 

K quanto  brama  ad  eseguir  m’ accende. 
Vuol,  che  di  strai  villano  il  cor  le  punga, 
E che  a sposo  infelice  io  la  congìunga. 

Com,che  povero  d'or, colmo  di  mali, 
E da  natura  c da  fortuna  oppresso. 

Sia  cadavere  vivo  Infra  1 mortali,  [stesso, 
Sicch’ abbia  invidia  ai  morti,  odio  a sò 
E senza  esemplo  di  miserie  eguali 
Tutto  voti  Pandora  il  vaso  in  esso; 

Glie  a tal  consorte,  in  tal  priginn  la  stringa 
Mi  comanda,  mi  prega  c mi  lusinga. 

Scorgemi  intanto  al  loco,  ove  mi  addita 
La  meravaglla  delle  cose  belle, 

Che  circondata  Intorno  e custodita 
Da  vago  stuol  di  leggiadrette  ancelle. 

Par  tra  le  spine  sue  rosa  fiorita. 

Par  la  Luna,  anzi  il  Sole  infra  le  stelle. 
Mira  colà,  quella  è la  rea,  mi  dice. 

Delle  bellezze  mie  compctitrice. 

Dal  carro,  che  con  morso  aureo  l’alTre- 
Scìoglie,  ciò  detto,  le  canute  guide,  [na, 
E d’iin  delfino  in  suirarciita  schiena 
Solca  le  vie  de’  pesci  c il  mar  divide. 
Cosi  di  Cipro  alla  nativa  arcua 
Torna,  che  lieta  al  suo  ritorno  arride. 

Ed  io  rimango  a contemplar  soletto 
Quel  sovrunian,  sovradivino  oggetto. 

Veggio  doppio  oriente  o veggio  dui 
Cieli,  che  doppio  Sol  volge  e disserra. 
Dico  quei  lumi  perfidi,  che  altrui 
liccidon  prima  e poi  bandiscoii  guerra, 
Siccliè  mirando  un  cor  quel  lielio,  a cui 
Paragon  di  beltà  non  ha  la  terra. 

Quando  pensa  al  riparo  il  malaccorto 
E vuol  chieder  mercè,  si  trova  morto. 


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56. 


L'  adoni;. 


Nè  delle  tournee  U vrrniiglia  aurora 
Al  sol  degli  ocelli  (li  bellezza  cede; 

I cui  candori  uii  lai  rossor  coiora, 

Quale  In  non  collo  ancor  pomo  si  vede. 
Ombra  soave,  clic  ogni  cor  rislora. 

Un  riiievo  vi  fa,  ciie  non  eccede, 

E con  divorzio  d'iiilerrailo  breve 
Distingue  in  due  confln  l’ ostro  e la  neve. 

Somiglia  intatto  flor  d’acerba  rosa, 

Oh*  apra  le  labbra  delle  fresche  foglie 
L'odorifera  bocca  c preziosa,  [coglie 
Che  un  tal  giardino,  un  tal  gemmalo  ac- 
che l'India  non  dirò  ricca  e famosa,  , 
Malici  ri  nulla  ha  di  bel  se.  a lei  noi  toglie. 
Se  parla,  o tace,  o se  sospira,  o ride, 
(Che  farò  poi  baciando?)  i cori  uccide. 

In  reticella  d’or  la  cliioma  involta,  [da 
nù  che  ambra  uiollccpiiichc  elctlrobion- 
Ostrctlainnodi,ò  in  vaghe  trecce  accolla, 
0 sugli  omeri  sparsa  ad  onda  ad  onda  ; 
Tanto  tenace  più,  quanto  più  sciolta, 

Tra  procelle  dorate  I cori  affonda, 

L’aurc  imprigiona,  se  talorsi  spiega, 

E con  auree  catene  i venti  lega. 

Che  dirò  poi  del  candidetto  seno. 
Morbido  letto  del  mio  cor  languente? 

Che  a'bei  riposi  suoi  qualor  vicn  meno. 
Duo  guanciali  di  gigli  oOTre  sovente  ? 

Di  neve  io  vista  e di  prninc  è pieno, 

Ma  nell’  clfelto  è foco  e fiamma  ardente  ! 
E l'incciulio,  che  in  lor  si  nutre  e cria 
Le  salamandre  incenerir  poti  la. 

Quand’  ebbi  quel  miracolo  mirato. 

Dissi  fra  me,  da  me  quasi  diviso  : 

Sono  in  elei?  sono  in  terra?  il  elei  traslato 
É forse  in  terra?  o cielo  è quel  bel  viso? 
SI  si,  son  pur  lassù,  son  pur  bealo 
Tuttavia  (come  soglio)  in  paradiso. 
Veggio  la  gloria  degli  eterni  Del. 

I.a bella  madre  mia  non  è costei? 

No  che  non  ò,  vaneggio,  il  ver  confesso. 
Venere  da  costei  vinta  è di  molto,  [tesso. 
Ahi  cbeilprcgioailamadrea  un  punte  is- 
Ed  al  figlio  egualmente  il  core  ha  tolto. 
Chi  puòseiua  morir  mirar  l'eccesso 
Di  al  begli  occhi,  oimè,  di  si  bel  volte. 
Vadane  ancora  poi,  vada  e s’ arrischi 
A mirar  pur  sicuro  1 basilischi. 


0 macelli  de'  cori,  occhi  spietati. 

Di  dii  morir  non  potè  anco  omicidi. 

Voi  voi  possenti  a soggiogare  i fati 
Siate  le  sfere  mie,  siale  i ndei  nidi. 

In  voi  l’arco  ripongo  ei  dardi  aurati, 
Chò  se  poi  contro  me  saranno  infidi. 

Più  cara  (in  tali  sicilc  ò la  mia  sorte) 
Dell'  immortalità  mi  lia  la  morte. 

Veggiola,  mentre  parlo.  In  atti  mesti 
Starsi  sola  in  disparte  a Irar  sospiri; 
Chò  quantunque  le  sue  più  che  celesti 
Forme  ben  degne  degli  altrui  desiri, 

Da  mille  lingue  e da  quegli  occhi  e questi 
Vagheggiate,  e lodale  II  mondo  ammiri. 
Alcun  non  v’ha  però  di  genti  tante. 

Che  dileggia  il  letto  suo,  cupido  amante. 

Le  suore,  ancor  che  fussero  appo  lei 
Vie  più  d'età,  che  di  beltà  fornite, 

A grandi  croi  con  nobili  imenei 
Per  giogo  maritale  erano  unite. 

Ma  Psiche,  unico  sol  degli  occhi  miei, 
Parca  dall'olmo  scompagnata  vite, 

E oc  menava  In  dolorosi  allanoì 
Sterili  e senza  frutto  i più  vcrd’ami. 

Il  miser  gcnitor,  mentre  ella  geme 
L’inulil  solitudine  che  passa, 

Perchè  l’ ira  del  Cicl  paventa  e teme, [sa. 
Clic  spesso  ai  maggior  re  l'orgoglio  abbas- 
Pcnsoso  e tristo  infra  sospetto  e speme, 
La  cara  patria  e II  dolce  albergo  lassa, 

E va  per  esplorar  questo  secreto 
Dall’  oracolo  antico  di  Mileto. 

Laddove  giunto  poi,  porge  umilmente 
Incensi  c preghi  al  chiaro  Dio  crinito. 
Da  cui  supplice  cbledc,  c reverente 
All’  infeconda  sua  nozze  e marito. 

Ed  ecco  intorno  riinbonibar  si  acute 
Spaventoso  fragor  d'  alto  muggito, 

E coi  muggito  alfiii  voce  nascosta 
Dalie  cortine  dar  questa  risposta  : 

La  fànci olla  conduci  in  scoglio  Mpino 
Cinta  d' abito  bruno  e funerale. 

Nò  genero  sperar  dal  tuo  destino 
Generato  d'origine  mortale; 

Ma  feroce,  crudele  e viperhio. 

Che  arde,  uccide,  distrugge  e balte  l’ale, 
E sprezza  Giove  ed  ogni  Nume  eterno. 
Temuto  in  terra,  in  Cleto  e nell' iufeoio. 


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M MARINO. 


Pensa  tu  qual  rimase,  e qual  divenne 
Il  sovra  ogni  altro  addolorato  vecchio. 
Pensa  qual  ebbe  il  cor,  quando  gli  venne 
La  sentenza  tirrlbileairoreceliio. 

Torna  ne'  patri!  tetti  a far  solenne 
Di  quelle  pompe  il  tragico  apparecchio. 
Accinto  ab  ubbidir,  quantunque  aRIitto, 
Del  decreto  d' Apollo  ai  sacro  editto. 

Del  vaticinio  Infausto,  c dell’avversa 
Sorte  nendea  si  lamenta  e lagna, 

E con  r amare  lagrime  che  versa. 

Delle  rughe  senili  I solchi  bagna; 

E la  stella  accusando  empia  c perversa 
L’  antica  moglie  I gemiti  accompagna, 

E pietoso  non  nien  piange  con  loro 
Delle  liglie  dolenti  il  flebii  coro. 

Ma  del  maligno  inevitahii  fato 
Il  tenor  violento  è già  maturo. 

Dell'  influsso  criidel  già  minaccialo 
Giunto  è l' idui  mio  caro  al  passo  duro. 
Raccoglie  già  con  querulo  ululato 
La  bella  Psiche  un  cataletto  osruro. 

La  qual  non  sa  fra  tanti  orrendi  oggetti 
Se  11  talamo,  o scii  tumulo  raspelli. 

Di  velo  avvolti  tenebroso  c tetro, 

E d’arnesi  lugubri  in  veste  nera 
Vati- padre  c madre  ilmizial  feretro 
Accom|>agnando  e le  sorelle  in  sclilera. 
Segue  la  bara  il  parentado,  e dietro 
Vien  la  città,  vien  la  provincia  intera, 

E per  tale  sciagura  ndesi  Intanto 
Del  popol  tutto  un  pubblico  compianto. 

Ma  più  d’ ogni  altro  il  re  mescliin  pian- 
Sfortunalo  s’appella  ed  infelice,  [gendo 
E gli  estremi  da  lei  baci  cogliendo 
La  torna  ad  abbracciar  mentre  gli  lice. 
Cosi  duntpic  da  le  congedo  io  prendo? 
Cosi,  figlia,  mi  lasci?  (egli  le  ilice) 

Son  questi  I fregi, oiinà,  la  pompa  à questa. 
Che  al  tuo  partire  il  patrio  regno  ajiprcsta? 

- In  esequie  funebri  inique  stelle 
Cangian  le  nozze  lue  liete  e festanti? 

Le  chiare  tede  in  torbide  facelle? 

Le  tibie  in  squille  e l'allegrezze  in  pianti? 
Sono!  croia'i  tuoi  roche  tabelle? 

Ti  son  gl’inni  e le  preci  applausi  e canti? 
E laddove  il  destiti  cinido  ti  mena 
Roggia  il  lido  li  Ha,  letto  l’arena? 


0 troppo  a te  contrarlo,  a me  nemico, 
Implacabil  rigor  d' avari  Cieli  I 
Te  del  tuo  bel,  me  del  mio  ben  mendico 
Percliè  deuno  lasciar  fati  crudeli  ? 

Qual  tua  gran  colpa,  o qual  mio  fallo  antico 
Cagion  die  tn  t’  aflligga,  io  mi  quereli. 

Te  condanna  a morire,  ed  a me  serba 
In  si  matura  età  doglia  si  acerba  ? 

Ad  eseguir  quanto  lassù  si  vole 
Dura  necessità,  lasso,  m’alfretta, 

E viepiù  eh’  altro  mi  tormenta  c dote. 

Che  a si  malvagio  sposo  lo  ti  commetta. 
Cli’  io  deggia  in  preda  dar  l’ amata  prole 
A mostro  tal,  che  l’ universo  infetta. 
Questo  so  ben,  die  il  fìl  sarà  più  corto 
Che  fu  da  Cloto  alla  mia  vita  attorto. 

Ma  poicliò  pur  la  Maestà  superna 
Cajst  di  noi  disporre  or  si  compiace. 
Cancellar  non  si  può  sua  legge  eterna. 

Ma  convien,  figlia  mia,  ilarsene  pace. 

De’  consigli  di  lui,  die  ne  governa, 

E l’ limano  saper  poco  capace, 

Poicliù  i giudizi  suoi  santi  e divini 
Son  ordinati  a sconosciuti  lini. 

Denchò  a sposar  lo  struggitor  del  mondo 
Ti  danni  Apollo  in  sito  parlar  confuso. 

Chi  sa  s’ altro  di  nicglio  in  quel  profondo 
Areliivio  impenetrabile  sta  chiuso? 
Spesso  elTetto  sorti  lieto  e giocondo 
Temuto  male,  ond’  iioin  restò  deluso. 
Servi  al  Ciel,  soffri  e taci.  E con  tal  note 
Verga  di  pianto  le  lanose  gote. 

La  sconsolata  c misera  donzella 
Vede  ch'el  viva  a seppellir  la  porla, 

E tal  solennità  ben  s’accorg’ella, 

('.Ile  a sposa  no,  ma  si  cunviene  a morta; 
Magnanima  però  nounien  che  bella. 
L’altrui  dnol  riconsola  e riconforta, 

E i dolci  umori  onde  il  bel  viso  asperge. 
Col  vel  purpureo  si  rasciuga  e terge. 

Che  vai  planger?dlcea,cliò  più  versale 
I.agrinie  intempestive  e senza  frullo? 

A die  battete  i petti  ed  oltraggiate 
Di  livore  e di  sangue  il  viso  brutto? 

Ah  non  più,  no;  di  lacerar  lasciate 
La  canirie  dei  crln  con  tanto  lutto, 
Offendeiido  con  doglia  inefficace 
E la  vostra  v ecchiezza  e la  mia  pace. 


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L’ADO.NE. 


Fu  già,  quamio  U gente  • me  porgea 
(AlCiel  doluto)  onor  profano  ed  empio, 
Quando  quasi  d'anior  più  beila  Dea 
Ebbi  (voi  pemiettenti) akare  e tempio, 
Allor.fu  da  dolersi , allor  dovea 
Pianger  ciascuno  il  mio  mortale  scempio. 
Or  i il  pianto  a voi  tardo,  a me  molestot 
Di  mia  rana  belleua  il  fine  è questo. 

L’ inr  Id  ia  rea , che  l’aitruibcn.purcome 
Suo  proprio  male,  abboire,  allor  mi  vide, 

10  so  pur  ben,  rhe  l'usurpato  iiooM 
Della  celeste  Venere  m’ucriile. 
Chebado?AniIiaiine  pur;que.st'aureecliio- 
Con  vii  ferro  troncate,  ancelle  fide,  [ine 
Quel  si  temuto  ornai  consorte  mio. 

Già  di  veder,  già  d' abbracciar  desio. 

Qui  tace,  egià  (l’ima  montagna  alpeslra. 
Eccola  Inianlo  giunta  alla  radice. 

Che  al  Sol  volge  le  terga,  e piega  a destra 
Sotto  il  gran  giogo  l' ispida  cervice. 
Quindi  di  sterpi  c selci,  aspra  e silvcstra. 
Pende  sassosa  e rigida  pendice. 

Rigida  si,  clic  appena  si  assecura 
Di  abitarvi  l'orrorcon  la  paura. 

Il  mar  sonante  a fronte  lia  percnnllne 
Da’  fianchi  acute  pietre  e sclieggie  rotte. 
Dirupati  macigni  c roci  he  alpine. 

Oscure  lane  e caieruosc  grolle. 

Precipizi  prorondi,  alle  riiinc. 

Dove  riluce  il  di.  come  la  notte. 

Dove  inospiti  scnipre,  e sempre  foschi, 
Dllatan  l’ ombre  lor  baratri  e buschi. 

Ecco  l'iiifaiislo  monte  ove  a fei-marsl 
Ne  venne  il  funeral  tragico  e mesto. 
Quivi  ha  (quanl'ognuncrcde)  a consumarsi 

11  maritaggio  orribile  c funesto. 

Onde  ai  fieri  Imenei  da  celebrarsi. 

Scelto  già  per  teatro  essendo  questo, 
Dopo  lagrime  molte  al  vento  sparte. 

La  mestissima  turba  alfin  si  parte. 

Partissi  alfin , poichà  tesor  si  caro. 
Depositò  nel  destinato  loco. 

Lasciando  nel  partir  col  pianto  amaro. 
Delle  fiaccole  sacre  estinto  il  foco. 

Ai  reg)  alberghi  I genitor  tornaro, 

E la  luce  vita!  curando  poco, 

Dannaro  gli  occhi  a lunga  notte  oscura, 
E li  chiusero  vivi  la  sepoltura. 


Restò  la  giovinetta  abbandonata 
Sulla  deserta  e solitaria  riva , 

Si  tremante,  si  smorta  e si  gelata. 

Che  appena  avea  nel  cor  l’anima  vira. 
Veder  quivi  languir  la  sventurata. 

Quasi  di  senso  e movimento  priva, 

Deli'  onde  esposta  al  tempestoso  orgoglio. 
Al  ITO  già  non  parea,  che  scoglio  in  scoglio. 

Le  man  torcendo,  e in  vermigllelti  giri 
Dolcemente  incurvando  i mesti  lumi. 
Con  clic  lagrime,  o Dio,  con  che  sosjiiri, 
SI  scioglie  in  acqua  e si  dislempra  in  fumi  ! 
Ma  raccogliendo  il  mar  Ira  suoi  zaOlri, 
Delie  stille  cadenti  i vivi  fiumi. 
Ambizioso  e cupida  d’averle,^ 

Le  serba  in  conche,  e le  trasforma  inperle. 

Con  le  man  sul  ginoccblo.ln  terra  assisa. 
Filando  argento  da  begli  occhi  fore. 
China  al  petto  la  fronte,  c in  colai  guisa. 
Tra  sè  stessa  consuma  il  suo  dolore. 

Poi,  mentre  ai  salsi  flutti  il  guardo  alCsa, 
Sfoga  parlando  l'angoscioso  core, 

E (lerde,  apostrofando  al  mar  crudele. 
Tra  gli  strepiti  suoi,  queste  querele  : 

Deh  pIaca.omare,i  tuoi  furori  alquanto. 
Pietoso  ascoltator  dei  miei  cordogli, 

E di  que.t’ occhi  il  tributaria  pianto, 
Clic  in  larga  vena  a le  scn  corre,  accogli. 
Teco  parlo,  or  tu  m’odi,  e fa  che  intanto 
Alibian  quest'  onde  tregua  c questi  scogli  t 
Nè  sen  portino  in  lutto  invidi  i venti. 
Come  fer  le  speranze,  anco  i lamenti. 

Nacqui  agli  scettri,  c in  sui  reali  scanni , 
Più  di  me  fortunata  altra  non  visse. 

Beila  fui  della,  e fui,  se  senza  inganni 
1.0  mio  speccliio  fedele  il  ver  mi  disse. 
Ora  a quel  fin  sul  verdeggiar  degli  anni 
Corro,  che  il  Fato  al  viver  mio  prescrisse, 
Abliandonando  in  sull'età  fiorita, 

La  bella  luce  e la  serena  vita. 

Di  ciò  non  mi  dogi’  io,  nè  mi  lamento 
Della  bugiarda  adulatrice  speme  | 

Nè  del  colpo  fatai  prendo  spavento. 

Che  mi  porti  si  tosto  all’ ore  estreme. 

Chi  sol  vive  al  dolore  ed  al  tormento, 

E suol  vita  abborrir,  morte  non  teme; 

A chi  mal  vive,  il  viver  troppo  t greve. 
Chi  vive  lo  odio  al  Ciel , viver  non  deve. 


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MARINO. 


I.asM  (llqiiolcirio  soflVo  aspro  rtlarliro. 
Vie  maggiore  e più  grave  6 il  mal  che  ai- 
tenilo, 

Ch’Io  dcggia  entro  il  mio  seno,  oinrf,  ntlirl- 
Un  mostro  abbomlncvole  ed  orrendo  ; [re 
Questo,  innanzi  al  morir,  mi  fa  morire. 
Questo,  morte  sprezzar  mi  fa  morendo. 
Deh  dammi , pria  clic  un  tanto  mal  succeda. 
Padre  Nettuno,  alte  tue  fere  in  preda. 

Se  provocò  del  Ciel  l' ira  severa 
Da  ne  commesso  aicnn  peccato  immondo, 
E da  te  deve  uscir  l’ orrida  fera 
Che  me  divori  c che  distrugga  il  mondo  ; 
Pia  ventura  miglior,  che  assorta  lo  pera 
Da  questo  ingordo  pelago  profondo.  ' 
Piuttosto  il  ventre  suo  tornila  mi  fta, 

E lavin  Tacque  tue  la  maccliia  mia. 

Ma  s’egli  t ver,  die  pure  a torlo  e senza 
Colpa,  incolpala  e condannata  io  mora, 

E se  Nume  ù lassù,  clic  T innocenza 
Curi  e prego  devoto  oda  talora  : 

Da  lui  cliicggio  pietà,  spero  clemenza  i 
E quando  il  reo  destin  Ila  fermo  ancora, 
Venga,cil  suonerò  strale  in  mepurscocdii 
Morte  per  sempre  a suggellar  ([uest’occlii. 

Più  altro,  rITio  ridir  nò  so,  nò  posso. 
Parlava  la  dolente  al  sordo  Ilio, 

Clio  avida  qual  cor  più  pcriido  commosso. 
Anzi  il  porfido  stesso  intenerito. 

Il  cavo  scoglio  mormorar,  percosso. 

Per  gran  pietà  fu  d'ogn'  iniorno  udito; 
E rispondendo  in  roche  voci  c basse 
Parca  clic  de’  suoi  casi  il  mar  parlasse. 

Per  risgiiardar  chi  sla,  che  si  consuma 
In  note  pur  si  dolorose  c meste. 
Rompendo  in  spessi  circoli  la  spuma. 
Molte  Ninfe  e Triloiii  alzar  le  teste. 

Ma  vinti  da  quel  Sul  clic  Tacque  alluma, 
E tocchi  il  freddo  sen  d’ardor  celeste. 
Per  fuggir  frettolosi,  i bei  cristalli 
Seminaro  di  perla  c di  coralli. 

Mentre  laddove  II  vertice  si  estolle 
Dell' cria  rupe,  ò posta  in  tale  stato. 
Novo  sente  spirar  di  lungo  il  colle. 

Di  milTaurc  sabre  misto  odoralo, 

Indi  d'un  aere  dilicaloc  molle. 

Sibilar,  snsurrar  placido  fiato. 

Che  dolcemente  rincrespando  Tonde; 

Fa  tremar  T ombre,  e sfrascolar  le  fronde. 


Era  ZMBrò  rpiesll.  lo  già,  che  Intento- 
Altrove  non  uvea  l’occhio  e II  pensiero. 
Velài  far  quel  benigno  amico  Vento, 

Delle  mi*  gioie  cseeiitor  corrièro. 

Gonfia  lamofail  gonna,e  piatio  fe  lento 
Col  suo  tranquillo  spirilo  leggiero. 

Dalla  scoscesa  e hilnosa  balza, 

Scnz’alcue  danno  ei  la  solleva  ed  alza. 

E colà  presso,  nve  di  flor  dipinta 
Fa  sponda  al  mar  qnclla  valletta  erbosa  , 
E di  giovani  allori  Intorno  è cinta, 
Soavissìmamenle  aifin  la  posa. 

Qui  da  novo  stnpor  confusa  e vinta, 

Sul  florlto  pratel  siede  pensosa. 

Che  fresco  insieme  e morbido  le  Serba, 
Tetto  di  fronde,  e pavimento  d’ erba. 

Polchò  11  do!or,chc  dc’suol  Sensi  òdObno, 
Satollato  ha  di  pianti  e di  lamenti, 

Stanca  ornai  si , che  le  palpebre  ponno 
Appena  sostener  gli  occhi  cadenti; 
Viensenc  11  sonno  a torta  in  braccio,  il  snn- 
Tranqulllità  delle  turbate  menti.  [ilo. 
Dal  sónno  presa  al  fremilo  dell’ acque. 

Sul  verda  smalto  addormcntossi  c giacque. 

Negli  epicicli  lor  duo  Soli  ascosi, 

I begli  occhi  parcan  della  mia  Psiche, 
Dove  chiusi  tracan  dolci  riposi, 

D.ilT amorose  lor  lunghe  fatiche. 

Duo  padiglioiii  lievemente  ombrosi, 

I.e  vclavan  le  lucf  alme  c pudiche. 

Le  belle  luci,  onde  languisco  c moro. 
Legate  cran  dal  sonno,  ed  lo  da  loro. 

Vedesti  alla  siaglon,  qviando  le  spine 
Fioriscon  tnttc  di  novella  prole. 

Sparso  di  fresche  perle  c malintinc. 
Piantato  in  riva  al  mar,  nascosto  al  Sole, 
Spiegare  II  molle  c giovinetto  crine, 
Giardinetto  di  gigli  c di  violò? 

Dirai  ben  tal  sembianza  assai  conforme 
Alla  leggiadra  vergine  clic  dorme. 

Cosi  posava,  c vidi  a un  tempo  ìstcsso, 
LIev'aura,  aura  vezzosa,  anca  gentile. 
Scherzarlo  intorno,  e ventilarle  spesso 

II  crespo  della  chioma,  oro  sottile. 

Per  baciarla  talor  si  facca  presso 

A quella  bocca,  ov'  ò perpetuo  aprile. 

Ma  tlmldcila  poi , quanto  lasciva, 

Da’  respiri  respinta,  ella  fuggiva. 


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lo  Doa  ao  gii,  se  Zeffiro  cortese 
Fu,cbe  spetUcoi  dolce  aliar  lu'oflsrse. 
Che  la-tremula  reste  alto  sospese, 

E delle  glorie  mie  parte  m'aperse. 

50  ben,  che  con  sua  neve  il  cor  m'accesc. 
Quando  il  confin  del  bianco  piè  scoversc. 
Scoverse  11  piede,  c dell' ignuda  carne 
Quanto  a casta  bclU  lice  mostrarne. 

Polcbi  assai  travagliato  e poco  que to. 
In  più  pezzi  ha  carpilo  un  sonno  corto, 
Destasi,  e da  quel  loco  ameno  e lieto. 
Piover  si  sente  al  cor  novo  conforto. 
Sorge  dall' odorifero  roselo, 

E qua  ne  vicn  dove  il  mio  albergo  ha  scorto. 
Questo  istesso  palagio,  ove  ora  sei, 

Canne  raccoglie  te,  raccolse  lei. 

Nel  limlnar  della  gemmata  soglia. 

Mette  le  piante  c va  mirando  intorno. 
Mira  il  bel  muro,  c di  pomposa  spoglia 
Difulgid'oroiI  travamento  adorno,  [glia), 

51  che  può  far  (quantunque  il  Sol  non  vo- 
Col  proprio  lume  a sè  medesmo  il  giorno. 
Mira  gli  archi,  le  statue  e le  altre  cose. 
Che  senza  prezzo  alcuno  son  prezioso. 

Senza  punto  incliinar  le  luci  al  basso 
Del  tetto  ammira  le  iniralhl  ojirc. 

Ma  pur  del  tetlo  il  riluecnle  sasso. 

La  superbia  del  suol  chiara  le  si  oprc. 
Stupisce  il  guardo,  e si  tratlieneil  passo 
Al  bel  lavor,  che  il  pavimento  copre; 
Perchè  tante  ricchezze  in  terra  vede. 

Che  di  calcarle  si  vergogna  il  piede. 

Ella  r.-.pila  da  si  ricriii  oggetti. 

Entra,  c d’alto  stupor  più  si  confonde, 
Poicli’alla  niaestù  di  tal  ricetti. 

Ben  ia  gran  suppelletlilc  risponde. 

Ecco  dove  al  cantar  licgli  augelletti 
Fcrmossi;  ivi  sttiegò  le  trecce  bionde; 
Qui,  poiché  intorno  a spaziarsi  mise, 
Respirò  dolcemente,  e qui  s' assise. 

Quei  clic  più  l'empie  il  cor  di  inerav  iglia, 

£ che  negletto  è qui  quanto  si  gode. 

Casa  si  signorii  non  ha  famiglia. 

Abitante  non  vede,  osticr  non  ode. 
Castaldo  alcun  di  lei  cura  non  piglia. 

Nè  di  tanto  tesar  trova  custode. 

Vaga  con  gli  occhi,  e il  vago  piè  raggira. 
Tutto  in  somma  possiede,  c nessun  mira. 


:,9 

Voce  Incorporea  intanto  ode,  che-dire  : 
DI  che  stupisci  7 o qual  timor  t'ingombra? 
Sappi  caiiu  esser  si,  come  felice. 

Ornai  dal  petto  ogni  sospetto  sgombra. 
Non  bramar  di  «der  quel  che  non  lice, 
Spirito  astratto  ed  im|ialpabil  ombra. 

Gli  altri  beni  c piacer  tulli  son  tuoi. 

Ciò  che  qui  vedi,  o che  veder  non  pool. 

Da  non  veduta  man  sentesi  in  questa 
D'acque  stillale  in  tepida  lavanda 
Condur  pian  piano,  indi  spogliar  la  vesta, 
E I bei  membri  mollir  per  ogni  banda. 
Dopo  i bagni  e gli  odor,  mensa  s' appresta 
Coverta  di  finissima  vivanda  ; 

E sempre  ad  operar  pronte  e veloci 
Son  sue  serve  e ministre  ignude  voci. 

Dato  al  lungo  digitm  breve  ristoro 
I Con  cibi,  che  del  del  forati  ben  degni. 
Entra  pure  alla  vista  occulto  coro. 

Sceso  quaggiù  da' miei  beali  regni. 
Concordando  lo  sili  dolce  e canoro 
Alla  facondia  degli  arguti  legni. 

Benché  nè  di  cantor,  uè  di  slioraeiili 
Scorga  immagine  alcuna,  ode  gli  accenti. 

Già  l'Obblio  taci tiimo  esce  di  l.ete. 

Già  la  notte  si  chiude  e il  di  vicn  manco, 

E le  stelle  cadenti  e l' ombre  chele 
Persuadono  il  sonno  al  mondo  stanco. 
Onde  disposta  alfine  di  dar  quiete 
Al  troppo  dianzi  ulTatlcato  fianco, 

Rìcovra  a letto  hi  più  secreto  cliiostro , 
Piumato  d'oro,  incortinato  d'ostro. 

Allor  mi  movo  al  dolce  assalto  e tosto 
Cile  enlro  la  stanza,  ogni  biiniera  è spenta. 
Invisibile  amante,  a lei  ni'arcuslo. 

Che  dubbia  ancor,  ciò  che  non  sa  paventa. 
Ma  se  l'aspetto  mio  tengo  nascosto,  , 
I.c  scopro  almen  l' ardue  clic  mi  lormciila, 

E (la  lagrime  rotte  e da  sospiri 
Le  narro  I mici  dolcissimi  martiri. 

Ciò  clic  al  buio  tra  noi  fosse  poi  fatto, 
(Più  bel  da  far  clic  da  contar)  mi  laccio. 
Lei  consul.ata  aliiii,  me  soddisfallo,  [do. 
Basta  dir,  elle  ambeduo  iic  strinse  un  lac- 
Della  vista  il  difetto  adempie  il  latto. 

Quel  che  cerca  con  rocchio  accoglie  in 
braccio 

S'appaga  di  toccar  quel  clic  non  vede , 
Quanto  all'  uu  senso  nega,  a)!'  altro  crede. 


L’ADONE. 


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co  MARINO. 


Ma  sul  bp|  farro  apprna  in  oriente 
Venne  dell’  ombre  a trionfar  I’  Aurora , 

E isuoi  destrier  con  l'alito  lucente 
Fugate  non  avean  le  stelle  ancora, 
Quando  al  bell'idoi  nfk>  tacitamente 
Uscii  di  braccio  e sorsi  innanzi  l’ ora, 
Innanzi  che  del  Sol  l’aurato  lume 
Spandesse  I raggi  suoi,  lasciai  le  piuma. 

Toman  da  capo  alla  medesma  guisa 
L’ascose  ancelle  ed  aprono  I balconi, 

E della  sua  rirginiladc  Decisa 
Motleggian  seco,  ed  cero  I canti  c I suoni. 
Si  leva  c lava,  ed  ode  a mensa  assisa 
Epitalami  in  vece  di  canzoni , 

E le  son  pur  non  conosciute  genti 
Camerieri,  coppier,  scalcid  c sergenti. 

Cosi  dall’ uso  asseciirata  e fatta 
rin  coraggiosa  ornai  dalla  fidanza. 

Già  g'S  meco  e co’niiei  conversa  e tratta 
Con  minor  pena  c con  maggior  baldanza. 
E leggiadra  c gentil,  sebl.cn  s'appiatta. 
Immaginando  porla  mia  sembianza. 

Dal  suono  Incerto  della  voce  udita. 
Prende  irastuilo alla  sulinga  vita. 

Ma  qiiant’  ella  però  contenta  vive. 
Tanto  menano  i suoi  vita  scontenta; 

E di  tal  compagnia  vedove  c prive 
Più  d’ogni  altro  le  suore  ilduol  tormenta. 
Vigilando  il  pensier  lor  la  descrive. 
Dormendo  il  sogno  lur  la  rappresenta  ; 
Onde  alfin  per  saner  ciò  che  ne  sia. 
Laddove  la  lasciar  prendon  la  via. 

Io, come  soglio, in  sulla  notte  ombrosa 
Seco  in  tal  gttrsa  il  ragionar  ripiglio: 
Psiche,  caro  min  cor,  dolce  mia  sposa, 
Fortuna  ti  minaccia  alto  periglio, 
Laddove  uopo  li  lia  d’arte  ingegnosa, 

Di  cautela  sottile  e di  consiglio. 

Ignoranti  del  ver,  le  tue  sorelle 
Di  te  piangendo  ancor  ccrcan  novelle. 

Su  quel  sassi  colà  ruvidi  ed  erti , 
Onde  campata  sei , son  giù  tornale. 

Io  farò,  se  tu  vuoi,  per  compiacerli , 

Che  sieno  a le  da  Zi'Oìro  portate. 

Ma  ben  ti  esorto,  a quanto  dico  avverti , 
Fuggi  le  lor  parole  avvelenate. 

Nel  resto  io  li  concedo  interamente, 
Che  le  lasci  da  te  partir  coniente. 


Vo’,  che  del  petti  lor  l'avare  fami 
Satolli  a piena  man  d’ argento  e d’ oro. 
Non  ti  lasciar  però,‘se  punto  m’ami. 
Persuader  dalle  lusinglic  loro. 

Non  le  ascoltar;  se  d'ascoltar  le  brami. 
Pensa  ascoltar  delle  sirene  II  coro. 

Dal  cui  dolce  cantar  tenace  e forte 
Mascherata  di  vita  esce  la  morte. 

E se  pur  troppo  credula  vorrai 
Prestar  fede  alla  coppia  iniqua  e rh> , 

In  ciò  ti  prego  almen  non  I’  udir  mai , 

In  cercar  di  saper  qual  io  mi  sia. 

Con  un  tardo  penllr,  se  ciò  non  fai , 

TI  sovverrò  dell’  avvertenza  mia. 

A me  sarai  ragion  <li  grave  affanno , 

Ed  a te  porterai  1’  ultimo  danno. 

Taccio,  ed  ella  ascoltanto  I miei  ricordi 
Promette  d’osservar  quanto  desio. 

DI  me  stessa,  dieea,  fia  che  mi  scordi 
Pria  che  gli  ordini  tuoi  ponga  in  oltblio  ; 
A’ tuoi  fian  sempre  1 miei  desir  concordi; 
Tu  sei,  qualunque  sei.  In  spirto  mio; 
Abbine  di  mia  fé  pegno  securo. 

Per  me,  per  le,  per  Giove  stesso  il  giuro. 

Già  dando  volta  al  bel  timon  dorato, 

E de’ monti  indorando  ornai  le  cime. 

Il  carro  di  Lucifero  rosato 
Dalle  md)l  vermiglie  il  giorno  esprime; 
Quando  a quel  dir  svanitole  da  Iato, 
Volo  per  Tanre  e fo  portar  sublimo 
I.’iuilegna  coppia  Innanzi  alla  mia  vita 
Dal  bel  signor  della  slagion  fiorita. 

Le  incontra  e bacia  c in  dolci  atti  amorosi 
Fa  lor  liete  accoglienze,  osseqnj  cari. 

Le  introduce  alla  reggia  ov’ entro  ascosi 
Servon  senza  scoprirsi  i famigliarl. 

Tra  ricclii  arnesi  e tra  tesor  pomposi 
Trovan  cibi  c lavacri  eletti  c rari, 

SI  eh'  elle  a tanto  cumulo  di  l>ene 
Giò  nutriscon  l’ invidia  entro  le  vene. 

Le  dimandan  chi  sia  di  cose  tante 
Signor,  di  che  fattezze  è il  suo  diletto. 
Ella  fino  a (pici  punto  ancor  costaute 
Non  obldiando  II  maritai  precetto, 
S’infinge  c dice  : Il  mio  gradito  amante 
E più  ch'altro  leggiadro  un  giovinetto; 
Ma  l’avete  a scusar,  che  agli  occhi  vostri 
Occupalo  alle  cacce,  or  non  si  nioslrL 


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L’ADONE. 


Ciò  dello  le  ribacia  e le  rimanda 
Colme  di  gemme  e di  monili  il  aeno. 

Ai  cari  gciiilorsi  raccomanda. 

Poi  le  consegna  al  veiilicel  sercno> 

Che  presto  ad  eseguir  quanto  comanda, 
Rapido  più  che  strale,  o che  baleno. 

Con  vettura  innocente  in  braccio  accolte 
Le  riporta  allo  scoglio,  onde  l'ha  tolte. 

Elle  di  quel  velcn  tutte  bollenti. 

Che  sorbito  pur  dianzi  avea  ciascuna, 
Borboltaran  tornando,  e in  tali  accenti 
Con  l’altra  il  suo  furor  sfogara  I’  una. 

Or  guata  cicca.  Ingiusta  e dalie  genti 
Forsennata  a ragion  detta  Fortuna, 

Tal  de’ meriti  umani  ha  cura  c zelo? 

E tu  tei  vedi  e tu  tei  soffri,  o Ciclo P 

Figlie  d’un  ventre  isicsso  al  mondo  nate 
Perchè  dcnno  sortir  sorti  diverse? 

Noi  le  prime  e m.'iggior  mal  furlunate 
Tra  le  sciagure  c le  miserie  immerse  ; 

Ed  or  costei,  che  in  sull' estrema  etate 
Giù  stanco  io  luce  il  scn  materno  aperse, 
Se  fu  del  nostro  ben  trista  pur  dianzi, 
Lieta  del  nostro  mal  Ila  per  l’ Innanzi, 

Un  marito  dir  in  citi  nè  godere. 

Nè  conoscer  sei  sa,  gode  a sue  voglie. 
Vedenti  tu  per  qiiel  c statizc  altere 
Quante  gemme,  quant’  oro  equali  spoglie? 
S’  egli  è pur  rer,  che  con  egual  piacere 
Giovane  cosi  fresco  in  braccio  accoglie , 
E di  tanta  liellà,  quant’ ella  dice. 

Più  non  vive  di  lei  donna  felice. 

Altri  certo  non  può,  che  Dio  celeste 
Esser  l’ autor  di  meraviglie  tali  ; 

E s’ ei  pur  r ama,  come  apjiar  da  queste, 
La  porrò  tra  le  Dee  non  più  mortali. 

Non  vedi  tu  che  ad  ubbidirla  preste 
Insensibili  forme  e spiritali 
Quasi  viliscudier.  move  a suo  senno? 
Comanda  ai  venti,  ed  è servita  a cenno? 

Misera  me, cui  sempre  il  letto  c il  fianco 
Ingombra  inutilmente  un  freddo  gelo. 
Impotente  fanciullo  e vecchio  bianco, 
Uom,  che  vetro  Ita  la  lena  c neve  il  pelo. 
Ni  sposo  alcun  siccome  infenno  e stanco, 
PIÙ  spiacente  e geloso  è sotto  il  cielo. 
Che  custode  importun  la  casa  tiene 
Sempre  di  ferri  cinta  e di  catene. 


Edio, l’altra  soggiunge,  un  ne  sostegno 
Impedito  dal  morbo  e quasi  attratto, 

E calvo  e ctino  c iiien  che  sasso,  o legno 
Al  congressi  amorosi  abile  ed  atto  ; 

Cui  più  serva,  che  moglie  esser  convegno. 
Con  le  cui  ritrosie  sempre  combatto  ; 
Conviemmi  ognnr  curarlo  e in  tali  affanni 
Vedova  e maritata  lo  piango  gli  anni. 

Ma  tu , sorella,  con  ardir  ti  parlo  , 

Con  cor  troppo  servii  soffri  I tuoi  torti. 

Io  non  posso  per  me  dissimularlo. 

Nè  più  oltre  sarà  che  iiiel  sopporti. 

Mi  rode  il  petto  un  si  mordace  tarlo , 

Che  non  trovo  pensier,  che  mi  conforti. 
Animo  generoso  al>borre  e sdegna 
Tal  ventura  caduta  in  donna  indegna. 

Non  ti  sovvien  con  qual  superbia  e quanto 
Fastn.qiianttinque  a non  curarla  av  vezze , 
Poiché  II’ accolse,  ambizioso  vanto 
Si  diè  di  laute  sue  glorie  e grandezze  ? 
Eppure  a noi,  hencbè  ii'  abbondi  tanto. 
Poca  parte  donò  di  sue  ricchezze; 

E poiché  fastidita  ne  rimase , 

Subito  ne  scacciò  dalle  sue  case. 

Quando  a farla  pentir  di  tanto  orgoglio. 
Vegli  tu,  come  credo,  unirti  meco. 

Esser  detta  mai  più  donna  non  voglio. 

Se  a mortai  precipizio  io  non  la  reco. 

Per  or,  tiirnando  al  solilario  scoglio. 
Nulla  diciani  d’  aver  parlato  seco. 

Non  facciam  motto  del  suo  lieto  stalo. 
Per  non  farlo  col  dir  v iepiù  beato. 

Assai  noi  stes.se  pur  visto  n'  abbiamo, 
E di  troppo  aver  visto  anco  ne  spiace , 

A qtie’  poveri  alberglii  ornai  torniamo. 
Dove  mal  non  si  gode  ora  di  pace. 

Là  consiglio  miglior  vo’  che  prendiamo, 

A punir  di  costei  l’Infamia  audace. 

Onde  s' accorga  alfin  d’ aver  sorelle. 

Suo  malgrado  più  degne,  e non  ancelle. 

Tal  accordo  conchiuso,  a quella  parte. 
Le  scellerate  femmine  scn  vanno, 

E con  guance  graffiate  c chiome  sparte. 
Pur  l’ usato  lamento  a prova  fanno. 

I ricchi  doni  lor  celano  ad  arte. 

Tra  sè  ridendo  dell’ordito  inganno. 

Cosi  con  finti  pianti  e finti  modi, 

Van  macchinando  le  spietate  frodi. 


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62  MARINO. 


Tosto  che  la  slagion  serena  c fotea. 
L'aere  abbraccia  d' intorno,  io  i'aii  sjiiego, 
E quai  vclcn , queiic  due  Turic  attosca, 
Racconto  alia  mia  Psiche,  c ia  riprego 
A voier(benchò  appieii  non  mi  conosca] 
Contentarsi  dei  più,  se  ii  nien  le  nego. 
Le  scopro  il  cor,  coprendole  il  sembiante, 
E pud  veder  l' amor,  se  non  l’ amante. 

Le  mostro,  che  soverchio  è voler  poi , 
Investigar  la  mia  vietala  faccia , 

Poiché  però  non  crescerà  tra  noi 
Quel  grand'  amor,  che  l’ uno  e l' al  tro  allac- 
L' esorto  che  non  guasti  i piacersuoi  [eia. 
Per  un  lieve  desio,  ma  goda,  e taccia: 
Quanto  può'  giusto  sdegno  io  le  rammento, 
E la  fede  promessa  e il  giuramento. 

Le  fo  saper,  die  nel  bel  seti  fecondo. 
Un  fortunato  infante  ha  già  concetto. 
Che  fia  divino  ed  immorlaleal  mondo. 

Se  s'asterrà  dal  mio  conteso  aspetto. 

Ma  se  vorrà  mirar  quel  die  le  ascondo, 

A morte  lo  farà  nascer  soggetto. 

L’ ammonisca  a schivar  tanta  mina 
Al  fanciul  sovrastante,  a lei  vicina. 

Ella  gl  ura  e scangi  lira , e i n somma  volc 
Pur  riveder  quella  sorella  e questa; 

E fa  con  lagrimette  c con  parole. 

Un  bacio  intcrcessor  della  licliiesta. 

Ed  io  col  proprio  crin , mentre  si  dolc, 
Rasciugando  le  vo  la  guancia  mesta. 
Lasso,  die  non  potrà,  se  in  me  può  tanto. 
L'amorosa  eloquenza  del  bel  pianto? 

Nulla  alfin  so  negarle,  c tosto  quando 
S’apre  il  del  mattutino  ai  primi  albori. 
Risorgo,  e lieve  in  sullo  scoglio  mando 
li  padre  fecondissimo  de'  fiori. 

Già  l'empie, die  stali  purquii  i aspettando. 
Dello  .spirto  gentil  sentoii  gli  odori  ; | 

Ed  ci  pur  quasi  a forza  in  sulle  s|)alle 
Le  ritragitta  alla  fiorila  valle. 

Trovan  la  bella,  c sotto  liete  fronti 
Coprono  il  fìel  clic  il  corfellonc  asconde. 
Ella  con  atti  pur  cortesi  c pronti 
Alla  mentila  alTeziun  ris|ionde. 

Caldi  vapori  d'odorate  fonti 
In  concile  d'oro  ai  lassi  membri  infonde, 
E in  ricclii  seggi  infra  delizie  immense. 
Degne  le  fa  delle  beate  mense. 


Comanda  poscia  agli  organi  sonaati , 
Cliiama  al  concerto  le  canore  voci , 

E i ministri  invisibili  volanti 
Al  primo  cenno  suo  vengoii  veloci. 

Ma  quella  melodia  di  suoni  e canti. 

Che  placherebbe  gli  aspidi  feroci. 

Delle  serpi  Infernali  (ancor  che  dolce) 
La  perfidia  crudel  punto  non  molce. 

Anzi  con  lo  stupor  tanto  più  Sera 
Cresce  l’ invidia , che  le  morde  e lima; 
Onde  la  pregan  pur,  che  chiara  e vera 
Del  vago  suo  la  qualitadc  esprima. 

La  semplicetta  garrula  e leggiera. 

Cui  non  sovvienciò  die  ior  disse  in  prima. 
Perché  accusar  del  fallo  il  ver  non  vaie. 
Avviluppa  e conipon  novelle  a fole. 

Dice , che  ricco  d'or  per  varie  strade 
Con  varie  merci  a tralDcarc  intende , 

E die  la  neve  della  fredda  ctate 
Già  già  le  tempie  ad  imbiancar  gli  scende. 
Poi , perclié  ratto  alle  natie  contrade 
la;  riconduca,  a ZeOiro  le  rende. 

Che , come  suole , alle  paterne  spiagge 
DI  nuovi  doni  onuste  indi  le  traggo. 

Deh  che  ti  par  delle  menzogne  Insane 
(L’nna  all'altra  dicea)  di  questa  sciocca? 
Cacciator  dianzi , dalle  prime  lane 
Quel  suo  non  avea  pur  la  guancia  tocca. 
Or  niercaiido  .sen  va  per  rive  estrane; 

E la  bruma  senii  sul  crin  gli  fiocca. 

0 che  finge , o die  mente,  o cli'clla  stessa 
Non  sa  di  ciò  la  vcritade  espressa. 

Tempo  é (comunque  sia)  da  farcaderc 
Tutte  le  gioie  sue  dis|icrse  c rotte. 

Con  si  fatto  pensier  vanno  a giacere, 

E in  vigilia  crudel  passati  la  notte. 

Col  favor  di  Favonio  indi  leggiere 
A Psiche  in  sul  maltiii  son  ricondotte. 
Clic  gode  pur  d'accarezzar  le  due 
(Surdie  non  dirò)  vipere  sue. 

Giunte,  esprimendo  a forzain  larghe  vc- 
Lagrinie  fuor  degli  umidctii  rai,  [nc 
Che  sempre  (c  dir  non  so  dove  le  tiene) 
Quel  sesso  a v oglia  sua  ii’  lia  pure  assai  ; 
Dolce  (presero  a dirle)  amata  spenc, 

Tu  sccura  qui  siedi  e lieta  stai; 

E mal  cauta  ai  periglio  c trascurata, 

L’ ignoranza  del  mal  ti  fa  beata. 


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L’ADONE.  M 


Ua  no(,  noi  che  aollecile  aDa  cura 
Della  salute  tua  slam  sempre  intente, 
Consien  che  a parte  (l’oBnl  tua  sciagura 
Abblam  del  comun  danno  il  cor  dolente. 
Sappi,  che  quel , che  in  sulla  notte  oscura 
Giacer  leco  si  suole  è un  fler  serpente 5 
Un  serpente  crudele  esser  per  certo 
Quel  che  teco  si  giace,  abbiam  scoverto. 

Aldel  più  d’ un  pastor  non  senza  rischio. 
Quando  a sera  taior  tornò  dal  pasto , 
Guadare  il  fiume  e varialo  a mischio 
Trarsi  dietro  gran  spazio  il  corpo  vasto. 
Intorno  a sò  dal  forniidabìl  fisciiio 
Lasciando  il  elei  contaminato  e guasto; 
Con  lunghe  spire  peri’ immonde  alene 
(Se  vederlo  sapessi]  a te  ne  viene. 

■Vicnsene  in  più  volubili  volumi 
Divincolando  il  fiessuoso  seno , 

Da’ minacciosi  e spaventosi  lumi 
Esce  strano  fulgor,  che  arde  il  terreno  ; 
E di  nebbia  mortai  torbidi  fumi 
Infetti  di  pestìfero  veleno; 

Sbuffando  intorno,  allato  a lesi  caccia, 
E fa  la  cova  sua  fra  le  tue  braccia. 

Par  che  oltre  a sè  sporga  e in  sè  ricntre, 
E nei  lubrici  tratti  onda  somiglia, 

E fuggendo  e seguendo  il  proprio  ventre , 
Lascia  sò  stesso  e sè  stesso  ripiglia.. 

Poi  chiude  i girilnunsol  groppoemeutre 
In  mille  obliqui  globi  si  attortiglia. 

Di  ben  profondo  solco , ove  sì  accampa , 
Quasi  vomere  acuto,  il  prato  stampa. 

Quando  del  cupo  suo  nativo  bosco 
Dalla  fame  ad  uscir  per  forza  è spinto, 
D’ un  verde  bruno  e d’iin  CTuleo  fosco 
Mostra  Tali  fregiate  e il  dorso  tinto. 
Squallido  d’oro  e turgido  di  tosco, 

DI  macchie  il  collo  a piu  r,igion  dipinto , 
Scopre  di  quanti  al  Sol  varj  colorì 
L’arco  suo  rugiadoso  Iride  infiori. 

Ahi  che  figura  abbomìnanda  c sozza, 
Se  lajor  per  lo  pian  stende  le  strisce , 

E poiché  vomitala  lia  dalla  strozza 
Carne  di  gente  uccisa  ei  la  lambisce 
0 se  del  sangue,  che  mal  sempre  Ingozza, 
Avvicii.chcittcrgo  e ilpettoal  Bolsi  lisce. 
Il  tergo  e il  petto,  armalo  a piastre  c nia- 
D1  doppie  conche  e di  minute  scaglie,  [glie 


Livido  foco,  che  le  selve  appuzza, 
Spira  la  gola  ed  aliti  nocentl. 

Vibra  Ire  lingue  e nelle  fauci  aguzza 
Un  tripartito  pettine  di  denti. 
Sanguigne  schiume  dalla  becca  spnizza. 
Ed  aumiorha  co’  fiati  gli  elementi  ; 
L’aurc  corrompe,  mentre  l’aria  lecca. 
Strugge  1 fior,rerbc  uccide  e i campi  secca. 

Guarditi,  0 suora,  il  Ciel  dalla  sua  stizza. 
Scampiti  Giove  pur  da  quella  peste, 
QualOr  per  ira  si  contorce  e guizza, 

E sbarra  le  voragini  funeste. 

La  superba  cervice  in  allo  drizza, 

Erge  del  capo  le  spietate  creste , 

E ribattendo  le  sonore  squamme, 
Mongibello  animato,  avventa  fiamme.  ‘ 

Perchè  con  tanta  industria  c secretezza 
Credi  la  propria  effigie  el  tenga  ascosa; 
Se  non  perrhè  sua  naturai  bruttezza 
Agli  orchi  tuoi  manifestar  non  osa? 

Ma  sebbene  or  ti  alitila  e t’ accarezza 
Sotto  quel  dolce  titolo  di  sposa. 

Pensi  però , che  la  sua  cruda  rabbia 
Lungo  tempo  digiuna  a tener  abbia? 

Aspetta  pur,  che  del  tuo  ventre  cresca 
(Come  già  va  crescendo)  il  peso  In  lutto. 
Lascia , che  venga  con  più  slahll  esca 
Di  tua  pregnanza  a maturarsi  il  frullo. 
Allor  vedrai,  sii  certa,  ove  riesca 
Il  sozzo  amor  d’iin  animai  si  brutto. 
Allor  fia,  chi  noi  sa  ? che  fuor  d’ inganni , 
(Preda  a suo  modo  opima)  ci  11  tracanni. 

Se  a noi  non  credi  (ed  oh  queste  parole 
Sparse  sten  pure  al  vento  c non  al  vero) 
Credi  a quel,  che  mentir  nè  può,  nè  suole. 
Dell’ oraeoi  febeo  presagio  fiero. 

Il  presagio  In  obhllo  por  non  si  vuole. 
Che  Immaginando!  pur  trema  il  pensiero, 
Clic  esser  ti  convcnla  moglie  d’ un  angue. 
Morte  e strage  del  mondo  c foco  esangue. 

Che  farai  dunqtte?ocol  tuo  scampo  a noi 
Consentirai  d’ogni  sospetto  srlolla? 

0 tanto  attenderai , che  tu  sia  poi 
Nelle  ferine  viscere  sepolta? 

Se  In  tal  guisa  nutrir  piuttosto  vuol 
(Non  so  s' lo  dica  o pertinace,  0 stolta) 
L’empia  Ingordigia  dell’osceno  mostro. 
Adempito  abbiam  noi  l'ulllcio  nostro. 


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04  MARINO. 


Ma  se  non  vuol  delle  voraci  brame 
Cibo  venir  di  si  vii  bocca  indegno. 

Pria  che  aifln  sazia  la  lascivia  inrame, 
Teco  trangugi  rinnoccnte  pegno, 

Della  fera  crndcl  tronchi  lo  stame 
Senz'altro  indugio  un  generosa  sdegno, 
E prendi  a un  colpo  d’ estirpar  consiglio 
II  proprio  esizio  e il  pubblico  periglio. 

Sentesi  Psiche  a quel  parlar  d’orrore 
Tremare  i polsi  ed  arricciare  i crini, 
Sudan  l'estremili,  palpila  il  core, 
Spariscon  dal  bel  volto  ostri  c rubini , 
Gelan  le  fibre  e di  gelato  umore 
Lucidi  canaletti  e cristallini 
Stilla  esangue  la  fronte  appunto  quali 
Suole  aurora  d’ aprii  rugiade  australi. 

Contrarie  passion,  tra  cui  si  aggira. 
In  quel  semplice  cor  fan  guerra  interna. 
D’amore  e d'odio  e di  spavento  e il'ira 
Gran  tempesti  la  volge  e la  governa. 
Nave  rassembra , a cui  mentre  ostro  spira, 
Or  garbino,  or  libeccio  I suffi  alterna. 
Pur  dopo  molti  alfin  pensier  diversi 
Nel  fondo  d'ogni  mal  lascia  cadérsi. 

Dimenticata  già  d’ogni  promessa. 
Tutto  il  secreto  a buona  fi  rivela. 

Del  furtivo  marito  il  ver  confessa, 

E che  fiigge  la  luce  c clic  si  cela. 

Rapita  dal  timor,  dal  duolo  oppressa  , 
Geme,  freme,  si  affligge  e si  querela  ; 

E mancandole  In  ciò  saldo  discorso, 

Di  pietà  le  rijirega  e di  soccorso. 

Contro  il  tenero  core  allor  si  scaglia 
Delle  donne  malvage  il  furor  crudo, 

E con  aperta  c llln-ra  battaglia 
Stiingon  già  della  fraudo  il  ferro  ignudo. 
Fuorché  il  partito  estremo, altro  che  vaglia 
Non  hanno  i casi  estremi  o scliernio,  o scu- 
All’intrepide  genti  e risolute  [do. 
La  disperazion  spesso  i salute. 

Ti  puoi  della  salute  il  calle  aprire 
(Se  la  speme  non  mente)  assai  spedito. 
Nè  scemar  deve  in  te  punto  l’ardire 
Biasmo  di  fellonia  con  tal  niarito. 

Chi  t’ Inganna  ingannar  non  è tradire. 
Giusto  è che  sia  lo  schernitor  schernito; 
Chè  quando  a opra  rea  vien  che  consenta. 
La  Tede  Kelleragglne  diventa. 


Sotto  il  letto  vogliam  che  tu  nasconda 
Un  ferro  acuto  ed  una  luce  accesa , 

E come  pria  la  creatura  immonda 
Nell’ usato  covìl  si  sìa  distesa, 

E nel  colmo  dell’ ombra  alta  e profonda 
Sarà  dal  maggior  sonno  avvinta  e presa  ; 
Sorgi  pian  piano  e tuo  ministro  e duce 
Sprigiona  il  ferro  e libera  la  luce. 

La  luce  il  modo  allor  fla  che  ti  scopra. 
Ben  opportuna  e consigliera  e guida. 
Non  temer  no,  chè  d’ambe  noi  nell' opra 
Avrai  (se  uopo  ti  lia)  l’aita  fida. 

Senza  alcuna  pietà,  giuntagli  sopra. 

Fa  die  del  fier  dragone  il  capo  incida  , 
Perrhè  con  bestia  si  feroce  e strana 
Qualunque  umanità  fora  inumana. 

E cosi  detto  l'ima  c l’ altra  prende 
Commiato  e parte,  ella  riman  soletta , 

Se  non  sol  quanto  agitatrici  orrende 
Seco  le  furie  in  compagnia  ricetta. 

.Ma  sebben  risoluta  all’ opra  intende, 

E la  macchina  appresta  e il  tempo  aspetta; 
Pur  con  alfetti  varj  in  tanta  impresa 
Litigando  tra  sè,  pende  sospesa. 

Ancor  dubbia  e pensosa  ed  ama  e teme. 
Or  confida,  or  dilTida , or  v ile , or  forte. 
Quinci  c quindi  bi  un  punto  il  cor  le  preme 
Ardimento  d’amor,  tcrror  di  morte. 

In  un  corpo  medesmo  insieme  insieme 
Abbonisce  il  serpente,  ama  il  consorte, 
E stati  pugnando  in  un  istesso  loco 
Tra  rispetto  c sospetto  il  ghiaccio  eli  foco. 

Già  nell'  Occaso  i suol  corsier  cbiudea 
Giunto  a colcarsi,  il  gran  pianeta  errante, 
E già  vicin,  mentre  nel  mar  scendea. 
Sentiva  il  carro  d’or  stridere  Atlante; 
Quaiid’  io  che  cicco  in  tenebre  vivea 
Dal  mio  terrestre  sol  lontano  amante. 
Per  far  giorno  al  mio  cor,  dall’alto  polo 

Heu  venui  ingiù  predititando  il  volo. 

« 

Psiche  mia  con  lusinghe  mi  riceve. 
L’apparecchio  crudel  dissimulando. 

Ma  poichèallato  a lei  mi  vengo  in  breve. 
Stanco  dai  primi  assalti,  addormentando. 
Mentre  piacevolmente  il  sonno  greve 
Sto  con  leggieri  aneliti  solDando, 

Sorge  c sospinta  da  pensier  maligni 
Del  sacrilegio  suo  prende  gli  ordigni. 


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L’ ADONE.  CS 


Delle  pria  care  c posrla  oilialc  piume 
Vlenai  accoslaiido  invi  r la  snoiula  manca. 
Nella  destra  Ita  il  coltel,  nell’ altra  il  lume, 
D'orrore  agalli  iccia e di  paura  imbianca. 
Ma  per  farle  eseguir  qtiautn  presume 
Sdegno  il  suo  dcbII  animo  rinfranca, 

E la  forza  del  fato  all'atto  flcro 
Arma  d'audacia  il  femminil  pensiero. 

Fa  la  scoria  per  tutto  e in  sulla  porla 
Della  stanza  si  ferma  e gunta  pria. 
Sporge  innanzi  la  mano  e la  fa  scorta 
Al  piè  che  lento  al  talamo  s'invia. 

Tende  l’ orecchie  e sovr’ avviso  accorta 
Ogni  strepito  e moto  osserva  e spia. 
Sospende  alto  le  piante  e poi  leggiere 
Le  posa  in  terra  e non  l' appoggia  intere. 

Quando  ladov 'io  poso  è giunta  appresso, 
Voce  non  forma,  .occeivlo  non  esprime  ; 

Di  tirar  non  s’arrischia  ii  baio  istesso, 

E se  spunta  un  .sospir,  tosto  il  reprime. 
Caldo  desio  rinvigorisce  il  sesso, 

Freddo  timor  le  cable  voglie  opprime; 
Brama,  c s’arretra,  ardisce,  si  ritiene, 
Bollon  gli  spirti , c gelano  le  vene. 

Ma  non  si  tosto  il  curioso  raggio 
Del  lume  csplorator  venne  a mosirarse. 
Dal  cui  chiaro  splendor  del  cortinaggio. 
Ogni  latebra  illuminala  apparse. 

Che  sbigottita  deiririgìiisto  oltraggio. 
Stupì  repente,  e di  vergogna  n'arse. 

Non  sa  se  è sogno,  o ver,  clièquando  crede 
Vedere  un  drago,  un  garzonctto  vede. 

Gran  villania  le  parve  aver  commessa, 
E di  tanta  follia  forte  le  increhbe. 
Spegner  la  luce  perlìda,  e con  essa 
L’arrotato  colici  celar  vorrebbe. 

Fu  per  celarlo  In  sen  quasi  a sè  stessa, 

E senza  dubbio  alcun  fatto  l'avrcbbe. 

Se  dalla  man  tremante  il  ferro  acuto. 
Non  le  fusse  in  quel  punto  al  suol  caduto. 

Mcntr'clla  in  atto  tal  si  strugge  c langue, 
Di  toccar  l'armi  mie  desio  la  spinge, 

E con  man  paipitante  c core  esangue, 
Leprendeetralta,e  le  tasteggia  e stringe. 
Tenta  uno  strale,  e di  rosato  sangue, 

L’ estremiti  del  pollice  si  tinge. 

Mirasi  punto  incautamente  il  dito, 

E d sente  in  un  punto  il  cor  ferito. 


Cosi  si  Slava,  e romper  non  ardiva 
La  mia  quiete  placida  e tranqnilla. 

Ed  ecco  allor  la  lii|uefatla  oliva 
Dell' aureo  liicernier  scoppia  e sfavilla, 

E vomitando  dalla  llamma  viva 
Di  fervido  licor  pungente  stilla;' 

Air  improvviso  con  tormento  atroce 
Sull’ala  destra  l'omero  mi  coce. 

Desto  in  un  tratto  io  mi  risento  e salto 
Fuor  della  riiceia.ed  ella  a me  s'apprende, 
M'abbrarcia  I fianchi,  e con  v ezzoso  assalto 
Per  vietarmi  il  partir  pugna  e contende. 
Mi  afferra  il  piè  fugace,  io  meco  in  allo 
La  traggo  a volo,  ed  ella  meco  ascende. 
Cosi  pendente  per  l’acrce  strade 
MI  segue  e tiene,  allìii  nd  lascia  e cade. 

Da  me  spiccata  amaramente  al  suolo 
L'Iulando  e piangendo  ella  si  stese. 

10  mi  volsi  a quei  pianti  e del  suo  duolo 
In  mezzo  all'  ira  la  pietà  mi  prese. 

Onde  l'ali  arresiai,  fermando  il  volo, 

A si  tristo  spettacolo  sospese, 

E mi  posi  a mirarla  intento  e liso 
D’ un  cipresso  vicin  tra  i rami  assiso. 

Ingrata,  a dirle  Indi  proruppi,  ingrata. 
Si  tosto  in  Lete  un  tanto  ardore  è spente? 
Cosi  dalla  memoria  smemorata 
L’avviso  mio  ti  cadde  in  un  momento? 
Questo  è l'amor'!  questa  èia  fè  giurala? 
Dunque  tu  paglia  al  foco,  io  foco  al  vento? 
Tu  diimpie  onda  allo  srogllo,io  scoglio  all* 
loslaliil  tronco  c tu  volubil  fronda?  [onda? 

lo  della  madre  mia  posto  in  non  cale 
L'nrilln,  cui  cunvvnia  pur  che  ubbidissi, 
Quajvlo  d'ogiii  sventura  ed'ogui  male 
Siqvpellir  ti  vulva  sotto  gli  abissi, 

11  cor  per  tua  cagioii  col  proprio  strale, 
Inavvedulauientc  mi  trafissi. 

Per  le  tralìtto  e per  tuo  bene  ascoso 
Volsi  ad  onta  del  Ciel  faruiiti  sposo. 

E tu , sleal,  pur  come  fosse  poco 
D’invisibil  ferita  il  cor  piagarmi. 

Volesti  me.  che  era  tua  gioia  e gioco, 
Quasi  serpe  criidel,  ferir  con  l'armi. 

E non  contenta  d'amoroso  foco 
Co’  tuoi  begli  occhi  l’ anima  inOammarmi, 
Hai  voluto  con  arte  empia  e malvagia 
Ardermi  ancora  il  corpo  in  viva  bragia. 


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MARINO. 


Già  più  volte  predetto  il  ver  ti  Tue, 

Nè  frenar  ben  sapesti  un  van  desire, 

Ha  quelle  egregie  consigliere  tue 
La  pena  pagheran  del  lor  fallire, 

Giusto  IlagcI  riserbo  ad  ambedue. 

Te  sol  con  la  mia  fuga  io  vo’ punire. 
Rimanti,  addio  ; da  te  cercato  invano 
E col  corpo  e col  cor  già  m'allontano. 

Tanto  le  dissi;  ed  ella,  a cui  più  dolse 
Che  la  caduta  sua,  la  mia  salita. 

Poiché  gran  tratto  d'aria  aIGn  le  tolse 
L'amata  immago,  in  apparir  sparita; 

Per  lung*  ora  di  là  sorger  non  volse. 
Dove  attonita  giacque  e tramortita. 

Poi  la  fronte  levando  aGlitta  e bassa. 

Tra  sospiro  e sospir  ruppe  un  ahi  lassa! 

Lassa,  dicea,  tu  m’ abbandoni  e vai 
Da  me  lontano  c fuggitivo  Amore. 
Fuggisti  Amor.  Che  più  mi  resta  ornai. 
Se  non  sol  di  me  stessa  odio  ed  orrore? 
Ben  dalla  vista  mia  fuggir  potrai. 

Ma  non  già  dal  pensier,  non  già  dal  core. 
Se  il  Ciel  dagli  occhi  miri  pur  ti  dilegua, 
Fia  che  col  core  c col  pensier  ti  segua. 

SI  per  poco  ti  sdegni  ? e tocco  appena 
Da  piccola  scintilla  t'addolori? 
Quest’alma  orche  farà  d'iticendio piena? 
Che  farà  questo  cor  fra  tanti  ardori? 
Cosi  doleasi  c copiosa  vena 
Versando  intanto  d'angosciosi  umori. 
Sommersi  dalle  lagrime  cadenti. 

In  bocca  le  morir  gli  ultimi  accenti. 

Dopo  molto  iagnarsi  in  piè  risorge. 
Ratto  poi  dri2;:a  ai  vicin  prato  il  passo. 
Che  con  corso  paciGco  vi  scorge 
Torcersi  un  fiumicel  tra  sasso  e sasso. 

Va  sull’  estremo  margine,  die  sporge 
L' orlo  curvo  e pendente  al  fondo  basso, 
E disperata  e dal  dolor  trafitta 
Precipitosamente  in  giù  si  gitla. 

t"  Ma  quei  cortese  e mansueto  rio 
0 che  a me  compiacer  forse  volesse. 
Ricordevole  pur,  che  son  queir  io. 

Che  so  Gamme  destar  tra  I'  aci|ue  istesse; 
0 che  con  gli  occhi,  ove  arde  il  foco  mio, 
Rasciutte  un  si  iiel  .Sol  Tonde  gli  avesse. 
Dell’altra  riva  in  sulle  spiagge  erbose 
C.on  innocente  vomito  l' espose. 


Vede, uscita  del  rlscliio«  all’ombra  assiso 
D’ Arcadia  il  rozzo  Dio,  che  ivi  soggiorna; 
Tutto  d’ebuli  e mori  ha  tinto  il  viso, 

E di  pelle  tigrina  il  Ganco  adorna. 

Fa  d’edra  fresca  un  ramoscel  reciso 
Ombroso  impaccio  all’ onorale  corna; 

E lieii  con  Tedra  incatenando  il  faggio. 
Impedito  di  fronde  il  cria  selvaggio. 

Mentre  le  capre  sue  vaglie  e lascive, 
Pendon  dall’erta  con  gli  amici  agnelli, 

E del  Qiinic  vicin,  lungo  le  rive, 

Tondono  i verdi  e teneri  capelli. 

Egli  alle  canne,  che  fnrossa  vive 
Di  lei, che  gli  arse  il  corcon  gli  occhi  belli. 
Inspira  dallo  spirto  innamoralo, 

Voce  col  suono,  ed  anima  col  Gato. 

Sette  forate  e stridule  cieute. 

Con  molle  cera  di  sua  man  composte, 
Bella  varietà  di  voci  argute 
Formano  in  disegnai  serie  disposte  ; 
Onde  il  silenzio  delle  selve  mute. 

Impara  ad  alternar  dolci  risposte. 

Ed  alle  note  querule  e canore. 

Fa  la  Ninfa  degli  antri  aspro  tenore^ 

Questi,  veduta  allor  la  meschine 
Languida  starsi,  e sconsolata,  e sola, 
Pietosissimamente  a sé  T appella, 

E con  dolci  ragion  poi  la  consola. 
Rustico  mi  son  io,  giovane  bella, 

Ma  dotto  assai  nell’ amorosa  scoia; 

E dì  quel  mal,  che  in  te  conosco  aperto. 
Per  lunga  età,  per  lunga  prova  esperto. 

Il  piè  tremante,  il  pallidcttn  volto. 
Quegli  umid’ ocelli  e que'  sospiri  accesi. 
Mi  dan  pur  chiaro  a diveder,  che  molto 
Hai  dal  foco  di  Amor  gli  spirti  offesi. 
Odimi  dunque,  e T impeto  si  stolto. 
Frena  dei  tuoi  desiri  a morte  intesi  ; 

Nè  più  voler,  dell’  opre  lor  più  belle. 
Omicida  crudcl , tentar  le  stelle, 

limai, cheben  si  porta,  è lieve  male, 

E vince  ogni  dolor  saggio  consiglio, 

E nello  stato  misero  mortale, 

È maggior  gloria,  ov’è  maggior  periglio. 
Mi  son  noti  i toni  casi,  c so  ben  quale 
Sia  della  beila  Dea  T alato  Gglio. 

Non  li  doler,  chè  sebbene  or  ti  fogge, 

So  die  non  mcn  di  te,  per  te  si  strugge. 


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L’ ADONE.  «T 


L’lr«  degli  amator  flill  e veraci. 

Non  son,  se  non  d'Atnnr  mantici  c venti, 
Chè  del  freddi  desir  destan  le  faci , 

E le  fiamme  del  cor  fan  più  cocenti  ; 

Onde  le  risse  allln  tornano  in  paci, 

B In  gioie  a terminar  vanno  I tormenti. 
Giova  poi  la  memoria,  ed  è soave 
A rimembrar  quel  che  a soffrir  fu  grave. 

Or  del  cor  tempestoso  acqueta  i moti, 

E cessa  il  pianto,  die  i begli  ocelli  oscura, 
N6  voler  con  guastar  le  proprie  doti, 

Far  torto  al  Cielo,  ed  oltraggiar  Natura, 
Umil  piuttosto  con  preglilcre  ovoli. 

Quel  si  possente  Dio  placar  procura. 

Il  qual,  credimi  pur, fia  chea'  tuoi  pieghi. 
Ogni  sdegno  deposto,  allln  si  pieghi. 

Ringrazia  Psiche  II  satiro  pietoso. 

Che  si  ben  la  conforta  c la  lusinga. 

Poi  si  accommiata,  c senza  alcun  riposo, 
Per  traverse  remote  erra  solinga. 

Allln  laddove  domina  lo  sposo 
Della  suora  maggior,  giunge  raminga. 
Giunta,  l’altra  l'abbraccia  e la  saluta, 

E chiede  la  cagion  di  sua  venuta. 

La  gli  schernita,  a vendicarsi  accinta, 
Seco  d'anior  le  dimostranze  alterna, 

E d’allegrezza  astiitameiite  infinta. 
Vestendo  il  volto  e l’apparenza  esterna; 
Dal  tuo  consiglio  stimolala  e spinta , 

Presi  11  ferro , le  dice , e la  lucerna. 

Per  uccider  colui  che  di  marita 
Usurpato  s'avca  nome  mentito. 

Tacitamente  a mezza  notte  lo  sorsi. 

Ed  avendo  a ferir  st  retto  il  coltello,  [scorsi. 
Lassa , che  un  mostro , è vero , un  mostro 
Ha  mostro  di  belli  pur  troppo  bello. 
QAcl1umcspettalor,che  innanzi  io  sporsi, 
A quanto  narro  in  testimonio  appello. 
Che  quando  un  tale  oggetto  a mirar  ebbe. 
Raddoppiando  splendore  ardore  accrebbe. 

Ahi,  non  senza  sospir  me  ne  rimembra. 
Che  contemplando  quel  leggiadro  velo. 
Dico  il  corpo  divin , che  certo  sembra 
Meraviglia  del  mondo,  opra  del  Cielo, 
AH’armi , ali  ali , alle  purpuree  membra, 
Ond’uscia  foco  da  stemprare  il  gelo. 
M'accorsi  allln,  che  quel  che  ivi  giacca. 
Era  il  vero  figliuol  di  Citcrca. 


Ma  quel  perfido  lume  e maledetto, 
Acciisalor  delle  bellezze  amate. 

Non  so  se  invido  pur  del  mio  diletto, 

0 vago  di  baciar  tanta  bollate. 

Al  sotmaccliioso  arcicr,che  ignudo  In  letto. 
Le  palpebre  tenea  forte  serrate, 

C«n  acuta  favilla  il  tergo  cosse, 

Siccliù  all’  aspra  puntura  ci  si  riscosse. 

E veggendomi  armala  in  si  ficr  allo, 
Scacciomini,  c non  fé’  più  meco  dimora. 
Vanne,  disse,  crudel,  vattene  ratto, 

E dal  mio  perito  e dal  mio  letto  fora. 

Io,  tutti  i mici  pensier  per  tal  misfatto. 
Volgo  in  tua  vece  alla  maggior  tua  suora. 
Ella,  c l’espresse  a notile, iovo’chc sia 
E di  me  donna,  c della  reggia  mia. 

Disse  ,c  fuor  del  suo  albergo  all’altra  ri  va. 
Soffiar  mi  fe’  dal  portalor  volaule. 

Va  dunf|ue,occupa  il  loco,ond’io  son  priva. 
Godi  quel  ch’io  perdei,  celeste  amante. 

A me,  che  più  non  spero  infin  ch’io  viva. 
Romperla  stella  mia  dura  c costante  ; 
Chieder  convien  tributo  a tulle  l’orc. 

Di  pianto  agli  occhi,  e di  sospiri  al  core. 

Appena  ella  ha  di  dir  fornito  questo, 
Che  queir  invida  Arpia  le  piante  affretta, 
E giunta  in  sul  fatai  monte  funesto. 

Dove  andar  suole  il  vento,  il  vento  aspetta. 
Vienne  Zeffiro,  vien  veloce  c prc.sto, 
Angel  di  primavera,  amica  aiiretta; 
Vienne,  dicea,  tu  condoltier,  tu  scorta. 
Preda  ben  degna  al  mio  sigtior  mi  porla. 

Sente  allora  spirar  di  sulla  cima 
Dell’alta  costa  un  venlolin  sottile. 

Onde  fuor  d’ ogni  dubbio  attende  c stima, 
Che  a lei  ne  venga  II  preciirsor  d’aprile. 
Sc,vgllasl  a piombo,  c gravemente  all’  ima 
Parte  del  poggio.  Il  corpo  Immondo  c vile, 
Ruinoso  trabocca,  e tra  qiie’  sassi. 
Misera,  in  cento  pezzi  a franger  sassi. 

Con  l’arte  istessa  ancor  poco  dappoi. 
Ingannò  l’altra  giovane  meschina. 

Che  pur  fede  prestando  a detti  suol. 
Salse  anelante  in  sulla  rupe  alpina , 

E similmente  immaginar  ben  puoi. 

Se  dal  monte  balzando  alla  marina. 
Lasciò,  condegno  premio  alle  sue  colpe. 
Lacerate  le  viscere  e le  polpe. 


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C8 


MARINO. 


Tra  le  pietre  medesme,  abi  semplicetta, 
Lasciò  le  nieiiibra  dissipate  e sciolte. 
Cosi  Tur  con  egual  giusta  vendetta 
Le  due  pesti  maligne  al  mondo  tolte, 

E cosi  chi  di  fraudo  si  diletta 
Ne'  propri  lacci  suoi  cade  alle  volte. 

Volse  farle  ambedue  fato  consorte 
Come  complici  al  mal , compagne  in  morte. 

Ha  Psiche  or  quinci  or  quindi  errante  c 
Ricercando  di  me,  le  vie  scorrea;  [vaga 
Di  me,  che  per  dolor  di  doppia  piaga 
Sulle  piume  materne  egro  giacca  ; 

E benché  di  sue  ingiurie  alquanto  paga, 
Pur  tra  duri  martir  Ture  Iraea, 
Spendendo  i giorni  in  gemiti  dirotti, 

E consumando  in  lagrime  le  notti. 

Slavasi  intanto  la  mia  bella  madre 
Nel  profondo  Oceano,  ove  gi.*!  nacque. 
Quelle  membra  a lavar  bianche  e leggiadre, 
Ond'clla  agli  occhi  tuoi  cotanto  piacque. 
Ed  ecco  a lei  dalle  volanti  squadre 
Un  maritimo  augel,  che  abita  l’ acque. 
Sotto  Tonde  attuITando  allor  le  penne, 
Tutto  il  successo  a rivelar  le  venne. 

Le  prende  a raccontar  l'Iniquo  mergo 
E le  mie  nozze  e II  già  concetto  pegno. 
Scopre  ch'io  porto  nell' adusto  tergo 
DI  grave  cicatrice  impresso  segno. 

Narra  che  ascoso  entro  T usalo  albergo 
Languisco  in  amor  sozzo,  in  ozio  indegno. 
Conchiude  aitine  il  relator  loquace. 

Che  il  mondo  lutto  a biasmo  suo  non  tace. 

0 qual  nel  cor  di  Venere  s'aduna 
Fiamma  di  sdegno  allor  f4Tvida  c viva! 
Dimanda  al  messo  in  vista  oscura  e bruna 
Chi  sia  l'amica  mia,  chi  sia  la  Diva, 

Se  sia  del  popol  didle  Ninfe  alcuna, 

0 delle  Dee  nel  numero  s'ascriva. 

Se  tolta  io  T abbia  c qual  scelta  di  loro, 
0 delle  Muse,  o delle  Grazie  al  coro. 


Cosi  dunque  ubbidisci  ai  detti  miei, 
Quant'  io  t' impongo  ail  eseguire  accinto? 
Ilo  in  tal  guisa  a vendicarmi  sei? 

Ed  hai  di  Psiche  il  tant' orgoglio  estinto? 

0 degne  palme,  o nobili  trofei,  [vinto. 
Ecco  il  forte  cainpion,  che  il  mondo  ha 
L' arderò  egregio,  il  feritore  Invitto, 

Or  da  donna  mortai  langue  trafitto. 

Ecco  quel  grande  e generoso  duce. 

Per  cui  soffre  ogtii  cor  tormento  e pena; 
E con  Infamia  tanta  or  si  riduce 
A lasciarsi  legar  con  sua  catena; 

E in  vii  trionfo  prigionier  T adduce 
liellezza  corrotlihlle  c terrena. 

Quel  buon  figlio  Ical,  che  un  van  diletto 
Suole  anteporre  al  maternal  precetto. 

E forse  ch’io  ministra  anco  non  fui 
Di  questa  sctdlcragginc  e mezzana. 
Quando  diedi  priiiiier  tiolizia  a lui 
Della  malvagia  femmina  profana? 

CIT  io  deggia  sopportar  crede  costui 
Una  nuora  volgar  di  stirpe  umana, 

E clte  venga  anco  in  cielo  a farmi  guerra 
1.' emula  mia,  la  mia  nemica  in  terra. 

Pensi  tu,  che  il  mio  ventre  insterilito 
Concepir  piti  non  possa  un'altro  Amore  ? 
Vedrai  s’io  saprò  ben  prender  partito, 

E figlio  generar  di  te  migliore. 

Anzi  per  farli  più  restar  schernito, 
Voglio  un  servo  degnar  di  questo  onore. 
Uti  de' valletti  miei  voglio  adottarmi. 
Dargli  tulli  i tuoi  fregi  e tutte  Tarmi. 

Lui  vestirò  tic'  colorali  vanni. 

Egli  avrà  l'arco  d'or  che  tu  possiedi. 

Gli  strali  ond'escon  sol  ruinc  e ilanni, 

E la  fiaccola  ardente,  c gli  altri  arredi  ; 

1 quali  a te  fclloii,  mastro  d’inganni, 

A quest’ uso  malvagio  lo  già  non  diedi; 
Nè  gli  hai  già  tu  d'eredità  paterna. 

Ma  beni  son  della  mia  dote  eterna. 


Risponde  non  saper  di  que.sta  cosa 
L’alalo  ambasciator  quanto,  nè  come. 

Se  non  che  strugge  Amor  fiamma  amorosa, 
E che  egli  ama  una  tal,  che  Psiche  ha  nome. 
Sembra  la  Dea  non  Dea,  Furia  rabbiosa 
A quell'annunzio,  e con  discinte  chiome 
Esce  del  mar  correndo  e in  sulle  soglie 
Giunta  della  mia  stanza,  il  grido  scioglie. 


Fin  dal  prinT  anni  tuoi  veracemente 
Fosti  licenzioso  c mal  avvezzo. 

Sci  contro  I tuoi  maggiori  irreverente. 
Nè  vai  teco  adoprar  minaccia,  o vezzo. 
Anzi  qual  vedovctia  orba  sovente 
La  propria  madre  tua  togli  in  disprezzo  ; 
Dico  me  stessa,  onde  alimento  prendi. 
Spesso  oltraggiasti  ed  ogni  giorno  offendi. 


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L’ADONE.  C9 

Sai  ben  eh'  cl  non  i più  tenero  in  erba, 
Fora'  è che  ai  foco  pur  si  accenda  i'csca. 
Se  tu  rimiri  alia  sembianza  acerba, 

0 viioi  forse  aspettar,  ch'egli  più  cresca. 
Tal  nella  guancia  sua  ^aghczza  serba. 
Sempre  ignuda  di  pelo  e sempre  fresca. 
Si  tien  con  la  statura  il  tempo  occulto. 
Che  ti  parri  bambin,  quantunque  adulto. 


Nè  pur  del  forte  tuo  terribll  Dio 
Temi  l'armi  guerriere  e t incitrici. 

Anzi  talor  per  maggior  scorno  mio 
Concubine  gli  troti  e meretrici. 

Ma  di  si  fatti  scherzi  so  ben  io 
Come  far  l’ ire  mie  vendicatrici. 

Vo'  che  tante  follie  ti  costiti  rare, 

E queste  nozze  tue  ti  sicno  amare. 

Deh  che  far  deggiu  7 o come  all’  insolenza 
Di  questo  sfrcnalel  stringere  il  morso? 

Hi  convien  pur  malgrado  all'  Astinenza, 
Mia  nemica  mortai,  chieder  soccorso. 

Per  dargli  al  fallo  egual  la  penitenza. 
Forza  è pur  che  a costei  rivolga  II  corso, 

' Costei,  benché  da  me  sempre  ahhorrita, 
Fia  che  mi  porga  alla  vendetta  aita. 

Elia  di  quest'  alUer,  che  si  presume. 
Domi  le  forze  e suoi  pcnsier  perversi. 

10  fin  che  quel  crin  d' or,  che  per  costume 
Più  d'una  volta  inanellando  tersi. 

Per  me  tronco  non  veggia  e quelle  piume 
Che  in  questo  scn  di  nettare  gli  aspersi. 
Di  mia  man  non  gli  stella,  iniqua  non  fia. 
Che  soddisfaccia  all’ alla  ingiuria  mia. 

Con  questo  dir  da’  suol  furor  rapita 
Va  per  fare  al  mio  core  oltraggio  e danno, 
E Cerere  e Giunon  trova  all’  uscita. 

Che  le  Tan  contro  c compagnia  le  fanno 
E veggendola  ailiitta  e scolorila, 
Dimandan  la  caglon  di  tanto  afliinno. 
Ella  di  quel  dolor  la  somma  spiega, 

E sue  ragioni  ad  aiutar  le  prega. 

Se  mi  siete,  dicca,  fidate  amiche. 

Se  è r amor  vostro  all'  amor  min  conforme. 
Datemi  In  man  la  fuggitiva  Psiclie, 

Esate  ogni  arte  a ricercarne  l'onne. 

I.’ accorte  Dee,  giù  mie  seguaci  antiche. 
In  cui  sopito  il  foco  mio  non  dorme. 
Dell'  arrabbiato  cor  l’ ire  feroci 
S' Ingegnan  mitigar  con  queste  voci  : 

E qual  gran  fallo , qual  peccalo  grave 

11  tuo  figlio  commise,  o Dea  cortese. 

Se  io  sguardo  piacevole  e soave 
D'una  vaga  fanciulla  il  cor  gii  accese? 
Amorosa  e ditina  alma  non  ave 
Onde  sdegnarsi  per  si  lieti  oITcse. 

Fora  certo  piuttosto  il  tuo  dot  ere 
Amar  ciò  che  ama  e ciò  che  vuoi  volere. 


Or  tu,  che  dei  piacer  sei  dispensiera. 
Tu,  che  pur  madre  sei,  che  sei  prudente. 
Vorrai  ritrosa  ognor  dunque  e severa 
Spiar  gli  affari  suoi  si  sottilmente? 

Chi  Ha,  che  non  t’appelli  ingiusta  e fiera 
Se  tu,  che  seminando  infra  la  gente 
A tutte  r ore  vai  fiamme  ne’  cori. 

Vuoi  dalla  casa  tua  scacciar  gli  amori? 

Cosi  parlando  a mio  favor  le  due 
Scusan  la  colpa  e prendon  l’Ira  a gioco. 
Temendo  lor  non  sia,  come  gii  fue , 
Ferito  il  petto  di  pungente  foco. 

Ella  sdegnando,  che  l' ingiurie  sue 
Passino  In  riso,  e sien  curate  poco. 

Le  lascia , ed  a sfogar  la  rabbia  altrove , 
Velocissimamente  I passi  move. 

Intanto  Psiche  mia  per  varie  strade 
Inquieta  d'errar  giammai  non  cessa, 

E discorsi  or  di  sdegno  or  di  pictade 
Volge  incerta  c dubbiosa  infra  si  stessa. 
Or  dal  grave  timor  battuta  cade. 

Or  le  sorge  nel  cor  la  speme  oppressa. 
Teme,  spera,  ama,  brama  c si  consuma 
Come  a ferì  ido  Sol  gelida  bruma. 

Di  me  novelle  investigando  invano 
Quasi  smarrita  e saettata  cena, 

Fugge  per  boschi  a più  poter  lontano 
Dell' orgogliosa  Dea  l’ira  proterva; 
Vorria,  punita  sol  dalla  mia  mano, 

Titol,  se  non  di  sposa  almen  di  serva, 

E raiuaro  addolcir  ch’io  chiudo  in  seno. 
Se  non  con  vezzi,  con  ossequi  almeno. 

Tempio,  che  d’arie  ogni  edificio  avanza, 
Sovra  la  sommità  d’un  monte  mira; 

E vaga  di  saper,  se  v'abbia  stanza 
L’occulta  Deità,  per  cui  sospira; 

Tosto  lo  stanco  pie,  dalla  speranza 
Hinvigorito,  a (|uc  la  parte  gira, 

E in  sulla  cima  dopo  l'erta  strada 
Trova  fasci  di  gran,  mucclii  di  biada. 


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70  MARINO. 


In  quella  guisa,  che  dopo  la  messe 
Ventilale  e battute,  alcun  l' ha  viste 
Giacer  sull'aia,  accumulate  e spesse 
Stavan  sossovra  le  mature  ariste; 

E falci  e rastri  c vomeri  con  esse, 

E vangile  c marre,  in  un  confuse  e miste, 
E pale  e sappe  e cribri,  e quanti  arnesi 
Usa  il  culior  nei  più  cocenti  mesi. 

Devota  allor  con  umilti  profonda. 
Sceglie,  compon,dìspou  le  sparse  spirile. 
Quando  si  mostra  a lei  la  Dea  feconda  : 
Che  fai,  dicendo,  o poverella^  Psiche? 

Tu  qui  spargi  oziosa  c vagabonda. 

In  vane  cure  inutili  faticlie; 

E Citerea,  clic  morte  ti  minaccia. 

Va  con  cupida  inchiesta  alla  tua  traccia. 

Innanzi  ai  divin  piede  allor  si  stende, 
E con  largite  fontane  il  lava  tutto, 

E col  bei  crii! , die  lino  a terra  scende. 
Scopando  a un  punto  il  suoloii  rende  asciut- 
Deh  per  le  ccrrmonic,  a dir  le  prende  [lo  : 
E i lieti  riti  del  tuo  biondo  frutto, 

Per  gli  occulti  secreti  e venerandi 
Deir  auree  ceste,  onde  i tuoi  semi  spandi  ; 

Per  le  rote  volanti,  e per  le  faci. 

Perii  dragoni,  che  il  tuo  carro  imbriglia  ; 
Perle  glebe  fruttifere  c feraci. 

Onde  Sicilia  ancor  si  meraviglia  ; 

Per  la  rapina  dei  destricr  fugaci, 

Per  gli  oscuri  imenei  della  tua  figlia; 

E per  quant' altre  cose  umile  ancora, 

Ne’  suoi  sacri  silenzi  Eicusi  onora  ; 

Sovvicn , prodiga  Dea,  pregoti, aqucsla 
Perseguitala  c iiilscra,  sovvieni. 

Sotto  le  spiclic  della  folla  lesta. 

Soltanto  ascosa  per  pietà  mi  licni^ 

Che  di  colei,  che  le  mie  paci  infesta, 
Passi  alquanto  il  furor,  l’ira  s’alTrcni, 

E con  breve  quiete  alnien  ristori 
Le  membra  staiiclic  da  si  lunghi  errori. 

Mover  potea  con  questi  preghi  un  scoglio. 
Ma  da  Cerer  però  trovossi  esclusa. 

Che  non  osando  inacerliir  l’orgoglio 
Dell’altera  cognata,  alfin  si  scusa. 

Onde  doppiando  al  cor  tema  e cordoglio. 
Quindi  dal  suo  sperar  parte  delusa  ; 

Nò  ben  scorge  il  ramniiri , si  spesso  e tanto 
Le  piove  agli  ocelli  cl'abbarbaglia  il  pianto. 


Vede  un’altra  non  lunge  eccelsa  moie. 
Che  par  che  fino  al  elei  s’estolla  ed  erga. 
Scritte  mostrai!  sull’  uscio  auree  parole 
Del  Nume  il  nome,  che  là  dentro  alberga. 
Per  supplicar  la  Dea,  che  ivi  si  cole. 
S’asciuga  i fiumi, onde  la  guancia  verga. 
E poiché  dentro  s’avvicina  c passa. 

Gli  occhi  solleva,  e le  ginocchia  abbassa. 

Ed  abbracciando  reverente  e china, 

L’ aitar  di  sacro  sangue  ancor  fumante, 

0,  dice,  delle  Dee  degna  reina. 

Germana  e moglie  del  sovran  Tonante; 

0 che  Samo  t' accolga,  a cui  bambina 
Desti  I primi  vagiti  ancor  lattante, 

U di  Cartago  la  beata  sede. 

Che  spesso  assisa  in  sul  leon  ti  vede  ; 

0 che  d’Inaco  pur  tra  I verdi  chiostrì. 
Cerchi  di  Giove  l’ amorose  frodi , 

0 che  intesa  a guardar  dai  cjcl  li  mostri 
Le  mura  argìve,  onde  hai  tributi  e lodi  ; 
Tu,  che  Lucilia  sci  delta  dai  nostri. 

Clic  alma  con  alma  in  maritaggio  annodi , 
Deh  propizia  ai  mici  voti  or  me  ritogli 
Al  vicin  rischio,  e in  tua  magione  accogli. 

Giunon , mcntr'clia  prega  c l'ara  abbrac- 
Lc  appare  in  \ isla  uinai  a e mansueta  ; [eia. 
Ma  per  non  consentir  cosa  che  spiacela 
Alla  motrice  dei  gentil  pianeta, 

1. c  nega  albergo,  c con  tal  dir  la  scaccia  : 
Servo  fugace  ricettar  si  vieta. 

A qucsl’altra  repulsa  aspra  e severa. 

Di  sua  salute  in  lutto  ella  dispera. 

Concorlrcmantc,ccon  tremantepiede 
Fugge  la  tapiiiella,  e non  sa  dove, 
ili  ciò  clic  intorno  ascolta,  in  ciò  che  vede. 
Vede  di  novo  orror  senildanzc  nove. 
I.icvc  arboscci , cui  debil  aura  fiede. 
Lieve  augcilin,  che  geme  o diesi  move. 
Lieve  foglia,  clic  cade  o clic  si  scote. 

Di  terror  doppio  il  dubbio  cor  pcrcote, 

E per  deserti  inospiti  fuggendo. 

Cosi  coi  suoi  penvier  tra  si  discorre. 

Or  (|ual  sulfragio  in  si  grand'  uopo  attendo. 
Se  il  Cielo islesso  1 miei  lamenti  abborre? 
Se  la  forza  diiina,  ancor  volendo. 

Aiutar  non  mi  può,  chi  ini  soccorre? 

Chi  mi  difenderà,  se  anco  li  Dei, 

Non  mi  voglion  sclieniijr  cullilo  costei? 


« 


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L'ADONE. 


In  qual  grotta  s)  fosca  o si  profonda, 
CbIndcrmI  dcgglo?  0 dove  andar  si  lunge, 
Che  agli  occhi  Inevitabili  m’asconda 
Di  Cìterca,chc  In  ogni  parte  glujige?[da, 
Fia  dunque  il  meglio,  che  al  destìnrispon- 
Eil corso  affretti, ov'ei  mi  sferza  e punge. 
Che  lardo?  un  franco  ardir  tronchi  ogn'  in- 
Er  altrui  crudeltà  sia  mio  refugio.  [dugio, 

Colà  n'andrò  dove  ella  alberga  c regna, 
Inprigion  volontaria  a farmi  ancrlla. 
Forse  quell’ira  alfin  del  Ciclo  indegna, 
Pietosa  deporrà,  siccome  bella. 

Forse  ancor  fla,  ebe  ivi  trovar  mi  avvegna, 
Chi  m’ avventò  nel  cor  fiamme  e quadrella  j 
E che  con  lieta  o con  infausta  sorte, 

0 m’ impetri  perdono  o mi  dia  morte. 

Mentre  ella  In  guisa  tal  s' aggira  ed  erra, 
Drizzando  I passi,  ove  di  gir  propone, 

E per  ottener  pace  a tanta  guerra, 

(ìli  argomenti  Ira  via  studia  e compone; 
Stanca  Ciprigna  di  cercaria  in  terra, 

1 rimedj  dei  Ciel  tentar  dispone. 

Rivolge  il  carroinver  le  stelle. e poggiafgla. 
Su’  chiostri  empirci  ore  il  gran  Giove  allog- 

Qulvl  Mercurio  con  preghiere  astringe. 
Che  la  bandisca  e sappia  ove  si  cela. 

Gli  narra  la  cagion,  che  a ciò  la  spinge. 
Promette  di  premiar  chi  la  rivela, 
Dichiara  il  nome,  e le  fattezze  pinge. 
Aggiungendo  gl’  indizi  alla  querela, 
Acciocchò  s’ egli  avvien,  clic  alcun  la  trovi. 
Scusa  poi  d'ignoranza  altrui  non  giovi. 

L’nnaacasa ritorna,  c l’altroplomba 
Veloce  in  terra  a promulgar  Teditto. 
Qualsivoglia  mortale  (a  suon  di  tromba 
Pubblicalo  per  lui  dice  lo  scritto): 
Psiche,  degna  di  carcere  c di  tomba, 
Rubclla  c rea  di  capitai  delitto, 

Fia  che  a Venere  bella  accusi  e scopra. 
Ricompensa  ben  degna  avrà  dell' opra. 

Venga  là  tra  le  piagge  a lei  dilette. 
Dove  il  tempio  de’  mirti  erge  Quirino, 
Che  dalla  Dea  benigna  avrà  di  selle 
liaci  soavi  un  guiderdon  divino  ; 

E più  doice  fra  gli  altri  un  ne  promette, 
In  cui  lingueggi  il  tenero  rubino. 

In  cui  labbro  con  labbro  il  dente  stringa, 
E di  nettare  e mcl  si  bagni  c tinga. 


Questo  grido  tra  I popoli  diffuso. 
Alletta  tutti  alla  mercè  proposta. 

Onde  non  trova  alcun  loco  si  chiuso. 

Clic  non  v' entri  a spiar,  se  v’è  nascosta. 
Ella  con  piè  smarrito  e cor  confuso. 

Già  delia  Diva  alla  magion  s’ accosta , 
Dalle  cui  porte  incontro  a lei  s'avanza 
Una  ministra  sua,  che  è detta  Usanza. 

Pur  ne  venisti,  ad  aita  voce  esclama. 
Schiava  sfacciala,  ove  il  gasi igo  è certo. 
0 non  t' è forse  ancor  giunta  la  fama. 

Di  quanto  in  le  cercando  abbiam  sofferto? 
Giungi  a tempo  a pagarlo,  e già  li  chiama 
Giustissimo  suppiicio  al  proprio  merlo. 
Tra  lo  fauci  dell' Orco  alfin  pur  desti, 
Perchè  l'orgoglio  tuo  punito  resti. 

Cosi  parlando  le  cacciò  le  mani 
De'  capei  d’oro  entro  le  bionde  masse, 

E con  motti  oltraggiosi,  e con  villani 
Scherni,  volesse  o no,  seco  la  trasse. 
Giunta  alla  Dea,  con  tanti  strazj  strani 
Rotta,  con  viso  chino  e luci  basse, 

Le  ginocchia  abbracciolle,  innatizi  al  piede 
Le  cadde  a terra,  e le  gridò  mercede. 

Con  un  riso  sprezzante  a lei  rivolta. 
Dice  Venere  allor  : Sei  tu  colei. 

Che  alle  Dee  di  beltà  la  gloria  hai  tolta? 
Che  hai  domo  il  domalor degli  altri  Dei? 
Ecco  pur  la  tua  suocera  una  volta 
Degnala  alfln  di  visitar  ti  sei? 

0 vieti  forse  a veder  l’ egro  marito. 

Che  ancor  per  tua  cagion  langue  ferito? 

Or  lo  tl  raccorrò,  vivi  secura. 

Come  buona  raccor  nuora  conviene  : 

Su  suso,  ancelle  mie.  Tristezza  c Cura, 
Date  a costei  le  meritate  pene. 

E tosto  a far  maggior  la  sua  sventura. 
Ecco  duri  flagelli,  aspre  catene. 
Ilattendola  con  rigide  percosse, 

La  fiera  coppia  ad  ubbidir  si  mosse. 

La  rimcnano  avanti  al  suo  cospetto, 
Poiché  ambedue  l’han  tormentata  forte, 
Spettacol  daconimoverc  ogni  petto, 

.Se  non  di  lei,  che  la  disama  a morte. 

Di  corruccio  sfavilla  e di  dispetto, 

E dalle  luci  aliar  traverse  e torte. 
Girando  obliquo  II  guardo  all’ infelice. 
Aspramente  sorride,  e cosi  dice: 


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7J  , MARINO. . 


E parmivoglia  ancor  col  peso  immondo 
Del  suo  tumido  ventre  iiidur  piotate, 

E mi  prometta  già,  tronco  fecondo. 
Gloriose  propagini  e beate. 

Felicissima  me,  che  avola  il  mondo 
M' appellerà  nella  più  verde  ctate, 

E il  Aglio  d’una  vii  serva  impudica 
Fia  die  nipote  a Venere  si  dica. 

Ma  pecchi  tanto  onor?  Di  nozze  tali 
Figlio  nascer  non  può,  spurio  più  tosto. 
Sono  illecite,  ingiuste  ed  ineguali, 
l'ur  di  furto  contratto  e di  nascosto  ; 
Onde  quel  che  trarrà  quindi  i natali. 

Tra  gl'infami  illegittimi  sia  posto. 

Su  però  tanto  attendi'rem,  che  al  Sole 
Esca  il  bel  parto  di  si  degna  prole. 

Nonofar  non  pnss’io  che  compre  il  freno 
Sofferenza  irritala  alfin  non  deggia. 

Vo'  di  mia  man  da  quel  nefando  seno 
Trac  r eterno  disnor  della  mia  reggia. 
Pace  mai  non  avrò  tanto  che  appieno 
E lei  sbranata  e me  sbramala  io  veggla. 
Sazia  mai  non  sarò  fmehi  abbia  presa 
Giusta  vendetta  dell'  ingiusta  offesa. 

Tace  e le  dà  di  piglio  e dagl’ infermi 
Membri  tutte  le  squarcia  e vesti  e pompe. 
La  misera  sei  soffre  e non  fa  schermi, 

Né  pure  in  piccol  gemito  prorompe. 
Yadan  pur  fra  tiranni  I corpi  inermi. 
L’armi  però  del  cor  forza  non  rompe. 
La  costanza  vìrìi,  che  è ne’  tormenti 
Lo  scudo  adamantiu  degl’ innocenti. 

Poi  di  varj  granelli  accolti  insieme 
Confuso  un  montCi  alla  fanciulla  impera. 
Che  prenda  a separar  seme  da  seme, 

E sia  l’opra  spedita  innanzi  sera. 

Vassene  alla  gran  cena  e fuor  di  speme 
Sola  la  lascia  e pensa  In  qual  maniera 
Psiche  potrà  nel  tempo  a lei  concesso 
Agevolarsi  il  gran  lavor  commesso. 

Psiciie  atterrita  dal  crudel  comando. 
Stupisce  e tace  c d’ ubbiilir  diffida, 

Ché  rassegnato  cumulo  mirando, 

Non  sa  come  lo  scelga,  o lo  divida. 
Tenta  indarno  ogn’  industria  e pai  entando 
La  rigorosa  Dea,  che  non  l’uccida, 

DI  non  poter  distinguere  si  dote 
Quella  incomposta  inestricabil  mole. 


Quando  in  soccorso  suo  corse  veloce 
L’agricoltrire  e provvida  formica. 

Quella  che  suol  quando  più  l’aria  coce 
Dai  campi  aprici  depredar  la  spica. 
Questa  biasinandn  della  Dea  feroce 
L’atto  e iiios.sa  a pietà  di  sua  fatica. 

Dalle  vicine  allor  valli  e campagne 
Tutto  il  popol  chiamò  delle  compagne. 

Concorre  tosto  in  numerose  schiere 
Con  sollecita  cura  e diligente 
Rigando  il  verde  pian  di  lince  nere 
Il  lungo  stiiol  della  minuta  gente; 

E la  mistura,  ove  I’  uman  sapere 
Manca  c per  cui  la  donna  è si  dolente. 
Con  sommo  studio  e con  mirabii  arte 
Ordinata  e partita,  aifln  si  parte. 

La  notte  intanto  i rai  d’ Apollo  spense, 
E già  con  l’ ombre  Arpocrate  sorgea, 

£ i balli  suoi  per  l’alte  logge  immense 
Tra  le  Ninfe  dei  del  Cinzia  traea; 
Quando  tornò  dalle  celesti  mense 
Di  balsamo  e di  vin  colma  la  Dea, 

E tutta  cinta  d’odorate  rose, 

Temiinalc  trovò  l’imposte  cose. 

Non  tua,  né  di  tua  man  (se  non  ni’  Inganno 
Fu  già  quest’opra,  o scellerata,  disse,' 
Opra  fu  di  colui,  che  per  tuo  danno 
Di  te  volse  il  destili,  che  s’invaghisse. 

Ma  godi  pur,  che  all’  un’,  c all’  altra  stanno 
Le  dovute  da  me  pene  prefisse. 

E partendo  da  lei  poiché  ha  ciò  detto 
Consente  al  sonno  c si  ritragge  in  letto. 

Nell’ora  poi,  che  fa  dal  mar  ritorno 
L’ Alba  c colora  il  elei  di  rosa,  e giglio, 

R in  sull’  aureo  balcon.  che  s’apre  al  giorno 
Rasciuga  al  primo  Sole  II  vcl  vermiglio. 
Dal  ricco  strato  e di  bid  fregi  adorno 
La  pigra  fronte  e il  sonnacchioso  ciglio 
Sollevando  Ciprigna,  alla  donzella 
Sdegnosa  tuttavia  cosi  favella  : 

Vedi  quel  bosco,  le  cui  ripe  rode 
Precipitoso  e rapida  ruscello. 

Pecorelle  colà  senza  custode 
Pa.scon  lucenti  di  dorato  vello. 

Io  vo’  veder,  se  pur  con  nova  frode 
T’ingegnerai  di  ritornar  da  quello. 
Vaitene  dunque  e delle  spoglie  loro  . 
Recami  incontanente  un  fiocco  d'oro. 


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t 


L’ ADONE.  . 73 


• Hboluta  di  cedere  al  destino, 

‘ A'aP*iclie  personinicrgeisi  lnr|ucll’ondc: 
Ma  verde  canna,  che  del  rio  vicino. 

Vive  sulle  palustri  e fresche  sponde. 
Animata  da  spirito  divino, 

E mossa  da  leggiere  aure  icconde , 

Ode  con  dolce  e musico  concento, 

, Susurrar  questo  siion  tremulo  e lento  : 

. O da  tanti  travagli,  e si  diversi, 
Esercitata  per  sì  lunglic  vie. 

Dell  non  volere  i bei  cristalli  tersi, 
Macchiar  coi  sangue  tuo  dell'  acque  mie  ; 
Ne  contro  i mostri  andarcrudi  e perversi, 
Ebe  abitan  queste  spiagge  infami  e rie. 
Fere,  clic  han  di  flii  or  la  pelle  adorna. 
Ma  sasso  hanno  la  frunlc,  acciai'  le  corna. 

Tocche  dal  Sol,(|iialor  più  forte  avvampa. 
Entrano  in  rabbia  ininioderata  orrenda. 
Dal  cui  dente  criidel  morte  non  scampa, 
Chiunque  il  morso  avvcleiiato  olTenda. 
Aspetta  pur  die  la  più  chiara  lampa, 

A mezzo  li  ciclo  in  sul  meriggio  ascenda. 
Nel  centro  allor  dell'  ampia  selv  a ombrosa, 
Ij  gregg'ia  formidabile  si  posa. 

E tu  di  <|ue1  gran  platano  nascosta 
Sotto  i frondosi  c spaziosi  rami, 

Fincliè  l'ira  doruiemlo  abbia  de|»>sta, 
Potrai  lutto  esi  gui r,  ipiantumpie  brami, 
E secura  carpir  <|uiiidi  a tua  posta, 

Dell' auree  lane  i preziosi  stami , 
Cherlmaiigon  negli  arbori  che  tocca. 
Implicati  c pendenti  a ciocca  a ciocca. 

(àm  questi  accenti  il  calamo  sonoro. 
Psiche  gentil  di  sua  salute  informa. 

Clic  bene  instrulla,  c intesa  al  bel  tesoro. 
Attende  die  ogni  pecora  si  dorma  ; 

E poidiò  ha  da  quei  Ironcbi  il  sotlil  oro 
Rapito  alfin  della  lanosa  torma. 

Con  esso  in  grciiibq  a Citerea  seti  riede, 
Che  vcggeiidnia  viva,  appena  il  crede. 


Da  quell' aipcslra  c ruvida  montagna. 

Che  al  raggio  orientai  volge  le  spalle, 

Piume,  che  d'acque  brune  I sassi  bagna. 
Scorrer  vedrai  nella  vicina  val^. 

Questo  senza  slioccar  nella  campagna, 

Esce  di  Stigc  per  occulto  calle, 

E in  quella  nera  c fetida  paluile, 

Dopo  lungo  girar  s'ingorga  c chiude. 

Se  spavento  il  tuo  petto  or  non  occupa. 

Ed  liai  pur,  come  mostri,  animo  ardito, 
l.é  nel  più  allo  colmo,  onde  dirojia 
L'acqua,  liai  Insto  a salir  con  piè  spedilo; 

E dalla  scaturigine  più  cupa 

Del  fonte,  che  rampollo  è di  Cdcilo, 

Tentando  il  fondo  dell'  interna  vena, 

Trarmi  di  sacro  umor  tpicst'  urna  piena. 

Dopo  questo  parlar  la  fronte  crolFa,  ' 
Intorbidando  de*  begli  occhi  il  raggio, 

Nè  l)cii  di  perseguirla  ancor  satolla, 

Par  la  minacci  di  più  grave  oltraggio. 

Presa  da  lei  la  cristallina  ampólla, 

Psirlie  al  gran  monte  accelera  il  viaggio. 
Sperando  pur,  die  a tante  sue  mine. 

Un  mortai  precipizio  imponga  flnr. 

Ma  come  arriva  alle  radici  prime 
. Do)  poKgioaItcr,chc  volge  al  Sol  la  schiena, 

Vede  l'erta  si  aspra  e si  sublime. 

Clic  volarvi  gli  aogei  possono  appena. 
Inaccessi  recessi,  aguzze  cime, 

Dove  non  tuona  mai,  nè  mai  balena, 

Poicliè  al  verno  maggior  le  nnlii  c il  gelo. 

Gli  fan  dal  mezzo  in  giù  corona  c vdo. 

Lubrico  è il  sasso,  c dalie  fauci  aperte 
Vomita  il  ninne  oscuro  in  viva  cote. 

Che  per  latebre  tortuose  incerte, 

E per  caverne  concave  «d  ignote 
Seriie,  e Ira  pietre  rotte,  ispide  ed  erte, 

Con  raiirlii  bombi  i margini  perente. 

Caduto  stagna  c sì  diffonde  in  laghi,  ’’ 

Dove  nscliiaiio  intorno  orridi  draghi. 


1^11  torvo  ciglio  c grosso  cor  la  mira. 
Nè  cessa  l'odio,  anzi  s' avanza  e poggia, 
E viepiù  cresce  esacerbata  l' ira, 
Siccome  io  calce  suol  foco  per  pioggia. 
In  nova  occasion  la  mente  gira, 

E d'allliggcrla  pensa  in  altra  foggia. 

So  lieti  l’ autor,  dicca,  di  questa  prova, 
Ma  vo'  vederne  esperienza  nova. 


Raccoglie  la  valica  dell’acqua  sUgla, 
Tutta  la  piena  nei  suo  ventre  interno. 
Riga  l’onda  il  terrcn,  pallida  c bigia, 
Orribil  si,  clic  poco  è più  l’inferno. 
Quivi  raro  uman  piè  segnò  vestigia. 
Nè  la  visita  mai  raggio  superno; 

Anzi  le  nevi  iii  sul  bollir  dell'anno, 

A dispetto  del  Sol  sempre  vi  stanno. 

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MARINO. 


74 

Quel  fiumeancorchècrudo  ebbe  pietate 
Di  veder  spenti  sì  sereni  rai , 

E parca  dir  con  ròndc  innamorale. 
Fuggi,  mira  ove  sei,  guarda  ciic  fai. 

Deb  non  lasciar  perir  tanta  beilatc. 
Torna,  tornati  iiulietro,  ove  ne  vai? 

È foiiia  più  che  senno  c più  che  sorte, 
Senza  risorsa  alcuna  esporsi  a morte. 

Psiche  presso  la  foce,  onde  deriva 
Il  torrente  inrcrnal,  di  sasso  mulo 
Resta  quasi  cangiata  in  statua  viva. 

Quei  giogo  insuperabile  veduto. 

Si  d’ogni  molo  c d’ogni  senso  priva. 

Clic  il  conforto  del  pianto  anco  ha  perduto. 
Ma  qual  cosa  niortigilc  è che  non  scema 
li  tuo  grand*  occhio,  Provvidenza  eterna  ? 

Spiegò  l’augol  reai  dal  cici  le  penne. 
Forse  ingrato  al  mio  .Nume  esser  non  volse. 
Citò  dell'antico  ossc(|uio  gli  sovvenne. 
Quando  il  frigio coppier  tra  l' unghie accol- 
Qncsti  rapidamente  a lei  ne  venne,  [se. 
E io  si  fatto  parlar  la  lingua  sciolse  : 
Spera  dunque,  o malcauta,  it  tuo  desio 
Stilla  attinger  giammai  di  questo  rio? 

Fatale  i il  riochc  t edi,  c sonquest*  acque 
A Giove  istesso  orribili  e temute, 

E i giuramenti  suoi  fermar  gli  piacqnc 
Inviolabilmente  in  lor  virtute. 

Ma  dammi  pur  cotesto  vetro.  E tacque, 

E preso  il  vaso  entro  le  griiifc  acute. 
Volando  sovra  l'apice  del  munte, 
L’empiè  dell’onda  del  tartareo  fonte. 

Ciò  fatto  la  guastada  in  man  le  porge, 
E torna  al  del  per  via  spedita  c corta. 
Psiche  che  del  licer  colma  la  scorge, 
Volentier  la  riprende  e la  riporla; 

E fra  tante  sciagure  in  lei  risorge 
Speme  che  la  rinfranca  c la  conforta  ; 
Gilè  ha  sotto  ignudo  petto  armato  core 
Forte,  se  non  di  ferro,  almen  d’amore. 

Chi  può  dir  ciò  che  disse  c ciò  che  feo 
La  Diva  allor  di  Pafo  c d’ Amalunia? 
Non  freme  si  dal  caccialor  rifeo 
Barbara  Ugrc  saettata  c punta, 

U dagli  austri  sferzato  il  vasto  Egeo, 
Come  niormora  c sbuffa  alla  sua  giunta. 
Non  sa  come  sfogar  l’ astio  crudele, 

E le  si  gonfia  di  gran  rabbia  it  fiele. 


Ben  ti  mostri,  dicea,  come  esser  dev i, 

Di  malizie  maestra  c di  malie  ; 

Poiché  sapesti  in  tante  imprese  grev  i 
Si  ben  tutte  adempir  le  voglie  mie. 

Far  certo  un  tal  miracolo  potevi 
Sol  per  arte  d’ Incanti  o di  magìe. 

Ma  cosa  non  minor  forse  di  questa. 

Beila  mia  pargoletta,  ancor  ti  resta. 

Prendi  questo  vascl,  ch'io  ti  appresen  to. 
Discendi  a Dite  e subito  ritorna. 

Là  dove  a comandar  pena  e tormento 
l.a  regina  dell’  Èrebo  soggiorna. 

DI  che  mi  mandi  del  suo  fino  unguento. 
Che  la  pelle  aniraolliscc  c il  viso  adorna. 
Ma  convienti  spacciar  tosto  la  vìa, 

Perchè  al  pasto  di  Giove  a tempo  io  sia. 

Psiche  senza  far  molto,  a terra  fissi 
Tlen  que'  bei  lumi,  ond’  io  sospiro  e gemo, 
Chè  ben  s'accorge  andando  invcr  gli  abissi 
D’esser  mandala  all’  infortunio  estremo. 
Pensa  qual  mi  fess’io,  qual  mi  sentissi. 
Quando  solo  in  narrarlo  ancor  ne  tremo. 
Vederla  astretta  allor  col  proprio  piede 
A girne  in  parte,  ond’uom  giammai  non 

[riede. 

Poco  oltre  va , chè  trova  eccelsa  rocca, 
E là  rivolge  dispcr,vta  i passi  : 

Perchè  pensa  Irasè,  se  indi  trabocca. 
Poter  girne  in  tal  guisa  ai  regni  bassi. 

La  torre,  o meraviglia,  apre  la  bocca, 

E disciuglie  la  lingua  ai  mirti  sassi. 

Che  non  potrà  chi  potè  il  cor  piagarmi. 
Se  può  dar  senso  agl’insensati  marmi? 

Lascio  di  raccontar  con  qual  consiglio 
Scese  d'abisso  alle  profonde  conche  , 

Con  qiiai  tributi  senz' alcun  perìglio 
Passò  di  Pluto  all’  intime  spelonclie , 

E dei  mostri  d’Averno  al  fiero  artiglio 
Le  forze  tutte  rintuzzale  e.  tronche. 

Per  via,  che  indietro  mai  non  riconduce, 
Hitornò  salva  a riveder  la  luce. 

E taccio  come  poi  le  venne  audace 
Di  quel  belletto  d’ Ecate  desio , 

Indi  il  pensier  le  riuscì  fallace , 

Chè  il  sonno  fuor  ilei  bossoletto  uscio  ; 
Onde  d’atra  caligine  tenace 
Le  velò  gli  occhi  un  repentino  obblìo, 

E da  grave  letargo  oppressa  e vìnta 
C.adde  immobile  a terra , e quasi  estbita. 


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L’ ADONE.  7.', 


Io  sano  gii  della  ferita , e molto 
Da  si  lunga  priglon'stancato  ornai, 

Per  un  piccol  balcon  libero  e sciolto 
Fuor  della  chiusa  camera  volai  : 

E vago  pur  di  riveder  quel  volto 
Bramato,  amato  e sospirato  assai , 

Parvi  battendo  le  veloci  piante 
Stella  cadente,  o folgore  volante. 

Là  dove  senza  monte , c senza"  moto 
Giace  mi  calo,  ed  a begli  occhi  volo  ; 

Ne  tergo  11  sonno,  e nell’avorio  volo 
Di  novo  il  chiudo,  e ben  n’hasdegnoeduo- 
Con  l’aurea  punta  dello  slrallascuoto,  [lo. 
Pria  la  riprendo , e poi  la  riconsolo. 
Talché  con  lieta  speme  al  cor  concetta. 
Porta  il  dono  infornale  a chi  l’ aspetta. 

Giunse  le  palme  umile  in  atto,  c fuori 
Tal  note  espresse  : Andai  sotterra,  e venni. 
Eccomi  fuor  dei  sempiterni  orrori , 

E il  licor  di  Proserpina  ne  ottenni, 
Imponmi  por  difficoltà  maggiori , 

Nulla  ricuserò  di  quanto  accenni  ; 

Ché  una  devota  alTeziun  tuti’  osa , 

É fa  potere  ogni  iinpossibii  cosa.  , 

Ha  non  Ga  mai  quel  di , lassa , eh’  io  speri 
Pìccola  requie  alla  penosa  vita? 

Quando  vedrò  di  quei  Ivegli  occhi  alteri. 
Che  innamorano  il  CicI  l'ira  addolcita?' 
Se  fermo  é pur,  eh’  io  fra  tanti  odj  fieri 
D’ ogni  calamità  sia  calamita , 

Fa  di  tua  man,  che  il  fiato  ond’oggi  io  spl- 
Sia  deBa  morte  il  prccursor  sospiro.  [ ro 

Deh  donde  avviene , o Dea  pietosa  e santa. 
Che  tn  mèco  in  tal  guisa  incrudelisca? 

Se  pure  é ver,  che  in  questa  che  m’ amman- 
Spoglia  mortai, qualche  beltà  fiorisca,  [ta 
Già  non  è in  me  temerità  cotanta , 

Che  d’ emularli , o di  sprezzarti  ardisca. 
Dei  tu,  che' reggi  l’amorosa  stella. 
Odiarmi,  perché  il  Ciel  mi  fece  bella? 

Perfida  io  già  non  fui.  Se  forse  errai , 
Colpevoi  son  d’  involontario  errore. 

Un  sciisabil  fallir  perdona  ornai , 

Se  pur  fallo  può  dirsi  amare  Amore; 
Colui , dalle  cui  forze  (c  tu  tei  sai  ) 
Difendersi  non  vale  ardito  core. 

Dunque  t’adlrerai.perché  abbia  amato  [to? 
Quel  che  pur  del  tuo  grembo  al  mondo  é na- 


L’ amo,  noi  nego,  c Ha  che  In  me  si  scio- 
Prima  il  nodo  sitai,  che  l’amoroso,  f glia 
E sebben  fui  pur  dianzi  al  vento  foglia  , 
Onde  al  cospetto  suo  tornar  non  oso. 
Più  giammai  penler  fede,  o cangiar  voglia 
Non  mi  vedrà,  siami  nemico,  o sposo. 
Tanto  die  il  Sole  a questi  occhi  dolenti 
Porti  I’  ultimo  di  de’ miei  tormenti. 

• 

Non  chieggio  il  letto  suo,  né  mi  si  debbo  ; 

50  ben,  che  di  tal  grazia  indegna  sono, 
Uain  quel  bel  seno,ond’cgli  nacque  e creb- 
Spero  trovar  pietà  non  che  perdono.  [ be. 
Piò  oltre  ancor  continovaio  avrelibo 
Delle  sue  note  addolorate  il  suono , 

Ha  la  doglia  nel  cor  le  abbondò  tanto. 
Che  diè  line  al  parlar,  principio  al  pianto. 

La  Dea  l’ ascolta , e di  stupore  impetra, 
Ché  in  tanti  rischi  indomita  la  trova. 

Ma  il  petto  a quel  parlar  l’apre  e iicnclr.-) 
Un  non  so  che  di  tenerezza  nova. 

Il  diamante  del  cor  pietà  le  spctra, 

Onde  a forza  coiivien  che  si  comniova. 
Elia  noi  mostra,  c col  suo  sdegno  lia  sdegno 
Che  cede  vinto  ali’  avversaria  il  regno. 

in  questo  mezzo  io  pur  temendo  iu  vero 
Il  minacciato  mal  , con  tanta  fretta 
Rivolo  inverso  il  ciel,  clic  iiien  leggiero 
Di  mal  pieghevol  arco  esce  saetta. 

Quivi  al  monarca  del  celeste  impero 
Espongo  ogni  ragion  clic  a me  s’ aspetta. 
Narro  di  lei  gl’  ingiusti  oltraggi , e come 
Grava  ognor  Psiche  d’indiscrete  some. 

Prego,  lusingo  Usuo  gran  Nume  eterno, 
E gli  fo  del  mio  cor  la  fiamma  nota. 
Sorrise  Giove , c con  amor  paterno 
Mi  prese  il  mento , c mi  baciò  la  gola. 
Sebben, disse,  il  tuo  ardircontanloscher- 
Sov  ente  inconiroa  me  gii  strali  arrota,  [no 

51  clic  a tor  forme  indegne  anco  m’ lia  mos- 
A tuoi  pregili  però  mancar  non  posso,  [so. 

Gli  Del  convoca,  e questo  alTar  consi- 
E le  mie  nozze  celebrar  comanda,  [glia. 
Esorta  a coiiicniarsene  la  figlia. 

Poscia  il  suo  fido  nunzio  in  terra  manda. 
Rapila  già  tra  l’immorlai  famiglia^ 
GusU  il  cibo  divino  e la  bevanda  , 

E meco  dopo  tante  aspre  fatiche. 

Nel  teatro  del  ciel  sposala  é Psiche. 


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MARINO. 


7*i 

L’ Ore  spogliando  de’  lor  fregi  i prati , 
Tutto  di  rose  iinporporaro  ii  ciclo. 
Sparscr  le  grazie  aromati  odorali , 
(iantar  le  Muse  la  mìa  face  e il  telo. 

I.e  corde  d'  oro  e i calami  cerati 
Toccar  lo  Dio  <!’  Arcadia  e quel  di  Deio, 
Resse  Imeneo  la  danza , e volse  in  essa 
Ballar  con  l' altre  Dee  Venere  islessa. 

'Così  di  tanti  alTanni  a riva  giunsi,  [si, 
E per  sempre  il  mio  bene  In  braccio  accol- 
(«n  cui  mentre  che  allìn  mi  ricongiunsi , 
Tanto  mi  trastullai , quanto  mi  dolsi  ; 


Nè  dall’  amato  seti  più  mi  disgiunsi , 

Nè  dai  nodo  gentil  più  mi  disciolsì  ; 

E del  mio  seme  entro  il  bel  sen  concetto 
Nacque  un  figliuol,  che  si  citiamo  Diletto. 

.Amor  cosi  ragiona,  e l’altro  Intanto 
Il  suo  parlar  meravigliando  ascolta; 

E per  pietà  , d’ afTettuoso  pianto 
Qualche  perla  gentil  stilla  talvolta. 

Ma  con  le  faci  e le  faville  accanto 
Sente  avvampar  nel  cor  la  fiamma  accolta. 
i.a  fiamma  che  il  pastorcon  sue  vivande 
Gl’  infusa  al  cor,  già  si  dilata  e spande. 


CANTO  QUINTO. 

LA  TRAGEDIA. 


ALLEGORIA. 

Per  Mercurio,  che  mettendo  Adone  in  parole,  gli  persuade  con  diversi  esempi  a 
ben  amar  Venere,  si  dimostra  la  forza  d’una  lingua  efficace,  e come  le  esortazioni 
de’ perversi  ruffiani  sogliono  facilmente  corrompere  un  pensier  giovanile.  Ne’ favolosi 
avvenimenti  di  quei  giovani  da  esso  Mercurio  raccontati , si  dà  per  lo  più  ad  inten- 
dere la  leggerezza  ed  incostanza  puerile.  In  Narciso  è disegnata  la  vanità  degli 
uomini  morividi  e deliziosi,  I quali  non  ad  altro  intesi,  che  a compiacersi  di  sè  me- 
desimi, e disprczzatori  dì  Eco,  che  è figura  della  immortalità  de’ nomi,  alla  fine 
si  trasformano  in  fiori , cioè  adire,  che  se  nc  muoiono  miseramente  senza  alcun 
pregio,  poiché  niuna  cosa  più  di  essi  fiori  è caduca  c corruttibile.  In  Ganimede 
fatto  coppìer  di  Giove,  vieti  compreso  il  segno  di  Aquario,  il  quale  con  larghissime, 
e copiosissime  piogge  dà  da  bere  a tutto  il  mondo.  Per  Giparisso  mutato  in  cipresso, 
siamo  avvertiti  a non  porre  con  ismodcramciito  la  nostra  affezione  alle  cose  mortali , 
acciocché  poi  mancandoci , non  abbiamo  a menar  la  vita  sempre  in  lagrime  e in 
dolori.  Ila  (come  accenna  l’importanza  della  voce  greca]  non  vuol  dir  altro  che 
Selva  , ed  è amato  da  Ercole , perciocché  Ercole  come  cacciatore  di  mostri , era 
.solito  di  frequentar  le  foreste.  Atide  infuriato  prima , e poi  divenuto  pino  per  opera 
di  Gibcle.ci  discopre  quanto  possa  la  rabbia  della  gelosia  nelle  donne  attempate, 
<|uando  con  isproporzionato  maritaggio  si  ritrovano  a giovane  sposo  congiunte.  La 
rappresentazione  di  Attenne  ci  dà  ammaestramento  quanto  sia  dannosa  cosa  il  volere 
irreverentementc  , c con  soverchia  curiosità  conoscere  de’ secreti  divini  più  di  quel 
che  si  conviene  : e quanto  pericolo  corra  la  gioventù  di  essere  divorata  dallo  proprie 
passioni , seguitando  gli  appetiti  ferini. 


ARGUII  F.  avo. 

Elitra  il  garzon  per  dileitosa  strada 
Net  bel  palagio  infra  delizie  nove. 
Seco  divisa  il  messaggìcr  di  Giove, 
Poi  con  scene  festive  il  tiene  a bada. 


I.’  umana  lingua  è quasi  fren  che  regge 
Della  ragion  precipitosa  II  morso. 

Tiitton , che  è dato  a regolar  con  legge 
Della  nave  dell'  alma  il  dubbio  corso. 


Gliiavecheapre  I pensier,  man  clic  correg- 
Delia  mente  gli  errori . e del  discorso.  [ gc 
Denna,  e pennello,  che  con  note  vive, 

E con  vivi  color  dipinge  e scrive. 


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L’ADONE. 


btroDicnto sonoro , or  grati,  or  gravi , 
Or  di  latte , or  di  mcl  sparge  torrenti. 
Sen  del  suo  dire  in  un  Aeri  e soavi 
Tuoni  le  voci,  e rnlmini  gli  accenti. 
Accoppia  in  sé  dell'  api  e gli  aghi  e i favi, 
Alti  a ferire,  a raddolcir  possenti. 

Divin  suggel , che  mentre  esprime  i detti , 
Imprime  altrui  negli  animi  I concetti. 

Ma  come  spada , che  difende , o fere , 
Se  avvieii , che  bene , o male  oprala  sia. 
Secondo  il  divcrs’uso,  in  più  maniere 
Qualità  cangia,  e divieti  buona  , o ria. 

E dal  diritto  suo  fuor  del  dovere 
In  malvagio  sernion  torta  travia , 
Trafigge,  uccide , e del  mordace  dente 
(Benché  tenera  e molle)  è più  pungente. 

• 

Sebben  però , qualor  saetta , o tocca 
Stampa  sempre  in  altrui  plagile  mortali , 
Non  fa  colpo  maggior,  che  quandu  scorra 
In  petto  giovenil  melati  strali. 

Versa  catene  d’or  faconda  bocca, 

('.he  molcendo,  e traendo  i sensi  frali, 
Tesson  legame  al  cor  dolce  e tenace , 
(^e  imprigiona  e lusinga,  e noce  c piace. 

Unmerzano  eloquente,  un  scaltro  messo. 
Paraninfo  di  cori  innamorati , 

Che  viene  e torna,  e patteggiando  spesso 
Delle  compre  d’  Amor  tratta  I mercati , 
Q>n  le  parole  sue  fa  quell’  istesso 
Nei  rozzi  pelli  e nei  desir  gelati , 

Che  suol  ne’  ferri  far  la  cote  alpina  , 

Che  non  ha  taglio , e le  coltella  affina. 

0 vi  fulmini  il  (^cl,  v’ assorba  Dite, 
Infernali  Imenei , sozzi  oratori , 

Corrieri  infami,  all' anime  tradite 
Di  scellerati  annunzi  ambasciatori; 

Che  con  ragioni  esortatrici  ardite 
Di  stimolare  ì semplicetti  cori , 
Corrompendo  I pensier  con  dolci  inganni. 
Qual  ulficio  più  vii  fa  maggior  danni? 

Qual  maraviglia , se  dei  sommi  eroi 
L’Interprete  immortai,  l'astuto  araldo. 
Possente  ad  espugnar  co’  detti  suol 
Ogni  voler  più  pertinace  c saldo, 

Sul  fiore , 0 bell’  Adon , degli  anni  tuoi 
Il  tuo  tenero  cor  rende  si  caldo? 

Virtù  di  quel  ministro  , il  qual  per  prova 
Nella  casa  d’ Amor  sempre  si  trova. 


Somiglia  Adone  attonito  villano 
Uso  in  selvaggio  c povcrel  ricetto  , 

Se  talora  a mirar  vico  di  lontano 
Pompa  real  di  cittadino  tetto. 

Somiglia  il  domator  dell’  Oceano 
Quando  d'alto  stupore  ingombro  il  petto. 
Vide  primiero  in  region  remote 
Meraviglie  novelle  e genti  ignote. 

. Volge  a tergo  lo  sguardo,  e ndrae  spia 
.Se  calle  v’  ha  per  rinvenir  1’  uscita. 

Ma  la  porta  superba , ond'  entrò  pria , 
Con  sue  tante  ricchezze  é già  sivarìta. 

Nè  sa  guado  veder,  nè  trovar  via 
Per  indietro  tornar,  che  sia  spedita; 

E quasi  verme  di  bei  stami  cinto, 

Va  tessendo  a sè  stesso  il  labirinto. 

Tosto  che  egli  coli  pose  le  piante , 

Ben  d'  Amor  prigioniero  esser  s'accorse. 
Ma  fra  delizie  si  soavi  e tinte 
Dalla  cara  catena  il  piè  non  torse; 

Anzi  spontaneo  e volontario  amante 
Al  ceppo  il  piede , al  giogo  il  collo  porse  ; 
E poiché  ha  di  tal  carccfe  ventura , 
Servaggio  apprezza , e libertà  non  cura. 

Non  manca  quivi  a corteggiarlo  accinta 
Di  festevoli  Ninfe  accorta  schiera. 

Nè  con  piuma  qual  d’ oro , e qual  dipinta 
Vago  drappel  di  gioventute  arciera; 

Che  al  bel  fanciul , da  cui  fu  presa  e vinta 
La  bella  Dea,  che  in  quell’  albergo  impera. 
Stanno  in  guisa  d’  ancelle  e di  sergenti , 
Diversi  uffici  a ministrare  intenti. 

Chi  d’ambrosia  gl’  impinguali  crin sottile. 
Citi  di  rosa  l’ implica,  c chi  di  persa. 
Chi  di  pomposo  e barbaro  monile 
La  bella  gola  e candida  attraversa , 

Altri  all’  orecchie  di  lavor  simile 
Gemma  gli  appende  folgorante  e tersa  ; 
Talché  tutto  si  vede  intorno  intorno 
Di  molli  arnesi  e femminili  adorno. 

Incantato  dai  vezzi , e tutto  inteso 
A cose  Adon  si  disusate  e nove , 

Parte  d'  alto  stnpor  che  I’  ha  sorpreso 
Vinto , bocca  non  apre,  occhio  non  move. 
Parte  sovra  pensici , seco  sospeso 
Volge  suo  stalo,  c con  cui  siasi,  e dove; 
E sparso  Intanto  d un  gentil  vermiglio 
Bas.so  tien  per  vergogna  a terra  il  ciglio. 


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78  marino. 


Qui  presente  iT  Aliante  era  11  nipote, 
l’crchè  non  pur  la  sua  natia  CUIcue 
I.ascia  talor,  ma  dall'  eterne  rote 
Per  scherzar  con  Amor  spesso  ne  viene. 
Questi  al  garzon  s’  accosta,  c ti  lo  aooto, 
tilie  alzar  gli  fa  le  luci  alme  e serene. 
Kavoleggiando  poi  dolce  li  consiglia, 

K con  modi  piacevoli  il  ripiglia  : 

0 damigel , d>c  sotto  imiauo  velo 
Di  consorzio  diviii  sei  fatto  degno. 

Della  tua  sorte  invidiata  in  cielo 
liceo  eh’  io  teco  a rallegrar  mi  vegno. 

(>>s1  il  tuo  foco  mai  non  senta  gelo, 

(ionie  a curar  non  hai  del  patrio  regno. 
Quando  di  si  lo  scettro,  e del  suo  stato 
I.a  regina  de'  regi  io  man  t’  ha  dato. 

Ma  porcili  mulo  vcggioli , e pensoso, 
Siapensier,  sia  rispetto,  o sia  cordoglio, 
tionsular  mesto,  assocurar  dubbioso, 
(Consigliar  sconsiglialo  oggi  ti  voglio. 

Del  bel  |>er  cui  ne  vai  forte  fastoso , 

Ah  non  ti  faccia  insuperbire  orgoglio. 
Però  die  i fior  caduco , c , se  noi  sai , 
Fogge,  e fuggito  poi , non  torna  mai. 

E tl  vo’  raccontar,  se  non  t’aggrava, 
Ciò  che  addivenne  al  misero  Narciso. 
Narciso  era  un  fanclul , che  innamorava 
Tolte  le  belle  Ninfe  di  Cefiso. 

La  più  bella  di  lor,  che  s*  appellava 
Eco  per  nome,  ardea  del  suo  bei  viso. 
Ed  adorando  quel  dlvio  sembiante 
l'area  fatta  idolatra,  e non  amante. 

Era  un  tempo  costei  Ninfa  faconda, 

E note  sovra  ogni  altra  ebbe  eloquenti. 
Ma  da  Giiuioii  crucciosa  ed  iraconda 
I.C  fur  lasciati  sol  gli  ultimi  accenti. 

Pur  sebben  la  sua  pena  aspra  e profonda 
Distinguer  non  sajiean  tronchi  lameuU, 
Supplia,pace  cUkdeudu,  ai  gran  martiri 
Or  con  sguardi  amorosi , or  con  sospirL 

Ma  r ingrato  garzon  chiuse  le  porte 
Tien  di  pictadc  al  suo  morui  dolore. 
Porla  negli  occhi  e nella  man  la  morte. 
Delle  fere  nemico,  e più  d'amore. 

.\rma  crudo  non  men,  che  bello  e forte, 
f)'  asprezza  il  volto,  e di  fierezza  il  core, 
Di  ti  si  appaga,  e lascia  indubbio  altrui,  ^ 
Se  grazia , o feriti  prevaglia  in  lui. 


Amor,  diccan  le  vergiiienc  amanti , 

0 da  questo  sord’  aspe  .Ime? schernito, 
Do\'  è r arco  e la  foce,  onde  li  vanti  7 
l'crchù  non  ne  rimane  arso  e ferito  7 
Deh  fa,  signor,  che  con  sospiri  e pianti 
Ami  Inva'i  non  amato,  e non  gradito. 
Come  più  tant*  orgoglio  ornai  sopporti! 
Vendica  i propri  scorili,  e gli  altrui  torli. 

A quel  caldo  pregar  l'orecchie  porse  [co 
L’arcier  contro  il  cui  slral  scheruio  vai  po- 
E 11  cacciator  superlw  un  giorno  scorse 
Tutto  soletto  in  solitario  loco. 

Stanco  egli  di  seguir  cinghiali  ed  orse, 
('zTca  riparo  dal  celeste  foco. 

Tace  ogni  augello  al  gran  calorcbe  esala. 
Salvo  la  coca  e stridula  cicala. 

• 

Tra  verdi  colli  in  guisa  di  teatro 
Siede  rustica  vallee  hosclierecc'ia. 

Falce  non  osa  qui , non  osa  aratro 
Di  franger  gleba,  odi  tagliar  corteccia. 
Fonlicel  di  bell' ombre  algente  ed  atro. 
Inghirlandalo  di  fiorila  treccia. 

Qui  dai  Sol  si  difende,  e si  iraluce , 

Che  al  fondo  crìstallin  l'occhio  conduce. 

Sulla  sponda  Iclal  di  questo  fonte , 
Che  i circostanti  fior  di  perle  asperge, 

E fa  limpido  specchio  al  cavo  monte,- 
Che  lo  copre  dal  Sol,  quanto  più  s’ erge. 
Appoggia  il  petto  e l' alfannala  fronte. 
Le  mani  attulTa,  e l' arse  labbra  immerge. 
E quivi  Amor,  mcnlr’  egli  a bers’  inchini, 
^'uol  che  impari  a schernir  virtù  divina. 

Ferma  nelle  bell'oiide  il  guardo  intento 
E la  propria  senibiaiiza  entro  vi  vede. 
Sente  di  strano  amor  novo  tonnenlo 
i'cr  lei,  che  tinta  imniagine  non  crede. 
Abbraccia  l' ombra  nel  fugace  argeuto, 
E sospira  e desia  ciò  che  possiede. 

Quel  che  cercando  v a,  porta  in  sé  stesso 
Miscr,  nè  può  trov  ar  quel  che  Ita  da  presso. 

Corre  per  refrigerio  all’  onda  fresca. 
Ma  maggior  quindi  al  corsele  gli  sorge. 
Ivi  sveglia  la  fiamma,  accende  l’ esca. 
Dove  a temprar  I'  arsura  il  piè  Io  scorge. 
Arde,  e perebù  I'  ardor  viepiù  s' accresca. 
La  sua  stessa  licita  forza  gli  porge, 

E nell'  iucendio  d’ una  fredda  stampa 
Mentre  il  viso  si  bagna,  il  petto  avvampa. 


1» 


L’ ADONE. 


1 jcomtnipla  esalulae  iragec’^alil  folfc) 
Da  niciitito  aenibiantc  afTanno  vero. 

Egli  amantr,  egli  amato,  or  gela,  or  bolle, 
Fatto  strale  e bersaglio,  arco  ed  arderò. 
Invidia  a quell' umor  liquido  e mone 
La  Torma  vaga  e il  sìmnlacro  altero, 

E geloso  del  bene  ond’  egli  ( privo. 

Suo  rivai  sulla  riva  appella  il  rivo. 

Mancando  allìii  lo  spirto  all’  iorcilce. 
Troppo  a sé  stesso  di  piacergli  spiacque. 
Depose  al  pie  dell’ ouda  ingannatrice 
I J vita,  c morto  in  rame,  in  lior  rinic<|oe. 
L’ onda,  die  già  l' uccise,  or  gli  è nutrice. 
Perche  ogni  suo  vigor  prende  dall'  a^ue. 
Tal  fu  il  destin  del  vaneggiaiite  e vago 
^ I Yagbeggiator  della  sua  Tana  immago. 

E cosi  fece  il  Elei  del  gry  ve  oltraggio 
Della  sprezrata  Ninfa  alla  vendetta. 

Ma  tu  (credo  ben  io^  se  sarai  saggio, 
Abborrir  non  vorrai  quel  che  diletta, 

E sgombro  il  sen  d'  ogni  rigor  selvaggio, 
(iodrai  I’  età  borila  c glovinetia. 

Idolo  d’uiia  Dt'a , dal  cui  bel  viso 
Impara  ad  esser  bello  il  paradiso. 

Di  quella  Dea,  percui  struggersi  sente 
Lo  Dio  del  foco  in  maggior  foco  il  petto, 
E da  martel  più  duro  e più  |M>sseiite 
Battere  il  cor,  d'  amore  e di  sos|>etto. 
Quella,  ebe  I danni  dell'  offesa  gente 
Vemlica  sol  col  mansueto  as|ieUo , 

Cht  se  11  folgore  suo  percole  altrui , 

Un  sol  guardo  di  lei  trafigge  lui. 

Di  quella  Dca.clie  può  col  seno  igoudo 
Vincer  l' invitto  Dio  d’  amii  guernito. 
Lo  (|ual  non  può  si  forte  aver  lo  scudo. 
Clic  non  nc  resti  il  ferMor  ferito. 

Nè  di  si  salde  tempre  il  ferro  crudo. 

Che  tempri  il  mal  da  qiie’  begli  ocelli  uscito; 
Quella  die  può  bear  I’  alme  beate , 

Belili  del  deio , c elei  d'  ogni  beliate. 

Uiov  aiie,  il  mondo  in  altra  eli  qual  ebbe 
Amato  mai  da  Oeiladc  alcuna, 

E qual  cotanto  al  Qclo  in  grazia  crebbe, 
Cbe  jvossa  pareggiar  la  tua  forlunaf 
Non  quegli  a te  paragonar  si  debbe. 
Clic  accese  il  cor  della  gelata  Luna. 

Non  l’ altro,  cbe  in  sul  bel  carro  fiorito 
Fu  dalla  bionda  Aurora  in  del  rapito. 


Mille  di  mille  Dee,  di  mille  Del, 

Che  quaggiù  di  lassù  spiegaro  il  volo. 

Amori  annoverar  qui  ti  potrei. 

Ma  lascio  gli  altri,  e te  ne  scoglio  un  solo. 

Oso  di  dir,  che  più  felice  sei 
Di  quel  cbe  piacque  al  gran  Rettnr  del  polo. 

Noti  so  se  ti  sia  nota , o forse  oscura 
Del  troiano  donaci  l' alta  vciilura. 

Dal  foveano  balcon  rivallo  avea 
Il  Motor  delle  stelle  a terra  il  ciglio. 

Quando  mirò  giù  nella  valle  idea 
Del  re  di  Frigia  il  giovinetto  figlio. 

Mirollo , f 11' arse.  Amor,  cbe  l’ acccndM, 
L’armò  di  curvo  rostro  e curvo  artiglio, 

GII  prestò  r all , e gli  destò  vaghezza 
Di  rapir  la  veduti  alta  bellezza. 

La  maestà  di  un  si  sublime  amante 
Itramoso  d’ Involar  corpo  si  bello. 

Della  ministra  sua  prese  sembiante, 

Ghò  non  degnò  cangiarsi  In  altro  augello; 
Perocché  lutto  il  popolo  volarne  B 

Piò  magnanimo  alcun  non  ha  di  i)ueDo. 

Degno  da  che  portò  tanta  beliate 
D’ aver  di  stelle  Ui  del  l' ali  gemmate. 

Oelloera,  e non  ancor  gli  uscia  sul  mento 
L’ombra  cbeadiiggia  il  fiorde’piùbegU  ao> 

Iva  tendendo  a rozze  prede  intento  [jd. 

Ai  cervi  erranti  iiiaidioal  inganni. 

Ed  ecco  il  predaior,  cbe  In  un  momento 
Falcate  I’  ungbie  c dilatati  I vanni , 

In  alto  il  trasse,  e per  lo  del  sostenne 
L'  amalo  incarco  In  sulle  tese  penne. 

Mira  da  lunge  stupido  c deluso 
Iz>  sluol  dei  servi  il  vago  aiigd  rapace. 

Segiion  latrando'  e risguardaudo  iususo 

I cani  la  volante  ombra  fugace. 

II  volo  obblia  d'  allo  piacer  confuso 
Giove , e di  gioia  e di  desir  si  sfact; 

Gli  ocelli  fiso  volgendo  c le  parole, 

Ai|uila  fortunata , al  suo  bel  Sole. 

F'anduI,  dicea,  die  piagni  ? a cbe  paventi 
Gaiigiarcol  deio  (ab  semplicetto]  I lioscbl  7 
Con  Lauree  sfere  e con  le  stelle  ardenti 
Le  lane  al|>estri  e gli  antri  ombrosi  o (o- 
Econ  gli  Dei  lieiiigiii  ed  ionoceiili  [schi  7 
Le  fere  annate  sol  d' ire  e di  losclii  7 
Fatto,  mercè  di  lui.cbe  il  tutto  move. 

Di  rozzo  cacciator,  coppier  di  Giove?  ^ 

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P - • "cd  by  GoogU- 


80  * MARINO. 


SoiiGiofcislcsso.Amorni'ln  giunto  a tale, 
Non  prestar  ferie  alle  mentile  piume. 
Aquila  fatta  .snn;  ma  die  mi  vale, 

Se  aquila aucnr  mi  abbaglio  a tanto  lume? 
lo  quel,  quell'  io,  die  col  fulmineo  strale 
Tonar  sovra  I giganti  lio  per  costuine. 

Si  son  pungenti  i folgori  clic  scocchi. 
Saettato  son  già  ila  tuoi  begli  occhi. 

Qual  prò  li  ila  per  balze  e per  caverne 
Seguir  de’  mostri  orribili  la  traccia? 
Vientcnc  meco  alle  delizie  eterne , 
Maggior  preda  sia  questa  e miglior  caccia. 
E se  avvicn,  clic  colà  nelle  superne 
Piagge  i bei  membri  esercitar  ti  piaccia. 
Trarrai  per  le  stellate  ampie  foreste 
Dietro  all'  Orse  del  polo  il  (àin  celeste. 

Lascia  ornai  ]iiii  di  ricordar,  rivolto 
.Mie  selve,  agli  armciili , Ida,  nè  Troia. 
Sei  celeste  e felice  ; avrai  raccolto 
Tra  gli  eterni  conviti  eterna  gioia. 

E nell’  aspra  stagion,  quand' Austro  sciolto 
L’ aria,  la  terra  e II  mar  turila  ed  annoia. 
Visitata  dal  Sol,  lurida  c bella 
Scintillerà  la  tua  feconda  stella. 

Cosi  gli  parla,  e intantoal  sommo  regno, 
Della  gente  immortal  patria  serena , 

Non  per6  senza  scorno,  e senza  sdegno 
Della  gelosa  Dea , lo  scorge  e mena , 
Dove  del  nobii  grado  il  rende  degno. 
Che  sempre  in  ogni  prandio,  in  ogni  cena 
A mensa  in  cavo  e lucido  diamante 
Porga  il  nettare  eterno  al  gran  Tonante. 

Ebe  e Vulcan,  che  poco  dianzi  quivi 
Della  gran  tazza  il  ministero  avienu 
Già  ritìntati , e dell’  liflicio  privi 
Cedono  al  novo  av  venturier  terreno. 

Ei  l’ama  si,  che  innanzi  a Dive  c Divi 
Quando  il  sacro  teatro  6 tutto  pieno. 
Ancor  presente  la  ritrosa  moglie. 

Da  Ganimede  suo  mai  non  si  scioglie. 

Non  gli  reca  il  garzon  giammai  da  bere. 
Che  pria  noi  baci  il  Re  die  in  ciel  coman- 
E trae  da  quel  liaciar  maggior  piacere  [da. 
Che  dalla  sua  dolcissima  bevanda. 
Talvolta  a studio,  e senza  sete  avere 
Per  ribaciarlo  sol,  da  ber  dimanda,  [loppa. 
Poi  gli  urtai!  braccio,  o in  qualche  cosa  in- 
Spande  il  licore,  o fa  cader  la  coppa. 


Quando  torna  a portar  I’  amato  page.io 
Il  calice  d’  umor  stillante  e greve , 

Rivolli  in  prima  i cupid’  occhi  al  raggio 
De’ bei  lumi  ridenti,  egli  il  riceve, 

E col  gusto  leggier  fattone  un  saggio. 

Il  porge  a lui,  ma  menlr’ei  poscia  il  beve. 
Di  man  gliei  toglie,  e le  reliquie  estreme 
Cerca  nel  vaso,  e beve  e bacia  Insieme. 

Madie?  Tu  sovra  questo  e sovra  quanti 
Più  pregiali  ne  furo  iinqua  tra  noi. 

Darli  bene  a ragion  titoli  e vanti 
Di  avventuroso  c fortunato  puoi, 

Poidii''  il  più  bel  dei  selle  lumi  erranti 
Hai  potuto  invaghir  degli  occhi  tuoi, 

E por  le  stesso  in  signoria  di  quella. 

Che  influisce  ogni  grazia , amica  stella. 

E però  ti  consiglio  e ti  ricordo. 

Che  di  tanto  favor  ringrazi  il  Fato. 

Non  essere  al  tuo  ben  cieco,  nè  sordo, 

’ f 

Sappi  gioir  di  si  felice  stalo. 

Nè  cagion  lieve , o van  desil  e ingordo 
l’arlir  ti  f.iccia  mai  dal  fianco  amato; 
Percliè  cose  s’incontrano  sovente. 

Onde  quando  non  vale  altri  si  pente. 

La  fanciullesca  età  tenera  e molle 
E quasi  incauta  e semplice  fanciulla. 

Lo  cui  desir  precipitoso  e folle 
Corre  a ciò  che  l’ allctta  e la  trastulla. 
Orpiange,orride,ementrcondeggiaebol- 
Suole  Immenso  dolor  tragger  di  nulla,  [lo, 
E procacciar  non  senza  gravi  aflanni. 

Da  leggieri  accidenti  eterni  danni. 

Troppo  talvolta  a vani  oggetti  inlenlu 
Quel  che  rileva  più  sprezza  ed  obblia, 

E cosi  pargoleggia  e si  lamenta 
Se  avvlen  che  penla  i>oi  ciò  clic  desia, 
l'n  esempio  n’avrai , se  li  rammentn. 
Degno  die  a mente  ognor  certo  li  sia. 

Per  cui  l’alma  anzi  tempo  irsci  divisa 
D’una  spoglia  leggiadra,  odi  in  che  guisa. 

Vezzoso  cervo  si  nutriva  in  Cea, 

Di  cui  più  bel  non  fu  daino,  nè  damma. 
Sacro  alla  casta  c boschereccia  Dea  , 

Più  vivace  e leggier,  che  vento,  o fiamma. 
Quando  appena  lascialo  il  nido  avea , 

D’ una  capra  poppò  l' ispida  luanima. 
Onde  Conforme  all’  alimento,  ch’ebbe. 
Qualità  prese,  c mansueto  crebbe. 


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L’ADONE.  k HI 


È canuto  qual  cigno , c il  pelo  ba  bianco 
Più  clic  latte  rappreso,  o neve  alpina; 
Sol  di  purpuree  macchie  il  petto  e il  fianco 
Sparso  a guisa  di  rose  in  sulla  brina. 

Con  le  Ninfe  conversa,  e talor  anco 
In  udir  chiamar  Cinzia,  egli  s’inchina. 
Pur  come  a riverir  nome  si  degno 
Umano  spirto  il  mova,  umano  ingegno. 

aa 

TraFaunieDriadllI  di  spazia  «soggiorna 

In  aperta  campagna  , o in  chiuso  ovile. 
Che  per  fregiargli  le  ramoso  corna 
Vali  (ielle  pompe  sue  spogliauilu  Aprile. 
D’ oro  rorcccliie,f  d'or  la  fronte  adorna, 
Oli  circonda  la  gola  aureo  monile, 

Che  (in  lai  lirovc  conlien:  Ninfe  e pastori, 
Di  Diana  sono  io,  ciascun  m'onori. 

la;  Ninfe  fontaniere  e le  montane 
Nella  siaglon , clic  al  cervo  il  corno  casca. 
Onde  povero  ed  orbo  ei  ne  rimane 
'Per  più  corsi  di  Sol  pria  die  rinasca , 
Oli  componcano  in  mille  forme  e strane 
Sulla  vedova  fronte  ombrosa  frasca, 

E con  bell' arte  il  rifaccaii  cornuto. 

Quel  che  già  per  natura  avea  perduto. 

Tra  quanti  il  favorirò  c l’ ebber  caro 
KuCIparisso,  un  pellegrin  donzello. 

Per  cui  languiva  il  gran  signor  di  Claro, 
<^c  non  vide  giammai  viso  più  bello. 

L' età  con  la  bellezza  iva  di  paro , 

Cbè  era  degli  anni  ancor  sul  lior  novello, 
E (lei  suo  bel  niattin  l' Alba  amorosa 
l.e  guance  gli  spargea  di  fresca  rosa. 

Questo  fanciul , da'  cui  begli  ocelli  acceso 
Più  clic  dai  propri  raggi  ardeva  Apollo , 
Sempre  a seguirlo , a custodirlo  liiicso 
I n pregio  r ebbe,  c sovra  ogni  altro  aniollo. 
Gli  area  di  propria  man  fatto  ej  appeso 
Di  squillctle  d'argento  Un  serto  al  collo, 
Perché  qualor  da  iuiige  il  snon  ii'  udiva 
Lo  potesse  trovar  se  si  smarriva. 

Erra  il  giorno  con  lui , la  sera  rìede 
Là  've  d’erbe  e di  fior  letto  l’accoglie. 
Spesso  in  braccio  gli  corre,in  grenilio  siede 
E prende  di  sua  man  or  acque,  or  foglie. 
Orgoglioso  ei  ne  va,  che  lo  possiede, 
Uniil  r altro  ubbidisce  alle  sue  voglie. 

E con  serico  fren  pronto  e leggiero 
Si  lascia  maneggiar  come  un  ilcstricro. 


Era  nel  tempo  delle  bionde  s|iiche. 

Quando  il  pianeta  fenido  dMielo 

I raggi  a piombo  in  sulle  piagge  aprìclic 
Non  vibra  no , ma  fulmina  dal  cielo. 

II  bel  garzon  fra  molte  querce  antiche, 

Qie  tcssean  di  folt' ombra  un  verde  velo. 

Dopo  lungo  cacciar  stanco  nc  venne, 

E il  domestico  suo  dietro  gli  tenne. 

Or  mentre  il  cervo  pasce , ed  egli  porge 
Riposo  ai  membri  in  mezzo  alla  foresta. 

Erger  vago  ragiaii  non  lunge  scorge 
Fuor  d'iina  inac  liia  la  purpurea  testa. 

Prende  l'arco  pian  pian  , dall' erbasorge, 

E li  miglior  strai  della  faretra  appresta. 

Tende  prima  la  corda,  Indi  l’allenta, 

E la  eanna  ferrala  innanzi  avventa. 

Dove  l' arder  l'invia  lo  slral  protervo. 

Ma  dove  ei  non  vorrebbe,  i vanni  alIVelta.  y 
Dopo  quel  cespo  il  suo  dilclto  cervo 
Erasi  posto  a ruminar  l'erbetta. 

Onde  scagliato  dal  possente  nervo, 
li  fianco  inerme  al  misero  sartia. 

Pensali  tu , se  alla  mortai  ferita 
Cade,  e in  vermiglio  umor  versa  la  vita! 

V accorre  il  suo  signor,  volgendo  drillo 
Verso  il  flebii  muggito  II  guardo  pio. 

E quando  vede  (alii  cacciatore  afllillo) 

In  cambio  dell'augci,  quel  clic  terio, 

E gemer  sente  il  povcrel  Iranito, 

Che  par  gli  voglia  dir  (Clic  t'Iio  fatt’ioT  ■■ 
Stupisce  e lrenia,e  da  gran  doglia  oppresso 
Vorria  passarsi  il  cor  col  dardo  istesso. 

Scende  colà  lo  Dio  cidoinato  c biondo 
Dal  suo  carro  Inceiuc  ed  immortale, 

F3  gli  dimostra  con  parlar  facondo 
Come  quei  che  t’alUiggc  è piccini  male. 

Ma  nessuna  ragion , che  porti  al  mondo, 

A consolar  lo  sconsolato  vale. 

Dei  cadavere  freddo  il  cullo  amalo 
Abbraccia  e bacia,  c vuol  morirgli  allato. 

Sfoga  con  l' innocente  arco  infelice 
Il  suo  ralibioso  c disperato  sdegno. 

Spezza  r empie  qiiadrella , cd  onici , dice. 

Non  snggerete  voi  sangue  meli  degno. 

Ma  te  del  fiero  colpo  eseculrice  • 

Mano  ingrata  e cnidcl , perebt'  sostegno? 
Perche,  s' hai  con  lo  slral  coni  messo  ciroro 
Non  r emendi  col  ferro  In  qiicslocore? 


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«2  -x  MARISO. 


Poichi  porrido  lo  stosso  e nialacoorto 
1)1  propria  maii  d’ ogni  losor  m’ lioprlvo , 

E perduta  ogni  gioia  ogni  conforto. 

Lieti  oggetti  e giocondi  abitorro  e schivo  t 
Fa , prego , o Ciel , sema  il  mio  ben , che  è 
t'.h’  io  fra  tanto  dolor  non  resti  vivo,  [morto 
Fach’Ionon  senta  almeno  c che  non  miri, 
So  non  feretri  c lagrime  e sospiri. 

Appena  egli  ha  vigor  d’ esprimer  questo, 
Che  la  pelle  gl’ Indura,  e 11  busto  Ingrossa. 
Sorge  piramidal  tronco  funesto, 

Rozzo  legno  si  fan  le  polpe  e l' ossa,  [sto 
Verdeggi.!  il  crin  frondoso,  e quanto  al  re- 
Tutla  da  lui  l' antica  forma  è scossa. 
Funcral  pianta  e tragica  diviene, 

E quant' noni  desiava,  arbore  ottiene. 

Se  un  amante  divin  più  che  una  fera 
(f’/ime  ragion  cliiedea)  curato  avesse. 
Forse  non  avria  questi  in  tal  maniera 
Dato  campo  al  destili,  che  poi  l’opprcssc. 
Or  tu  non  fare , che  occasion  leggiera 
T’ involi  a lei , che  suo  signor  l’ elesse , 
PercliÈ  lontan  da  chi  n'  ha  zelo  c cura 
Scompagnata  beltà  non  va  secura. 

So  che  sovente  per  le  selve  errando, 
Dove  strani  animali  hanno  ricetto, 

DI  girne  ardito  e intrepido  cacciando 
O con  spiedo,  o con  strai  prendi  diletto. 
Deh  non  voler,  tanto  piacer  lasciando, 
Tra  1 perigli  de"  boschi  entrar  soletto. 

Se  al  viver  tuo  troncar  non  vuoi  le  (ila. 
Sovvengali  talor  del  caso  d’ila. 

Era  scndier  del  generoso  Alcide 
Ila,  il  vago  ligliuol  di  Teodainanle. 

Più  bei  crin,  pi  ù begli  orchi  il  Sol  non  vide. 
Più  Ilei  volto  giammai , più  bel  sembiante, 
•finn  la  tenera  man  Farmi  omicide 
Spesso  slringca  del  bellicoso  amante, 

E dell’ immensa  e smisurata  clava 
Fedelmente  l’Incarco  in  si  portava. 

Quando  al  fier  (Irrion,  quando  .ad  Anteo 
Tolse  il  forte  rampimi  la  vita  c l’alma, 
filando  dell’  idra  c ilei  Icon  neineo  , 

Del  cinghiale  e del  tauro  ebbe  la  palma. 
Fu  sempre  a parte  d’ogni  suo  trofeo. 
Ne  lasciar  volse  mai  la  cara  salma , 
Seguendo  pur  con  pronte  voglie  amiche 
Dell’invitto  signor  Falle  fatiche. 


S'armaro  intanto  per  portar  dell’oro 
La  ricca  preda  I naviganti  audaci , 

Del  primo  sprezzator  d’ Austro  e di  Coro 
Quando  a Coleo  passò  , fidi  seguaci. 

Vi  andar  di  Leda  i (igli , andò  con  loro 
Teseo , andovv  i il  cantor  dei  boschi  traci  ; 
E fra  gli  altri  gnerrier  dello  stuol  greco 
Il  gran  figlio  d’Almena,  ed  Ila  seco. 

Sorse  di  MIsla  da  buon  vento  scorta 
Tra  i verdi  lidi  la  famosa  nave, 

Dove  ferma  sull’  ancora  ritorta 
Deposc  de’  suol  duci  il  peso  grave. 
Procaccia  qui  la  giovenlude  accorta 
Per  l’ amene  campagne  ombra  soave. 

Chi  le  mense  apparecchia  in  sulle  sponde. 
Chi  fa  letto , o sedii  d’ erbe  c di  fronde. 

Ila  dal  caldo  c dalla  sete  adusto 
Cerca  ove  empir  di  gelid’onda  un  vaso. 
Onde  d’urna  dorata  il  tergo  onusto 
Cola  s’imbosca , ove  lo  porta  li  caso. 
Crescer  F ombre  fa  già  dei  folto  arbusto 
Il  Sol,  che  ornai  declina  Inver  l’Occaso; 
Ed  ei  per  tutto  spia , se  d’  ac(|ua  sente 
Alcuna  scaturigine  cadente.  ' 

Ed  ecco  giunge,  ove  di  musco  e felce 
Tutta  vestita,  e d’edera  selvaggia. 
Pendente  costa  di  scabrosa  selce 
Gian  parte  adomlira  dell’ aprica  spiaggia. 
Quinci  i'onio  c la  quercia  e l’ alno  e Felce 
Scacciano  il  Sol,  qualor  più  caldo  irraggia. 
Spargendo  Intorno  dalla  chioma  oscura 
Opacata  di  fronde  alta  frescura. 

Quasi  cor  della  selva , un  fonte  ombroso 
Mormorando  nel  mezzo,  il  prato  avviva. 
Ed  offre  al  peregrin  fresco  riposo 
Ghiuso  dal  verde,  alla  stagione  estiva. 
Dal  sen  profondo  del  suo  fondo  erboso 
Spira  spirto  vital  d’aura  lasciva, 

E porge  all’ erbe,  agli  arboscelli,  al  fiori 
Per  cento  vene  i nutritivi  umori. 

Sotto  questa  fontana  a chiome  sciolte 
.Sul  Ilei  fitto  meriggio  aveano  usanza 
Le  Napee  del  bel  loco  in  cerchio  accolte 
Vaghe  carole  esercitare  in  danza. 

Come  Ila  in  lor  le  luci  ebbe  rivolte, 

D’ inAanimarlc  tra  F acque  ebbe  possanta. 
Onde  nel  vivo  e Incido  cristallo 
Rotto  nel  mezzo  abbandonato  il  ballo. 


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♦ 

L'ADONE.  81 


Come  stella  nel  mar  divella  cade 
Dall’ azzurro  scren  del  cielo  estivo, 

U qual  strisciaudo  per  oblk|ue  strade 
Fende  II  notturno  vcl  raggio  festivo , 
Cosi  la  rara  e singoiar  belladc 
Rapida  ingiù  dentro  quel  gorgo  vivo  , 
Precipitando  tra  le  chiare  linfe 
Trovossi  lo  braccio  alle  gelate  Ninfe. 

Delle  vezzose  Dee  l’ umida  schiera 
Consolandolo  a prova,  in  scn  l' asconde; 
Driope , Egeria , Nicea , Nisa , Neera 
Ciiasciugan  gli  occhi  con  le  trecce  bionde. 
Ei  la  perduta  libertà  primiera 
Piagne, e col  pianto  amaro  accresce  l' onde. 
Ahi  che  disse  7 ahi  che  fc'  per  doglia  insano 
Dei  mostri  Intanto  il  domalor  tehano7 

Lungo  il  Pontico  mar  con  più  veloce 
Cerca  e ricerca  ogni  riposto  calle. 

Tien  la  gran  mazza  nella  man  feroce. 

La  libica  faretra  ha  dalle  spalle. 

Ila,  Ila  tre  volte  ad  alla  voce. 

Ila  chiamò  per  la  solinga  valle; 

Nò  fuor  clic  un  mormorio  debile  c basso , 
GII  fu  risposto  dal  profondo  sasso. 

Poscia  che  indarnuil  suo  ritorno  attese. 
Gemiti  disperati  al  del  discioise. 

Di  rabbiosi  sospiri  il  bosco  accese, 

Delle  stella,  d’Amor,  di  sò  si  dolse. 

Tisi , poiché  le  vele  all' aura  tese , 

Gl’ inditi  eroi  sull’alta  poppa  accolse. 
Ercol  restò  con  dolorosi  strilli , 

Tapino  amante,  ad  assordare  i lidi. 

Fra  tante  istorie,  eh’ io  ti  narro  c tante, 
En  punto  principal  non  vo’  lacere. 

Non  essere  in  amor  foglia  incostante , 
Chi  al  primo  soffio  è facii  a cadere. 

Non  essere  alga  in  mar  lieve  c tremante. 
Che  pieghi  or  quinoi  or  q uiiMif  il  tuo  volere. 
Stabile  ai  venti , all’ onde,  in  te  raccogli 
La  fermezza  dei  tronchi  c dogli  scogli. 

Vago  è del  bello , c di  ieggier  s’ accende 
Di  duo  begli  occhi  un  giovinetto  core. 
Agitato  vacilla , or  lascia , or  prende 
Quasi  camaleonte  ogni  colore. 

Il  pianeta  volubile , che  splende 
Tra  le  fredd’ ombre  del  notturno  orrore. 
Tante  forme  non  cangia  incontro  al  Sole, 
Quante  egli  in aòstampar  sempre  nesuole. 


So  che  II  ben  si  dilTonde  e si  diletta 
Comunicarsi  altrui  per  sua  natura. 

Ma  chi  giunge  a goder  l>eltà  perfetta 
Non  deve  esca  cercar  di  nova  arsura. 

Alma  gentile  in  nobii  lardo  stretta 
Di  pubblico  giardin  frutto  non  cura. 

Perchè  volgare  c proiliga  bellezza 
Posseduta  da  molti  è vii  ricchezza. 

Cosa  non.  è,  che  tanto  un  core  Irriti 
Quando  Amor  da  ragion  vinto  si  sdegna. 
Quanto  II  vedersi  i suoi  piacer  rapiti 
Da  mano  ingrata,  c )>er  caglou  men  degna. 

Tu  gli  altrui  dolci  e lusinghieri  inviti 
Fuggir  (se  hai  senno)  a |)iù  poter  t’ Ingegna 
Perchè  di  te  non  faccia  CItcrca 
Quel  che  d'  Alide  fece  un’  altra  Dea. 

Cibclc  degli  Del  madre'  feconda 
Fu  d’Ati  un  tempo  Innamorata  assai,  . ,. 

E degna  u’era  ben  1’  aria  gioconda 
Del  viso,  che  avea  bel  come  tu  l’hai. 

.Avea  bocca  purpurea  e diioma  bionda, 

E sotto  oscure  ciglia  ardenti  rai. 

Nè  delle  prime  lane  ancor  vestita 
La  guancia  vcrmiglietta  e colorita. 

Poscia  clic  degno  il  fe’,  rii’ egli  salisse 
Della  scala  d’Amor  sul  grado  e.strenio. 

Tu  vedi  ben  (più  volte  ella  gli  disse) 

Siccom'  io  sol  per  te  languisco  c gemo. 

Non  far  torto  allo  strai  che  mi  traOsse , , 
Sol  perchè  troppo  t’ amo,  io  troppo  temo. 

Alla  giurata  fè  non  far  inganno. 

Se  non  vuoi  che  il  favor  ti  torni  lo  danno^ 

No  no,  diccail  garzon,  beltà  non  veggio. 

Che  mi  possa  adescar  nei  lacci  suol. 

Dal  dì  che  aveste  in  questo  core  11  seggio. 

Per  altri  occhi  languir  non  seppi  poi.  [gio 
Qualunque,  ovunque  siami  esser  non  do|^ 
Altro  giammai  che  vostro,  altro  ebe  voi. 
Arderò,  v’amerò  (cosi  prometto) 

Finché  avrò  sangue  in  v cna,anima  in  petto. 

Non  molto  andò , che  per  riposte  vie 
Vago  di  rifrigerio  e di  quiete. 

Mentre  nella  più  alta  ora  del  die 
Cercava  umor  per  ammorzar  la  sete. 

Stelle  il  guidare  insidiosa  e rie 
In  certe  solitudini  acerete. 

Dove  ombraggio  cadca  gelido  e fosco 
Dal  folto  crin  d’ un  taciturno  bosco. 


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8i  MARINO. 


Tra  discoscosc  e solitarie  piagge 
Volge  gran  rupe  al  Sol  le  spalle  alpine. 
Ombrai)  la  fronte  sua  piante  selvagge  , 
Quasi  dell’  aspra  testa  Ispido  erinc. 

Per  l'occliio  di  un  canal  distilla  e tragge 
Lagrime  inargentale  c crislalline. 

Apre  un  antro  le  ranci  a pi6del  fonte 
Quasi  gran  gola,  c fa  la  bocca  al  monte. 

Quivi  a seder  Sangarida  ritrova 
Un’  Amadriaile  assai  vezzosa  c bella. 
L’avviso  della  Dea  poco  gli  giova. 

La  contempla  furtivo,  c non  favella. 
Scender  si  sente  al  cor  dolcezza  nova, 

E gli  lampeggia  il  cor  coiu’  una  stella. 
Oravvampa,  oragglilaccia,  e trema  come 
De’  vicini  ariioscei  tremai)  le  cliiome. 

Air  on)bra  del  suo  bel  tronco  natio. 
Che  lem|)csta  di  fior  le  piove  in  grembo. 
Steso  sul  verde  margine  del  rio 
La  vaga  Ninfa  ha  della  gonna  il  letnbo. 
Ed  og))i  altro  pensier  posto  in  obblio , 
Coglie  dal  prato  quel  fiorilo  nembo, 

Dal  prato,  acni  piti  clic  la  nian  non  prende 
Con  larghissima  usura  il  guardo  rende. 

Mentre  all'  errante  crii)  tenero  freno 
Di  fior  bianchi  inanella,  c di  vermigli. 
Si  specchia , e con  l’ umor  chiaro  e sereno 
Par  che  tacitamente  si  consigli. 

Ma  co’  fior  del  bel  viso  c del  bel  seno 
Perdo))  le  rose  assai , perdono  I gigli. 

E i fiati  della  bocca  avventurosa 
VIncon  l’odor  del  giglio  e della  rosa. 

Ciò  fatto,  nelle  pure  onde  tranquille 
Poiché  Ita  tre  volte  c quattro  il  volto  im- 
perlo labbra  iiiafiì  ardi  fresche  stille  juerso 
Fa  del  concavo  pugno  un  nappo  terso. 
Ahi  elle  sugge  ella  umori , Ati  faville  , 
QuauluiKpicalibiano  in  Ciò  fontediverso. 
Della  mano  c dagli  occhi  a poco  a poco 
Mentre  ch’ella  bev’acqua  , ei  beve  foco. 

Fuor  del  lioschcttoalliuc  11  passo  ci  spin- 
E dai  centro  del  cor  trasse  un  sospiro,  [so. 
Un  sospir,  che  lo  spirto  in  aura  strinse, 
E fu  muto  orator  del  suo  martiro. 

L’  una  allor  si  riscosse,  c l’altro  tinse 
La  pura  neve  del  color  di  Tiro. 

Volea  parlar,  uva  quasi  ghiaccio  al  Sole 
Venia  ttteno  la  voce  alle  parole. 


Alla  leggiadra  vergine  dappresso 
Si  fe’  pur  sospirando,  e pur  gemendo 
Con  si  caldo  desio  nel  volto  espresso. 
Che  ne’  sospiri  suoi  cbiedea  tacendo. 
Ma  così  riverente  c sì  ditnesso. 

Che  ne’  guniti  suol  tacea  chiedendo, 

E spargea  mille  d’aurei  strali  armali 
Fuor  de’  begli  occhi  spiritelli  alati. 

Tosto  eh’ a quella  luce  il  volto  volse. 
Arse  di  pari  ardor  la  giovinetta. 

Depose  I fiori,  ed  ei  «|uel  fior  si  colse, 
CI)'  ai  seguaci  d’ Amor  tanto  diletta. 
Quando  in  letto  odorifero  gli  accolse 
La  fresca  molle  c rugiadosa  erbetta  , 

Ne  susurrar,  iic  bisbigliarle  fronde, 

E dolce  mormorio  ne  fu  tra  l'oiide. 

Ma  la  gelosa  Dea,  che  il  fallo  ascolta 
Di  quel  suo  disleal , che  l’ ba  tradita , 
Tosto  alle  furie  infuriala  e stolta 
Ricorre,  e inconir’al  giovine  l’irrita. 
Gi.'ì  di  srpiallide  serpi  il  crine  involta 
\ibra  le  faci  sue  d’ Averno  uscita, 

E CO))  foco  e con  tosco  ecco  che  Aletto 
Gli  cocc  11  core,  e gli  flagella  il  petto. 

Ferve  d’ insatta  ed  arrabbiala  voglia 
Di  tartaree  fiammelle  Alide  acceso,  fglias 
Spun>a,  freme,  il  piè  scalza,  il  manto  spo- 
.S1  lo  strugge  il  veleii  che  il  cor  gli  ha  preso. 
La  feconda  radice,  oiid”uoui  germoglia, 
E Tuli  e l’altro  suo  pendente  peso. 

Rei  del  suo  mal,  da  gran  furore  indulto 
Miser,  di  propria  man  si  tronca  in  tutto. 

Teslinionio  pietoso  al  caso  tristo 
Fu  dì  Sinade  allora  iVvicin  colle. 

Che  d' ogn’intorno  rosseggiar  fu  visto 
Del  sangue  del  garzo))  rabbioso  c folle. 
Del  sangue  bel , che  con  la  rupe  misto 
Tutto  il  sasso  lasciò  macchialo  e molle. 
Onde  Frigia  dipinti  ancor  Hlienc 
I marmi  suoi  di  preziose  vene. 

Per  trarsi  poscia  a precipizio  ascende 
Ripida  cima  d'aspro  monte  alpino; 

Ma  mentre  il)  gii)  Iraluicca  e in  aria  pende 
Co' piedi  in  alto,ccon  la  fronte  al  chino, 
LaDea,  che  l’ ama  ancor,  pietosa  il  prende, 
l.’alligge  in  terra,  c lo  trasforma  in  pino. 
Ed  pr  da  quel  di  pria  cangiato  tanto 
In  tenace  licor  distilla  il  pianto. 


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Con  queste  fole  e Tavolette  avea 
Del  sommo  Giove  il  messagger  sagace 
Persuaso  il  garzon  ; nè  qui  ponea 
Freno  al  garrir,  novellator  loquace. 

Ma  troncando  |l  cianciar,  stese  la  Dea 
La  man  di  neve  al  foco  suo  vivace; 

E parve  II  cor  con  un  sospiro  aprisse, 
Mentre  queste  parole  ella  gli  disse; 

Adon  cor  mio , mio  core , ornai  serena 
La  mente  ombrosa  ,e  lascia  ogni  al  tra  cura. 
0 tre  volte  mio  cor,  deh,  prego,  afTrena 
Quel  desio  di  cacciar,  che  a me  ti  fura. 
Nonfar,  se  m’ ami, che  acquistata  appena, 
Perdano  gli  occhi  miei  tanta  ventura. 

Non  voler  dato  a me,  da  me  disgiunto 
E ricca  farmi , e povera  in  un  punto. 

Non  sottopor  de’  boschi  ai  duri  oitraggi 
,I.e  delicate  membra  c giorno  c notte. 
I.asc^  a’  pili  rozzi  cori  c più  selvaggi , 
Delle  fere  il  commercio  c delle  grotte. 
Che  ti  giova  menar  tra  I'  elei  e i faggi 
Spezzati  I sonni  e le  vigilie  rotte? 

E in  ozio  travagliato  e faticoso 
Inquieta  quiete,  aspro  riposo? 

« 

Che  ti  vai  la  faretra  ognor  di  strali, 

E di  mostri  la  selva  impoverire? 

Delle  Dive  celesti  ed  immortali 
Bastiti  co’  begli  occhi  il  cor  ferire , 

• Senza  voler  de’  rigidi  animali 
Con  tuo  danno  e mio  duol  l’ orme  seguire. 
Perchè  di  questo  scn  denno  le  selve , 

E di  me  più  felici  esser  le  belve? 

Soffrir  dunque  poss’  io,  che  dalle  braccia 
Rapila  (oimè)  mi  sia  tanta  bellezza. 

Per  darla  a tal,  che  con  l’aniglio  straccia, 
E col  dente  ferisce , e la  disprezza  ? 

0 crude  fere , o maledetta  caccia , 

0 ricetti  d’orrore  e di  fierezza  , 

Indegne  di  mirar  luci  si  puro. 

Contumaci  del  Sol , foreste  oscure. 

Possiate  sempre  le  rabbiose  strida , • 
E I furori  sentir  d’ Euro  baccante. 

Fiero  fulmine  i rami  a voi  recida. 
Sfrondi  il  crin, sfiori  I fior,  spianti  le  pian  le.  ^ 
Rigorosa  secure  in  voi  divida 
Dall’amato  arboscel  l’ arbore  amante , 
Siccome  voi  spietatamente  il  mio 
Dividete  da  me , dolce  desio. 


85 

Sovra  tutto  il  timorm’ agghiaccia  e coce 
Della  triforme  Dea,  eh’  è donna  anch’  ella; 
E sebben  tanto  incrudelì  feroee 
Nella  misera  sua  già  Ninfa,  or  stella, 

( Lascio  II  suo  loco  al  ver)  corre  pur  voce , 
Che  non  fu  sempre  al  mio  hglluol  rubella , 
E coprendo  il  piacer  con  la  vergogna , 

Sa  godere  e tacer  quando  bisogna. 

Ma  siasi  pur,  qual  i mortai!  sciocchi 
La  fanno  appunto  e saina  c casta  ed  alma. 
Che  fia,s’  egli  avverrà,  che  il  sen  le  tocchi. 
Quello  strai,  elicali  me  portò  la  palma? 
Fiamma  di  questo  cor.  Sol  di  quest’ occhi. 
Vita  della  mia  vita  , alma  dell’  alma , 
Sappi,  che  un  raggio  sol  de’  tuoi  sembianti 
Può  romper  marmi  c caicinar  diamanti. 

Risponde  Adone  : 0 caramente  cara  , 
Certo  a me  quanto  cara,  ingrata  sei. 

Se  creder  puoi , che  possa  (ancorché  rara) 
Altra  beltà  di  me  portar  trofei. 

Il  Sol  degli  occhi  tuoi  sol  mi  rischiara. 
Occhi  più  cari  a me , che  gli  occhi  mici. 
Là  si  gira  il  mio  fato  e la  mia  sorte , 

Essi  son  la  mia  vita  c la  mia  morte. 

Benché  tutto  di  luci  il  del  sia  pieno. 
Solo  il  Sole  è però , che  il  mondo  alluma. 
Non  ha  più  face  Amor  per  questo  seno. 
Sarò  qual  sono  al  foco  ed  alla  bruma; 

Di  si  dolce  fontana  esce  il  veleno , 

Che  dolcissimamcnte  mi  consuma. 
Giunga  il  mio  corso  a riva  o presto,  o tardo. 
Vivrò  qual  vivo,  ed  arderò  coni’  ardo. 

Ma  se  costume  e naturale  istinto. 

Che  di  fere  affrontar  mi  dà  baldanza. 
Dalla  beltà  ,.che  m’ha  legato  e vinto, 
Talor  di  desviarmi  avrà  possanza. 

Non  te  ne  raglia  no,  eh’  a ciò  son  spinto 
Sol  dall’  antica  e flileltosa  usanza. 

Nè  sdegnar  te  ne  del , chè  chi  ben  ama 
Il  piacer  del  suo  amor  seconda  e brama. 

Non  sia  prodigo  Amor,  perchè  talora 
Suol^H  cibo  abborrir  sazio  appetito. 
P»^l’  liso  in  disprezzo,  e spesso  ancora 
diletto  è men  gradilo. 

Nè  si  aspettato  e desiato  fora 
S’  Aprii  d’ ogni  stagion  fusse  fiorilo. 
Sempre  quel  eh’  è vietato  e quel  eh’  è raro. 
Più  n’  invogliali  desire,  c più  n’è  caro. 


L’ ADWE. 

li 


8({  MARINO. 


Non  eh'  io  (T  amarti  o fastidito  o stanco 
Possa  aver  mai  di  te  t’ anima  sgomlira  ; 
Anzi  quando  il  tuo  Sol  mi  verrà  manco. 
Sarò  qual  cici,  eui  fosca  iiolle  adombra, 
Sena’  ocelli  in  fronte  e senza  core  al  fianco. 
Sena'  alma  un  corpo  e senza  corpo  un'  om- 
Ma  se  questo  è destili,  porta  il  dovere,  [bra. 
Che  quel  die  vuole  il  Ciel,  rogU  volete. 

Soggiunse  allor  Ciprigna:  Assai  di  questo 
Il  saggio  Dio  del  Nilo  oggi  t'ha  detto. 

Ma  per  darti  a veder  più  manifesto , 

Che  non  fuor  di  ragione  i il  mio  sospetto , 
Vo'clie  tu  miri  il  giiiderdon  funesto. 

Che  dà  Diana  a ciascun  suo  soggetto. 
Molto  move  l' esempio , e per  la  vista 
Maggior,  che  per  l' udir,  fede  s' acquista. 

Qui  tace,  e poi  di  quella  torta  scalar 
Che  di  mezzo  al  corti!  gli  ardii  distende. 
Gli  eburnei  gradi , onde  si  monta  c cala. 
Preme,  c col  bell'  Adone  in  alto  asconde. 
Qui  per  cento  fciiestre  immensa  sala 
Di  polito  cristallo  il  giorno  prende, 

K in  un  bel  quadro  di  musaico  terso 
La  figura  contien  dell'  universo. 

Per  qua  Uro  porte  a’qoattro  venti  esposte 
S'  entra,etuttesond'orschiettoe  forbito. 
Ha  quattro  mura,  le  cui  ricche  croste 
Del  fondo  interior  celano  il  sito. 

Nelle  facciate  tra  sè  stesse  opposte 
L'ordiu  degli  elementi  ù compartito. 

Ed  a ciascun  nella  sua  propria  Sfera 
Ogni  pesce,  ugni-augcilo  ed  ogni  fera. 

In  ogni  spazio  v'  ha  quel  Dio  ritratto. 
Che  di  queir  elomciito  ha  sommo  impero, 
E ciascuno  elemento  è sculto  c fatto 
D' una  materia  somigliante  al  vero. 
Vermiglio  il  foco  è d'un  rubino  intatto. 
Ceruleo  l'acre  è d'  un  zaffir  sincero. 

Di  smeraldo  ridente  c verdeggiante 
Fatta  è la  terra,  e l’acqua  è di  diamante. 


Nell'  ampio  tetto  un  del  sereno  è finto. 
Opra  maggior  non  lavorò  Ciclopo. 

Appo  tante  e tai  gemme,  ond'  è distinto. 
Povero  è l’Indo  c scorno  lia  l’Ctiopo. 
Tutto  di  smalto,  in  mezzo  6 di  giacinto. 
Dove  in  fonila  di  Sol  raggia  un  piropo. 
Di  crisoliti  intorno  e di  baiassi 
Spicndon  di  stelle  invece,  alti  compassi.* 

Veder  si  può  d’ ogni  lumiera  ardente 
Il  fermo  stato  e il  peregrino  errore. 

Vi  ha  quel  co’  mostri  suoi  torto  c serpente. 
Che  Ire  cerchi  contien,  cerchio  maggiore. 
Vi  ha  I'  uno  e 1'  altro  tropico  lucente. 
Che  del  lume  c deli’  ombra  adegua'n  l'orc. 
Vi  ha  gli  altri  duo,  che  girano  congiunti 
Co'  duo  fissi  dell’  orbe  estremi  puntL 

Vi  ha  l'cquator  la  cui  gran  linea  eguale 
Tra  le  quattrocompagne  in  mezzoè  posta. 
Di  cui  r estreme  due  1'  una  all’  australe, 
L’ allraal  confiu  di  Borea  è troppo  esposta. 
Ilavvi  degli  alti  Dei  la  via  reale. 

Di  spesse  stelle  e pìcciole  composta. 

Lo  cui  candor,  che  il  ciel  per  mezzo  fende. 
Da  Gemelli  al  Centauro  il  tratto  stende. 

Nel  centro  della  sala  un  vasto  Atlante 
Tutto  d’  un  pezzo  di  diaspro  fino 
Sostien  la  volta,  c ferma  ambe  le  piante 
Sovra  un  gran  piedistallo  adamantino, 

E sotto  r alta  cupola  pesante 
Stassi  con  tergo  curvo  e volto  chino. 
Tutto  quel  ciel,  che  si  ripiega  iu  arco. 
Appoggia  a questo  i!  suo  gravoso  incaico. 

La  notte  intanto  al  rimbombar  de’  baci 
Invida  quasi  In  ciel  fece  ritorno  ; 

E portala  da  lievi  ore  fugaci, 

E di  tenebre  annata  uccise  il  giorno. 

Il  feretro  del  Sol  con  mille  faci 
Le  stelle  amiche  accompagnaro  intorno; 
E il  mondo  pien  di  nebbie, e d'ombre  tinto 
Parca  fatto  sepolcro  al  lume  estinto. 


Occupa  il  campo  poi  del  pavimento 
La  region  del  Tartaro  profondo, 

Cile  a fogliami  di  gitto  ha  un  parlimento 
Fatto  d’or  fino,  e dilatato  in  tondo; 

E quivi  in  atto  tal,  die  dà  spavento. 
Vedi  si  il  re  del  tenebroso  mondo. 

Seco  ha  l’ orrido  Dee  di  Flegelonte , 

Cui  fa  pompa  di  serpi  ombra  alla  fronte. 


Erano  I cari  amanti  entrati  appena 
L’ un  l’ altro  a braccio  in<|uclla  sala  altera, 
Qnand'  ecco  aprirsi  una  dorata  scena, 
Cli'  emula  al  giorno  illuminò  la  sera. 
Fora  di  luce  c di  or  men  ricca  e piena. 
Se  s'  aprisse,  cred'  lo,  la  quarta  sfera. 
Selve,  statue,  palagi  agli  occhi  offerse 
La  cortina  rcal  quando  s’ aperse. 


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L’ ADONE.  87 


Spciucolo  geiuil  Mcrcnriolii  questa 
Presentar  vuol*  al  furtmiato  Atlonc. 
Mereitrio  èqnci, rliei  personaggi  appresia. 
Eli  esercita  c prova  ogn'  istrione  ; 

ciascun  d'  essi  in  lieta  pane  o mesta 
Secondo  l’altitmiine  dispone. 

Nè  seco  già  di  recitar  consente 
Turba  volgar  di  mercenaria  gente. 

L’invenzione,  la  favola,  il  poema, 

E i'  ordine  e iì  decoro  e 1'  armonia, 

Delia  tCiigedia  sua  stendono  ii  tema. 

La  facezia,  l’arguzia  e 1*  energia. 

L’  elof|ucnza  è l' artefice  suprema , 
Sovraslaiiic  con  W la  poesia. 

Seco  il  minierò,  il  metro  c la  misura 
Sì  prcndon  della  musica  la  cura. 

Datisi  alla  coppia  bella  I seggi  d’ oro, 
Donde  quanto  si  sa  tutto  si  scern*^ 

Ed  ecco  il  primo  nscìr  di  tutti  loro 
Il  pertalor  dell’  ambasciate  eterne, 

Che  a spiegar  l'argomento  in  stil  canoro 
Mostra  venir  dalle  magìon  superne, 

E il  soggetto  proposto  c persuaso 
É d’  Altcone  il  miserabil  caso. 

'Ed  Altcone  ai  prologo  succede. 

Che  vien  con  archi  c dardi  e cani  e comi, 
E da  molti  scudier  cinto  si  vede 
Di  spiedo  armati  e nobilmente  adorni  ; 
E mentre  di’  ei  delle  selvagge  prede 
Parte  d’ essi  a spiar  manda  i soggiorni , 
E squadra  i passi,  cd  ordina  la  traccia, 
('.on  diverse  raglon^oda  là  caccia. 

Ed  ecco  ad  un  squillar  d' avorio  torto 
Sbucar  repente  da  cespugli  e vepri 
Di  mansncic  fere  Adone  ba  scorto 
Più  d' uno  stuol  tra  mirti  e tra  ginepri; 
E dal  palco  saltar  con  gran  diporto 
Damme  e camozze  e cavriuoli  e lepri, 

E parte  della  Dea  fuggirà  al  lembo, 

E parte  a lui  ricoverarsi  in  grembo. 

Ma  poco  stante  si  dilegua  a volo 
La  caccia,  e nova  elligìe  il  palco  prende, 
Perchè  librato  in  un  voinbii  polo, 

Sè  stesso  In  su  quel  cardine  sospende. 
Lo  qual  In  giro,  e ben  confitto  al  suolo 
Volgesi  agevblmcnto,OT  poggia,or  scende, 
E il  mobii  peso  sno  portando  Intorno, 
Viene  alfine  -a  serrar  corno  con  corno. 


Come  congiunti  In  un  sol  globo  il  mondo 
Due  diversi  cmispcri  Insieme  lega , 

Per  P orizzonte,  che  dal  sommo  al  fondo 
La  rota  universal  per  mezzo  sega  ; 

Cosi  l’ordigno,  che  si  gira  in  tondo 
Varj  teatri  in  un  teatro  spiega  ; 

Se  non  che  dove  quel  n’  abbraccia  duo. 
Questo  più  ne  conticn  nel  cerchio  suo. 

Sicché  qualunque  volta  un  novo  giòco 
Agli  occhi  altrui  rappresentar  si  vuole. 
Fa  mutar  faccia  in  un  istante  ai  loco 
L’  orbiculare  e spaziosa  mole, 

Ch'  entro  concava  vite  a poro  a poco 
Senza  strepito  alcun  mover  si  suole, 

E con  tanto  artifizio  or  cala,  or  sorge. 
Che  r occhio  spettator  non  se  n'  accorge. 

Reggon  r opra  maggior  vaij  sostegni , 
E correnti  e pendenti  ed  asse  e travi, 

E di  bronzo'beii  saldo  armati  legni , 

Dure  catene  e grossi  ferri  e gravi , 

E con  argani  mille  c mille  ingegni 
Del  medesmo  metallo  c chiodi  e chiavi, 

E quest'  ordine  a quel  si  ben  risponde. 
Che  nel  numero  lor  non  si  confonde. 

Ed  or  che  per  cacciar  dai  verde  prato 
Il  tebano  garzone  il  piè  ritira. 

Tosto  che  sul  gran  rertìce  forato 
li  ferrato  baston  mosso  si  gira , 

Cangia  sito  la  scena,  c l'apparato 
In  altro  aspetto  trasformar  si  mira; 

Ed  al  cader  della  primiera  tela 
Differenti  apparenze  altrui  rivela. 

Spelonche  opache  v*  ha,  foreste  amene. 
Piagge  fresche, ombre  fosche  e chlarifon* 
Vivi  argenti  colà  sparge  Ippocrene,  [ti. 
Qui  Parnaso  bicorne  erge  due  fronti. 
Con  le  sue  dotte  c vergini  Sirene 
Discende  Apollo  da  que’  verdi  monti. 
Imitando  quaggiù  vaghe  e leggiere 
Le  danze,  che  lassù  fanno  le  sfere. 

Oascuno  accorda  all'oigano,  che  tocca, 

I passi  e I salti  in  un,  gli  alti  e le  note, 

E con  la  man , col  piede  e con  la  bocca' 
L'aurea  un  punto  eie  corde  e il  suol  perco- 
Finito  il  ballo,  hi  un  momento  scocca  [te 

II  magistero  deir  occulte  rote, 

E volgendosi  il  perno,  a cui  s’  appoggia, 
Riveste  il  pMco  di  ooveOa  foggia. 


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88  MARINO. 


Dopo  il  primo  intermedio  un’altra  volta 
Yidesi  il  bosco,  e quivi  Cinzia  apparse, 
Che  venne  stanca  alla  verd'  ombra  c folta 
Della  valle  Gargalìa  a rinfrcscarse-, 

E d'  ogni  spoglia  sua  discinta  c sciolta, 
Lavò  le  membra  affaticate  ed  arse; 

E tra  le  pure  e cristalline  linfe 
SI  stette  a divisar  con  l’ altre  Ninfe. 

Gira  la  scena,  e in  un  balcn  girando 
DI  centauri  guerrler  piena  i la  piazza; 
Chi  d’ acuto  trasier  la  destra  armando. 
Chi  d' asta  lieve,  e chi  di  grave  mazza. 
Salvo  in  braccio  lo  scudo,  in  armeggiando 
Non han, che  copra  il  resto, elmo,  ocoraz- 
Grida  la  tromba  in  bellicosi  carmi:  [za. 
Alla  guerra,  alla  guerra,airanni,  aU'armi  I 

fìià  parcliecon  furor  l’un  l'altro  assaglia. 
Gii  già  par  che  di  sangue  II  suol  si  sparga. 
Armonica  e per  arte  è la  battaglia. 

Or  s'intreccia,  or  fa  testa,  ed  or  s’ allarga. 
E mentre  contra  quel,  questo  si  scaglia. 
Fan  cozzar  clava  a clava,  e targa  a targa. 
E battendosi  a tempo  or  tergo,  or  petto. 
Fan  di  mezzo  all’  orror  nascer  ddetto. 

Mentre  Adone  al  bel  gioco  è tutto  intento 
Amor  pietoso  a rinfrescarlo  viene , 

E gli  reca  una  d’ oro,  una  d'argento 
Coppe  d’  ambrosia  e nettare  ripiene. 

Ei  quanto  basta  al  debito  alimento 
N’  assaggia  sol  per  ristorar  le  vene, 

Ch’  altr’  esca,  onde  maggior  gusto  riceve. 
Pasce  con  gli  occhi,  e per  l’ orecchie  beve. 

Nell’  atto  terzo  in  sul  girevol  fuso 
La  maccliina  versatile  si  volve, 

E ritorna  Atteon  sparso  e diffuso 
Il  volto  di  sudor  tutto  c di  polve; 

Onde  di  dare  al  veltro  ed  al  segoso 
Alquanto  di  quiete  alfin  risolve. 

Coglie  le  reti,  c nell'  ombrosa  c fosca 
Selva  per  riposar  solo  s’imbosca. 

Or  Ira  i confìn  di  questo  e dell’ altr’ alto 
Non  nien  bd  si  frappon  novo  intervallo. 
Ondeggiar  vedi  un  mar,  non  so  se  fatto 
Di  zaffiro,  o d’argento,  o di  crislailo, 

E le  sponde  vestir  tutte  in  un  tratto 
D’ alga  e di  iimo  c d’  ostro  e di  corallo, 

E tremar  Tonde  con  ceruleo  moto, 

E delfini  guizzar  per  entro  a nuoto. 


Fi  quinci  e quindi  per  i’  instabii  campo 
Spiegar  turgide  vele  antenne  alate. 
Urlargli  sproni,  econ  rimbombo  e vampo 
Venir  in  pugna  due  possenti  annate. 

Di  Giove  intanto  il  colorato  lampo 
Listando  II  fosco  elei  di  linee  aurate, 

Fa  per  T aria  vibrar  con  lunghe  strisce 
Mille  lingue  di  fiamma  oblique  bisce. 

Folgora  il  cielo,  e folgoran  le  spade  ; 
Gonfiansi  T onde  tempestose  e nere. 

Ed  acqua  e sangue  per  I’  ondose  strade 
Piovon  le  nubi,  e piovono  le  schiere. 

Chi  fugge  il  ferro,  e poi  nel  foco  cade. 
Chi  fugge  il  foco,  e poi  nell'  acqua  pere. 
Chi  di  sangue  e di  foco  e d'acqua  asperso. 
More  ucciso  in  un  punto,  arso  e sommerso. 

Tale  è la  guerra  e la  procella  e il  gelo. 
Che  agguagliato  è quel  eh’  è da  quel  che 
Ma  in  breve  poi  rasserenarsi  il  cielo  [pare. 
Vedi,  e in  un  punto  implacidirsi  il  mare. 
Ed  Iri  il  suo  dipinto  umido  velo 
Stender  per  Paure  rugiadose  c chiare. 
Spariscon  le  galee,  svanisce  il  flutto, 
Struggesi  l' arco,  e si  dilegua  il  tutto. 

Ciò  fatto,  il  bel  teatro  ancor  si  chiude. 
Poi  si  vede  sgorgar  vaga  fontana , 

Dove  tra  molte  sue  seguaci  ignudi* 
Stassi  Attcone  a vagheggiar  Diana  : 

Ed  ella  con  le  man  leggiadre  e crude 
Gli  toglie  dopo  il  cor  la  forma  umana. 
Con  pelo  irsuto  e con  ramose  corna 
Il  miser  cacciator  ccevo  ritorna. 

Nel  fin  di  questo  in  un  azzurro  puro 
All’  improvviso  il  ciel  si  discolora, 

E fregiando  d' argento  il  campo  oscuro. 
Con  le  stelle  la  Luna  ecco  vico  fora. 

Poi  dando  volta  il  neghittoso  Arturo, 
Col  giorno  a mano  a man  sorge  l'.Aurora. 
Vero  il  Sol  crederesti,  e vera  I’  alba. 

Che  le  nebbie  rischiara  e T ombre  inalba. 

S'alza  il  palco  di  sottoa  un  tempo  istesso, 
E mezzo  anfiteatro  in  giro  spande. 
Prospettiva  superba  appare  in  esso 
Con  ricca  mensa  c sontuosa  e grande, 

FI  vi  ha  de’ sommi  Dei  tutto  il  consesso 
Con  tal  pompa  d'arnesi  e di  vivande. 
Tanto  tesor,  tanto  splendor  disserra. 

Che  sembra  appunto  il  del  calatolo  mi  ra. 


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1/ ADONE.  «n 


Concerto  allor  di  music!  concenti 
Da  basso  incombM^ò,  d’ alto  e da  lato; 

E concordi  s'  udir  varj  Istromcnll , [to. 
Qual  da  man,  qual  da  gain  ha,  e qual  da  da- 
Ed  acuti  e veloci  e gravi  e lenti 
Alternar  versi  al  pasteggiar  beato, 

E rispondersi  lasieme  in^niolli  cori 
Mute  di  Ninfee  sinfonie  d' Amori. 

La  notte  il  sesto  grado  avea  fornito 
Della  scala,  onde  poggia  all’orizzonte. 
Quando  da  cani  e cacciator  seguito 
^mpan'e  il  cen  o, attraversando  il  monte. 
Ma  più  non  potè  Adone  istupidito 
Sollevar  gli  ocelli,  o sostener  la  fronte. 
Onde  In  grembo  a colei,  clic  gli  è vicina, 
Sovravvinlo  dal  sonno.  Il  capo  inchina. 

In  quella  guisa,  che  dal  primo  Sole 
Tocco  talor  papavero  vermiglio. 

Piegar  la  testa  sonnacchiosa  suole, 

E tramortire  infra  la  rosa  e il  giglio; 
Abbassa  in  braccio  a lei,  che  non  si  dolc 
Di  tal  incarco,  addormentato  il  ciglio  ; ' 
Nè  certo  aver  potea  questa,  nè  quello 
Peso  più  dolce,  nè  guancial  più  bello. 


Questa  fu  la  cagion,  che  non  potco 
Della  tragica  strage  il  lin  sentire. 

Nè  con  che  strazio  doloroso  e rea 
Venne  sbranalo  II  giovane  a morire. 

Nè  d’  Autonoe  i lamenti  c d'  Aristeo, 

Nè  deir  antico  Cadmo  I pianti  udire,  ' 
Cbè  la  pietosa  Dea,  che  in  scn  l'accolse, 
Inflno  al  novo  di  destar  noi  volse. 

Già  richiamava  i corridori  alali 
Al  giogo,  al  morso  il  porlator  del  lume, 
E già  desta  dal  suon  de’  freni  aurati , 

E serena  e ridente  oltre  il  costume , 

La  nutrice  bellissima  de’  prati 
Sorta  era  fnor  delle  purpuree  piume 
Ad  allattar  de’  suoi  celesti  umori 
L’erbc  e le  piante,  e nelle  piante!  fiori. 

Quando  svegliossi  Adone,  e si  s’accorse, 
Cbe  già  chiaro  i balconi  il  Sol  feriva. 

Si  terso  I lumi  col  bel  dito,  c sorse 
Da  Mercurio  invitato  e dalla  Diva. 

La  bella  Cìterea  la  man  gli  porse, 

E per  la  via,  che  nella  corte  usciva, 
Menollo  in  un  giardin , presso  il  cui  verde 
Degli  Elisi  beati  il  pregio  perde. 


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!M) 


MARINO. 


GAmO  SESTO. 

IL  GIARDINO  DEL  PIACERE. 


ALLEGORIA. 

Sotto  la  figura  del  Giardino  ci  vicn  rappresentato  il  piacere.  Neiie  cinque  porle 
si  sottintendono  i cinque  sentimenti  dei  corpo.  Nel  cristallo , e nel  zaffiro  della 
prima  porta  si  signiOca  la  materia  dell'occhio,  che  è l'organo  della  vista.  Nel  cedro 
della  seconda  il  senso  dell'  odorato.  Nella  favoletta  del  pavone  si  dinota  la  maravi- 
glìosa  fabbrica  del  firmamento.  Ama  la  colomba , perciocché  siccome  in  elTetto 
questi  due  uccelli  ( secondo  i naturali  ) si  amano  insieme  , cosi  tutte  le  luci  superiori 
sono  mosse  e regolate  dal  divino  amore.  L trasformalo  da  Giove,  perché  dal 
sommo  artefice  Iddio  ebbe  quello  (come  ogni  altro  cielo)  la  materia  e la  forma. 
Kingesi  servo  d' Apollo , e da  lui  gli  sono  adornate  le  penne  della  varictA  di  tanti 
occhi , per  essere  11  Sole  vivo  fonte  originale  dì  tutta  la  luce  , che  poi  si  comunica 
alle  stelle.  Ne'  diversi  oggetti , passatempi  e trattenimenti  piacevoli  si  adombrano 
le  voluttà  sensuali. 


ARCOMESTO. 

Al  Giardio  del  Piacer  col  giovinetto 
Scn  va  la  Dea  dell'  amorosa  luce. 

Per  le  porU;  de'  sensi  Indi  il  conduce 
Di  gioia  in  gioia  ali'  ultimo  diletto. 


Armi  il  petto  di  gel  chi  vede  Amore 
.Saettar  foco  e ferir  l'almc  a morte, 

K della  rocca  fragile  del  core 
Difenda  pur  le  mal  guardate  porte  ; 

Né  del  crudele  c perfido  signore 
V introduca  giammai  le  fiere  scorte, 
Ghe  Insidiose  a chi  non  ben  le  serra, 
.Sotto  vista  di  pace  apporlan  guerra. 

Chi  da  quest' empio  e dalla  carne  infida 
larndur  si  lascia  infra  perigli  errante  , 

K ipial  cieco, che  il  can  prende  per  guida, 
Segue  del  senso  le  fallaci  piante. 

Se  avvien  poi  ch’egli  raggia, o che  l'occida 
r.hl  per  torto  senlicr  lo  scorse  avanlc  , 
Non  si  lagni  d’altrui,  ina  di  sé  stesso. 
Glie  il  fren  d’  ogni  sua  voglia  in  man  gli 
ha  messo. 


t.  ver  che  da  sé  soia  a ciò  non  basta 
Nostra  natura  inferma  e indebolita  , 
Quando  anco  il  gran  Dottor,  l'anima  ca- 
Uello  spirto  di  Dio  tromba  gradita,  [sta. 
Per  schermirsi  da  tal,  clic  ne  contrasta, 
tCbbe  mestier  di  sovrumana  aita-. 

Né  degli  assalti  suoi  può  fedcl  alma 
Senza  grazia  divina  acquistar  palma. 

Ma  vuoisi  ancor  con  studine  con  fatica 
Schivar  quel  dolce  invito, esca  de’  sensi. 
Perché  della  domestica  nemica 
Sol  con  la  fuga  la  vittoria  olliensi; 

E chi  fuggir  non  sa  questa  impudica 
A rischio  va  di  precipizi  immensi. 

Dove  caduta  poi  l’anima  sciocca 
D’ una  in  altra  follia  sempre  trabocca. 


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L’ ADONE.  01 


Questa  Ma  donna  chp  importunae  tenia 
Adam  per  far  die  gusti  esca  interdetta  ; 
La  meretrice  che  in  priglon  tormenta 
Giuseppe  il  giusto,  ed  a peccar  l'alleila. 
Questa  è colei  die  Sisara  addormenta, 

E per  tradirlo  sol  seco  II  ricetta; 

La  disleal  die  pria  lusinga  e prega 
Il  malcauto  Sansone , e poi  lo  lega. 

Questa  t la  Delsabea  per  cui  s'inchina 
Il  buon  re  d'Israele  ad  opra  indegna , 
Questa  è di  Salomon  la  coiieubina, 

Cile  roliemenle  idolatrar  gl'insegna. 
L'Infame  Circe  , la  proterta  Aldilà , 
L’Armida  che  sviar  l'almc  s'ingegna; 

La  Vener  che  loiitan  dalla  ragione 
Al  Giardin  del  Piacer  conduce  Adone. 

' Infiora  il  lembo  di  quel  gran  palagio 
Spazioso  giardin  , inirabii  orto. 

Miseria  mai , ut;  mai  vi  entrò  disagio , 

Vi  han  delizie  ed  amori  ozio  e diporto. 
Coli  senza  temer  fato  malvagio 
Venere  bella  il  bel  faneiullo  ha  scorto, 
Caugiando  il  del  con  quel  felice  loco,  t 
(die  sembra  il  cielo,  o cede  al  del  di  poco. 

Non  pensar  tu,  che  senza  alto  disegno 
;Dissc  volto  Mercurio  al  bello  Adone] 
Fondata  abbia  Ciprigna  entro  il  suo  regno 
Questa  si  vaga  c florida  magione  ; 

(diò  intelletto  divin,  celeste  ingegno 
Nulla  a caso  giammai  forma,  o dispone. 
Misterioso  il  suo  edificio  tutto 
A sembianza  dell'  uomo  ò qui  costmtto. 

Del  corpo  iiman  la  nòbile  struttura 
In  se  medesma  ha  simetria  cotanta. 

Che  è regola  infallibile  c misura  [ta. 
Di  quanto  il  del  con  l'ampio  tetto  amman- 
Tal  fra  gli  altri  animali  il  fe'  natura, 

Che  solo  siede,  e sol  dritto  si  pianta; 

K come  l' alma  eccede  ogni  altra  forma. 
Cosi  d' ogni  altro  corpo  il  corpo  è norma. 

Le  meraviglie  che  comprende  c serra. 
Non  son  possenti  ad  agguagliar  parole. 
Nè  nave  in  onda,  nè  palagio  in  terra. 

Nè  teatro,  nè  tempio  è sotto  il  Sole,  [ra 
Nè  vi  ha  macchina  in  pace,ordigno  in  guer- 
Che  non  tragga  il  model  da  questa  mole. 
Trovano  in  si  perfetta  ardiitcttiira 
11  compasso  c lo  squadro  ogni  figura. 


Miraeoi  grande,  in  cui  con  piena  Intera 
Giove  dni  doni  suol  versò  l' eccesso; 

Della  diviniti  sembianza  vera, 

Iniagin  viva  e simulacro  espresso. 

Quasi  in  angusta  mappa  immensa  sfera. 
Fu  l’ universo  epilogato  in  esso. 

Tien  sublime  la  fronte,  alte  le  ciglia. 

Sol  per  mirar  quel  del  che  l’ assomiglia. 

-^distinto  in  tre  parli  il  maggior  mondo, 
L'  una  è dei  sommi  Dei, che  in  allo  stassi. 
Delle  sfere  rotanti  hanno  II  secondo 
Loco  le  lielle  e ben  disposte  classi. 

Hitien  l' idiinio  sito  e più  profondo 
La  region  degli  elementi  bassi. 

E quest'  altro  minor  che  ha  spirti  c sensi. 
Ben  di  proporzion  seco  conviensi. 

Sostien  la  vece  del  sovran  Motore 
Nel  capo  eccelso  la  virtù,  che  intende. 
Stassi  a guisa  di  Sol  nel  mezzo  11  core. 
Lo  qual  per  lutto  il  suo  ralur  distende. 
Il  ventre  nella  sede  inferiore 
Qual  corpo  sublunar,  varia  vicende. 

Così  in  governo  c nutrimento  e vita 
Questa  casa  animata  è tripartita. 

Son  cinque  corpi  il  cielo  e gli  elementi 
E pur  dei  sensi  il  numero  è si  fatto. 
L'orbe  stellato  di  bei  lumi  ardenti 
t della  vista  un  naturai  ritratto. 

Son  poi  tra  lor  conformi  e rispondenti 
L’ udito  all'  acre,  ed  alla  terra  il  tatto. 

Nè  par  che  meno  in  simpatia  risponda 
L' odorato  alla  fiamma,  il  gusto  all’  onda. 

Potea  ben  la  divina  Onnipotenza 
Con  queir  istesso  suo  lienigno  zelo. 

Con  cui  pose  nell'  uom  tanta  eccellenza 
Donargli  ancora  incorrultibll  velo; 

E di  quel  puro  fior  dì  quinta  essenza. 
Onde  non  misto  è fabbricato  il  cielo. 
Come  simile  al  del  la  forma  veste. 

Di  materia  comporlo  anco  celeste. 

Ma  però  eh’  egli  a specolare  è nato, 

E convìen,  eh'  ogni  specie  in  lui  riluca, 
E che  al  chiaro  Intelletto,  ond’ è dotato, 
I fantasmi  sensibili  conduca. 

Non  dovea  d' altra  tempra  esser  formato. 
Che  dell’  elemenlar,  benché  caduca. 

Per  far  di  quanto  intendo  e quanto  sente. 
Prima  il  senso  capace  e poi  la  mente. 


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02  MAHINO. 


bi  lutto  il  bri  lavor,  clic  con  (ani'  arte 
Urna  dell’  uomo  il  magistero  immenso, 
Sono  I nervi  istromenti , onde  comparte 
I.o  spirtoai  membri  il  mnvimcntoc  il  srn- 
Altri  molli,  altri  duri,  in  ogni  parte  [so, 
Ciascunoi  tempre  al  proprio  uniciointen- 
Ne  può  seiu'essi  alcuno  itto  eseguire  [so, 
I,a  racoltà  del  moto,  o del  sentire. 

Or  tratti  avantc,  e ne  vedrai  gli  eOetti, 
E dirai,  die  a ragion  Vener  si  mosse 
A far  die  il  loco  sacro  a' suoi  diletti 
Dell’  esempio  del  tutto  cseiii|>io  fosse. 
Qui  tacelte  Cillenlo,  c con  lai  detti 
ballo  suipiire  il  giovane  riscosse. 

Che  dell'  orto  gioioso  era  in  quel  punto 
Già  del  primo  sogliarc  entrato  e giunto. 

Nell'  orlo  in  cinque  portici  diviso 
ban  cinque  porte  al  peregrin  I’  entrata, 
E da  tin  custode  In  su  la  soglia  assiso 
La  porta  d'ogiii  portico  è guardata. 
S’entra  per  ogni  porta  in  paradiso  , 
Laddove  un  giardinetto  si  dilata  , 

Talché  di  spazio  egiial  tra  sè  vicini 
Gouticn  un  sol  giardin  cinque  giardini. 

Cinque  giardin  la  dilcttosa  reggia 
Nelle  sue  cinque  torri  inclusi  abbraccia  , 
Sicché  da'  suoi  balcon  lungo  vagheggia 
Differente  un  giardin  per  ogni  faccia , 
Conflne  un  muro,ognl  giardinoombreggia. 
Che  stende  linea  in  fuor  di  mille  braccia. 
Questo  in  quadro  si  chiude, e in  mezzo  lassa 
Porte,  onde  l’ un  giardin  nell’  altro  passa. 


Ai  due  felici  amanti  immantitiente 
Fecesi  ineontrn  il  giardinier  cortese, 

E con  sembiante  affabile  c ridente 
Adon  raccolse  e per  la  mano  il  prese. 

Ben  venga,  di.sse,  il  vivo  Sole  ardente. 

Che  alla  nostra  reina  il  core  accese. 
Dritto  fia  ben,  che  degli  alberghi  nostri 
Nulla  si  celi  a hii,  lutto  si  mostri. 

Dimmi  (al  nunzio  di  Giove  Adon  conver- 
Dimmi,  disse,  ti  prego,  o cara  scorta,  [so’ 
Con  l’ animai  di  vaghe  macchie  asperso 
Che  vuol  dir  questa  guardia  e questa  por- 
Quel  fanieliroaugel,  quel  vetro  terso,  [ta? 
E quel  vario  vestir  che  cosa  importa? 
Suo  stranio  arne.se  e sua  sembianza  ignota 
Io  saprei  volentier  ciò  che  denota. 

Risponde  l’ altro  : Le  più  degne  e prime 
Parti  di  tutta  la  sensibii  massa 
L’occhio  siccome  principe  sublime 
In  gloria  eccede , in  nobiltà  trapassa  , 
Chi  posto  della  rocca  in  su  le  cime 
Ogni  membro  volgar  sotto  si  lassa , 

E dove  il  tutto  regge  e il  tutto  vede. 

Tra  la  plebe  de’  sensi  alloro  siede. 

Siede  eminente,  e di  ogni  senso  è duce, 
E certo  il  gran  Fattor  tale  il  compose. 
Che  è tra  quelli  il  miglior,  si  per  la  luce , 
Che  i tra  le  qualità  più  preziose. 

Si  per  la  tanta  e tal,  che  ognor  produco. 
Varietà  di  colorate  cose , 

Si  per  lo  modo  ancor  spedilo  c presto 
Dcjroperazion,  che  intende  a questo. 


Ciascun  canton  de’  quattro  innanzi  spor- 
Una  torre  angolare  in  su  ia  punta,  [ge 
E la  qiiiiila  Ira  lor  nel  mezzo  sorge 
Si  che  oltre  il  muro  la  cornice  spunta  ; 

• E,  come  dissi,  a dritto  01  si  scorge 
Torre  da  torre  egualmente  disgiunta; 

E con  giusta  misura  arte  leggiadra 
lo  non  so  come,  ogni  giardino  inquadra. 


Perchè  senza  intervallo,  o nnìlar  loco 
Giunge  in  istante  ogni  lontano  oggetto. 
Talchi  negli  atti  suoi  si  scosta  poco 
Dalla  perfezion  dell’  intelletto  ; 

Onde  se  quel  viepiù  che  vento,  o foco 
Rapido  e vago,  orcliio  dell’  alma  è detto. 
Questo,  che  i di  Natura  opra  si  bella , 
Intelletto  del  corpo  anco  si  appella. 


Della  porta  del  portico  primiero. 

Che  è di  cristallo  c di  zallir  contesta, 
Vivace  c nobii  giovane  è l’ iisriero. 

Di  diverso  color  s|iarso  la  vesta. 

Un  avoltolo  in  pugno  ed  un  cerviero 
Si  tiene  a pii  da  quella  parte  c questa , 
Un  spcccliio  ha  innanzi,  e nello  scudo  in- 
La  generosa,  che  nel  Sol  s’ affisa,  [elsa 


Perl’  occhio  passa  sol,  per  l’ occhio  scen- 
Qualunqiie  ralnia  imnoagine  riceve,  [de 
E di  quanto  ella  vede  e quanto  intende 
Quasi  l’obbligo  tutto  all'  oerliio  deve. 

L’ occhio,  come  apesuol  checoglie  e pren- 
I più  soavi  fior  leggiadra  e lieve,  [de 
Scegliendo  il  bel  della  beltà  che  scorge , 
Air  interno  cciisor  l’arreca  c porge. 


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L’ADONE.  93 


Dalle  fonti  del  cercliro  natie , 

Onde  hanno  i nervi  origine  e radice, 
l'n  sol  principio  per  diverse  vie 
Di  due  stretti  sentier  due  iinee  elice, 
Quindi  del  lutto  esploratori  e spie 
Traggono  gli  occhi  ogni  virtù  motrice; 

E quindi  av\len  (come  per  prova  è noto} 
Ohe  move  ambo  in  un  punto  un  stesso 

[moto. 

Lubrico  e di  materia  umida  e molle 
Oueslo  membro  divin  formò  Natura, 
l’ercbi  ciascuna  impression , che  toUe , 
Possa  in  sé  ritener  sincera  e pura. 

Pcrciiò  voibbii  sia,  donar  gli  volle 
Orbicolare  e sferica  flgura  ; 

Oitre  che  in  forma  tal  può  meglio  assai 
Franger  nel  centro  e rintuzzare  i rai. 

(ili  spirti  unisce  alla  pupilla,  e spira 
Dalia  gemina  sfera  il  raggio  vivo, 
tihe  in  piramide  aguzza,  ovunque  il  gira 
Si  stende  fuor  del  circolo  visivo. 

La  specie  Intanto  in  sò  di  quel  che  mira 
Ritrae  come  suol'ombrao.specchio  o rivo, 
(>>sì  nell’  occliio,  mentre  il  guardo  vago 
Esce  dalla  potenza,  entra  l'imago. 

I ih  quanto  siudio,oh  quanta  industria  mise 
Qui  r eterno  Maestro  ; oh  quante  accoglie 
Vene,  arterie,  membrane,  c in  quante  gui- 
Sotlìli  aragne  e dilicale  spoglie.  [se 
Per  quanti  obliqui  muscoli  divise 
Passano  c quinci  e quindi  e fda  c foglie. 
Quante  corde  diverse  e quanti  c quali 
Versano  l'occhio  ed  angoli  e canali. 

Di  tuniche  e d’umori  in  varj  modi 
Ravvi  contesto  un  lucido  volume. 

Ed  uva  e corno,  e con  più  reti  e noti 
Vetro  insieme  congiunge,  acqua  ed  albu- 
Che  son  tutti  però  servi  c custodi  [me. 
Del  cristallo,  onde  sol  procede  il  lume. 
(Uascun  questo  difende  e questo  aiuta. 
Organo  principai  della  veduta. 

L’ Immortai  Provv  idenza  acciocché  espo- 
Siameno  aì  danni  dell'  olTeSeesterne,  [sto 
Gli  ha  dato  in  un  ricovero  riposto 
Sotto  l'arco  del  cìglio  ime  caverne. 

Per  siepi  e propugnacoli  vi  lia  posto 
Palpebre  infaticabili  ed  eterne , 

Sul  perchè  il  batter  lor  continuo  e ratto 
Dagli  umani  accidenti  II  serbi  intatto. 


Ed  a guisa  dì  Sole,  acclocclié  aprisse 
Emulo  all'altro,  al  picdol  mondo  il  giorno. 
Qual  corona  di  raggi , anco  vi  aDìssc 
Sottilissime  sete  intorno  intorno. 

Nel  curvo  globo  l' iride  descrisse. 

Che  ha  di  smalti  celesti  un  fregio  adorno; 
E temprati  di  limpidi  zaffiri 
Vi  dipinse  nel  mezzo  I sommi  giri. 

Questi  dell'  alma  son  balconi  e porte , 
Indici  fidi , oracoli  veraci , 

Delia  dubbia  ragion  sicure  scorte 
E dell'  oscura  niente  accese  faci. 

Son  lingue  del  pensier  pronte  ed  accorte, 
E del  muto  desir  messi  loquaci; 
Gerogliflci  e libri,  ove  altri  potè 
De'  secreti  del  cor  legger  le  note. 

Vivi  specchi  sereni , onde  traspare 
Quanto  il  cupo  del  petto  in  sé  ristringe , 

E dove  in  guise  manifeste  e chiare 
Ogni  suo  alTetto  I’  anima  dipìnge. 

I ridenti  piacer,  le  doglie  amare 

Vi  scopre,  or  d'ira,  or  di  pietà  gli  tinge  ; 
E [ciò  che  è più)  visibilmente  in  essi 
Son  del  foco  d’  .\mor  gl'  incendi  espressi. 

E perclié  il  primo  strai,  che  avventi  l’arco 
Di  (|uell’  alalo  arder,  dagli  occhi  viene. 
Per  questo  il  primo  grado,  il  primo  varco 
Del  Giardino  d' Amor  la  vista  ottiene. 
Quinci  potrai,  giù  d' ogni  dubbio  scarco, 

II  mistero,  cred’  io,  comprender  bene 
Del  ministro  gentil , che  guarda  il  vallo. 
Degli  augei , della  fera  c del  cristallo. 

Ciò  detto,  per  incognito  sentiero 
Laddove  allrtd  vestigio  il  suol  non  serba. 
Ma  serba  il  prato  entro  il  suo  gremivo  inte- 
Intatto  il  flor,  inviolata  l’erba.  [ro 
Culi  dentro  io  scorge,  ove  al  verziero 
Fa  corona  il  gran  muro  alta  e superba, 
E di  pietre  si  lucide  la  tesse. 

Che  tutto  il  bel  Giardinsi  specchiaio  esse. 

Per  lungo  tratto  a guisa  di  corona 
Da  ciascun  danco  il  bel  Glardin  si  spande. 
Dove  in  ogni  stagion  Flora  e Pomòna 
Guidano  danze  e trecciano  ghirlande. 

Il  muro  Principal , che  le  imprigioga , 
Tetto  ricopre  a meraviglia  grande , 
Sostenuto  da  un  ordine  leggiadro 
D’ alto  colonne  e compartito  in  quadro. 


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94 


MARINO. 


Da  quattro  gallerie  per  quattro  grate , 
Cbe  cancelli  ban  d’ or  fin,  s' esce  negli  orti, 
Dove  prendono  ognor  schiere  beate 
Di  Ninfe  c di  paslor  varj  diporti , 

E passando  in  piaceri  un’  aurea  etate, 
Fanno  giochi  tra  lor  di  tante  sorti , 
Quante  suol  forse  celebrarne  appena 
Nelle  vigìlie  sue  la  bella -Siena. 

Fornian  parte  di  lor,  sedendo  sotto 
Gran  tribuna  di  fronde,  un  cerchio  lieto, 
E l'un  all'  altro  susurrando  un  motto 
Dentro  l'oreccbie  taciturno  e cheto. 

De'  suoi  chiusi  pensicr  non  interrotta 
Scopre  a chi  più  gli  piace  ogni  secreto. 
Con  questa  invenzion  chieste  c concesse 
Si  patteggian  d' Amor  varie  promesse. 

Parte  in  gioco  più  strano  c più  diverso 
Dispensano  del  di  i'orc  serene. 

Nel  molle  grembo  il  capo  in  giù  converso 
Vaga  donzella  d' un  garzon  si  tiene. 
Ciascun  altro  la  man,  eh'  egli  a traverso 
Dopo  il  tergo  rivolge , a batter  viene  , 

Ni  solleva  ei  giammai  la  testa  china, 

Sè  chi  battuto  I'  ha  non  indovina. 

Odesi  di  lontan  scoppio  di  riso. 
Quando  per  legge  di  colui  che  regna , 

Di  bella  Ninfa  perditricc  il  viso. 

Che  in  foco  avvampa,  col  carbon  si  segna. 
Altri  più  dolci  e con  più  saggio  avviso 
Trac  dal  trionfo  suo  spoglie  s'ingegna. 
Chi  con  un  bacio  in  bocca,  o su  la  gola 
Vuol  che  il  perduto  pegno  ella  riscola. 

Chi  con  le  carte  effigiale  in  mano 
Prova  quanto  Fortuna  in  terra  possa  ; 
Chi  le  corna  agitate  in  piccioi  piano 
Fa  ribalzar  delle  volubii  ossa; 

Chi  con  maglio  leggier  manda  lontano 
L' eburnea  palla  ad  otturar  la  fossa  ; 

Chi  poiclii  dal  cannel  le  sortì  ha  tratte. 
Sul  tavoUcr  le  tavole  ribatte. 

Van  le  vergini  belle  a schiera  sparle 
Scalze  il  pii,  scinte  il  seno  e sciolte  ilcrine, 
Rozza  incoltura  in  lor,  beltà  senz'  arte 
Fa  dell'  anime  altrui  maggior  rapine. 
Parte  per  l' erba  va  scherzando,  e parte 
Tra  le  linfe  argentate  e cristalline. 

Parte  coglie  viole  ed  amaranti 
Per  farne  dono  ai  fortunati  amanti. 


Quella  danza  tra'  fior,  questa  incorona 
Di  rose  il  crine  al  bvorito  amico. 

Questi  canta  d' Amor,  quegli  ragiona 
Con  la  sua  donna  in  un  boschetto  aprico. 
Alcun  ve  II'  ha , che  scritto  in  Elicona 
Legge  amoroso  alcun  romanzo  antico, 

E i versi  espone  In  guisa  tal , che  quasi 
Sotto  gli  esempi  altrui  narra  I suoi  casi. 

Altri  nel  cavrioi  rapido  c snello 
Al  veloce  Icvrier  la  lassa  allenta. 

Altri  da'  geti  sciolto,  e dal  cappello 
Cainlro  la  garza  il  girifalco  avventa. 

Altri  più  lieve  c più  minuto  augello 
Con  più  sottile  Insidia  ingannar  tenta , 
Tendendo,  acciocché  preso  ci  vi  rimagna. 
Pania  tenace,  o dilicata  aragna. 

Nè  vi'  manca  però  fra  que'  diletti 
Chi  ucl  margo  palustre,  ove  si  giace 
Col  cane  assaglia , o con  lo  strai  saetti 
•ànitra  opima,  o foliga  loquace; 

Nè  chi  con  nasse  e vangaiuole  allctti 
La  trota  pigra  c il  carivion  fugare  ; 

Nè  chi  tragga  dall' acque  a cento  a cento. 
Orate  d' oro  e cefali  d' argento. 

Mentre  sotto  quel  del,  che  Soli,  o piogge 
Non  teme,  arda  quantunque,  o geli  l' anno. 
Tra  tali  e tanto  feste  in  tante  fogge 
Le  brigate  piacevoii  si  stanno; 

Adone  c Citcrea  per  l’ ampie  logge 
Lastricate  di  gemme , intorno  vanno 
Mirando  pur  di  quei  dipinU  chiostri  ' 

L' artificio  smarrito  a'  giorni  nostri. 

Da  tnlti  quattro  i lati  in  ogni  parte 
Il  muro  a varie  immagini  è dipinto , 

Ciò  die  favoleggiar  l' anliclie  carte 
Degli  amori  celesti , in  esso  è finto. 

Gl'  innamorali  Dei  mirabil  arte  [vìnto. 
Vi  ombreggiò  si,  che  il  ver  dall’ombra  è 
E benché  tutti  muti  abbiali  le  lingue. 

Il  silenzio  e II  parlar  vi  si  distingue. 

Non  son  già  corrottlbili  colori, 

Qie  le  belle  figure  han  colorile. 

Misture  tali  Incognite  a'  pittori 
Da  macina  mortai  non  fiir  mai  trite. 

Son  quinte  essenze  chimiche  c licori 
Di  gemme  a lento  foco  intenerite , 
Minerali  stillati , le  cui  tempre 
Mai  non  perdon  vivezza,  c duran  sempre. 


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L’ ADONE. 


Se  sk  perfclU  grana , azxur  d fino 
Avesse  alcuno  artefice  moderno, 

Ben  vi  ha  tal,  che  porla  col  legno  e.11  lino 
Far  al  secol  migliore  ingiuria  e scherno. 
Del  secondo  miracolo  d’ Arpiuo 
Quanto  Torà  più  chiaro  il  nome  eterno? 
Dico  di  lui , che  con  la  man  ^ suole 
Quel  che  l’altro  tàcci  con  le  parole. 

Il  ligustico  Apelle , il  Paggi  vanto 
Sommo  c splendor  della  città  di  Giano, 
Quanto  di  gloriaaccrrsccrebl>e,oh  (|uanto 
Alle  fatiche  della  nobii  mano. 

Il  mio  Castel , che  del  conquisto  santo 
Fregia  le  carte  al  gran  Cantor  toscano, 
Lasccria  forse  de'  suoi  studj  illustri 
Viepiù  salde  memorie  a mille  lustri. 

E tu  Michel , di  Caravaggio  onore , 
Per  cui  del  ver  più  bella  è la  menzogna , 
Mentre  che  creator  più  che  pittore. 

Con  angelica  man  gli  fai  vergogna. 

E voi  Spada  e Vaicsio,  il  cui  valore 
Fa  de'  suoi  figli  insuperbir  Bologna  ; 

E voi , per  cui  Milan  pareggia  Urbino, 
Morraizooe  e Serrano  c Procaccino. 

E tu , che  col  pennci  vinci  gl'  intagli , 
E i due  vicini  sì  famosi  c noti 
Di  Verona  e Cador  non  pur  agguagli 
Palma , ma  lor  di  man  la  palma  scuoti. 

E tu  Baglion , che  con  la  luce  abbagli 
DeU'ombre  tue,  che  han  sensi  e spirti  e mo- 
Con  assai  più  lodale  opre  e pitture  ^ [li 
Avreste , onde  arricchir  l’ età  future. 

E voi  Bronzino  e Passignan  per  cui 
Il  prodigio  tebano  Amo  rivede. 

Poiché  gemino  lume , e quasi  dui 
Novi  Soli  d’onor  vi  ammira  e crede. 
Caraccio  a Febo  caro,  e tu  con  lui 
Reni,  onde  il  maggior  Retto  all’altro  cede. 
Alcun  non  temerla  che  fusser  poi 
Cancellati  dagli  anni  I lavor  suoi. 

A contemplar  la  loggia  e la  parete 
Il  portler  del  giardino  Adone  invila , 

Di  mute  poesie , d' istorie  liete 
Immaginala  tutta  e colorila; 

E del  fanciul  dall'  arco  e dalla  rete, 

I dolri  elTettI  ad  un  ad  un  gii  addita , 
Divisandogii  a bocca  or  queili , or  questi 
Furtivi  amori  degli  eroi  ceiesti. 


»5 

Vedi  Giove,  dicea,  ià  've  si  aduna 
Schiera  di  verginelle  ir  con  l'armento. 
Vedi  che  scherza,  c la  superba  Luna 
Crolla  del  capo,  e sBda  a giostra  il  vento. 
Tutto  candido  il  pel , la  fronte  ha  bruna , 
Dov  'in  mezzo  biancheggia  un  sol  d'argento. 
Già  muggirscmbra,escmbra  al  suo  muggl- 
Muggirla  valle  intorno  intonioeil  lito.  [to 

Alla  Ninfa  gentil,  che  varie  appresta 
Trecce  di  fiori  alle  sue  trecce  d'oro. 

Si  avvicina  pian  piano,  e della  vesta 
Umi|  le  bacia  il  vago  lembo  il  loro. 

Ella  il  vezzeggia  c hitesse  all’aspra  testa 
Di  catenate  rose  aito  lavoro. 

Ed  egli  inginocchion  le  terga  abbassa 
E dalla  beila  man  palpar  si  lassa. 

Sovra  gli  monu  la  donzella  ardila , 
Quel  prende  allor  per  entro  l’acquc  il  corso 
E si  sen  porla  lei,  che  sbigottita 
Volgesi  a tergo  e invan  chiede  soccorso. 
Coglicsi  tutta,  e tutta  in  «e  romita  [so. 
Cuna  man  stende  al  corno  e l’altra  al  dor- 
Sul  marpiovono  I fior  nelgreniboaccolti. 
Scherzano  I biondi  crini  all'aura  sciolti. 

Solca  la  giovinetta  il  salso  regno 
Sparsa  il  volto  di  neve,  il  cor  di  gelo. 
Quasi  stanco  nocchiero  il  fragii  legnò; 

Il  tauro  è nave,  e gli  fa  vela  il  velo. 

Van  guizzando  i delfini,  e lieto  segno 
Famio  di  festa  al  gran  Reitor  deldelo. 
Ridendo  Amor  superbamente  il  mira 
Quasi  per  scherno,  e per  le  coma  il  tira. 

Le  sconsolate  c vedove  compagne 
In  atto  di  pietà  stanno  in  sul  lido. 
Additando  la  vergine  che  piagne. 
Credula,  ahi  troppo,  al  predatore  infido. 
Par  che  di  lor,  per  poggi  e per  campagne 
Europa,  ove  ne  vai?  risoni  il  grido. 

Par  che  l’arena  intorno,  e l'aura  e l'onda 
Europa,  ove  ne  vai  ? mesta  risponda. 

EceoI  vestito  di  canute  piume 
A bella  donna  intorno  altrove  il  miri 
Qual  di  caistro,  di  meandro  al  fiume. 
Rotar  volando  in  spaziosi  girl, 

E gorgogliar  sovra  il  mortai  costume 
Canori  pianti  e musici  sospiri. 

Temer  del  proprio  folgore  il  baleno, 

E comporre  il  suo  nido  entro  il  bel  seno. 


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96  MARINO. 


Ecco  d’anfitrion  prender  la  forma, 

E la  casta  inoglier  schernir  si  vede. 

Ecco  satiro  poi  pasce  la  torma 
Con  corna  In  lesta,  e con  caprigno  piede. 
Ecco  due  volte  in  aquiia  trasforma 
La  spoglia,  inteso  a due  leggiadre  prede. 
Ecco  converso  in  foco  arde  e sfavilla. 
Ecco  in  grandine  d'or  si  strugge  e stilla. 

Vedi  lo  scheriiitor  dell’aureo  strale. 

Lo  Ilio,  che  della  luce  è tcsoriero, 

A cui  dell'  arti  mediche  non  vale. 

Nè  dell’ erbe  salubri  aver  l’ impero, 

SI  clic  profonda  al  cor  piaga  mortale 
Non  porli  alfin  dallo  sprezzalo  arderò. 
Ecco  gl’ Incende  il  cor  d’ ardente  face 
l.a  bella  di  Peneo  Ogiia  fugace. 

Ed  ecco  mentre  l’amorosa  traccia 
Segue  anelante  e giungerla  si  sforza. 
Degli  occhi  amali  e dell’ amala  faccia 
Repentino  rigor  la  luce  ammorza. 

Fansi  radici  i piè,  rami  le  braccia. 
Imprigiona  i bei  membri  ispida  scorza. 
Gode  egli  aluien  le  sue  dorate  c bionde 
Chiome  fregiar  dclicgià  chiome,or  fronde. 

Volgili  poscia  al  vccchiarél  Saturno, 
Tutto  voto  di  sangue  e carco  di  anni. 
Come  iin  agili  lo  di  un  bel  viso  eburno 
In  forma  di  destrier  la  moglie  inganni. 
Mira  quel  dal  cappello  e dal  coturno, 

Chè  ha  nel  coturno  c nel  cappello  I vanni  : 
Quegli  è il  corricr  di  Giove  e in  terra  sccn- 
Chè  delia  Ninfa  maura  amor  l’accende,  [de, 

Pon  mente  là,  dove  la  notte  ha  stese 
L’ombrc  ladtc  intorno  e il  mondo  imbru- 
Come  per  disfogar  sue  voglie  accese,  [na. 
Le  due  disciolle  treccie  accolte  in  una. 
Si  reca  in  braccio  placida  e cortese 
Al  vago  suo  l’innamorala  Luna, 

E fra  i pòggi  di  Laimo  al  suo  pastore 
Addormenta  le  luci  c sveglia  il  core. 


L’ argentala  del  del  luce  sovrana 
Deposla  alfin  la  lusingata  Diva, 

Alle  promesse  della  bianca  lana 

Dal  suo  chiaro  balcon  scender  non  schiva,  ' 

Vedila  (or  chi  dirà  che  sia  Diana  ? ) 

Col  rozzo  amante  in  solitaria  riva, 

E io  vece  di  lassù  giddar  le  stelle. 

Sul  frondoso  liceo  tonder  l’agnelle. 

Poi  vedi  Endimion  dall’  altro  lato 
Quindi  avvampar  d’  un  amoroso  sdegno, 

E col  capo  e col  dito  il  Nume  amato 
Di  rampognar,  di  minacciar  fa  segno. 
Perfida  [ par  le  dica  in  vista  irato) , 

Perfida,  orehenon  celi  il  lume  indegno? 
Perfida,  avara  e disleale  amante. 

Più  volubii  nel  cor,  die  nel  sembiante. 

Della  fiamma  gentil  che  nel  marnacque. 
Ecco  poscia  arde  il  mare,  arde  l’Inferno. 
Arder  quel  Dio  si  vede  in  mezzo  P acque. 
Che  dell’acqiie  e del  mar  volge  il  governo. 
Arde  per  la  beltà  che  si  gli  piacque 
Il  tiranno  cnidel  dell’ odio  demo. 

Strugge  ardore  amoroso  il  cor  severo, 

A quel  signor  che  ha  degli  ardori  impero. 

Si  dice  r un,  l’ altro  gli  sguardi  e Torme 
Alle  mura  superbe  intento  gira, 

E mentre  queste  ed  altre  illustri  fonile , 

Di  cui  son  tutte  effigiate,  ammira. 

Sembra,  nè  sa  s’ei  veglia,  oppursedorme, 
Statua  animata,  immagine  che  spira. 

Anzi  piuttosto  im’ insensata  e finta 
Tra  figure  spiranti  ombra  dipinta. 

Non  vi  è dipinta  di  Ciprigna  e Marte 
L’ istoria  oscena  troppo  ed  impudica. 
Perchè  il  zoppo  marito  il  fece  ad  arte. 

Di  cui  fur  quelle  volte  o|na  e fatica; 

E celar  volse  le  vergogne  in  parte 
Del  fiero  amante  e della  bella  amica. 

Per  non  rinnovellar  T onta  dei  due, 

E nelle  gioie  lori’ ingiurie  sue. 


Mira  il  selvaggio  Dio  non  lunge  molto 
Che  usdto  fuor  di  una  .spelonca  vecchia. 
Di  verdi  salci  c fresche  canne  avvolto 
Le  coma,  i crini  e Tuna  c l’altra  orecchia. 
Al  eie!  leva  le  luci,  e nel  liel  volto 
Della  candida  Dea  si  affisa  e specchia, 

E par  la  preghi  in  si  pietosi  modi. 

Che  vi  scorgi  il  pcnsier,  la  voce  n’odi. 


Sotto  quest’  archi,  in  queste  logge  ombro* 
Che  volte  han  le  faceiate  alla  verdura,  [se, 
Onde  il  Giardin  le  chiome  sue  frondose 
Può  vagheggiar  nelle  lucenti  mura, 
Specolando  T immagini  amorose 
Stasscne  Adon  dell’  immortal  pittura , 
Mentre  colui  del  Sagittario  cicco 
Va  passo  passo  ragionando  seco. 


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L- ADONE.  97 


Venere  allor  cosi  gli  dice  : 0 cara 
Delicia  del  mio  cor,  dolce  diletto, 

Dell  dei  begli  occhi  tuoi  la  luce  chiara 
Tanto  ornai  non  occupi  un  finto  oggetto. 
Che  de'  suol  raggi  usurpatrice  avara 
Parte  a me  neghi  del  bramalo  aspetto. 
Lascia  ch’io  possa  almeno  il  foco  ond'ardo. 
Sorbir  con  gli  occhi  e depredar  col  guardo. 

Non  dee  la  vista  tua  (ermarsi  in  cose, 
Cheaien  di  te  men  peregrine  e belle. 
Vedi  che  fai  dolenti  e tenebrose 
A disagio  per  te  languir  le  stelle. 

Non  tener  più  le  luci  al  Sole  ascose , 

Le  luci  emule  al  Sol,  del  Sol  gemelle,  ' 
Se  pitture  vuoi  pur;  vero  e non  fiuto 
Mira  te  stesso  in  questo  scn  dipinto.  - 

Qui  tace,  ed  eceo  per  l'erbosa  chiostra 
Da  lor  non  lunge^emubitoT  del  prato. 

Fa  di  sè  stesso  ambiziosa  mostra 
L’occhiuto  augel  di  più  color  fregiato; 

E del  bel  lembo  che  a’  indora  e iqostra 
Di  fiori  incorrottibUI  gemmato  ; 

Dilettoso  spettacolo  a clil  il  mira , 

Un  più  vago  giardin  dietro  si  tira. 

Per  ventura  inquel  punto  appunto  avven- 
Che  alle  leggiadre  suo  spoglie  di  verse  [ne 
La  bella  coppia  si  rivolse,  e tenne 
Per  vaghezza  le  luci  in  lui  converse. 

Ond’  egli  allor  delle  sue  ricclie  penne 
Il  superbo  gemmalo  in  giro  aperse. 

Ed  allargò,  quasi  corona  altera, 

De’suoi  tanti  occhi  la  stellata  sfera. 

Di  quest' augel  pomposo  c vaneggiantc 
(Disse  Venere  allor}  parla  ciascuno. 
Diconch’eifupastor,  die  in  tal  sembiante. 
Cangiò  la  forma,  e cosi  crede  alcuno. 

Cbé  la  giovenca  dell’  infido  amante. 

A guardar  con  cent’  occhi  il  pose  Giuno; 
E che  quantunque  a vigilare  accorto. 

Fu  da  Mercurio  addoroienlato  e morto. 

Contan  che  gli  occhi,  onde  sen  giva  altc- 
Nelle  piume  gliatDs.se  ancorGiunonc;  [ro, 
Edè  voce  volgar,  che  il  suo  primiero 
Nome  fosse  Argo,  il  qual  fu  poi  pavone. 
Or  della  cosa  io  vo' narrarti  il  vero. 
Diverso  assai  da  questa  opinione. 

GII  umani  ingegni  quando  più  non  sanno. 
Favole  tali  ad  inventar  si  danno. 


Era  questi  un  garzon  superbo  c vano. 
Tutto  di  ambizion  colmo  la  mente  ; 
Cameriero  d' Apollo  e cortigiano , 

Che  l’amò  molto,  e il  favori  sovente,  [no 
Amorcbeancb’eglièpien  di  orgoglloinsa- 
Fcrigll  il  cor  con  aureo  strai  pungente. 
Facendo  dai  begli  occhi  uscir  laTiiaga 
Di  una  donzella  mia  vezzosa  e vaga. 

Colomba  delta  fu.questadonzella. 

La  qual  vedere  ancor  potrai  qui  forse, 
Chè  fu  pure  in  augel  mutata  aneli’  ella  ; 
Ma  per  altra  ragion  questo  gli  occorse. 
Pavon  si  nominò,  pavon  si  appella 
Costui,  che  amando  in  folle  audacia  sorse. 
Sebbene  altro  di  lui  dicò  la  fama, 

Pavon  chiamossi,  ed  or  pavon  si  chiama. 

Oltre  che  di  bei  drappi  e vestimenti 
Si  dilettava  assai  per  sua  natura. 

Per  farsi  grato  a lei  nei  suoi  tormenti 
Si  abbcllia,  si  arricchiacon  maggior  cura. 
Pompe,  fogge,  livree,  fregi,  ornamenti, 
Variando  ogni  di  fuor  di  misura, 

Facea  vedersi  in  sontuosa  vesta  [testa. 
Con  gemme  intorno  c con  piumaggi  in 

Con  tutto  ciò  da  lei  sempre  negletto 
Senza  speme  languia  tra  pene  e doglie. 
Perchè  discorde  l’un  dall’ altro  petto 
Di  qualità  contraria  avean  le  voglie. 
Tutto  era  fasto  c gloria  il  giovinetto 
Nei  pensieri,  negli  atti  e nelle  spoglie. 
L’altra  costumi  avea  dolci  ed  umili , 
Mansueti,  piacevoli  c gentili. 

La  servia,  la  segiila  fuor  di  speranza 
Con  sospir  c.ildl  e con  prcglilcre  spesse  : 
E perchè,  come  pien  d’alta  arroganza, 
Pensava  di  polhr  quanto  volesse. 
Ragionandole  un  di  prese  baldanza 
Di  farle  tròppo  prodighe  promesse. 

Tutto  gli  offri  ciò  che  bramasse  al  mondo 
Dal  sommo  giro  al  baratro  profondo. 

Poiché  tanto,  diss’ella,  osi  e presumi. 
Voglio  accettar  la  tua  cortese  offerta, 

E del  foco  onde  avvampi  e ti  consumi , 
Giovami  di  veder  prova  più  certa. 
Recami  alquanti  dei  celesti  lumi. 

Se  vuoi  pur  die  ad  amarti  io  mi  converta. 
Se  senigio  vuoi  far  che  mi  contenti , 
Delle  stelle  del  delo  aver  convientl. 

6 


98  MARINO. 


Grande  impresa  fia  ben  quel  ch'io  tl  chieg- 
Non  difficile  a te  se  ardir  ne  avrai , [glo 
Poiché  presso  cohii  tieni  il  tuo  seggio. 
Che  le  raccende  con  gli  aurati  rai. 

Qualora  sciutillar  lassù  le  veggio 
Di  tanta  luce,  io  mi  compiaccio  assai 
E bramo  alcuna  in  mano  aver  di  loro. 

Sol  per  saper  se  son  di  foco  o d' oro. 

0 volesse  fintglr  con  questa  scusa 
Quell’ assalto  importun  che  egli  le  diede, 
O forse  per  non  esserne  delusa 
Esperienza  far  della  soa  fede , 

0 perché  pur  la  femmina  é sempre  usa 
Ingorda  a desiar  ciò  che  ella  vede. 

Ed  indisereta  altrui  prega  e comanda, 

E le  cose  Impossibili  dimanda; 

Basta,  che  egli  in  virtù  di  tal  parole 
Ogni  suo  sforzo  a cotant' opra  accinse. 
Aspettò  finché  il  ciel  ( siccome  suole  ) 

Di  purpureo  color  l'alba  dipinse; 

Ed  egli  uscito  in  compagnia  del  Sole, 

Qie  la  lampa  minor  sorgendo  estinse, 
AUe  luci  notturne  e mattutine 
Accostossi  per  far  l’ alte  rapine. 

Su  miocor,  dicea  scco,andianne  audaci  - 
L’ oro  a rubar  dei  bel  tesor  celeste, 

Ché  un  raggio  sol  di  due  terrene  faci 
Val  più  che  los|)lendor  di  tutte  queste. 

Di  stender  non  temiaiii  le  man  rapaci 
Nelle  gemme  che  al  ciel  fregia  la  Veste, 
Purché  in  cambio  del  furto  abbian  poi  quel- 
Delle  stelle  c del  Sol  più  chiare  stelle,  [te 

Orile  del  lume  e della  scorta  prive, 
Fuggian  le  stelle  in  varie  schiere  accolte, 
E sicconie  lalor  peri’ ombre  estive 
Quando  l’aria  è serena,  avvien  più  volte  ; 
Sbigottite,  tremanti  c fuggitive 
Per  fretta  nel  fuggir  ne  cadeau  molte. 
Pavone  allora  il  suo  mantcl distese. 

Ed  un  groppo  nel  lembo  alfin  ne  prese. 

Giove  elle  vide  il  forsennato  e sciocco 
Giovane  depredar  l'auraé  fiammelle, 
Sdegnossi  forte,  e da  grand’  ira  tocco 
Gli  trasformò  repente  abito  e pelle. 

L’ orgoglioso  cimier  divenne  un  fiocco, 

E nella  falda  gli  restar  le  stelle. 

Febo  die  pietà n’eblie,e  l’amò  tanto. 

Per  sempre  poi  gliele  stampò  nel  manto. 


Del  ddo  l'ambiziosa  imperatrice 
Tosto  che  vide  il  non  più  visto  augèllo , 
Che  il  pregio  quasi  toglie  alla  fenice. 

Il  volubil  suo  carro  ornò  di  quello. 

Poi  le  penne  gli  svelse,  e fu  inventrice 
Di  unistrumento  insieme  utile < bello. 
Onde  alle  mense  estive  ban  le  sue  seni* 
Cura  d’intepidir  l’anra  che  ferve. 

Ed  io,che  soglio  ognorquahinque  imago 
Scacciar  dngH  orti  miei  difforme  e trista. 
Di  averlo  ammesso  quigodoamiappagn, 
Ché  grazia  il  loco  e nobiltà  ne  acquista. 
Perché  natura  in  terra  augel  più  vago 
Non  credo,  che  offerir  possa  alla  vista, 

Né  so  cosa  trovar  fra  quanti  oggetti 
Invaghiscano  altrui,  die  più  diletti. 

Vedilo  là,  che  a’più  bei  fior  fa  scorno, 
E ben  d’altra  pittura  i chiostri  onora. 
Con  quanta  maestà  rotando  intorno 
Di  mirabii  ghirlanda  il  palco  infiora? 
Perché  crediam,  che  .si  si  mostri  adorno, 
Se  non  per  allettar  chi  l’innamora? 

E per  aprire  alla  Ixtità.  che  mille 
Fiamme  gli  avventa  al  cor,  cento  pupille  ? 

Or  die  far  dee,  dolcissimo  ben  mio. 
Gentil  petto,  alto  core  e nnbii  voglia  ? 
Qual  da  si  dolce  universal  desio 
Anima  sia,  die  si  ritragga  o scioglia? 

Ma  che  mirar?  ma  che  curar  degg’io 
Del  bei  pavon  la  ben  dipinta  spoglia. 
S’aprono  agli  occhi  miei  le  tue  liellezze 
Altri  fregi,  altre  pompe,  altre  ricchezze  ? 

Così  ragiona,  e seco  il  trae  pian  piano 
Dove  all’altr’  uscio  il  guardian  l’aspetta. 
Che  con  bei  fasci  di  fioretti  In  roano, 

E varie  ampolle  di  profumi  allctta. 
Garzon  verde  vestito,  e non  lontano 
Esplorato!'  della  fiorita  erbetta. 

Scaltro  Segoso  c d’ orlurato  acuto. 

Tutto  dovunque  va  cerca  col  fiuto. 

Inestinguibilmente  a pié  gli  bolle 
Infuso  un  misto  d’odorate  cose. 

Con  sangue  di  colombe  e con  midolle 
Di  passere  stemprò  liquide  rose, 

E col  puro  storace  e l’amiira  molle 
Il  niuscliio  dentro  c l’aloè  vi  pose. 

Vi  ha  di  Cirene  il  belgioin  natio. 

Il  cifo  egizio  e il  mastice  di  Cliio. 


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L’ADONE.  * 99 


Vista  aostuì  da  lunga  area  la  bella 
Coppia,  che  agli  orli  suoi  l’orme  volgea, 
Onde  subito  a si  Zeflìro  appella, 

Cbe  in  curva  valle  e florida  sedea. 

0 genitor  della  stagiou  novella , 

Dice , vago  forier  di  Cilerea , 

Cbe  con  volo  lascivo  e lieve  flato 
Passeggiando  il  mio  cielo  infiori  il  prato  ; 

.Non  vedi  tu  la  graziosa  prole 
Del  gran  Uolor,  die  su  le  stelle  regna , 
Come  col  vivo  suo  terreno  Sole 
Le  nostre  case  d’ onorar  si  degna 
Su  su , studio  a raccorla  usar  si  vuole. 
Tu  tanta  Dea  d’accarezzar  t’ingegna. 

Con  la  virtù,  die  da’  tuoi  semi  avranno,' 
Figli  la  Terra,  e pargoleggi  I'  anno. 

Quanto  csalan  di  grato  Ibla  e Pancaia, 
Quanto  r Idaspe  di  lontan  ne  spira. 
Quanto  ne  accoglie  giunto  alla  vecchiaia 
L’ arabo  augel  nell’  odorata  pira , 

Tutto  qui  spargi , acciocché  degno  appaia 
Di  lei  ciò  che  ella  sente  c ciò  che  mira. 
Fa  che  animale  di  fiorita  messe 
Godan  del  tuo  favor  le  selci  Istesse. 

Tutto  per  questi  piani  e questi  poggi 
Prodigo  II  tuo  tesor  difibndi  e sciogli, 

E qual  rupe  più  sterile  fa  che  oggi 
Al  tuoi  fecondi  spiriti  germogli  ; 

Onde,  non  cbe  ella  volenlier  vi  alloggi , 
Ua  di  ordirvi  ghirlande  anco  s’ invogli, 
E I nostri  fior  da  quei  celesti  diti 
Possano  meritar  di. esser  carpiti. 

Scote  a quel  dir  le  piume  a più  colori 
Tutto  di  fresco  nettare  stillante 
Della  vezzosa  e leggiadretta  dori 
Sorto  dai  seggio  suo,  l’ alalo  amante  ; 
Glori  Ninfa  de’  prati  e Dea  de’  fiori , 

De’  lidi  canopel  grata  abitante. 
Spargendo  fior  dalla  purpurea  stola 
Sempre  il  segue  costei , dovunque  ci  vola. 

La  goima,che  la  copre,  è tutta  ordita 
Di  un  drappo,  che  si  cangia  ad  ora  ad  ora. 
Dell’  auge!  di  Ciprigna  il  collo  imita 
Quando  ai  raggi  del  Sol  si  trascolora. 

Di  stmil  manto  comparir  vestita 
Suole  agli  occhi  di  Aprii  la  bella  Fiora. 
Tal  fra  Tumide  nubi  li  curvo  velò 
Spande  alle  prime  ploggie  Iride  Incielo. 


Volano  a prova,  e con  disciolti  lcml>i 
Scorron  del  del  le  spaziose  strade. 

Nubi  accoglie  quel  del , gravide  I grembi 
Di  fini  unguenti  e di  ottime  rugiade. 
Onde  r umor  soave  In  puri  nembi 
Da  quei  placidi  solfi  espresso  cade. 

Cade  sull’  erba , e fiocca  in  larga  vena 
Di  aromatici  odor  pioggia  serena. 

Ciò  fatto , ei  precursore , ella  seguace 
L’ ali  battendo  rugiadose  e molli , 

Fan  maritale  con  I’  umor  ferace 
Le  glebe  partorir  nuovi  rampolli. 

Si  allarga  T aria  in  un  seren  vivace  , 

G fioreggiano  intorno  i campi  e I coDi. 
Vedresti,  ovunque  vanno,  in  mille  guise 
Primavera  spiegar  le  sue  divise. 

Tornano  al  copular  di  due  stagioni 
I secchi  dumi  con  stupor  vermigli. 
Sbucciano  fuor  de’ gravidi  bottoni 
Delle  madri  spinose  I lieti  figli. 

Ricca  la  terra  di  celesti  doni 

Par  che  all’ ottavo  del  si  rassomigli. 

Par  che  per  vincer  1*  arte,  abbia  Natura 
Applicalo  ogni  studio  alla  pittura. 

[scuro 

Qual  di  splendor  sanguigno  e qual  d'o- 
Tingonsl  1 fiori  In  quelle  piagge  e In  queste, 
Qual  di  fin  oro  e qual  di  latte  puro, 

Qual  di  dolce  ferrugine  si  veste. 

Adone  inianto  nel  secondo  muro 
Con  T altro  di  beltà  mostro  celeste 
Per  angusto  sporte!  passa  introdotto. 
Che  è di  cedro  odorato  ed  Incorrotto. 

Mercurio  incominciò  :Tra  quanteabbrac- 
Maggior  delizie  II  cerchio  della  Luna  [da 
Cosa  non  ha,  di  cui  più  si  compiaccia 
Venere  e il  figlio  suo , che  di  quest’  una  ; 
Nè  lrov’lochcplHvaglla,o  chcplù  fac^,g 
Lusingamento,  0 tenerezza  alcuna, 

Che  la  soavità  de’  molli  odori , 

Mollo  possenti  ad  alleiur  gli  .amori. 

Osile  crudeli  jr  sacrifizi  infausti , 
Miseri  tori  ed  innocenti  agncllc. 

Cifre  la  gente  al  del,  tanto  che  esausti 
Restan  gllamienti  ognordl  questi  oqtielle 
E sol  per  far  salir  d’empj  olocaiisll 
Un  fumo  abbominevolc  alle  stelle. 
Aggiunto  II  foco  alle  svenate  strozze  , 
Arde  agli  eterni  Dei  vittime  sozze. 


MARINO. 


100 

E crede  stolta  ancor,  die  questi  suoi 
Ili  sangue  vii  contaminali  altari 
Abborrili  lassù  non  sten  da  noi, 

Cile  siam  pur  si  pietosi , anzi  sìen  cari, 
(ioni’  uopo  abbiati  di  pecore  e di  buoi 
(iittadiiil  del  cici  beati  e chiari, 

0 le  dolcezze  lor  sempre  immortali 
Oegglan  cangiar  con  immondizie  tali. 

Doni  bplit  preziosi,  i più  graditi. 

Che  possati  farsi  a quegli  eccelsi  Numi , 

Di  naturai  semplicità  conditi 

Son  frutti  e (lori , aromatl  e profumi. 

Ma  sovra  quanti  mai  più  rcveriil 
Rotano  I raggi  in  del  celesti  lumi, 

,\don , la  bella  Dea , con  cui  tu  vai , 

Di  queste  olTertc  sì  diletta  assai. 

E per  questa  ragion  qui , dove  torna 
Ella  per  uso  ad  albergar  talora , 

Di  tutto  il  bel , che  l'Universo  adorna  , 
Scelse  quanto  diletta  c quanto  adora. 

Or  se  è ver,  che  a colei  clic  qui  soggiorna, 
Ed  a tutti  gli  Dei , che  il  Mondo  adora , 
.Soglion  tanto  piacer  gli  odori  sparsi , 
guanto  donno  dagli  uomini  pregiarsi? 

Den  tirato  un  proiil  nel  mezzo  appunto 
Scolpi  del  volto  uman  la  man  divina , 

Elie  quindi  con  le  ciglia  ambe  è congiunto , 
E col  labbro  sovran  quinci  conflna. 

K perchè  di  guardarlo  abbia  l'assunto. 
D’osso  concavo  c curvo  armò  la  spina, 
('.Ite  qual  base  il  sostenta , e tutto  il  resto 
Di  molli  cartilagini  è contesto.  * 

E perchè , se  vien  pur  sinistro  caso 
Una  a turar  delle  finestre  sue. 

L'altra  aperta  riitianga,  ed  abbia  il  naso 
(Inde  i fiali  esalar,  ne  formò  due. 

E posta  in  mezzo  all'uno  c l' altro  vaso 
Te'milnatricc  una  colonna  fue 
Tenera , ma  non  fral , si  che  per  questa 
Le  sue  pioggie  stillar  possa  la  testa. 

Ma  lienchèoltre  il  decoro  e f ornamento. 
Ed  oltre  ancor,  che  al  respirare  è buono , 
Vaglia  a purgar  del  capo  ogni  escremento, 
l'ur  r odorato  è principal  suo  dono. 

E consiste  nel  moto  il  sentimento 
Di  due  manniielle,  clic  da'  lati  sono, 

K niovon  ceni  muscoli  all’  entrata, 

De’  quali  un  si  ristringe , un  si  dilata. 


Quindi  sì  apre  la  porta  e lo  spiraglio 
Del  senso  interno  all’  ultime  radici , 
Laitdove  a guisa  dì  forato  vaglio 
Una  parte  sovrasta  alle  narici. 

L’altra  è spugnósa , e con  sottile  intaglio 
È destinata  ai  necessari  uCBci , 

Che  qual  pomice , o fungo  avendo  i lori , 
Rompe  l’ acre  alterato  entro  I suoi  pori. 

E la  spugna  del  cranio  umida , e tale. 
Che  dì  ogni  arida  cosa  assorbe  i fiati , 
Traendo  a sè  la  qualità  reale 
Degli  oggetti  soavi  ed  odorati  ; 

Passa  il  caldo  vapore , e in  alto  sale 
Ai  ventricoli  suoi  per  due  meati , 

Che  non  si  serra  mai,  talché  con  esso 
L'aere  insieme  e lo  spirto  ban  sempre  in- 
[grcsso. 

Ma  tra  rìsi  e piacer  frappor  non  deggio 
Di  severa  dottrina  al  li  sermoni , 

Però  che  alla  tua  Der  su  i fianchi  io  veggio 
Dì  pungente  desto  ervidi  sproni  ; 

E del  mio  dir  que-  to  fiorito  seggio 
Soggiungerà  la  pr  ava  alle  ragioni. 

Senti  auretta  che  spira.  In  cotal  guisa 
L’  arguto  Dìo  co  bell'  Adon  divisa. 

De'  fioriti  viali  in  lunglii  tratti 
.Mirando  van  le  prospettive  ombrose. 

Ne’  cui  margini  a 111  tirati  e fatti 
Miniere  di  rubini  apron  le  rose. 

Slan  disposti  ne’  quadri  i fiori  intatti 
Con  leggiadre  pitture  ed  ingegnose, 

E di  forme  diverse  e color  vari 
Con  mille  odori  abbagliano  le  nari. 

Trecce  di  canne  c reti,  o gelosie 
Alle  ben  largite  alee  tesson  le  coste , 

E dagli  erbai  dividono  le  vie 
Compassate  a misura,  e ben  composte. 
Le  cui  fabbriche  egregie  e maestrie 
La  Dea  dei  loco  addila  al  suo  bell’  oste , 
Movendo  seco  per  quel  solo  i passi. 

Fatto  a mosaico  di  lucenti  sassi. 

Amor  con  meraviglie  inusitate 
Semplice  qui  consen  a il  suo  diletto , 
Perchè  pon  nelle  piante  innamorate 
Ogni  perfezion  senza  difetto  ; 

E con  foglie  più  spesse  e più  odorate. 
Quando  la  rosa  espone  il  bel  concetto, 

0 candida , o purpurea,  o damaschina  , 
Nascer  fa  solo  il  fior  senza  la  spina. 


» 


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L’ADONE. 


Ciò  die  ban  di  molle  i morbidi  Sabci, 
Gl’  Indi  fecondi , o gli  Arabi  felici , 
Qò'che  produr  ne  sanno  i colti  iblei , 

Le  piagge  ebalie,  o l'atliclie  pendici, 
Quanlo  mai  ne  nutriste  orti  pancliei , 
Prati  d’Imetto,  e voi  campi  conci. 

Con  stella  favorevole  c benigna. 

Tutto  in  quegli  orti  accumulò  Ciprigna. 

Vi  suda  il  gatto  etiope,  e ben  discosto 
Lascia  di  sua  virtù  traccia  per  i’  aura. 
Nè  vi  manca  per  tutto  odor  composto 
Di  pasta  ispana,  o di  mistura  maura. 
Cassia,  amaraco,  amomo,  aneto  e costo, 
E nardo  e timo  ogni  egro  cor  restaura. 
Abrotano , serpillo  ed  elicriso , 

E citiso  e sisiinbro  e llordaliso. 

Ravvi  il  baccare  rosso , In  piaggia  aprica 
Nato  a spedir  le  membra  in  lieve  assaito. 
Ravvi  la  spina  arabica  e la  spica. 

Che  più  groppi  di  verghe  estolle  in  alto. 
D’ Etiopia  il  balan  qui  si  nutrica , 

Colà  di  Siria  il  virtuoso  asfalto. 

Spunta  mordace  il  cinnamomo  altrove, 
E la  pontica  noce  a piè  gli  piove. 

Tra  I più  degni  germogli  il  panaceo 
Le  sue  foglie  salubri  implica  e mesce  : 

E il  terebinto  col  dittamo  ideo. 

Da  cui  medico  umor  distilla  ed  esce; 

E Col  libico  giuoco  il  nabateo, 

E d’ India  il  biondo  calamo  vi  cresce. 
Chi  può  la  serie  annoverar  di  tante 
Ignote  al  nostro  dei  barbare  piante? 

Fumante  il  sacro  incenso  erutta  quivi 
D’ alito  peregrin  grati  vapori. 

Scioglie  il  balsamo  pigro  in  dolci  rivi 
I prexiosi  e nobili  sudori. 

Stilla  in  tenere  gomme  e in  pianti  vivi 
I suoi  viscosi  e non  caduchi  umori 
Mirra , del  bell'  Adon  la  madre  istessa , 
E il  bei  pianto  raddoppia,  or  eh’ ci  si  ap^ 
[pressa 

Non  potè  far,  che  del  materno  stelo 
Non  compiangesse!!  figlio  il  caso  acerbo. 
Siati  sempre,  gli  disse,  amico  il  Cielo  [bo. 
Tronco  che  In  mézzo  al  cor  piantato  lo  ser- 
Le  tue  chiome  non  sfrondi  orrido  gelo. 
Le  tue  braccia  non  spezzi  austro  superbo. 
E quando  ogni  altra  pianta  i fregi  perde, 
In  te  verdeggi  il  fior,  fiorisca  il  verde. 


IflI 

Si  parla , ed  ella  la  cangiala  spoglia 
Dal  sommo  crine  alla  radice  estrema 
Per  la  memoria  dell'  antica  doglia 
Tutta  crollando  allur,  palpita  e trema. 
Come  abbracciar  co’  verdi  rami  il  voglia, 
Sè  stessa  inchina,  e par  languisca  c gema, 
E sparsi  de’  suoi  flebili  licori 
Falagrimar  gl’  Innamorati  fiori. 

Ne’  fior,  ne’  fiori  Istessi  Amore  ha  loco, 
Ama  il  giglio,  il  ligustro  e l’aniaranto , 

E narciso  e giacinto,  aiacce  croco, 

E con  la  bella  clizia  il  vago  acanto. 

Arde  la  rosa  di  vermiglio'  foco , 

L’  odor  sospiro  e la  rugiada  è pianto. 
Ride  la  calta , e pallida  ed  esangue 
Tinta  d’ Amor  la  violetta  langue. 

Ancor  non  cri , o bell’  Adone,  eslioto. 
Ancor  non  cri  in  nuovo  fior  cangialo. 
Chi  dirla , che  di  sangue , oimè , dipinto 
Dei  di  te  stesso  in  breve  ornare  il  prato  T 
Presago  gii , benché  confuso  e vinto. 

Di  un  tanto  onor,  che  gli  destina  il  Fato, 
Ciascun  compagno  tuo  ti  onora  e cede  , 
T’ ingemman  tutti  il  pavimento  al  piede. 

Ravvi  il  vago  tulippo,  in  cui  par  voglil 
Quasi  in  gara  con  l’ arte  entrar  Natura. 
Qual  d’  un  bel  riccio  d’ or  tesse  la  foglia , 
Che  ai  broccati  di  Persia  il  pregio  fura  ; 
Quai  tinto  d’ una  porpora  germoglia , 
Che  degli  ostri  d’Arabia  il  vanto  oscura. 
Trapunto  ad  ago,  oppur  con  spola  intesto 
Drappo  non  è , che  si  pareggi  a questo. 

Ma  più  d’ogui  altro  ambizioso  il  giglio 
Qual  re  sublime , in  maestà  sorgea, 

E con  scorno  del  bianco  c del  vermiglio 
In  alto  il  gambo  insupcrbitcrcrgea. 
Dolce  gli  arrise , indi  di  Mirra  al  figlio 
Segnollo  a dito  e il  salutò  la  Dea. 

Salve,  gli  disse,  o sacra , o regia , o degna 
Del  maggior  Gallo  e fortunata  insegna. 

Ti  vedrà  con  stupor  l’ età  novella 
Chiara  quanto  temuta  e gloriosa. 

Ma  quante  volte  di  dorata  e bella 
Diverrai  poi  purpurea  e sanguinosa? 
Non  sol  negli  orti  miei  convien  che  anch’cl- 
Ti  ceda  ornai  la  mia  superba  rosa , [ la 

Ma  fregiato  di  stelle  anco  il  tuo  stelo 
Merita  ben,  che  si  trapianti  in  ciclo. 


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102  MARINO. 


Non  so  se  vi  era  ancor  la  granadiglia , 
i'Iie  a noi  poscia  mando  l’ indica  piaggia , 
Di  Natura  portento  c meravigiia , 

K ceda  ogni  altra  pur  stirpe  selvaggia. 

Al  no  piuttosto  il  mio  pensier  si  appiglia , 
Si  deve  altro  stimarne  anima  saggia , 
r-iii  star  non  può , nè  dee  puro  c sincero 
T ra  Tombceil  Sol,  con  le  menzogne  il  vero. 

Disse  alcun  che  a narrar  le  glorie  e l’oprc 
Del  sempiterno  lor  sommo  Fattore 
De  stelle , onde  la  notte  II  manto  copre , 
Sun  caratteri  d'  oro  e di  splendore. 

Or  miraeoi  maggior  la  terra  scopre , 
Quasi  bei  fogli,  apre  le  foglie  un  fiore, 
Flore , anzi  libro,  ove  Gesù  trafitto 
C<jn  strane  note  11  suo  martirio  ha  scritto. 

Benedicati  11  Cielo , c chi  lo  scrisse, 

0 sacro  fior,  clic  tanta  gloria  godi; 

F i fiori , in  cui  de’  regi  i nomi  disse 
Leggersi  antica  Musa , or  più  non  lodi. 
Chi  vide  mai , che  in  prato  alcun  fiorisse 
Drimavera  di  spine  e lance  e chiodi  ì 
E che  tra  mostri  al  Redentor  rubelll 
Pullulassor  co’ fiori  I suol  flagelli? 

In  India  no,  ma  nel  giardin  celesti 
Portasti  I primi  semi  a’  tuoi  natali 
Tu,  che  del  tuo  gran  re  tragici  e mesti 
Spieglii  io  piccioi  teatro  i funerali. 
Nell’orto  di  Giudea , credo , nascesti 
Da  quei  vermigli  e tepidi  canali , 

(.he  gli  olivi  irrigaro,  ov’egfi  esangue 
Angosciose  sudò  stille  di  sangue. 

Alti  qual  pennello  in  te  dolce  e pietoso 
Trattò  la  man  del  gran  pittore  eterno? 

E con  qual  minio  vivo  e sanguinoso 
Ogni  suo  strazio  espresse  ed  ogni  scher- 
ni quai  fregi  mirabili  pumposo  [no? 
,\l  Sol  più  caldo,  al  più  gelalo  verno 
Dentro  le  tue  misteriose  foglie 
Spieghi  l'altrui  salute  e le  sue  doglie? 

Qualor  bagnato  da’  notturni  geli 
Con  muta  lingua  e taciturna  voce, 

Aiui  con  liete  lagrime  riveli 
De’  tuoi  fieri  trofei  l’ istoria  atroce, 

E rappresenti  ambizioso  al  cieli 
L’ aspra  memoria  dell’  oriibll  croce; 

Per  gran  pictaic  il  tuo  funesto  riso 
Dà  materia  di  pianto  al  paradiso. 


Vivi  e cresci  felici.  Ove  tu  stai 
Sìrio  non  latri  ed  Aquilon  non  strida, 

Nè  di  profano  agricoltor  giammai 
Vii  piè  ti  calchi , o falce  empia  t’ incida. 
Ma  con  chiar’  onde  e con  sereni  rai 
Ti  nutrisca  la  terra,  il  del  ti  arrida. 
Favonio  ognor  con  la  compagna  Glori 
Della  bell’  ombra  tua  gli  odori  adori. 

Te  sol  l’aurora  in  Oriente  ammiri. 

Tue  pompe  invidi!  e tua  beltà  vagheggi. 
In  te  si  specchi , a te  s’ inchini  e giri 
Stupido  il  Sol  da’ suoi  stellaoti  seggi. 

Ma  nè  questi , nè  quella  al  vanto  aspiri , 
Chè  (li  luce , o color  teco  gareggi . 

Chè  sol  la  vista  tua  può  donar  loro 
Qual  non  ebber  giammai,  porpora  ed  oro. 

Lagrimette  c sospir  caldi,  vivaci 
D’aure  invece  ti  sieno , e di  rugiade. 
Angeli  sten  del  del  Tapi  predaci. 

Che  rapiscan  l’ umor  che  da  te  cade; 

E mille  in  te  stampando  ardenti  bad 
Di  devota  dolcezza  e di  pietade. 

Dal  fiel  che  ti  dipinge  amaro  e grave 
Traggano  ai  nostri  affanni  il  mel  soave. 

Tutto  al  venir  d’Adon  par  che  ridenti 
Rivesta  il  bel  giardin  novi  colori. 

Umili  inatto  intorno,  c riverenti 
Piegati  la  cima  i rami , ergonla  i fiori. 
Vezzose  Paure  e lusinghieri  i venti 
Gli  applaudou  con  susurri  adulatori. 
Tutti  a salutarlo  ivi  son  pronti 
Gli  augei  cantando,  e mormorando  i fonti. 

Con  l’ Interne  del  cor  viscere  aperte 
Ogni  germe  villan  latto  civile. 

Gli  fa  devoto  alfettuosc  offerte 
Di  quanto  ha  di  pregiato  e di  gentile. 
Dovunque  il  volto  gira,  o il  piè  converte. 
Presto  si  trova  a corteggiarlo  Aprile. 
Aranci  e cedri  e mirti  e gelsomini  ' 
Spirair  nobili  odori  e peregrini. 

Qui  di  nobii  pavnn  superba  imago 
Il  crespo  bosso  in  ampio  testo  ordiva , 
Cile  nel  giro  del  lembo  ajtero  e vago 
Urdin  di  Dori  invece  d’occhi  apriva. 
Quivi  il  Icntisco  di  terribii  drago 
L’ effigie  ritraea  vivace  e viva , 

E l’aura  sibilando  Intorno  ai  mirto 
Formava  il  fischio,  c gl’  infondea  lospirto. 


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103 


L’ADONE. 


(V>U  Fedra  ramou  Intesta  ad  arte, 
Capace  tazza  al  naturai  fingea , 

Dove  II  llcor  delle  rugiade  sparte 
L'ITicio  ancer  di  nettare  Tacea. 

C.on  Terdi  vele  altrove,  e verdi  sarte 
Fabbricava  il  (imon  nave,  o galea, 

Su  la  cui  poppa  I vaghi  aogei  cantanti 
L’ esercizio  adempian  de’  naviganti. 

La  Gioia  Meta  e hi  Delizia  ricca , 

L' accarezza  colei , costei  l’ accoglie. 

La  Diligenza  i fior  dal  prato  spicca , 

L’ Industria  1 più  leggiadri  In  grembo  to- 
E la  Fragranza  i seinplici  lambicca,  [glie; 
E la  Soavità  sparge  le  foglie-, 

L’Idolatria  tien  l’incensiero  in  mano. 

La  Superbia  n'esala  un  fumo  vano. 

La  Morbidezza  langidda  e lasciva , 
l a Politezza  delicata  e monda , 

La  Nobiltà,  che  d'ogni  lezzo  è schiva, 

I a Vanita,  che  d'ogni  odore  abbonda. 

La  Gentilezza  aflabilc  e festiva, 

La  Venustà  piacevole  c gioconda, 

E con  r Ambizioii  gonfia  di  vento 
n I.usso  molie-c  li  barbaro  Ornamento. 

Venner  questi  fantasmi,  ed  a man  piene 
Sid  bel  viso  d’ Adon  spruzzando  stille 
Di  odorifere  linfe,  entro  le  vene 
Gl'infaser  sottilissime  faville. 

Poi  con  tenaci  c tenere  catene, 

Glie  ordite  avean  di  mille  fiori  c mille , 
Trasser  legati  il  giovane  c la  Div  a 
Là  dote  all'Ozio  i n grem  bo  Amor  dormiva. 

0 fosse  degli  odor  l’alta  dolcezza. 

La  quale  U trasse  a quel  beato  loco, 
Oppur  clic  vinto  alfin  dalla  stanchezza 
Schermo  cercasse  dall’estivo  foco. 

Quivi  colui,  che  l’universo  sprezza, 

E dell’ altrui  languir  si  prende  gioco. 

Con  un  fastel  di  fior  sotto  la  fronte , 

ErasI  addormentato  a pie  d’un  fonte. 

La  pesante  faretra  c l’arco  grave 
Sosticn  un  mirto,  e ne  fa  scherzo  al  vento. 
L’all  non  movt^à,  cliè  fcrmé  Fave 
I n sonno  dolce , a lusingarlo  intento. 

Ma  il  sonno  liete  c il  vcntlcel  soave 
Fan  con  moto  talor  lascivo  c lento 
Vaneggiar,  tremolar,  qual  onda  In  fiume. 
Le  bionde  cliiomc  c le  purpuree  piume. 


Quando  la  madre  il  cattivcl  ritrova, 
Cheal  tonno  I lumi  iDCliina  ei  vanni  piega. 
Tosto  pian  pian  pria  che  si  svegli  omova. 
Per  r ali  il  prende , e con  la  benda  il  lega. 
.\mor  ti  desta , e di  campar  fa  prova, 

E si  scusa  e lusinga  e piange  e prega. 
Non  l’ ascolta  Ciprigna , e sebben  scherza. 
Simulando  rigor,  stringe  la  sferza. 

Tu  piagni,  gli  dicea , tu  crudo  e rio 
Clic  di  lagrime  sol  ti  pasci  e godi? 

Eppuc dianzi  dormivi,  eppur, cred’ iA, 
Sognavi  ancor  donnondo  insidie  e frodi. 
Tu  che  turbi  i riposi  al  dormir  mio, 

E m’inganni  e schernisci  In  tanti  modi. 
Tu  che  il  sonno  Interrompi  al  mesti  amanti. 
Dormivi  forse  al  mormorar  dei  piantìt  ' 

Cosi  dice , e il  minaccia , e da'  bdl  rat 
Folgora  di  dispetto  un  lampo  vivo. 

Ma  il  suo  vezzoso  Adon , che  non  sa  mai 
Il  bel  volto  veder  se  non  giulivo. 

Corre  a placarla  : Eh  serenate  ornai 
Quel  sembiante , le  dice , irato  e schivo. 
Vorrò  veder  se  ad  impetrar  son  buono 
Dal  vostro  sdegno  II  suo  perdono  in  dono. 

Come  veduto  fi  pasto  in  un  momento 
Mordace  can , la  rabbia  acquetar  suole , 
0 come  innanzi  al  più  sereno  vento 
Si  dilegnanje  nubL,  e riede  il  Sole; 

C.OS1  dell’Ira  Ogni  furore  ha  spento 
Venere  alle  dolcissime  parole. 

Piace,  risponde,  a me,  poiché  a te  piace. 
Per  maggior  guerra  mia,  dargli  la  pace. 

Arbitro  è II  senno  tuo  del  mio  consif^o , 
Quanto  puoi  nell’  amor,  puoi  nello  sdegno. 
E che  curar  degg’  io  di  cieco  figlioi 
Tu  sei  11  mio  caro  e prezioso  pegno. 

Po  rta  Amor  l’arco  in  nian , tu  nel  bel  ciglio  ; 
Tende  Amore  il  lacciuol,  tu  se’  il  ritegno  ; 
Amore  lia  il  foco , e tu  dai  l’ esca  ; Amore 
Mi  uscì  del  seno , e tu  mi  stai  nel  «me. 

Ma  sappi,  anima  mia,  che  qnale  il  vedi. 
Quei  ebe  or  ti  fa  pietà,  povero  infante. 
Volge  il  mondo  sossovra,  e sotto  i piedi 
Ha  con  tutti  I Celesti  II  gran  Tonante. 

Dcn  te  ne  accorgerai , se  tu  gii  credi , 

Ma  non  gli  creda  alcuno  accorto  amante. 
Srellerato,  fcllon , furia,  non  Dio, 

Si  partorito  mai  non  l’avess’io. 


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104  MARINO. 


È cieco  si,  non  perchè  gii  gli  strali 
Se  ferir  vuol,  non  veggìa  ove  rivolga, 
Gilè  ascoso  il  cor  nel  petto  dei  mortali 
Trovar  ben  sa , senza  che  il  vel  si  sciolga. 
Cieco  el  s'inOnge  sol  negli  altrui  mali , 
Nègli  calche  altri  pianga,  o che  si  dolga, 
E cieco  è sol , però  che  accieca  altrui 
Per  dar  la  morte  a chi  si  Oda  in  lui. 

Fiero  accidente  e rapido  volere. 

Desio  che  inchina  a partorir  nel  bello; 
Scende  al  cor  per  la  vista,  e vuol  godere; 
Cerca  il  diletto,  e sol  si  acqueta  in  quello. 
Ma  poiché  lusingato  ha  col  piacere , 

Ai  più  Odi  e devoti  è più  rubello. 

Gli  altri  alTetli  dell’  alma  appena  entrato 
Scaccia,  esi  usurpa  quel  che  non  gli  è dato. 

Sotto  la  sua  vittoriosa  insegna 
Piangon  mille  alme  aOlitte  i propri  torti. 
Mansueto  e feroce,  ama  c disdegna. 
Prega  e comanda,  or  pene,  or  dì  conforti. 
Leggi  rompe,  armi  vince,  c mentre  regna, 
Piega  I saggi  egualmente  e sforza  i forti. 
Risse  e paci  compone , ordisce  Inganni , 
Sa  far  lieti  i dolori,  utili  I dami!. 

Tenero  come  ortica , e come  cera 
È duro,  umil  fanciullo  e fler  gigante. 

Il  disprezzo  lo  placa,  e la  preghiera 
Più  terribile  il  reqde,  e più  arrogante. 
Qual  Proteo  ha  qualità  varia  e leggiera,. 
In  tante  forme  si  trasforma,  e tante. 

Ha  I’  entrata  nei  cor  pronta  e spedila. 
Faticosa  e difficile  I'  uscita. 

Ha  faci  e reti  e lacci  ed  arco  e dardi. 
Quanto  ha  tutto  è veleno,  c tutto  è foco. 
Mostra  viso  benigno  c dolci  sguardi , 

Or  salta , or  vola,  e non  ha  slabii  loco. 
Forma  falsi  sospir,  detti  bugiardi , 
Spesso  si  adira,  e volge  in  pianto  il  gioco. 
Quel  che  giova  non  cura,o  quel  che  lice. 
Nè  teme  genitor,  nè  genitrice. 

La  spada  a Marte , e la  saetta  a Giove 
Toglie  di  mano,  e si  l' avventa  e vibra. 
Repentino  c furtivo  assalti  move , 

Nè  con  scarse  misure  i colpi  libra. 

Fa  piaghe  inevitabili , c laddove 
Passa , attosca  gli  spirti  hi  ogni  fibra. 

Va perlutto,eper  tutto  or cala,or poggia. 
Ma  sol  nei  cori,  e non  altrove  alleggia. 


Ciò  che  del  meutitor  I’  arte  richiede. 
Ciò  che  ai  furti  dell’  alme  oprar  bisogna. 
Dallo  Dio  delle  astuzie  e delle  prede 
Nello  studio  imparò  della  menzogna. 

Non  conoscer  giustizia  e romper  fede. 
Schernir  pleiade  e non  stimar  vergogna. 
Tutto  apprese  da  lui;  nè  scaltro  e destro 
Il  discepol  fu  poi  men  del  maestro. 

Conslglier  disleal,  guida  fallace. 
Chiunque  il  segue  di  tradir  si  vanta. 
Astuto  uccellalor,  mago  sagace, 

I sensi  alletta,  e gl’  intelletti  incahta. 
Indiscreto  furor,  tarlo  mordace, 

Rode  la  mente,  e la  ragion  ne  schianta. 
Passion  violenta,  impeto  cicco. 

Tosto  si  sazia,  e il  pentimento  ha  seco. 

Ceda  del  marTirren  la  fera  infida, 

E del  fiume  d’  Egitto  il  perfido  angue. 
Che  forma  ai  danni  altrui  canto  omicida, 
E piagnei’  unm,  poiché  gli  ha  tratto  il  san- 
Questi  toglie  la  vita,  e par  che  rida,  [gite. 
Ferisce  a morte,  e per  pietà  ne  languc. 
In  gioconda  prlgion , di  vita  incerto 
Tiene  altrui  preso,  e mostra  l’uscio  aperto. 

Nonebbcllsecol  mai  modemo,oprisco 
Mostro  di  lui  più  sozzo,opiùdiflbmie.[co. 
Ma  perchèaltri  non  fugga  il  laccio  e il  v Is- 
Non  si  mostra  giammai  nelle  sue  forme. 
Medusa  all’  occhio,  al  guardo  è basilisco. 
Nel  morso  alla  tarantola  è conforme. 

Ha  rostro  d’  avvoltoio  orrido  e schifo. 
Man  di  nibbio,  utighia  d'orso  c piè  di  grifo. 

Non  giova  a fargli  schcrmoarte  oconsiglio. 
Poiché  per  vie  non  conosciute  oOende. 

Fere , ma  non  fa  piaga  il  crudo  artiglio, 
0 se  pur  piaga  fa,  sangue  non  rende. 

Se  rende  sangue  pur  non  è vermiglio. 

Ma  stillato  per  gli  occhi  in  pianto  scende  ; 
E cosi  lascia  in  disusata  guisa 
Senza  il  corpo  toccar  I’  anima  uccisa. 

Chi  non  vide  giammai  serpe  tra  rose. 
Mele  tra  spine,  o sotto  mel  veleno; 

Chi  vuol  vedere  il  ciel  di  nebbie  ombrose 
Cinto,  quando  è più  chiaro  c più  sereno  ; 
Venga  a mirar  costui,  clic  tiene  aKOsc 
Le  grazie  in  bocca  c porla  il  ferro  in  seno. 
Lupo  vorace  in  abito  d'  agnello. 

Fera  volante  e corridore  augello. 


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- L’ADONE. 


I0& 


Lince  priro  di  iume,  Argo  bendato, 
Vecchio  iaUanle  e pargoictto  antico, 
ignorante  erudito,  ignudo  armato, 
Mutoiò  pariator,  ricco  mendico. 
Diiettevole  error,  doior  bramato. 

Ferita  cruda  di  pietoso  amico. 

Pace  guerriera  e tempestosa  caima; 

La  sente  ii  cor,  e non  i’  intende  i’  alma. 

Volontaria  rollia,  piacerol  male. 
Stanco  riposo,  utiliU  nocente, 

Disperato  sperar,  morir  vitate. 
Temerario  timor,  riso  dolente  ; 

Un  vetro  duro,  un  adamante  frale. 

Un'  arsura  gelata,  un  gelo  ardente. 

Di  discordie  concordi  abisso  eterno. 
Paradiso  infemal,  celeste  inferno. 

Era  a gran  pena  dal  mio  ventre  al  Soie 
Questo  seme  di  vizi  uscito  fora. 

Nè  il  fiabeo  a sostener  la  grave  mole 
Della  faretra  avea  ben  fermo  ancora. 
Quando  del  fiero  ingegno,  acerba  prole. 
Maturò  le  perfidie  innanzi  1'  ora; 

E sebben  1'  ali  ancor  non  gli  eran  nate. 
Con  la  malizia  avvantaggiò.  1'  eute. 

Iva  alla  scola,  a quella  scoia,  in  cui  > 
Virtù  s*  impara,  ed  onesti  s' insegna  ; 

E piangea  nell'  andar,  come  colui. 

Che  ti  fatte  dottrine  abborre  e sdegna. 

E come  è stil  de’  coetanei  sui , 

Perché  it  digiuno  a ristorar  si  vegna, 
Pien  di  poma  portava  un  picciol  cesto. 
Che  di  fronde  di  palma  era  contesto. 


Or  dove  altri  donzelli  in  varie  guise 
De’  primieri  elementi  apprendean  l’arte. 
Il  malvagio  scoiar  giunto  s’ assise 
Nella  più  degna  ed  onorata  parte. 

Quindi  poi  sorto,  a recitar  si  mise 
La  lezion  sulle  vergate  carte, 

E quasi  pur  con  indice,  o puntale. 

La  tabella  scorrca  con  I'  aureo  strale. 

Ma  però  che  non  ben  del  suo  dettato 
Seppe  le  note  espor,  con  scorni  ed  onte 
Ne  fu  battuto,  ond’  ei  con  I’  arco  aurato 
Al  Senno  preccttor  ruppe  la  fronte. 

Cosi  fuggissi,  ed  all’albergo  usato 
Non  osando  tornar,  calò  dal  monte , 

E con  la  turi»  insana  e fanciullesca 
Venne  in  desio  di  esercitar  la  pesca. 

E mancandogli  corda,  agli  aurei  crini 
Svelle  una  ciocca,  c lungo  III  ne  stende, 

E questo  immerso  entro  I zalTir  marini 
In  vece  d’  asta,  ad  una  freccia  appende. 
Gittan  lo  stame  ancor  gli  altri  Amorini, 
Perde  II  tempo  ciascuno,  c nulla  prende  ; 
Solo  il  mio  figlio  a strana  p/eda  inteso 
Traggo  carco  il  lacciuol  di  ricco  peso. 

. Guizzava  appunto  in  quella  istessa  riva. 
Dove  i dolci  de’  cor  tiranni  e ladri 
Intendcano  a pescar.  Ninfa  lasciva. 

Cui  pari  altra  non  ebbe  occhi  leggiadri. 
Mentre  perle  costei  cogliendo  giva 
Dal  cavo  scn  delle  cerulee  madri, 

Vide  folgoreggiar  per  entro  1'  onda 
Del  pargoictto  Dio  la  treccia  blonda. 


Perchè  nonsi  smarrisse, o smat-rit’  anco 
Fusse  ai  tetti  materni  almen  ridotto. 
Sospeso  gli  avev’  io  sul  tergo  manco 
Di  breve  in  forma  un  titolo  costrutto. 
Eravi  affisso  un  perganieno  bianco. 

Di  minio  e d’  or  delineato  tutto, 

E scritto  vi  era  di  mia  propria  mano  : 
Questi  è di  Vener  figlio  e di  Vulcano. 


Alla  luce  dell’ or  che  alletta  c inganna, 
SI  accosta  incauta,  e vi  s’ involge  c gira. 
Tosto  che  sente  Amor  tremar  la  canna, 
<'«n  l' aita  degli  altri  a sè  la  tira. 

Presa  è la  Ninfa,  e di  dolor  si  alTanna, 
Giunge  all'  arena,  e si  dil>atte  e spira. 
Appena  all’  aura  è fuor  dell'  acque  uscita. 
Clic  in  acquistando  il  Sol,  perde  la  vita. 


Poco  tardò,  che  di  trovar  gli  avvenne 
La  Vigilanza,  che  attendea  tra  via. 

Con  l’ Importunith  l’ Audacia  venne, 

Poi  la  Consuetudine  seguia. 

Costoro  in  guisa  tal,  eh’  ebbro  divenne, 
L’  abbeverar  dei  vlnvlella  Follia. 

Ebbro  II  tennero  a bada,  in  sin  che  tutti 
Del  suo  panler  si  divoraro  i frutti. 


Tra  questi  Indugi  ecco  la  notte  oscura. 
Che  imbruna  il  cielo  e discolora  il  giorno. 
Allor  ramingo,  e pien  d’ alta  paura 
Vassl  lagnando,  e non  sa  far  ritorno. 

Ma  pur  riconosciuto  alla  scrittura, 

E ricondotto  al  mio  divin  soggiorno. 

Io  per  punirlo  allor  la  verga  prendo. 

Ed  ei  si  scusa,  c supplica  piangendo. 


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106  MARINO. 


Pieti,  dicrainl,  atTrrna  Pira  alquanto, 
Pieli.madro,  mercò,  perdono,  aiuto,  [lo, 
Chi  anco  staman , non  sema  alTannoe  pian- 
Dal  severo  maestro  lo  fui  battuto. 

1-^  fors’  egli  miracolo  cotanto, 

('.Ite  sla  per  poco  un  ranclullin  perduto  1 
Anco  in  più  ferma  età,  ni  meraviglia. 
Perdi  per  sempre  Cerere  la  flglia. 

Se  questa  volta  il  rio  flagel  deponi, 

Vo’  che  novo  da  me  secreto  Impari. 
Insegnerolti,  pur  che  mi  perdoni, 

A |)cscar  cori,  i quai  ti  son  si  cari. 

.Sappi  che  non  si  fan  tal  pescagioni 
Senza  I’  esca  dell’  or  nei  nostri  mari. 

Pon  I’  oro  hi  cima  pur  degli  ami  tuoi, 

K se  ne  scampa  alcun,  battimi  poi. 

Nel  mar  d’  Amor  ciascun  amante  pesca 
Per  trarre  un  cor  fugace  al  suo  desio. 

Ma  però  che  do’  cori  i cibo  cd  esca 
L’ or,  che  del  volgo  già  si  è fatto  Dio, 
Citi  vuol,  die  il  suo  lavor  ben  gli  riesca. 
Usi  quest’  arte,  che  ti  scopro  or  lo. 
Uualor  uom  eh’  ama,  a lidia  preda  intende. 
Se  r esca  non  b d’ or,  l’ amo  non  prende. 

Con  queste  dance,  del  suo  fallo  stolto 
Campò  la  pena  il  liisinghier  crudele. 

Ma  per  altra  follia  non  andò  molto. 

Chea  me  tornò  con  gemili  c querele. 
Vassenc  in  un  (juerceto  ombroso  e folto 
Nei  giardini  dì  Guido  a coglier  mele, 

£)  seco  a depredar  gli  aurei  fialoni 
Vali  gli  alali  fragili  in  più  squadroni, 

E perche  il  dolce  dei  licor  soavi 
Orso,  0 mosca  non  b,  che  cotanto  ami. 
Cerca  del  faggi  opachi  i tronchi  cavi. 
Spia  dei  frassini  annosi  i verdi  rami. 

E nd  pcdal  di  un’  dee  ecco  due  favi 
Vede  coperti  di  pungenti  essami. 

Vulgo  d’ api  ingegnere  accolto  In  quella 
Sta  susurrando  a fabbricar  la  cella. 

Chiama  I compagni,  clor  la  cova  addita. 
Che  la  ruvida  scorza  in  sò  ricetta. 

Corre  dentro  a Hccar  la  destra  ardita. 

Ma  la  ritira  poi  con  maggior  fretta. 

Folle  chi  cani  attizza,  o vespe  irrita. 

Che  non  si  sdegnai)  mai  senza  vendetta. 
Pecchia  di  acuta  spina  armata  il  morse, 
Onde  ei  forte  gridando  a me  ricorse. 


E della  guancia  impallidito  I’  ostro. 

Di  timor,  di  dolor  palpila  e langue. 

Madre,  madre,  mi  dice,  nn  piccol  mostro, 
(E  mi  scopre  la  man  tinta  di  sangue) 

L'n,  che  quasi  non  ha  dente,  nè  rostro, 
sembra  d’oro,  e punge  a guisa d’ angue. 
Minuto  animalelto,  alata  serpe 
Ilaniini  il  dito  tradito  In  quella  sterpe. 

Io,  che  il  conosco,  c so  di  che  deraghi 
SI  armi  sov  ente,  ancorché  vada  Ignudo, 
Mentre  che  I lumi  rugiadosi  e vaghi 
Gii  asciugo,  e la  ferita  aspra  gli  chiudo. 
Che  di  animai  si  piccolo  t*  impiaghi. 
Rispondo,  il  pimgiglion  rigido  e crudo. 
Da  pianger,  dgiio,  o da  stupir  non  hai. 

E tu  fanciullo  ancor,  che  piaghe  fai? 

U’  Occasion,  che  è nel  fuggir  si  presta. 
Vide  un  giorno  per  1’  aria  ir  frettolosa. 
.Suora  hilnor  della  F'ortuna  b questa, 

F'  tien  le  chiavi  d’  ogni  ricca  cosa. 

L’  ali  ha  sul  tergo,  e di  vagar  non  resta 
Sempreandando  e tornando  e mainonpo- 
Lungo, diffuso  e folto  ilcrlne  ha,  salvo  [sa. 
Verso  la  coppa  ove  è schiomalo  e calvow 

Per  poterla  fermar  l’occhio  e il  penderò 
Molto  attento  ed  accorto  aver  conviene, 
Gilè  animai  non  fu  inai  tanto  leggiero, 

E vuol  gran  senno  a custodirla  bene, 
F'rutto  di  suo  sudor  non  gode  intera 
Chi  la  prende  talor,  nè  la  ritiene. 

Egli  appostoila,  e tante  insidie  tese. 

Che  mentre  ella  èolava,  aldn  la  prese. 

Mapolchèallacciosuo  lagiunse  e colse, 
E la  chioma  fugace  ebbe  distretta. 

Di  Icntisco  una  gabbia  intesser  volse 
Per  lencrvela  poi  cliinsa  e soggetta. 

0 poco  cauto,  intanto  ella  si  sciolse  t 
Cosi  perde  piacer  chi  tempo  aspetta. 
Mentre  era  intentoa  quei  pensieri  sciocchi, 
GII  usci  di  mano,  e gli  svanì  dagli  occhi. 

Quante  da  indi  in  poi  colpe  diverse 
Da  lui  commesse  io  qui  trapasso  e celo. 
Taccio  quando  di  neve  il  sen  s’  asperse, 
E si  stracciò  di  sulla  fronte  il  velo. 

Lassa,  allor  per  mio  mal  le  luci  aperse, 
Allor  fu  r ardorsuo  misto  di  gelo. 

I.'  iniqua  Gelosia,  che  il  tolse  In  braccio. 
Gli  sbendò  gli  occhi,e  l'attulTò  nel  ghiaccio. 


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L'ADONE.  I«T 


Fuggi  tremando  assiderato  e molle. 
Tutto  stillante  il  sen  pruine  c brume, 
Al  cieco  albergo,  ove  lo  sdegno  folle 
Tien  di  torbida  fiamma  acceso  lume. 

E [lerocchè  appressar  troppo  sì  volle, 
Biscaldando  le  membra,  arse  le  piume, 
Uiiindl  tacito  e mesto  a casa  venne 
Con  la  fascia  squarciata,  e scusa  penne. 


Ma  di  nov’arco  e di  quadrclla  nove 
Polcbi  arciera  beiti  i'cbbc  fornito, 

.Sen  gio  ventura  a ricercare  altrove 
lusoppurtabilmcntc  insuperbito. 

E mentre  inteso  a far  l' usate  prove 
Scorrea  l'oudae  l'arena,  ilmontee  illito 
Tra  i sepolcri  di  Menfi  infausta  sorte 
Guidolio  a caso  ad  incontrar  la  Morte. 


L’insoicnxa  e l’ ardir  contar  non  voglio, 
Quando.aotta  le  piante  onor  si  pose  . 

Al  cui  saggio  ammonir  crebbe  in  orgoglio 
Con  ingiurie  villane  ed  oltraggiose. 

E percliè  la  Ragion,  die  in  alto  soglio 
Siede  regina  a giudicar  le  cose, 

Citollo  al  tribunal  del  suo  governo. 
Ricusando  ubbidir  la  prese  a sebemo. 

Anal  un  regno  per  si  solo  c diviso 
A dispetto  fondò  della  Ragione, 

Volse  aneli’ egli  il  suo  inferno  c il  paradiso 
hi  disprezzo  dì  Giove  c di  Plutone. 

Nell’  un  pose  diletto  e gioia  e riso. 

Ma  beate  suol  far  iwclic  persone. 

L'altro  tutto  coluió  di  fiamme  ardenti. 
Dove  i dannati  suoi  stanno  in  turnientL 

Delle  più  ciliare  e più  famose  lodi 
Del  mio  folletto  liai  qiialclic  parte  intesa  ; 
Ma  del  gran  fascio  di  cotante  frodi  [sa. 
Sappi,  che  quei  eli’  io  narro,  il  nieu  nonpe- 
Di  sue  prodezze  intempestive  orodi 
Un'  altra  egregia  c segnalata  impresa. 

La  misera  Speranza  un  giorno  batte , 
Dalia  che  lo  nutrì  del  proprio  latte. 

Indi  da  me  scacciato,  e in  faccia  tinto 
Del  color  della  porjiora  e del  foco, 

E dalla  rabbia  e dal  furor  sospìnto,  [co. 
Che  l' accompagnai!  sempre  in  ciascun  lo- 
Prcse  a giocar  con  l’Interesse,  e vinto 
L’arco  perdette  c le  quadrclla  in  gioco. 
Costui , che  ogni  valor  spesso  gii  toglie , 
Viinelo  e trionfò  delle  sue  spoglie. 


Quel  teschio  scarno  e nudo  di  capelli. 
Quella  rete  di  coste  c di  giunture. 

Delle  concave  occhiaie  I voli  anelli , 

Del  naso  monco  le  caverne  oscure , 

Delle  fauci  sdentate  i duo  rastelli , 

Del  ventre  aperto  l’ orride  fessure , 

Del  socchi  stinchi  le  spolpate  fusa , 

•\mor  mirar  non  seppe  a bocca  ctaiun. 

é 

Non  sì  seppe  tener  che  non  ridesse 
Tolto  a schernirla.  Il  garrulctto  audace, 
Unde  pugna  crudcl  tra  lur  successe , 
Vibrando  ella  la  falce,  egli  la  face. 

Ma  si  frappose,  e quel  furor  ripresse 
Cainipoucndogli  insieme  amica  pace,  , 
E quella  notte  in  on  niedesmo  tetto 
Abitanti  concordi,  ebber  ricetto. 

Levati  la  dìman.  Tarmi  scambiando. 
L’ un  si  prese  dell’  altro  arro  c <|ugdrella. 
Onde  addivenne  poi  che  saettando 
Fero  elfetll  contrari  e questi  e quella. 
L’uno  uccìdendo,  c l’altra  iniianiorando 
Ancor  serban  quest’  uso  ed  egli  ed  elltb 
Morte  induce  ad  amar  Taliiic  canute. 
Amor  traggo  a morir  la  gioventute. 

Adon,  bella  mia  pena  e caro  affanno. 
Luce  degli  occhi  mici,  fiamma dd core. 
Guardati  pur  da  questo  rio  tiranno, 

Cliò  alfin  non  se  ne  trae  se  non  dolore. 
Cosi  parla  Ciprigna,  e intanto  vanno 
Fuor  del  lioschetto,  ove  trovaro  Amore. 
Amor  si  va  le  lagrime  tergendo , 

E con  occhio  volpin  ride  piangendo. 


Di.,  :.  G(  ■■ 


» 


108 


MARINO. 


CANTO  SETTIMO. 

LE  DELIZIE. 


ALLEGORIA. 

L’argento  della  terza  porta  jM  prOjMKlone  con  la  materia  dell’ orecchio , «iccome 
l’avorio  e il  rubino  della  quarai  ai  eoniranno  con  quella  della  bocca.  Le  due  donne, 
che  nel  senso  dell’ udito  ritrova  Adone , son  la  Poesia  c la  Musica.  I versi  epicurei  v 
cantati  dalla  Lusinga , alIndtliM  alle  dolci  persuasioni  di  queste  due  divine  facoltA , 
qualora  divenute  oscene  meretrici , incitano  altrui  alla  lascivia.  Le  Ninfe,  che  nel 
senso  del  gusto  dal  mezzo  In  glA  ritengono  forma  di  viti , ed  abbracciano,  e vezzeg- 
giano chi  loro  si  accosta,  son  figura  della  Ebbrietà,  la  quale  suol  essere  mollo  tra- 
bocchevole agl’  incentivi  della  libidine.  Il  nascimento  di  Venere  prodotta  dalle  spumo 
del  mare , vuol  dire,  che  la  materia  della  genitura  (come  dice  II  filosofo]  è spumosa, 
e l’umore  del  colio  è salso.  Il  natale  d’ Amore,  celebralo  con  festa  ed  applauso  da 
tutti  gli  animali , dà  a conoscere  la  forza  universale  di  questo  efficacissimo  aflclto, 
da  cui  riceve  alterazione  tutta  quanta  la  natura.  Pasquino  figlio  di  Momo  c della 
Satira , che  per  farsi  grato  a Venere , le  manda  a presentare  la  descrizione  del  suo 
adulterio,  dimostra  la  pessima  quaihà  degli  uomini  maledici , I quali  eziandio  quando 
vogliono  lodare,  non  sanno  se  non  dir  male.  Vulcano,  che  fabbrica  la  rete  artificiosa, 
è il  calor  naturale , che  ordisce  a Venere  ed  a Marte , cioè  al  desiderio  dell’  umano 
rongiungimcnio , un  intricato  ritegno  di  lascive  c disoneste  dilettazioni.  Sono  i 
loro  abbracciamenti  discoperti  dal  Sole,  simulacro  della  prudenza,  perciocché 
questa  virtù  col  suo  lume  dimostra  la  bruttura  di  quell’  atto  indegno , c la  fa  co- 
noscere e schernire  da  tutto  il  mondo. 


AaCOUESTO. 

Accenti  di  dolcissima  armonia 
Ascolta  AdoD  tra  suoni  e balli  e feste. 
Si  asside  a mensa  con  la  Dea  celeste, 
E le  lodi  d’Amor  canta  Talia. 


Mugica  c Poesia  son  due  sorelle 
Ristoratrici  delle  afililtc  genti. 

De’  rei  pensicr  le  torbido  procelle 
Con  liete  rime  a serenar  possenti. 

Non  ha  di  queste  il  mondo  arti  più  belle, 
0 più  salubri  all’  affannate  menti. 

Ni  cor  la  Scizia  ha  barbaro  cotanto , 

Se  non  è tigre,  a cui  non  piaccia  il  canto. 

Suol  talvolta  però  metro  lascivo 
L' alte  bellezze  lor  render  men  vaghe, 

£ r onesto  piacer  fassi  nocivo, 

E divengon  di  Dee,  tiranne  e maghe. 

Ni  fa  rapido  stral  passando  al  vivo 
Tinto  di  tosco,  si  profonde  piaghe , 
Conte  I morbidi  versi  entro  nei  petti 
Van  per  le  orecchie  a penetrar  gli  alfetii. 


Elle  ingombrando  il  cor  di  cure  Insane 
Col  dolce  vin  della  lussuria  molle. 

Quasi  del  padre  ebreo  figlie  profane, 

L’ infiainman  si , che  fervido  ne  bolle. 
Instigatc  da  lor  le  voglie  umane 
A libertà  licenziosa  e folle. 

Dietro  ai  vani  appetiti  oltre  il  prescritto 
Trascorron  poi  del  lecito  c del  dritto. 

Ma  se  alla  forza  magica  di  queste 
Incantatrici  c perfide  sirene 
Ad  aggiungere  ancor  per  terza  peste 
Il  calor  della  crapula  si  viene. 

Che  non  può  1 che  non  fa  ? quante  funeste 
Ulularo  per  lei  tragiche  scene  ? 

Toglie  di  seggio  la  Ragion  ben  spesso. 
L’anima  invola  al  cor,  l’uomo  a sé  stesso. 


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L’ADONE.  109 


Lupa  Torace,  Ingordo  mostro  infame, 
Lo  cui  cupo  dcsir  sempre  sfavilla , 

Che  sol  per  satollar  l'avlde  brame 
Brami  collo  di  gru,  ventre  di  scilla , 

Si  che  esca  ornai  bastante  a tanta  fame 
La  terra,  o l'acqua  non  produce,  o stilla, 
E della  gola  tua  divoratrice 
Appena  scampa  l’unica  lenice. 

Dolce  velen , che  d’umor  dolce  e puro 
Irrigando  il  palato  Inebbrii  l’alma. 

Dal  tuo  lieto  furor  non  fu  securò 
Chi  pria  ti  espresse  eoo  la  roua  palma. 
Del  tuo  sommo  poter,  fra  quanti  furo 
Oppressi  mal , di  cosi  grave  salma , 
Erode,  Baldassarre  ed  Oloferne 
Han  lasciate  tra  noi  memorie  eterne. 

Ma  viepiù  di  alcun  altro  Adone  è quello. 
Che  ne  fa  chiara  prova,  espressa  fede. 
Eccolo  li , che  verso  il  terzo  ostello 
Con  la  madre  di  Amor  rivolge  il  piede. 

E il  portinaio  ad  ospite  si  bello 
Aperto  il  passo,  e libero  concede; 

E per  via  angusta  e flessuosa  e torta 
U’  uno  in  altro  piacer  Tassi  sua  scorta. 

Stara  costui  con  pettine  sonoro 
Sollecitando  armonico  strumento. 

Un  cinghiale  in  disparte,  un  cervo,  un  toro 
Teneano  a quel  sonar  l’orecchio  intento. 
Ma  deposta  lajira  al  venir  loro 
Fe’  sul  cardin  crocar  l’ uscio  di  argento. 
Di  argento  è I’  uscio,e  certe  conche  ha  vote. 
Che  si  odon  tintinnar,  quando  si  scote. 

Della  bella  armonia  (di  Mirra  al  Aglio 
Disse  il  figlio  di  Maia)  è questi  il  duce; 
Anch’  ei  della  tua  Dea  servo  e famiglio 
Al  piacer  dell’  udire  altrui  conduce. 

Nè  fatto  è senza  provvido  consiglio, 

Cile  alberghi  con  amor  chi  amor  produce , 
Poiché  non  è degli  amorosi  meul 
Cosa  In  amor,  che  maggiorgrazia  Impetri. 

Chi  d’eburnea  tcstudinc  eloquente 
Batter  leggiadra  man  fila  minute , 
Sposando  al  dolce  suon  soavemente 
Musica  melodia  di  voci  argute. 

Sente  talor,  nè  penetrar  si  sente 
DI  ^ei  numeri  al  cor  l’ alta  virtute , 
Spirto  ha  ben  dissonante,  anima  sorda. 
Ole  dal  concento  univetsal  discorda. 


Fe’  quel  senso  Natura,  acclA  che  sia 
Di  tal  dolcezza  al  ministerio  presto; 

E benché  entrar,  per  la  medesma  via 
Soglia  ciascun  nell’  uomo  abito  onesto, 
Posclachè  ogni  arte  e disciplina  niia 
Non  ha  varco  nell’  alma  altro  che  questo. 
Una  è sol  la  cagiun , vario  l’effetto, 

L’ uno  ha  riguardo  al  prò,  l 'altro  al  diletto. 

Percliè  sempre  la  voce  in  alto  monta. 
Però  l’orecchia  in  .dio  anco  fa  messa, 

E d’ ambo  1 lati , emula  quasi , affronta 
Degli  occhi  Usilo  in  una  linea  istessa.  [ta, 
Nènicnccrtoètiell’orcliio  accortaepron* 
N ò minor  che  nell’  occhio  ha  studio  in  essa. 
In  cui  tanti  son  posti  e ben  distinti 
Aquedotti , recessi  e laberintl. 

Plcciole  tà , se  pareggiarsi  a quello 
Denno  d’ altro  animai  vile  e volgare , 

Ma  più  formarsi  ed  eccellenti  e belle 
Già  non  potean,  nè  più  perfette  e rare. 
Sempre  aperta  han  r entrata,  cson  gemei* 
Per  la  necessità  del  loro  affare.  [ le. 
Proprio  moto  non  hanno , c fatte  sono 
Di  un’  asciutta  sostanza  acconcia  al  suono. 

Il  suono  oggetto  è dell’  udito,  e mosso 
Per  lo  mezzo  dell’  aere  al  senso  viene. 
Dall’  esterno  fragor  rotto  c percosso 
L’aere  del  suon  la  qualità  ritiene; 

Da  cui  r aere  vicin  spinto  e commosso , 
Come  in  acqua  talor  mobile  avviene , 
Porta  ondeggiando  di  una  in  altra  sfera 
All’  uscio  interior  l’aura  leggiera, 

Scorre  là  dove  è poi  tesa  a quest'  uso 
Di  sonora  membrana  arida  tela  ; 

Quivi  si  frange  c purga,  e quivi  chiuso 
Agitando  sé  stesso,  entro  si  cela, 

E tra  quelle  torture  erra  confuso 
Finché  al  senso  coroun  quindi  trapela , 
Della  cui  region  passando  al  centro. 

Il  carattcr  del  suon  vi  stampa  dentro. 

Concorrono  a ciò  far  d’osso  minuto 
Ed  incude  è triangolo  e martello, 

E tutti  son  nel  timpano  battuto 
Articolati , ed  implicati  a quello  ; * 

Ed  a questa  opra  lor  serve  di  aiuto 
Non  so  s’io  deggia  dir  corda,  o capello ,. 
Sottil  cosi , che  si  distingue  appena 
Se  sia  filo,  o sia  nerao,  arteria,  9 veqa. 


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MARINO. 


no 

Vedi  quanto  impiegò  l’ainor  nipenio 
In  un  fragil  composto  incedilo  ed  arte 
Soi  per  poter  del  suo  diletto  eterno 
Almen  quaKKiii  comunicargli  parte. 

Ha  sotto  umane  forme  alma  d' inferno  [te. 
Chi  sprezza  ingratoilben  ch'eigiìcompar- 
E qui  fine  al  suo  dir  facondo  c saggio 
Pose  degli  alti  Numi  il  gran  messaggio. 

Aprir  sentissi  Adone  il  cor  nel  petto, 

C gii  sfiirli  brillar  d’alta  allegria, 
Quando  di  tanti  auge! , che  avean  ricetto 
In  queii’  albergo,  lidi  la  sinfonia. 

Qual  sagabondo  e libero,  a diletto 
Per  le  siepi  e sugli  arlwri  salia. 

Qual , perchè  troppo  alzar  non  si  potea. 
Intorno  all'  ac(|ue  e sovra  i fior  pascea. 

Uopo  non  ha,  che  industre  man  qui  tessa 
Di  lien  filato  acclar  gabbia,  o voliera. 
Acciocché  degli  auge!  la  turba  in  essa 
Senza  poter  fuggir  stia  prigioniera 
Spaziosa  uccelliera  è l'aria  istessa. 

Che  fa  lor  sempre  autunno  e prhnaTcra, 
F^d  alla  lllienà  d'ogni  augdlino 
Carcere  volontario  è il  bel  giardino. 

Nè  rete,  nè  cancel  rinchiode  o serba 
Il  pomposo  fagian , l' iimil  pernice , 

Il  verde  parlator  scioglie  per  l'erba 
Lingua  del  sermon  nostro  imitatrice. 

VI  ha  di  zalBrl  c porpore  superba 
La  sempiterna  e singoiar  fenice. 

Vi  ha  quel  che  in  sè  sospeso,  eccelse  strade 
Tenta,  e d'aure  si  nutre,  e di  rugiade. 


E le  sowlen  mentre  dispiega  l'ale 
Della  leggiadra  sua  prima  sembianza; 

F:  tra  quei  fior,  da  cui  nacqucllsiiomale, 
Ancor  di  diportarsi  ha  per  usanza. 

Ed  or  di  chi  canglolla  in  forma  tale 
Rinnova  piò  la  misera  membranza , 
Veggendo  in  compagnia  del  caro  Adone 
La  bella  Dea  del  suo  dolor  cagione. 

La  qual  rivolta  allora  agli  arboseelH, 
Odi,  gii  dice,  odi  con  quanti  e quali 
Motti  amorosi , o fior  di  tutti  I belli , 
Spiegano  i più  sublimi  il  canto  e l’ali. 
Amor  che  alato  è pur  come  gli  augelli , 
Facile  senta  ogniaugel  gli  aurati  straH. 

Il  tutto  vince  alfin  questo  tiranno. 

E qui  tacendo,  ad  ascoltar  si  stannov 

Per  far  distinto  al  vago  sluol  che  vola , 
Con  lingua  umana  articolar  sermone , 
Maestro  qui  non  .si  richiede,  o scola. 
Qual  trovò  poi  la  vaniti  d' Annone. 

Ogni  semplice  accento  era  parola , 

Glie  parlando  di  Venere  e di  Adone, 

In  spediu  favella  allo  dicea, 

F^cco  con  r hlol  suo  la  nostra  Dea. 

Chiusa  tra  i rami  di  uda  quercia  antica. 
Di  sua  verde  magion  solinga  cella , 

La  monichetta  dei  pastori  amica 
Seco  bjvita  a cantar  la  rondinella. 

Orfano  tronco  in  secca  piaggia  aprica 
I Di  olmo  tocco  dal  elei  la  torlorclla 
I Non  cerca  no,  ma  sopra  verde  pianta 
I Solitaria  non  sola , e vive  e canta. 


L’aquila  imperiale  il  Sol  vagheggia, 
Cg)l  rostro  il  petto  il  pellican  si  fere,  [già. 
Va  II  picchio  a scosse,  c Taghiron  voiteg- 
La  gru  lesue  falangi  ordina  in  schiere. 

Lo  smeriglio  e il  terzuol  seguon  l'acceg* 
L’ oclie  in  fila  di  sè  fanno  bandiere,  [ già, 
E la  gazza  tra  lor  menando  festa 
Erge  la  coua , e l' upupa  la  cresta. 


Saltellando  garrisce , e poi  si  asconde 
Il  calderugio  infra  i piò  densi  rami. 

Seco  alterna  il  canario,  e gli  risponde 
Quasi  di  amor  lodando  i lacci  e gli  ami. 
Recita  Versi  il  solitario  altronde, 

E par  che  il  cacciator  perfido  chiami. 
Fan  la  calandra  e il  verzelin  tra  loro, 

E H capinera  e il  peairosso  un  coro. 


La  colomba  or  nel  nido  a covo  geme , 
Or  bacia  il  caro  maschio,  or  tutta  sola 
Rade  l'aria  con  l’ali,  or  per  l’estrenw 
Cime  di  un  arboscei  vola  e rivola  ; 

Or  col  pavone  innamorato  insieme 
Ingemma  al  Sole  la  variabil  gola , 

Del  cui  ricco  monil  l’ iri  fiorila 
La  corona  del  vago  io  parte  imUa. 


La  merla  nera  e ilcalenzuol  dwato 
Odonsi  altrove  Insingar  l’ udito. 

La  pispola  il  rigogolo  ha  sfidato, 
fion  l’ortolan  si  è il  beccafico  unito. 
Gqnlrappomrggian  poi  dall’  altro  lato 
Lo  strillo  e il  raperin  che  sale  ai  dito. 
Con  questi  la  spernuzzola  e il  frosone, 
E lo  scricciolo  ancor  vi  si  fratine. 


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Ili 


L'ADONE. 


Con  l'assiolo  il  luclieriii  si  lafpta. 

Col  sagace  fringuel  lo  storno  ingordo. 
L'allodelU  la  passera  accompagna, 
li  fanello  fugace.  Il  pigro  tordo. 
Straniero  augel  di  selra , o di  montagna, 
Non  si  Introduce  in  si  felice  accordo , 

Se  (giudice  la  Dea)  non  porta  in  prima 
Di  mille  Tinti  auge!  la  spoglia  opima. 

Canta  tra  questi  il  musico  pennuto , 

L’ augel, die  piuma  Inargentata  veste. 
Quel  che  con  canto  mortalmente  arguto. 
Suol  celebrai-  l'esseqnle  sue  funeste: 
Quel  che  con  manto  candido  c canuto , 
Nascose  già  l'adultero  celeste. 

Quando  da  bella  donna  e semplicetta 
Fu  la  damma  di  Troia  in  sen  concetta. 

Del  bianco  collo  II  lungo  tratto  stende , 
Apre  il  rostro  canoro,  e quindi  tira 
Fiato , che  mentre  im  er  le  fauci  ascende , 
Per  obliquo  canal  passa , e si  aggira. 
Serpe  la  voce  tremolante,  c rende 
Moirnorio  che  languisce  e che  sospira  ; 

E i gemili  e I sosplr  profondi  e gravi , 
Son  ricercale  debili  e soavi. 

Ha  sovra  ogni  augellin  vagò  e gentile. 
Che  più  spieglii  leggiadro  ilcanto  e il  volo. 
Versa  il  suo  spirto  tremulo  e sottile 
La  sirena  dei  boschi , il  rosignnolo  ; 

E tempra  in  guisa  il  peregrino  stile , 

Che  par  maestro  deli'  alato  stuolo. 

In  mille  fogge  il  suo  cantar  distingue, 

E'  trasforma  una  lingua  in  mille  lìngue. 

Udir  musico  mostro  (oh  meraviglia) 
Che  si  ode  si,  ma  si  disccrue  appena. 
Come  or  tronca  la  voce , or  la  ripiglia , 
Orlaferma.orla  torce,  or  scema,  or  piena. 
Or  là  mormora  grave , or  l'muottlglia. 
Or  fa  di  dólci  groppi  ampia  catena, 

E sempre,  o se  la  sparge,  o se  l' accoglie. 
Con  egual  melodia  la  lega,  e scioglie. 

Oh  cha  venose,  oh  che  pinose  rime 
Lasdvetto  caiitor  compone  e detta. 

Pria  debifancate  il  suo  lamento  esprimo , 
Poi  rompe  in  unsospir  la  canzonetta. 

In  tante  mute  or  languido,  or  snbUrae 
Varia  stil , pause  aCfrena,  e fughe  affretta. 
Che  imita  insieme,  e insieme  inluisiammi- 
Cetra,  dauto,  Unto,  organo  e lira,  ^ra 


Fa  della  gola  lusinghiera  e dolce 
Taior  ben  lunga  articolata  scala. 

Q Ili  nei  quell'  armonia  che  l' aura  motee , 
Ondeggiando  per  gradi,  in  alto  esala, 

E poiché  alquanto  si  sostiene  e folce. 
Precipitosa  a piomix)  aldn  si  cala. 

Alzando  a piena  gorga  Indi  lo  scoppio, 
Forma  di  trilli  un  contrappunto  doppio. 

Par  cli'abbia  entro  le  fauci  e inognidbra 
Rapida  rota,  o turbine  veloce. 

Sembra  la  lingua  che  si  volge  e vibra. 
Spada  di  schormitor  destro  e feroce. 

Se  piega  e iiKrespa,  o se  sospende  libra  . 
In  riposati  numeri  la  voce. 

Spirto  il  dirai  del  dei, che  in  tanti  modi 
Figurato  e trapunto  il  canto  snodL 

Clil  crederi,  che  forze  accoglier  possa 
Animetta  si  picciela  cotante  ? 

E celar  tra  ie  vene  e denu-o  l'osea 
Tanta  dolcezza  un  atomo  sonante? 

0 clic  altro  sia,  che  la  lieve  aura  mossa 
Una  voce  pennuta,  un  suon  volante? 

E vestito  di  penne  un  vivo  dato. 

Una  piuma  canora,  un  canto  alato? 

Mercurio  allor,  che  con  orecchie  dase 
Vide  Aflone  ascoltar  canto  al  bello: 

Deh  che  li  pare,  a lui  rivolto  disse. 

Della  diviniti  di  questo  augello? 

Diresti  mai , che  tanta  lena  unisse 
In  si  poca  sostanza  un  spiritello  ? 

Un  sptrilei , che  di  armonia  composto 
Vive  in  si  anguste  viscere  nascosto. 

Mirabilarle  in  ogni  sua  beU’  opra 
(Ciò  negar  non  si  può)  mostra  Natura  ; 

Ma  quelpitlor  che  ingegnoe  sludioscepra 
Viepiù  che  In  grandé,ln  picdola  dgora; 
Nelle  cose  taior  minime  adopra 
Diligenza  maggiore,  e maggior  cura. 
Quest'eccesso  però  sovra  l’usana 
Di  ogni  altra  suo  miracolo  si  avanza. 

Di  quel  canto  nel  ver  miracoloso 
Una  istoria  narrar  bella  ti  voglio. 

Caso  in  UB  memorando  e lacrimoso. 

Da  far  languir  di  tenerezza  un  scoglio. 
Sfogava  con  le  corde  in  suon  pietoso 
Un  solitario  amante  U suo  cordoglio. 
Tacean  le  3dTs,a  dal  aotturno  velo 
Era  occupato  in  ogni  parte  il  cielo. 


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J12  * MARhNO. 


Mentre  addolcia  di  amor  i’  amaro  tosco 
Coi  suon,  che  il  sonno  istesso  intento  tenne 
L’Innamorato  giovane,  che  al  bosco 
Per  involarsi  alla  cittì , sen  venne , 

Senti  dal  nido  suo  frondoso  e fosco 
Questo  querulo  angri  batter  le  penne, 

E gemendo  accostarsi , ed  invaghito 
Mormorar  tra  sé  stesso  il  suono  udito. 

L’ infelice  angellln  che  sovra  un  faggio 
Erasi  desto  a richiamare  il  giorno, 

E dolcissimamente  in  suo  linguaggio 
Supplicava  r Aurora  a far  ritorno. 
Interromper  del  bosco  ermo  e selvaggio 
I secreti  silenzi  udì  d’ intorno, 

E ferir  Paure  d’angosciosi  accenti 
Del  trafitto  di  amor  gli  alti  lamenti. 

Rapito  allora , c provocato  insieme 
Dal  suon  che  par  che  a se  lo  inviti  c chiami. 
Dalle  cime  deli’ arbore  supreme 
Scende  pian  piano  in  su  i più  bassi  rami  ; 
E ripigliando  le  cadenze  estreme , 

Quad  ascoltarlo , ed  emularlo  brami , 
Tanto  si  appressa  e vola  e non  si  arresta , 
Che  alfin  viene  a posargli  in  sulla  testa. 

Quei  che  le  fila  armoniche  percotc , 
Sente  (nè  lascia  l’opra)  il  lieve  peso. 
Anzi  il  tenor  delle  dolenti  note 
Più  forte  intanto  ad  iterare  ha  preso. 

E il  miser  rosignuol  quanto  più  potè 
Segue  il  suo  stile,  ad  imitarlo  inteso. 
Quei  canta , e nel  cantar  geme  e si  lagna , 
E questo  il  canto  eil  gemito  accompagna. 

E quivi  l’un  sul  flebile  strumento 
A raddoppiare  I dolorosi  versi, 

E l’altro  a replicar  tutto  il  lamento 
Come  pur  del  suo  duol  voglia  dolersi , 
Tenean  con  l’alternar  del  bel  concento 
Tutti  I lumi  celesti  a sé  conversi. 

Ed  allettavan  pigre  e taciturne- 
Viepiù  dolce  a dormir  l’orc  notturne. 

Da  principio  colui  sprezzò  la  pugna , 

E volse  dell’augci  prendersi  gioco. 
Lievemente  a grattar  prese  con  l’ ugna 
Le  dolci  linee , e poi  forraossi  uii  poco. 
Aspetta  che  il  passaggio  al  punto  giugna 
L’altro, e rinforza  poi  lo  spirto  fioco, 

E di  natura  infaticabll  mostro 

Ciò  che  ei  fa  con  la  man  rifì  col  rostro. 


Quasi  sdegnando  il  sonatore  arguto 
Dell’emulazion  gli  alti  contrasti, 

E che  seco  animai  tanto  minuto 
Non  che  concorra,  al  paragon  sovrasti , 
Comincia  a ricercar  sovra  il  liuto 
Del  più  dlfScil  tuon  gli  ultimi  tasti  ; 

E la  linguetta  garrula  e faconda 
Ostinata  a cantar  sempre  il  seconda. 

Arrossisce  il  maestro,  e a scorno  prende. 
Che  vinto  abbia  a restar  da  si  vii  cosa. 
Volge  le  chiavi,  i nervi  lira,  e scende 
Con  passata  maggior  fino  alla  rosa. 

Lo  sfidator  non  cessa , anzi  gli  rende 
Ogni  replica  sua  più  vigorosa  ; 

E secondo  che  l' altro  o cala , o cresce 
Labirinti  di  voce  implica  e mesce. 

Quel  di  stupore  allor  divenne  un  ghiaccio, 
E disse  irato  : lo  ti  ho  soOerlo  un  pezzo. 
0 che  tu  non  farai  questa  eh'  io  faccio , 

0 ch’io  vinto  ti  cedo,  e il  legno  spezzo. 
Recossi  poscia  il  cavo  arnese  In  braccio, 
E come  in  esso  a far  gran  prove  avvezzo. 
Con  crome  in  fuga , e sincope  a traverso 
Pose  ogni  studio  a variare  il  verso. 

Senza  alcuno  intervallo  e piglia,  e lassa 
La  radice  del  manico,  e la  cima , 

E come  il  trac  la  fantasia  si  abbassa , 
Poi  risorge  in  un  punto , e si  sublima; 
Talor  trillando  al  canto  acuto  passa.; 

E col  dito  maggior  tocca  la  prima. 
Talora  ancor  con  gravità  profonda 
Fin  dell’  ottava  in  sul  bordon  si  affonda. 

Vola  su  per  le  corde  or  basso,  or  alto 
Più  ebe  r istesso  augci  la  man  spedita. 

Di  su , di  giù  con  repentino  salto 
Van  balenando  le  leggiere  dita. 

Di  un  fier  conflitto  e di  un  confuso  assalto 
Inimitabilmente  I moti  imita. 

Ed  agguaglia  col  suon  dei  dolci  carmi 

1 bellicosi  strepili  dell’  armi. 

Timpani  e trombe  e tutto  ciò  cbeqiiando 
Serra  in  campo  le  schiere,  osserva  Marte , 

I suoi  turbini  spessi  accelerando. 

Nella  dotta  sonata  esprime  l'arte; 

E tuttavia  moltiplica  sonando 

Le  tempeste  dei  groppi  in  ogni  parte  ; 

E mentre  ei  l’armonia  cosi  confonde, 

II  suo  competitor  nulla  risponde. 


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L’ ADONE.  - m 


Poi  tace,  e vuol  veder  se  l'augcllctto 
Col  canto  il  sunn  per  pareggiarlo  adegua. 
Raccoglie  quello  ogni  sua  forza  al  petto , 
Nè  vuole  In  guerra  tal  pace,  nè  tregua. 
Ma  come  un  debil  corpo  e pargoletto 
Esser  pu6  mai , che  un  si  gran  corso  segua  T 
Maestria  taie  ed  artificio  tanto 
Sempilce  e naturai,  non  cape  un  canto. 

Poiché  moltee  molt’ore  ardita  e franca 
Pugnò  del  pari  la  canora  coppia , 

Ecco  U povero  aiigel , che  alfin  si  stanca, 
£ langue  e sviene  e infievolisce  e scoppia. 
Ca)si  qnai  face , che  vacilla  e manca , 

E maggior  nel  mancar  luce  raddoppia, 
Dalla  lingua , che  mai  ceder  non  volse , 
Il  dilicato  spirito  si  sciolse. 

Le  stelle  poco  dianzi  innamorate 
Di  quei  soave  e dilettevoi  canto , 

Fuggir  piangendo,  e dalle  logge  aurate 
Si  aflacciò  l’alba,  e venne  il  Sole  intanto. 
Il  musico  gentil  per  gran  pietate 
L' estinto  corpiccioi  iav6  col  pianto , 

Ed  accusò  con  lagrime  e querele 
Non  men  sé  stesso , che  il  destin  crudele. 

Ed  ammirando  il  generoso  Ingegno, 
Fin  negli  aliti  estremi  invitte  e forte. 

Nel  cavo  ventre  del  sonorp  légno 
Il  volse  seppellir  dopo  la  morte. 

Nè  dar  polca  sepolcro  unqua  più  degno 
A si  nobii  cadavere  la  sorte. 

Poi  con  le  penne  dell'  augello  istesso 
Vi  scrìsse  di  sua  man  tutto  il  successo. 

Mach!  fuchel'lnstrosse?  il  mastro  vero 
(Non  so  se  il  sai  ) fu  di  quest’  arte  Amore. 
Egli  insegnò  la  musica  primiero, 

Ei  fu  de’ dolci  numeri  l’autore, 

E del  soave  ordigno  , e lusinghiero 
Volse  le  corde  nominar  dal  core. 

Oh  che  strana  armonia  dolce  ed  amara 
Nella  sua  scola  un  cor  ferito  impara  ! 

Dica  costei  che  II  sa,  costei  che  il  sente. 
Di  questa  invenzion  l’origin  vera, 

Fa,  che  l’ istesso  Amor,  eh’  è qui  presente, 
Ti  narri , onde  l’ apprese  e In  qual  maniera. 
Contan , che  un  di  nella  fucina  ardente , 
Che  d’ Etna  alluma  la  spelonca  nera , 
Dove  alternano  I fabbri  i colpi  In  terzo , 
L’ ingegnoso  fanciulio  entrò  per  scherzo. 


Ed  osservando  de’  martelli  1 suoni 
Librati  in  sull’  ancudini  percosse , 

Le  cui  battute  a tempo  a tempo  e i tuoni 
Facean  parer,  che  un  bel  concerto  fosse  , 
Le  regole  non  note  e le  ragioni 
Delle  misure  a specular  si  mosse , 

E con  stupor  del  padre  e de’  ministri 
Gl’ intervaili  trovò  de’ bei  registri. . 

Della  prim’  opra  il  semplice  lavoro 
Fu  rozza  alquanto  e mal  temprata  cetra, 

E da  compor  quell’organo  sonoro 
La  materia  gii  diè  l’ aurea  faretra. 

Per  fabbricarne  ie  chiavette  d’ oro 
Ruppe  lo  strai , che  rompe  anco  la  pietra. 
L’ arco  proprio  adoprò  d' archetto  in  vece, 
E della  cortla  sua  le  corde  fece. 

Apollo  il  dotto  Dio,  meglio  dispose 
L’ ordine  poi  de’  tasti  e de’  concenti  ; 

Ed  io,  cite  vago  son  di  nove  cose , 

Novi  studj  mostrai  quindi  allo  genti , 

E in  più  forme  leggiadre  c diiettosc 
D’ inventar  m’ingegnai  varj  strumenti , 
Oude  certa  c perfetta  alfin  ne  nacque 
La  bella  facoltà  , che  tanto  piacque. 

Piace  a ciascun,  ma  più  eh’  agli  altri  piace 
Agl’  inquieti  c travagliati  amanti , 

Nè  trova  altro  refugio  ed  altra  pace 
Un  tormentato  cor,  che  suoni  e canti. 
Egli  è ben  ver,  che  il  suono  è si  ofilcace. 
Che  provoca  talor  sospiri  e pianti , 

E I duo  contrari  estremi  in  guisa  ha  misti. 
Che  rallegra  gli  allegri,  attrista  ì tristi. 

Qui  tacque  II  gran  corrier  cheporta  alalo 
In  man  lo  scettro,  e di  due  serpi  attorto  ; 
Perchè  mentre  che  Adone  innamorato 
Per  l’ ameno  giardin  mena  a diporto. 
Venir  non  lunge  per  erboso  prato 
D'uomini  e donne  un  bel  drappello  ha  scor* 
E due  Ninfe  di  vista  assai  giuliva  [lo. 
Come  capi  guidar  la  comitiva. 

Mostra  ignudo  il  bel  seno  una  di  queste, 
E tremanti  di  latte  ha  le  mammelle. 
Verdeggiante  ghirlanda , azzurra  veste 
Ed  all , onde  talor  vola  alle  stelle. 

T ronibe,  cetre,  sampngne,  un  stuol  celeste 
Di  fanciulli  le  porta  e di  donzelle. 

Nella  destra  sostien  scettro  d’ alloro , 
Stringe  con  l’ altra  man  volume  d’ oro. 


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<14 

Di  costei  la  compagi»  ha  di  fioretti 
Amorosi  e leggiadri  i crini  aspersi. 
Varia  la  gonna , in  cui  di  ^'arJ  aspetti 
E chiavi  e note  ha  figurate  , e versL 
Dietro  le  tranne  ancor  Ninfe  e valletti 
Misure  e pesi  ed  organi  diversi. 
Musici  libri , e con  ballorie  e canti 
Di  vermiglio  licor  vasi  spumanti. 


MARINO. 

Bench’  alloggino  or  qui  le  mie  dilette , 
Non  son  già  queste  le  lor  stanze  usate. 
Là  nel  mio  ciel  con  altre  giovinette 
Abitan  come  Dee,  sempre  beate. 

Se  mai  lassù  venir  ti  si  permette. 

Ti  mostrerò  gli  alberghi , ove  son  nat& 
Qui  con  Amore  a trastullarsi  intente 
Dall’ eterna  maginn  scendon  sovente. 


Soggiunse  allor  Mercurio  : Ecco  (fi  due 
Suore  d’ un  parto  indita  coppia  e degna; 
Degna  non  dico  dell' orecclile  tue. 

Ma  del  gran  re,  che  su  le  stelle  regna. 

La  prima  ha  del  divin  nell’ opre  sue , 

L’ altra  di  secondarla  anco  s' ingegna , 

E con  stupore  e c<»i  diletto  immenso 
L’ una  attrae  l’ intelletto,  e l’altra  il  senso. 

Quella  che  innanzi  alquanto  a noi  s'appres- 
E più  nobìl  rasscmbra  agli  ocelli  miei,  [sa, 
•Sebben  ritrovatricc  ò per  sé  stessa, 

E l’ arte  del  crear  trae  dagli  Dei , 

Con  la  cara  gemella  è si  connessa, 

Cile  1 ritmi  apprende  a misurar  da  lei, 

E da  lei,  che  le  cede  ole  vien  dietro. 
Prende  le  fughe  c le  posate  al  metro. 

Colei  però,  che  accompagnar  la  suole. 
Ha  dell’aiuto  suo  bisogno  anch’ella. 

Nò  sa  spiegar,  se  si  rallegra , o dole. 

Se  non  le  passion  della  sorella. 

Da  lei  gli  accenti  impara  e le  parole , 

Da  lei  distinta  a scioglier  la  favella, 
tvenza  lei  fora  un  suon  senza  concetto , 
Priva  di  grazia  e povera  d’ affetta 


Vennero  al  vago  Adon  strette  per  mano 
Tutte  festa  il  sembiante , e foco  il  volto 
Queste  due  bolle,  e con  parlar  umano. 
Poiché  in  schiera  tra  lor  l' ebliero  accinto. 
Ne  andaro  ove  s' apri  nel  verde  piano 
Di  lieta  gente  un  larga  cerchio  e folto , 
Cile  invitandolo  seco  al  bel  soggìomo 
Gli  fc’  corona,  anzi  teatro  tntoma. 

Non  so  se  vere,  o vane,  avean  sembianze 
Tutti  di  damigelle  e di  garzoni. 
Alternavan  costor  mute  e mntanze, 
Raddoppiavan  correnti  e ripoloni. 
Lascivamente  alle  festive  danze 
Dolci  I cauti  accordando , ai  canti  i suoni , 
Cetre  c salteri , e crotali  é taballi 
Ivan  partendo  in  più  partite  i balli. 

Forati  bossi  e concavi  oricalchi, 

E rauche  pive  e pifferi  tremanti 
Mostrano  altrui , come  il  terren  si  calchi 
Regolando  con  legge  i passi  erranti. 

Per  r ampie  logge  e su  i fioriti  palchi 
Miratisi  cori  di  felici  amanti 
Tagliar  canari , esercitar  gagliarde , 
Menar  pavane  ed  agitar  nizzarda. 


Per  queste  lor  reciproche  vicende  [ro, 
•Sempre  unite  ambedue  ne  andranno  al  pa- 
E con  quel  lume , onde  virtù  rispicnde , 
Ilisjileiideraii  nel  secolo  più  cliiaro. 

I primi  raggi  lor  la  Grecia  attende , 

Cui  promette  ogni  grazia  il  Ciclo  avaro , 
La  Grecia,  in  cui  |>er  molti  e molti  lustri 
l.a  terranno  in  onor  spiriti  illustri. 


Precede  lor  la  prima  coppia , e (piesta 
Con  piante  maestrevcvll  e leggiere , 
Guidatrice  del  ballo  c della  festa 
Carolando  seti  va  fra  quelle  schiere , 

SI  gaia  in  vista,  e sovra  piè  si  presta. 
Che  forte  al  suon  delle  rotanti  sfere 
Soglioii  lassù  meli  rapide  e men  belle 
Per  le  piazze  del  dei  danzar  le  stelle. 


Col  tempo  poi  divcrran  gioco  e preda 
E delle  genti  barbare  c degli  anni. 
Colpa  di  Marte , a cui  convicn  che  ceda 
Ogni  arte  egregia , e colpa  de’  tiranni. 
Sola  r Italia  aitili  fia  che  possieda 
Qualche  reliquia  degli  antichi  danni  ; 
Ma  la  bella  però  luce  primiera 
Si  smarrirà  della  scienza  vera. 


Dicean  tutti  cantando  ; 0 Dea  beata , 
0 bella  universal  madre  e nutrice  , 
Con  i’istcssa  Natura  a un  parto  nata. 
Di  quanto  nasce  originai  radice , 

Per  cui  genera  al  mondo , e generata 
Ogni  stirpe  mortai  vive  felice; 

Felice  teco  a questo  rive  arrivi 
Quella  beltà , per  col  felice  vivi. 


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L’ADONE.  Ili 


Al  tuo  cenno  le  Parche  ubbidienti 
Tirai!  le  fila  in  ^arj  slami  ordite. 

Dai  tuo  consiglio , In  tua  virtù  crescenti 
.Natura  impara  a seminar  le  vile. 

Per  legge  tua  di  sfere  c d'elementi 
Stansi  le  tempre  in  bel  legame  unite. 

Se  non  spirasse  il  tuo  spirto  fecondo , 

I nodi  suol  rallenterebbe  il  mondo. 

Tu  Clel , tu  Terra,  e tn  conservi  e folci 
Fiori,  erbe,  pian  te , e nello  piante  il  frutto. 
Tu  crei,  tu  reggi,  a tu  ristori  emolci 
L'oinini  e fere,  e l’universo  tutto, 

Lbe  senza  i doni  tuoi  giocondi  c dolci 
Solitario  per  sè  fora,  e distrutto; 

Ma  mentre  stato  varia,  e stile  alterna, 
i.a  tua  mercede,  il  suo  caduco  eterna. 

Lumiera  bella,  che  con  luce  lieta 
belle  tenebre  umane  il  fosco  allumi , 

Da  cui  nasce  gentil  flamina  secreta. 
Fiamma,  ond’ icori  accendi  e nonconsu- 
D’ogni  mortai  benefattor  pianeta,  [mi; 
(ìloria  imniortal  de’  più  benigni  Numi, 
Cir  altro  non  vuoi , che  a prò  di  chi  l’ot- 

Godere  il  beilo,  e possedere  il  bene,  [tiene 

* 

Commesura  d’amor,  virtù  clic  Innesti 
Con  saldi  groppi  di  concordi  amplessi 
E le  cose  terrene  c le  celesti , 

E supponi  al  tuo  fren  gli  abissi  istessi  ; 

Per  cui  con  fcrtil  copula  contesti 
Viccndcvol  desio  stringe  due  sessi , 
Sicclièmcntre  l’ un  dona,-  c l’ altro  prende, 

II  cambio  del  piacer  si  toglie  e rende. 

Con  quest’inno  devoto,  c questo  canto 
Venne  la  turba  a venerar  la  Dea 
Ballando  sempre , c fatto  pausa  alquanto 
Al  concerto  dolcissimo  tacca. 

Con  Mercurio  ed  Amore  Adone  intanto 
K con  Venere  altrove  il  piè  m'ovca , 
ijuando  eccoa  sè  con  non  minor  diletto 
.Novello  il  trasse , e disusato  oggetto. 

Un  fiore,  un  fiore  apre  la  buccia,  e figlia. 
Ed  è suo  parlo  un  biondo  crin  disciolto , 

E dopo  il  crin  con  due  serene  ciglia 
Ecco  una  fronte , eoo  la  fronte  un  volto , 
■Al  principio  però  non  ben  somiglia 
Il  mezzo  c il  fin , ma  diflerente  è molto. 
Vedesi  alla  bellù , che  quindi  spunta , 
Forma  distranioaugcUoessercongiunta. 


Tosto  che  in  luce  a poco  a poco  uscio , 
Quel  fantastico  mostro  all’  improvviso , 
Non  sorse  in  piè,  ma  del  suo  fior  natio 
Restò  tra  l’crbe  e tra  le  foglie  assiso. 
Occhio  ha  ridente , atto  benigno  e pio , 

Ila  femminile  e giovenile  il  viso. 

Vcsion  le  spalle  e il  sen  penne  stellale , 
Fregian  le  gambe  e i piè  scaglie  dorate. 

Serpentina  la  coda  al  ventre  ha  chiusa. 
Lunata,  e qual  d’arpia,  l’ unghia  pungente. 
Cela  un  amo  tra’  fiori , onde  delusa 
Tira  l’incauta  e semplicetta  gente. 

Tien  di  nettare  e mel  la  lingua  infusa , 

Cile  persuade  altrui  soavemente. 

Cosi  la  liella  (era  I sensi  alletta , 

Fera  gcntif,  che  la  Lusinga  è detta. 

La  Lusinga  è costei.  Lungc  fuggite, 

0 di  falso  piacer  folli  seguaci. 

Non  Ita  sfinge , o sirena  o più  mentite 
Parolettc  e sembianze,  o più  sagaci. 
Copron  perfide  insidie,  a.spre  ferite 
Abbracciamenti  adulatori  c liaci. 

Vipera  e scorpion,  con  arti  Infide 
Baciando  morde,ed  abbracciando  uccide. 
€ 

La  chioma  intanto,  che  in  bei  nodi  invol- 
Stringon  con  ricche  fasce  auree  catene,  [U 
Dal  career  suo  disprigionata  e sciolta 
Su  per  le  membra  a sviluppar  si  viene  ; 

La  qual  può,  tanto  è lunga  e tanto  è folta. 
Le  laidezze  del  corpo  adombrar  bene; 
Sicché  sotto  le  crespe  aurate  e bionde 
Tutti  i difetti  inferiori  asconde. 

Dell'altrui  vista  insidiosa  e vaga 
Ella  o che  non  s’avvide,  o che  s’infinse. 
Indi  la  voce  incantatrice  e maga 
In  note  più  che  angeUebe  distinse; 
Note,  in  cui  per  far  dolce  incendio  epiaga 
Amor  le  faci  e le  quadrella  intinse. 
Uscir  dolce  tremanti  udiansi  fuori 

1 misurati  numeri  canori. 

Tal  forse  intenerir  col  dolce  canto 
Suol  la  bella  Adriana  I duri  aflietti , 

E con  la  voce  e con  la  vista  intanto 
Gir  per  due  strade  a saettare  i petU. 

E in  tal  guisa  Fiorinda  udisti,  o Manto, 
Lì  nei  teatri  dei  tuoi  regj  tetti , 

Di  Arianna  spiegar  gli  aspri  martiri, 

E tzar  da  mille  cor  mille  sospiri. 


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116  MARINO. 


Fermaroil  corsoi  flutni,  il  volo  I venti, 
E gii  augcllettl  al  suo  cantar  le  penne. 
Fuggi  l’arbor  di  Daini  i bei  concenti, 
Gilè  del  canto  d’Apollo  a lei  sovvenne. 
Apollo  istesso  i corridori  ardenti , 

Vinto  d’alta  dolcezza,  a fren  ritenne. 

E queste  fur  le  lusinghiere  e scorte 
Voci,  ove  accolta  in  aura  era  la  morte. 

Voi  clic  sclierzando  gite  anime  liete , 
Per  la  stagion  ridente  c giovenìle. 
Cogliete  con  man  provvida,  cogliete 
Fresca  la  rosa  In  sull’  aprir  d’aprile. 

Pria  che  quel  foco  che  negli  occhi  avete. 
Freddo  ghiaccio  divenga,  e cener  vile. 
Pria  che  caggian  le  perle  al  dolce  riso , 
E come  h crespo  il  crin , sia  crespo  il  viso. 

Un  lampo  ila  beltà,  l’etade  un’ombra. 
Ni  sa  fermar  l’irreparabil  fuga. 

Tosto  le  pompe  di  natura  ingombra 
Invida  piuma , ingiuriosa  ruga. 

Rapido  il  tempo  si  dilegua  c sgombra  , 
Cangia  il  pel,  gli  occhi  oscura,  il  sangue 
asciuga. 

Amor  non  mcn  di  lui  veloci  ha  i vanni , 
Fugge  coi  riordelvollo  il  fior  degli  anni. 

De’  lieti  di  la  primavera  è breve , 

Nè  si  racquista  mai  gioia  perduta. 

Vlen  dopo  il  verde  con  piè  tardo  e greve 
La  penitenza  squallida  e canuta. 

Dove  spuntava  il  fior,  Rocca  la  neve, 

E colori  c pensier  trasforma  e muta, 

. Sicch’uom  freddo  in  amorqncllc  pruine. 
Ch’ebbe  dianzi  nel  core,  hapoi  nel  crine. 

Saggiocolul  cli’entro  un  bel  senoaccoUo 
Gode  il  frutto  del  ben  che  gli  è conccs.so. 
Ed  oh  stolto  quel  cor,  nò  mcn  che  stolto 
Crudo,nè  men  che  altrui  ,crudo  a sé  stesso. 
Cui  quel  piacer  per  propria  colpa  è tolto. 
Che  vien  si  raro , c si  desia  si  spesso. 
Anima  in  cui  d’ amor  cura  non  regna , 
Oche  non  vive,  oche  è di  vita  indegna. 

Cigno  che  canti , rosignuol  che  plori. 
Musa  o sirena  che  di  amor  sospiri , 
Aura , o ruscel  che  mormori  tra  i fiori , 
Angel  che  mova  il  plettro,  o elei  che  giri. 
Non  di  tanta  dolcezza  inebbrla  I cori , 
Lega  i sensi  talor,  pasce  i desiti. 

Con  quanta,  la  mirabile  armonia, 

Per  l’ orecchie  al  garzone  il  cor  feria. 


Sparse  vive  faville  in  ogni  vena 
GII  area  già  quella  insolita  beltade. 
Quando  un  raggio  di  Sol  toccolla  appena, 
Che  la  disfece  in  tenere  rugiade. 

0 diletto  mortai , gioia  terrena. 

Come  pullula  tosto , e tosto  cade. 

Vano  piacer  che  gli  animi  trastulla  , 

Nato  di  vanità , svanisce  in  nulla. 

In  questo  mentre  a più  secrete  soglie 
Già  s’ apre  Adon  con  la  sua  bella  il  varco. 
Già  di  candido  avorio  uscio  l’accoglie , 
Che  ha  di  schietto  rubin  cornice  ed  arco. 
Tien  di  frutti  diversi,  c fronde  e foglie 
Il  ministro,  che  il  guarda  un  cesto  carco. 
Fan  de'sapori  ond’egli  ha  'I  grembo  onusto 
Una  scimia  ed  un  orso  arbitro  il  gusto. 

Questi  guidando  Adon  di  loggia  in  log- 
in  una  selva  sua  fa  che  riesca.  [già , 
Piangon  quivi  le  fronde,  e stillan  pioggia 
Di  celeste  licor  soave  e fresca. 

Onde  l’augelche  tra  i bel  rami  alloggia , 
In  un  tronco  medesmo  ha  nido  ed  esca  ; 
Ed  alla  cara  sua  prole  felice 
Quella  pianta  che  è culla,  ancoè  nutrice, 
u 

Con  certa  legge  e sempre  ugual  misura 
Qui  tempra  i giorniii  gran  rcttor  del  lume. 
Non  vi  alterna  giammai  tenor  natura , 
Nè  con  sue  veci  il  Sul  varia  costume. 

Ma  fa  con  soavissima  mistura 
GII  ardori  algenti  e tepide  le  brume. 
Sparsa  il  bel  volto  di  sereno  eterno 
Ride  la  stale,  e si  marita  al  verno. 

In  ogni  tempo , e non  arato , o culto , 
Meraviglie  il  terren  produce  c serba  , 

E nel  prato  nutrisce,  e nel  virgulto 
La  matura  stagion  mista  all’acerba; 
Perchè  l’anno  fanciullo  insieme  adulto 
Dona  II  frutto  alla  pianta , il  fiore  all’erba. 
Talché  congiunto  il  tenero  al  virile 
Lussuria  ottobre,  c pargoleggia  aprile. 

Di  fronde  sempre  tenere  e novelle 
L’ orno,  l’ alno,  la  quercia  il  cielo  ingoiii- 
Piante  sterili  si,  ma  grandi  e belle,  [lira  ; 
Di  frullo  invece  han  la  bellezza  e l’ombra, 
L’allor  non  più  fugace,  opache  celle 
Tesse  di  rami , e in  guisa  il  prato  adombra. 
Che  per  dare  agii  amori  albergo  ed  agio 
Par  voglia  d’arboscel  farsi  palagio. 


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L’ ADONE. 


VI  Tan  vaglie  spalliere  ombrosi  c folli 
Tra  purpurei  rosai  verdi  mirleti. 

Quasi  permane  stretti,  e in  danza  accolti 
tiineprl  e faggi , e platani  ed  abeti 
Si  condensai)  cosi , che  ordiscon  molti 
Laberinti  e ricovrì  ermi  e secreti; 

Nè  Febo  il  crin,  se  non  talor,  vi  asconde, 
Quando  l'aura  per  scherzo  apre  le  fronde. 

Trionfante  la  palma  Infra  lo  spesso 
Popolo  delle  piante  il  capo  estolle. 
Piramide  dei  boschi , alto  il  cipresso 
Signoreggia  la  valle,  agguaglia  il  colie. 
L'inidetto  d’ambrosia  il  fico  aneli’ esso 
Mostra  il  suo  frutto  rugiadoso c molle, 
Qie  piangendo  si  sta  tra  foglia  e foglia 
Chino  la  fronte,  e lacero  la  spoglia. 

Dalla  madre  ritorta  e pampinosa 
Pende  la  dolce  e colorila  figlia. 

Parte  fra  i tralci  e fra  le  foglie  ascosa. 
Parte  dal  Sole  il  nutrintcnio  pigila. 

Altra  di  color  d’oro,  altra  di  rosa, 

Altra  più  bruna , ed  altra  più  vermiglia. 
Quale  acerba  ha  la  scorza,  e qual  matura. 
Qual  comincia  pian  piano  a farsi  oscura. 

• 

Scopre  il  punico  stelo  il  bel  tesoro 
Degli  aurei  pomi  di  rossor  dipinti. 

Apre  nn  dolce  sorriso  ai  grani  loro 
Nei  cavi  alberghi  In  ordine  distinti; 
Onde  fa  scintillar  dal  guscio  d’oro 
Molli  rubini  o teneri  giacinti , 

E quasi  in  piccol  iride  commisti 
Sardonici , baiassi  ed  anietistl. 

Nutre  il  susin  tra  questi  anco  I suol  parti. 
Altri  obliqui  ne  forma,  altri  ritondi, 
Quai  di  stille  di  porpora  conspartl , 

Quai  d’eban  negri,  e quai  più  ch’ambra 
Men  pigro  il  moro  in  si  beati  parti  [biondi. 
.Al  verme  serican  serba  le  frondi. 

Havvì  il  mandorlo  aprico,  ed  havviii  pome, 
Cbe  trae  di  Persia  il  suo  legnaggio  e il  nome. 

All’  opra  naturai  cultrice  mano 
Con  innesti  ingegnosi  aggiunse  pregio , 
Indolcì  l’ aspro , incivili  l’ cstrano , 

Ornò  il  natio  di  peregrino  fregio. 
Congiunto  al  cornio  suo  minor  germano 
Fiammeggia  il  soavissimo  ciriegio , 

Nasce  1’  uva  dal  sorbo,  ed  adottalo 
Dall’arancio  purpureo  è il  cedro  aurato. 


117 

Anzi  virtù  d’araor  viepiù  cbe  d’  arte , 
La  men  pura  sostanza  Indi  rimossa, 
Perchè  perfetta  il  frutto  abbia  ogni  parte. 
Fa  che  le  polpe  sue  nascan  senz’  ossa  ; 

E tanto  in  lor  di  suo  vigor  comparte , 
Che  ciascun  di  essi  oltre  misura  ingrossa, 
li  pero , il  pruno  prodigioso  e il  pesco 
Vive  in  ogni  stagion  maturo  e fresco. 

Mostrando  il  cor  fin  nelle  foglie  espresso 
Preme  11  tronco  fedel  l’ cdra  brancuta. 
Stringe  il  marito  e gli  si  appoggia  appresso 
La  vile  onde  la  vita  è sostenuta. 

Vibra  nel  gelo  amor,  nel  vento  istesso 
La  face  ardente , e la  saetta  acuta. 

L' acque  accese  di  amor  bacian  le  spondè, 
E discorron  di  ainòr  l’ aure  e le  fronde. 

Traquei  frondosi  arbusti  Adoirsen  varca, 
E coi  Numi  compagni  oltre  cammina , 
Dove  ogni  pianta  i verdi  rami  inarca , 
Quasi  voglia  abbracciar  chi  si  avvicina  ; 
E di  fruiti  c di  fior  giammai  non  scarca, 

E del  bel  peso  prodiga  s’ inchina. 

Piove  nettar  l’ olivo  e l’ elee  manna , 
Mele  la  quercia  e zucchero  la  canna. 

Qui  son  di  Bacco  le  feconde  vigne. 
Dove  in  pioggia  stillante  il  vin  si  sugge. 
Di  candid’  uve  onusta , e di  sanguigne 
Quivi  ogni  vite  si  diOonde  e strugge, 

Le  cui  radici  intorno  irriga  e cigne 
DI  puro  mosto  un  fiumicei  che  fugge. 
Scorre  il  mosto  dall’  uve  e dalle  foglie , 
E io  vermiglio  ruscci  tutto  si  accoglie. 

Si  accoglie  in  rivi  il  dolce  umore,  e in  fiu- 
A poco  a poco  accumulato  cresce , [me 
E nutre  a sè  tra  le  purpuree  spume 
Di  oolor,  di  sapor  simile  il  pesce. 

Folle  chi  questo  e quel  gustar  presume, 
Chè  per  gran  gioia  di  sè  stesso  n’  esce. 
Ride , e il  suo  riso  è si  possente  e forte , 
Cile  la  letizia  alfin  termina  in  morte. 

Arbori  estrani  qui  (se  prestar  fede 
Lice  a tanto  portento)  esser  si  scrive. 
Spunta  con  torto  e noderoso  piede 
Il  tronco  inferior  sovra  le  rive  ; 

Ma  dalla  forca  in  su  quel  che  si  vede. 

Ha  forma  e quallUi  di  donne  vive. 

Son  viticci  le  chiome,  e i diti  estremi 
Figliano  tralci , e gettano  racemi. 


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118  MARINO. 


Dafoc,  o Siringa  tal  forse  esser  debbo 
Io  riva  di  Ladone , o di  Penco 
Quando  i’  una  a Tcssagiia,  e i’  altra  accreb- 
Notra  verdura  ai  boschi  di  Liceo.  [ be 
Forse  io  forma  si  fatta  a mirar  ebbe 
Sue  figlie  il  Po  nel  caso  acerbo  e reo 
Quando  a spegner  le  fiamme  entro  il  suo 
Sinistrando  11  seotier  veaneF etoule.  [fonte 

Sotto  le  scorze  ruvide  ed  alpestre 
Seotesi  palpitar  spirto  selvaggio. 

Soglion  ridendo  altrui  porger  le  destre , 
E si  odon  favellar  greco  linguaggio. 
Nache  fruito  si  colga,  o fior  silvestre 
Non  senza  allo  dolor  soffron  l’ oltraggio. 
Bacian  talor  lusingatrici  oscene , 

Ha  chi  gusla  i lorbact  ebbro  diviene. 

Con  pampinosi  e teneri  legami 
Stringono  ad  ora  ad  or  quel  fanno  e questo 
Che  non  potendo  poi  staccar  dai  rami 
La  parte  genital , fanno  un  innesto. 
FansI  una  specie  istcssa,  e di  fogliami 
Veston  le  braccia,  e divien  sterpo  il  resto  ; 
Verdeggia  il  crine,  e con  Icbarbe  in  terra 
Indivisibilmente  il  piè  si  afferra. 

\ 

Quanti  favoleggiò  Numi  profani 
L’eiade  antica , lian  quivi  i lor  soggiorni. 
Lari , sileni , seinicapri  e pani , 

La  man  di  tirso,  il  crin  di  vile  adorni , 
Geni  salaci  e rustici  silvani , 

Fauni  saltanti  e satiri  bicorni, 

£ di  fcmle  verdi  ombrosi  ì capi 
Senza  fren , senza  vcl  Bacchi  e Priapi. 

£ Menadi  e Bassaridi  vi  scemi  [ce, 
libbre  pur  sempre  e sempre  a berè  accon- 
Chc  intente  or  di  latini , or  di  falcrai 
A votar  tazze,  ed  asciugar  bigonoe , 

£d  agitale  dai  furori  Intemi, 

Rotando  1 membri  in  sozze  guisce  sconce 
Celebran  l’ orgie  lor  con  queste  o tali 
Fcsceuniue  canzoni  e baccanali. 

Or  d’ eilera  si  adontino  e di  pampino 
I giovani  e le  vergini  più  tenere, 

E gemina  nell'  anima  si  stampino 
L’ immagine  di  Libero  e di  Venere. 
Tutti  ardano,  si  accendano , ed  avvampino 
Qual  Scmcic , che  al  folgore  fu  cenere; 

E cantino  a Cupidine  ed  a Bromio 
Con  numeri  poetici  un  encomio. 


La  celerà  col  crotalo  e con  l’ organo 
Sui  margini  del  pascolo  odorifero , 

U cembalo  e la  fistola  si  scorgano 
Col  zufolo , col  timpano  e col  piffero  ; 

E giubbilo  festevole  a lei  porgano , 

Che  or  Elspero  si  nomina,  or  Lucifero  ; 
Ed  empiano  con  musica , che  crepiti , 
Quest'  isola  di  fremiti  e di  strepiti. 

1 satiri  con  cantici  e con  frottole 
Tracannino  di  nettare  un  diluvio. 
Trabocchino  di  lagrima  le  clottole,  ' 
Che  stillano  Posilipo  e Vesuvio. 

Sien  cariche  di  fescine  le  grottole, 

E versino  dolcissimo  profluvio. 

Tra  frassini , tra  platini  e tra  salici 
Esprimansi  dei  grappoli  nel  calici. 

Chi  cupido  è di  suggere  l' amabile 
Del  balsamo  aromatico  o del  pevere, 
Non  mescoli  il  carbuncolo  potabile 
Col  rodano , con  l’ adice , o col  teverc  ; 
Cile  è perfido , sacrìlego  c dannabile, 

E gocciola  non  merita  di  bevere 

Chi  tempera,  chi  intorbida,  chi  incorpora 

Coi  rivoli  il  crisolito  e la  porpora. 

Ha  guardinsl  gli  spiriti  che  fumano , 
Non  facciano  del  cantaro-alcuh  strazio , 
E l' anfore  non  rompano,  che  spumano , 
Già  gravide  di  liquido  topazio; 

Chè  gli  uomini  ire  in  estasi  costumano, 
E si  altera  ogni  stomaco  clic  è sazio; 

E II  cerebro  che  fervido  lussuria  , 

Più  d' Ercole  con  impeto  si  infuria. 

Mentr'  elle  ivan  cosi  con  canti  e balli 
Alternando  evoè  giulive  e liete , 

Intente  tuttavia  negl’  Intervalli 
Sgonfiando  gli  otri , ad  inalliar  la  sete; 
Passando  Adnn  di  quelle  amene  valli 
Nelle  più  chiuse  viscere  segrete , 

Trovò  morbida  mensa , ed  apprestati 
Erano  intorno  al  desco  i seggi  aurati. 

Qui , bellissimo  Adon , depor  conviensi 
(Ricominciò  Cillenio)  ogni  altra  cura. 

Col  ristoro  del  cilH)  uopo  è che  pensi 
Di  risarcir,  di  rinforzar  natura. 

E poiché  ciascun  già  degli  altri  sensi 
In  queste  liete  piagge  ebbe  pastura , 
Vuoisi  il  gusto  appagar,  però  che  tocca 
.Del  diletto  la  parte  anco  alla  bocca. 


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« 

L’ADONE. 


La  bocca  è Ter,  che  ilelP  uman  sermone 
(Solo  ufficio  dell'  uomo)  i nuiuùt  prima. 
CoBceno  alcun  non  sa  spiegar  ragione , 
Che  per  lei  non  si  scopra,  e non  s' esprlmx 
Interpiete  dirin , per  cui  si  espone 
Quanto  nel  peUo  altrui  Tuoi  che  s'imprima; 
(E  la  Toce  i di  ciòmeuana ancella  ) 
L’inlelletlD  e il  pensier  di  chi  faTclla. 

Ma  serre  ancora  ad  operar,  che  cresca 
L’ Intemo  umor,  nè  per  ardor  si  estingua  ; 
A cui  quando  talor  cibo  rinfresca 
Ph  credenziera  e giudice  la  Ungua  ; 

Nè  perla  gola  mai  passa  alcsn'esca. 

Che  ìtI  prima  il  sapor  non  si  -distinguau 
Fatto  il  saggio  che  eli’  ha  d' ogni  Tirauda, 
In  deposito  al  ventre  alOn  la  manda. 

E perchè  l' uom  che  alle  fatiche  è lento, 
Nelle  operazion  aia!  non  si  stanchi, 

E non  pascendo  il  naturai  talento , 

L’ individuo  mortai  si  strugga  e manchi  ; 
Vuol  clii.tutto  creò,  che  l' alimento 
Nou  sia  senza  il  piacer clie  lo  rinfranchi, 
Onde  qpesto  con  quel  sempre  congiunto 
Abbia  a nutrirlo , e dilettarlo  a un  punto. 

Notasti  mai  da  quante  guardie  e quali 
Sia  la  lingua  difesa  e custodita  ? 

Perchè  dai  soffi^gelidi  brumali 
Del  nevoso  aquilon  non  sia  ferita  ; 

Quasi  di  torri , o pUr  d’antemurali 
Coronala  è per  tutto , e ben  munita. 

E perchè  altro  furor  non  la  comlutta. 
Sotto  concavo  tetto  il  corpo  appiatta. 

Dalie  fauci  al  palato  in  alto  ascende. 
Quanto  basta  c convleii,  polputa  e grossa. 
Larga  ha  la  base , e quanto  più  si  stende , 
Si  aguzza  in  cima  ed  è spugnosa  crossa. 
Ha  hi  radice , onde  deriva  e pende , 
Forte,  perchè  aggirar  meglio  si  possa. 
Vofaibilmente  si  ripiega  e vibra. 
Muscolosa , nervosa  e senza  fibra. 

Dico  cosi , che  il  Facilor  sovrano 
Cotale  ad  altro  fin  non  la  costrusse . 

Se  non  perchè  del  nutrimento  umano. 
Che  dal  gusto  provicu , stromento  fusse  ; 
Senza  U qual  uso,  inulil  fora  e vano 
Quanto  di  dolce  al  mondo  egli  produsse. 
E quRta  del  tuo  cor  fiamma  immortale, 
Senta  Cerere  e Sacco  è fredda  e frale. 


Cosi  parla  il  signor  dell’  eloquenza , 
Indi  per  mano  il  vago  Adon  conduce 
Là  dove  pompa  di  reai  credciua 
Veste  1 selvaggi  orror  di  ricca  luce. 

Gin  bell’  arte  disposto  c diligenza 
L’ orò  e r elettro  in  ordine  riluce. 

Di  materia  miglior  p<fi  vi  si  squadra 
DI  altre  vasclla  ancor  serie  leggiadra. 

« 

Ma  due  fra  gli  altri  di  maggior  mi.siini 
Di  un  intero  smeraldo  .Adon  ne  vide. 
Gemma  d’ Amor,  che  cede , e non  s’indnra 
Allo  scarpello , e col  bel  verde  ride. 

Non  so  se  di  si  nobile  scultura 
Oggi  alcun’  opra  il  gran  Bologna  Incide, 
Che  I bei  rilievi  c I dliicati  intagli 
Qui  da  Dedalo  fatti , in  parte  aggusqtU. 

In  un  del  vasi  il  simulacro  altero 
Della  Diva  del  loco  è scolto  e finto, 

Ma  al  sembiante  è II  simulato  al  vero , 
Clic  I’  esser  dal  parer  quasi  n’  è vinta. 

Il  sanguigno  concetto,  e il  suo  primiero 
Fortunato  natal  vi  appar  distinto. 
Miracolo  a veder,  come  pria  nacque 
Genitrice  di  Amor,  figlia  dell’  acque. 

Saturno  v’è,  che  al  proprio  padre  tronca 
L’ oscene  membra,  e daHe  in  preda  a Dori. 
Dori  le  accoglie  in  crisiallina  conca , 
Fatta  nutrice  dei  nascenti  ardori. 

Zefliro  v’  è , che  fuor  di  sua  spelonca 
Batte  r ali  dipinte  a più  colori  ; 

E del  parto  gentil  ministro  fido-' 

Sospinge  il  flutto  leggiermente  al  Udo. 

Vedresti  per  lo  liquido  elemento 
Nuotar  la  spuma  gravida  c feconda. 
Poscia  in  oro  cangiarsi  U molle  argento, 
E farsi  chioma  inanellala  c bionda. 

La  bionda  chioma  incatenandoli  vento 
Serpeggia,  e si  rincrespa,* emula  ali’  onda. 
Ecco  spunta  la  fronte  a poco  a poco , 
Glàl’acquc  aduo  he  gli  occhi  ardondi  foco. 

0 meraviglia , e trasformar  si  scorge 
In  bianche  membra  alfìn  la  bianca  spuma. 
Nuoto  Sol  dall’  Egeo  si  leva  e sorge , 
Che  il  mar  tranquilla  e l’ aria  intornoallu- 
Soldi  beltà,  che  altrui  conforto  porge,  [ma 
E dolcemente  l’ aniiue  consuma. 

Cosi  Venere  bella  al  mondo  nasce. 

Un  bel  nicchio  ha  per  cuna,alglie  per  fasce. 


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120  U ARINO. 


Mentre  col  pii  rosato  e rugiadoso 
li  vertice  del  mar  calca  sublime  , 

E con  I’  eburnea  man  del  fluito  ondoso 
Dall’ auree  trecce  il  salso  umor  s’esprime; 
Gii  abitatoc  dei  pelago  spumoso 
Lascian  le  case  lor  palustri  ed  ime, 

K fan  seguendo  II  Tor  ceruleo  duce 
KesUri  osscquj  all'  amorosa  luce. 

Paiemon  d'  un  deiflno  il  curvo  tergo 
Preme  vezzoso  e pargoletto  auriga , 

E balestrando  un  fuggitivo  mergo , 

Pende  i solclii  del  mar  per  torta  riga. 
Quanti  Tritoni  bau  sotto  l’ onde  albergo  ! 
Altri  accoppiali  in  mansueta  biga 
Tiran  planpian  la  conca,  ove  ella  nacque. 
Altri  per  altro  aflar  travaglian  l’ acque. 

Chi  dell’obliquo  corno  a gonflc  gote 
Fa  buccinar  la  rauca  voce  al  cielo. 

Citi  per  sottrarla  al  Sol , che  la  peroole , 
Le  stende  intorno  al  crin  serico  velo. 

Chi  volteggiando  con  lascive  rote 
Le  regge  innanzi  adamantino  gelo, 

E percliè  solo  in  sua  beltà  s'appaghi. 

Ne  fa  lucido  speccliio  agli  occhi  vaghi. 

Nè  di  scherzar  aneli’ elle  infra  costoro 
Del  gran  padre  Nereo  lascian  le  Qglic , ' 
Che  accolte  in  lieto  e sollazzevol  coro 
Cantano  a suon  di  pettini  e conchiglie  ; 

E porgendo  le  van  succino  ed  oro , 
Candide  perle  e porpore  vermiglie. 

Si  fatto  sluol  per  1'  umida  campagna 
La  riceve , la  guida  e l’ accompagna. 

Nell’altro  vaso,  del  suo  figlio  Amore 
Il  nascimento  effigiato  splende. 

Già  la  vedi  languir,  mentre  che  l’ore- 
Vicine  ornai  del  dolce  parto  attende. 
Nella  bella  stagion,  quand’entra  in  fiore 
La  terra,  e notcll’abito  riprende. 

Par  che  l’ Alba  oltre  l’ uso  apra  giocondo 
Il  primo  di  del  più  bel  mese  al  mondo. 

Sovra  molli  origlieri  e verdi  seggi 
La  l>ella  Dea  per  partorir  si  posa. 

Par  die  rida  la  riva,  e che  rosseggi 
Presso  il  musco  fiorilo  indica  rosa. 

Par  die  l'onda  di  Cipro  appena  ondeggi. 
Danzano  i pesci  in  su  la  sponda  erbosa. 
Con  padfidie  arene  ed  acque  chiare 
• Par  senza  flutto,  e senza  moto  il  mare. 


Per  non  farsi  Importuni  I zefliretti 
A quelle  dolcemente  amare  doglie , 

Stràzi  a dormir,  quasi  in  purpurei  letti , 
De' vicini  roseli  infra  le  foglie. 

Cailgon  r aure  lascive  odori  eletti 
Per  Irrigar  le  rugiadose  spoglie,  ^ ■ 
Spoglie  bagnate  di  celeste  sangue. 

Dove  tanta  beltà  sospira  e langue. 

Pria  che  gli  occhi  apra  al  Sol, le  labbra  al 
Per  le  viscere  anguste  Amor  sai  lanle,[laUc, 
Precorre  l’ora  impetuoso,  e balte 
li  sen  materno  con  feroci  piante  ; 

E del  ventre  divin  le  porte  intatte 
Si  apre  c prorompe  intempestivo  infante. 
Senza  mano  ostetrice  ecco  vien  fuori. 

Ed  ha  fasce  le  fronde,  e cuna  I fiori. 

Fuor  dei  candido  grembo  appena  esposto. 
Le  guizza  in  braccio,indi  lastringc  C tocca. 
Pigolando  vagisce,  e corre  tosto 
Sull’  urna  manca  a conficcar  la  bocca. 
Stillan  le  Grazie  il  latte,  ed  è composto 
Di  mel,  qual  più  soave  Ibla  mai  fiocca. 
Parte  alternando  ancor  balia  e mammelle. 
Dalie  tigri  è lattato,  e dalle  agnelle. 

Stame  eterno  al  bambin  le  filatrici 
Di  ogni  vita  mortai  tiran  cantando. 

Van  mansuete  in  su  quel  campi  aprici 
Le  fere  più  terribili  baccando. 

Tresca  il  leone,  e con  ruggiti  amici 
li  vezzoso  torci  lecca  scherzando, 

E con  l’unghia  sonora  e col  nitrito, 

Ueto  applaude  il  destriero  al  suo  vagito. 

Bacia  l’ agncl  con  innocente  morso 
Acceso  il  lupo  d’amorosa  fiamma.  ^ 

La  lepre  il  cane  abbraccia,  e l’ ispid’  orso 
La  giovenca  si  ticn  sotto  la  mamma. 
L’aspra  pantera  in  sul  vergato  dorso 
Gode  portar  la  semplicetta  damma. 

E toccare  il  dragon,  benché  pungente 
Del  nemico  elefante  ardisce  il  dente. 

Mirasi  Citerea,  che  gli  amorosi 
Scherzi  ferini  di  mirar  si  appaga, 

E ride,  die  animai  tanto  orgogliosi 
Sentan  per  un  fanciullo  incendio  e piaga. 
Par  che  sol  del  cinghiai  mirar  non  osi 
Gioco,  festa,  o piacer,  quasi  presaga. 
Presaga,  die  per  lui  tronca  una  vita. 
Ogni  delizia  sua  le  fia  rapita. 


Digiti/.  , l.v  t.nn^lc 


L’ADONE.  121 


Tal  de’ vasti  il  lavoro.  Amor  si  appiglia 
Alla  maggior  delle  gemmate  coppe, 
Poscia  di  quello  sluol  che  rassomiglia 
l.e  .Semidcc  che  si  cangiaro  In  ploppc. 
Per  farne  scaturir  pioggia  vermiglia. 

Ad  una  con  lo  strai  svena  le  poppe, 

E fa  che  dal  bel  sen  per  cento  spilli 
Odorato  licor  dentro  vi  stilli. 

E tre  volte  ripiena,  ad  una  ad  una 
Tutte  forbillc,  e propinò  ridendo. 

Ne  bebbeuna  a Mercurio,  a Veneruna, 
Una  a colui  che  la  distrugge  ardendo. 
(>jsl  a ciascun  ne  dedicò  ciascuna, 

Ijà  prima  alla  salote  offrì  bevendo, 
L’altro  vaso  di  vìn  colmo  e spumoso 
Diede  al  piacere,  e rullìnio  al  riposo. 

Cento  Ninfe  leggiadre  e cento  amori. 
Cento  Fauni  nell' opra  abili  e destri , 
Quinci  e quindi  portando  e frutti  e fiori 
Son  della  bella  inibandìgion  maestri. 

Qui  con  purpurea  man  Zefiìro  e Clori 
Votau  dì  gìgli  e rose  ampj  canestri. 

La  Pomona  e Vertunno  bau  culmi  c pieni 
Dei  lor  doni  maturi  I cesti  e i Seni. 

Natura  delle  cose  è dispensiera, 

L’ Arte  condisce  quel  ch’ella  dispensa. 
Versa  Amaltea,  che  n’è  la  vivandiera, 
Del  riccòcorno  suo  la  copia  immensa. 
Havvi  le  Grazie  amorosctte  in  schiera, 

E loro  ulficiu  ò rassettar  la  mensa , 

E vigilante  infra  i ministri  accorti 
Il  robusto  custode  havvi  degli  orti. 

Ogni  sergente  a prova,  ed  ogni  serva 
Le  portate  apparecchia  e le  vivande. 
Altri  di  man  d’Aracnc  e di  Minerva 
Su  i tronchi,  c per  il  suol  cortine  spande, 
.Altri  le  tazze,  acciocché  Bacco  ferva. 
Corona  d'odorifere  ghirlande. 

Chi  stendo  in  su  i tappeti  i bianchi  drappi. 
Citi  vi  poti  gli  aurei  piatti  egli  aurei  nappi. 


E tutta  in  moto  la  famiglia,  or  vanno 
Quei  che  curano  il  pasto,  or  fan  ritorno. 
Alcuni  amori  a ventilar  vi  stanno 
Con  ali  aperte,  e sferzan  l’ aure  intorno. 
Le  quattro  figlie  del  fruttifer  anno 
Per  fare  in  tutto  il  l>el  convito  adorno, 
Hecan  d'ogni  stagiou  tributi  eletti, 

E son  diverse  d’ abiti  c d’aspetti. 

Ingombra  una  di  lor  di  fosco  velo 
La  negra  fronte  e la  nevosa  testa. 

Di  condensalo  e cristallino  gelo 
Stringe  l’umido  crin  fascia  contesta. 
Qual  nubiloso  e folgorante  cielu 
Minaccia  II  ciglio  torbida  tempesta. 

Copre  il  rugoso  sen  neve  canuta. 

Calza  II  gelido  piè  grandine  acuta. 

Altra  spirando  ognor  secondo  fiato 
Ride  con  giovenii  faccia  serena. 

Un  fiorito  legame  ed  odorato 
lai  sparsa  chioma  e rugiadosa  alfrena. 
l.a  sua  vesta  è cangiante,  e variato 
Ili  di  color  tanti  ha  II  velo  appena.  ^ 

Va  di  verde  cappello  il  capo  ombrosa. 
Nel  cui  vago  fronlal  s’ apre  una  rosa. 

L'altra  die  intorno  al  minislerio  assiste. 
Par  che  di  sete  e di  calore  avvampi. 
Ispida  il  biondo  crin  d’ aride  ariste. 
Tratta  il  dentato  pettine  dei  campì. 
.Secche  anelan  le  fauci , arsicce  e triste 
Fervon  le  guancie  e vibran  gli  occhi  lampi. 
Umida  di  suder,  di  polve  immonda 
Odia  sempre  la  spoglia  ed  ama  l’ onda. 

Circonda  il  capo  all’ultima  sorella. 
Che  quasi  calvo  è |>oco  mcn  che  tutto, 
Un  diadema d' intorta  uva  novella. 

Di  cedri  e pomi  e pampini  costrutto. 
Intessuta  di  foglie  ha  la  gonnella. 

Di  fronde  il  chito,  ed  ogni  groppo  è frut(o. 
Stilla  umori  il  crin  raro,  e riga  Intanto 
Di  piovosa  grondaia  il  verde  manto. 


Cosi  per  Ibla  alla  novella  estate 
Squadra  di  diligenti  api  si  vede. 

Che  le  lagrime  dolci  c delicate 
Di  Narciso  c d’  Aiace  a sugger  riede. 

Poi  nelle  bianche  celle  edificate 
Vanno  a ripor  le  rugiadose  prede. 

Altra  a comporre  II  favo,  cd  altra  schiera 
Studia  dal  mele  a separar  la  cera. 


Insieme  con  la  Diva  innamorata 
Adone  alla  gran  mensa  il  piè  converse. 
Amor  paggio  c scudier  l'onda  odorata 
Sulle  man  bianche  In  fonte  d'or  gllasperse. 
Amor  scalco  c coppicr  l' esca  l>cata 
In  cava  gemma,  e il  buon  licor  gli  oflerse. 
Amor  del  pasto  ordinator  ben  scaltro 
Pose  a sedere  un  Sole  a fronte  all’altro  • 
0 


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122  MARINa 


SomiglUvan  duo  Soli  ed  ella  ed  egli , 
Cui  nou  fusser  però  nubi  iulerpostc  ; 

£ glaii  uci  volli  lor,  come  in  duo  spegli, 
Lampeggiando  a ferir  le  luci  opposle. 
Dava  coslei  sovente,  e reiidea  quegli 
Di  fiamma  c di  splendor  colpi  e risposte, 
£ con  lucida  eclisse,  e senza  oltraggio 
S'Incontrava  e rompea  raggio  con  raggio- 

Come  Dio  del  piacer,  piacerol  Nume , 
Che  a sollazzi  ed  a feste  0 sempre  inteso. 
Per  mitigar  di  que'  begli  occhi  il  lume , 

E del  Sole  importuno  il  foco  acceso; 
Con  due  smaltate  e gioiellate  piume 
Di  bel  pavun,  die  tra  le  mani  ha  preso, 
L*  aere  agitando  in  lieve  moto  e lento 
Tra  i più  fervidi  ardor  fabbrica  il  vento. 

Mercurio  è quei  che  mesce  e che  rifonde 
Nell’ auree  conche  i preziosi  vint 
Amor  rinfresca  con  le  limpid’  onde 
L'idrie  lucenti  e I vgsi  cristallini. 

L’uno  e l'altro  gli  terge,  e poi  gli  asconde 
Nel  più  denso  rigor  dei  geli  alpini; 

Le  vicende  scambiando  or  questo  or  quello 
Nel  servire  or  di  coppa  or  dì  coltello. 

Traboccan  quindi  liquld’oroe  gravi 
Dì  stillato  ametisto,  urne  spumanti. 
Tengon  gemme  capaci  i ventri  cavi 
Di  rugiada  vital  colmi  e brillanti. 
Sangue  ^ocoudo  c lagrime  soavi, 

Che  non  peste,  versar  l’uvc  pregnanti. 
Onde  di  Cipro  le  feconde  viti 
Sogliou  dolce  aggravar  gli  olmi  mariti. 

La  bella  Dea  di  nettare  vermiglio 
Rugiadoso  cristallo  in  maivsl  strinse, 
Llbullo,  e con  dolce  alto  e lieto  ciglio 
Nel  bel  rubino  i bei  rubiiiHntinsc. 

Poi  di  vergogna  il  semplicetto  giglio 
Violando  di  rosa  , il  volto  tinse , 

£ l’ invitò,  postogli  il  vaso  imianzi , 
Parte  a gustar  de’ generosi  avanzi. 

Il  bel  garzon,chc  ingordamente  assiso 
Presso  queir  esca,  onde  la  vita  ei  prende. 
Tutto  dal  vago  e delicato  viso 
L’altra  spesso  obbliondu,  intento  pende, 
E con  guardo  a nutrir  cupido  e fiso 
Hcn  la  bocca  che  gli  occhi,  avido  intende. 
V’immerge  il  labbro  e visommerge  II  core, 
£ resta  ebbro  di  viu,  ma  più  d’amore. 


Mentre  non  del  gran  pasto  In  sul  più  IH- 
£cco  Momo  arrivar  quivi  si  vede,-  [lo, 
Nomo  critico  Nume,  arco  e flagello, 

Clm  gli  uomini  e gli  Dei  trafigge  e flitlc. 
Ciò  eh’ egli  cerchi,  e qual  pensier  novello 
Tratto  rabbia  dal  del  Vener  gli  diicde; 
E perchè  volentier  scherza  con  esso. 

Sei  fa  seder  per  ascoltarlo  appresso. 

Vo , rispose  lo  Dio , tra  queste  piani  • 
Della  Satira  mia  tracciando  l’orme. 

Della  Satira  mia,  che  poco  avante 
Ha  di  me  generato  un  parto  iirfonne  ; 
Parto  nelle  fattezze  e nel  sembiante 
Si  mostruoso,  orribile  e diflbnne, 

('.he  se  non  fus.se  il  suo  sottile  ingegno, 
Lo  stimerei  di  mia  progenie  indegno. 

Mala  vivacità  mio  figlio  U mostra, 

E lo  spino  gentil,  ch’io  scorgo  in  Ini, 

E quel  che  è proprio  della  stirpe  nostra, 
La  libertà  del  sindacare  altrui , 

Onde  mero  del  par  conteinle  e giostra. 
Che  pur  sempre  del  vero  amico  fui , 

E mentir  mai  non  volli , e mal  non  seppi 
Chiuder  la  lingua  tra  catene  e ceppi. 

I.a  lingua  sua  viepiù  che  spada  taglia,. 
La  penna  stia  viepiù  clic  liamma  coce. 
Con  acuta  favella  il  ferro  smaglia, 

E con  ardente  slil  fulmina  e noce. 

Nè  contro  i morsi  suoi  morso  è che  vaglia. 
Nè  giova  schermo  incontro  alla  sua  voce. 
Indomllo  animale  c stranio  mostro,  [stro. 
Chè  altro  non  luche  il  flato  e chel’iiichio- 

Non  ha  prè,  non  ha  stinchi  and’  ei  si  reg- 
Ha  l’ orecchie  recise  e il  naso  monco,  [ga, 
lo  non  so  come  scriva  e vada  e segga, 

Ch’ è. storpialo,  smeinbratoezoppoecion- 
Ma  benché  così  rotto  egli  si  vegga , [vo, 
Chè  del  corpo  gli  resta  appena  il  tronco. 
Non  pertanto  l’ audacia  in  lui  si  scema. 
Poiché  sol  della  lingua  il  mondo  trema. 

Tal  qual  è senza  piante  e senza  gambe. 
Nei  secoli  futuri  e nei  presenti  [be. 
Delle  man  privo  e delle  braccia  entrain- 
L’ universo  però  fia  che  spaventi,  [eaiiilve, 
Quai  piaghe  ei  faccia,  il  saprà  ben  l.i- 
Chè  colto  da’  suoi  slrali  aspri  e pungenti. 
Di  disperalo  laccio  avvinto  il  collo. 

Darà  di  propria  man  l’ nltimo  crollo. 


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L’  ADONK. 


Gran  cose  ha  di  costui  Febo  indovino 
E previste  e predette  agli  altri  Numi. 
Pronostico  che  nome  avrà  Pasquino; 
Corfettor  delle  genti  e del  costumi. 

Che  per  terror  de’  principi  il  destino 
Gli  darA  d’eloquenza  e mari  c fiumi  ; 

B che  imitarlo  poi  molli  vorranno. 

Ma  non  senza  periglio  e senza  danno. 

Nemico  è della  fama  e della  corte, 
Lacera  i nomi,  e d’adular  non  usa  ; 

In  ferir  tutti  0 simile  alla  morte , 

S’Io  lui  riprendo,  egli  me  stesso  accusa. 
Con  dir  che  II  mio  dirmalnonò  di  sorte. 
Chela  malizia  altrui  resti  confusa. [eterno 
Che  piitf  noi^clie  altri,  il  gran  monarca 
Nota,  punta,  ripicca  e prende  a scherno. 

I fanciulli  rapili  e le  donzelle 
Non  sol  di  rinfacciargli  ardisce  ed  osa. 
Ma  poti  nell’ opre  sue  divine  e belle 
Anco  la  bocca,  e biasma  ogni  sua  cosa. 
Trova  degli  elementi  c delle  stelle 
Imperfetta  la  mole  e difettosa , 

Ogni  parola  Impugita',  emenda  ogni  alto, 
E si  beffa  talor  di  quanto  ha  fallo. 

Da  menda  al  mar,  cli'ha  i venti  e le  tem- 
Alla  terra, che  tremacclie  vacilla,  [peste. 
All’aria,  che  dì  nuvoli  si  veste. 

Ed  al  foco,  clic  fuma  e che  sfavilla. 
Appone  alla  gran  macchina  celeste , 

Che  maligne  Influenze  Infonde  e stilla. 
Che  altra  fiice  si  move,  altra  sta  fissa. 
Che  la  l.unaòmaccliiala,cilSolsio clissa. 

E non  por  di  colui  clic  il  lutto  regge , 
Ma  prende  a mormorar  della  Natura. 
Dice  che  altrui  vii  femmina  dar  logge 
Non  dee,  nè  dee  del  mondo  aver  la  cura. 
La  detesta,  la  danna,  e la  corregge, 

E il  lavoro  dell’  uom  tassa  e censura, 

Cht  non  diè,chè  non  fe’, sciocca  maestra. 
Al  tergo  un  occhio,  al  petto  una  finestra. 

Per  questo  suo  parlar  1 ibero  c sdì  letto 
Giove  dal  del  I’  ha  discacciato  a torlo. 
Gli  fe’  come  al  tuo  sposo,  e per  dispetto 
Se  non  fusse  immortal  1’  avrebbe  morto. 
Precipitato  dal  superno  tetto. 

Restò  rotto  e sciancato  c guasto  c torlo. 
Ha  perchè  pur  co’  detti  altrui  fa  guerra, 
Poco  meglio  che  ln  rieloè  visto  in  terra. 


Sulle  sponde  del  Tebro,  ov’  egli  meno 
Credeacheil  vizio  e il  mal  regnar  dovesse. 

Per  d.ir  legge  al  suo  dir,  che  è senza  freno. 
Tra  boutade  e virtiide  albergo  elesse. 

Ma  non  cessò  di  vomitar  veleno , 

Nè  però  più  che  altrove  ci  tacque  in  cs.se  ; 
Sebben  malconcio,  e senza  un  membro  iii- 
Provò  che  l’odio  aTin  nasce  dal  vcro.[tcro 

Se  tu  vedessi,  0 Dea,  I’  aspre  ferite. 

Che  ha  per  tutte  le  membra  intornosparte. 
Diresti,  che  con  Ercole  ebbe  lite. 

Oche  a guerra  in  steccalo  entrò  con  Marie. 
Cliè  0 sien  vere  l’arcuse,  o sieii  mentite , • 
Ogni  grande  abborrir  suol  la  nosir’  arte, 

E perdendone  alfiu  la  sofferenza , 

Non  voglion  comportar  tanta  licenza. 

Alcun  ben  ve  ne  fu,  clic  s<i  iic  rise, 

E di  .suo  molleggiar  poco  gli  cal.se, 
Peroccb’  egli  è faceto,  c in  varie  guise 
Sa  novelle  compor  veraci  c false  ; 
lìcncliè  l’ arguzie  sue  gìanimai  divìse 
Non  sien  dalle  punture  amare  e salse. 

Lecca  talor  piacevolmente,  e scherza, 
Nondinien  sempre  morde  c sempre  sferza. 

Ma  costoro  eli’  io  dico,  i quali  in  pace 
Lo  lasciali  pur  gracchiar  quanto  egli  volo, 
Sapplendo  per  natura  esser  l<«iuace, 

E che  pronte  ha  l' ingiurie  c le  parole. 

Che  per  rispetto,  o per  tinior  non  tace  , 

E che  irritato  più,  più  garrir  suole, 

Son  poeti!  e rari,  ed  han  sinceri  ! pelli, 
Nè  temoli  che  altri  scopra  i lor  difetti. 

E certo  io  non  so  già,  s’è  lor  conce  s i 
GII  encopij  udir  dì  adulatorcbe  applaude. 
Perchè  non  deggian  poi  nel  modo  istesso 
Il  hiasmo  tollerar,  come  la  laude. 

E se  ai  malvagi  è di  operar  permesso 
Ogni  male  a lor  grado,  ed  ogni  fraudo, 
Percliè  non  lice  ancor  con  pari  artlire 
Come  ad  essi  di  fare,  altrui  di  dire? 

Io  per  me,  bella  Dea,  perchè  altri  offe ’ o 
Si  tenga  dal  mio  dir,  scoppiar  non  voglio; 
Ma  nè  turbarsi  già  dii  n’è  ripre.so. 

Nè  sentir  ne  dovria  stiegno  o cordoglio; 
Perebè  (|ualor,  pur  come  foco  acceso, 

0 rasoio  crudel,  la  lingua  scioglio. 

Con  pieto.so  rigor  di  buon  chirurgo 
Arder  mostro  c ferir,  ma  sano  c purgo. 


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MARINO. 


124 

Orcssnmloil  meschino  in  terra  e incielo 
Per  tal  ragion  perseguitato  tanto, 

In,  che  pur  l’amo  con  paterno  zeio, 
Supplico  II  Nume  tuo  cortese  e santo, 
Ohe  appo  la  fonte  dal  gran  re  di  Deio, 
De’  cigni  tuoi  già  consacrata  ai  canto, 
l.a  dell’ acque  imniorlali  in  sulla  riva 
Ti  piacciaacconsenlir,chc alberghi  e vira. 

Solo  in  <|uell’  isoletta  amena  e lieta, 
('.he  d’ogni  insidia  è Ubera  e seenra, 
Potrà  vita  menar  franca  e quieta, 

K scrivere  c cantar  senza  paura. 

Ivi  sebben  non  è cigno,  è tal  poeta, 

* Ohe  meritar  ben  può  questa  ventura 
D’essere  ascritto  infraquei  scelti  e pochi, 

* Ma  non  sia  chi  l’ attizzi,  o chi  il  provochi. 

.S’ egli  av  V leu  che  talor  d’ ira  s’Infiauimi, 
Invettive  e libelli  usa  per  armi , 
lambì  talor  saetta  ed  epigrammi , 

Talor  satire  vibra  ed  altri  carmi. 

.Stupir  sovente  insieme  e rider  fammi 
Quando  vien  qualche  verso  a recitarmi 
txrntr’  un  che  celebrar  volse  11  Colombo, 
E d’ India  bi  vece  d’or  riportò  piombo. 

Per  impetrar  da  te  questa  dimanda 
Di  essere  ammesso  In  quel  felice  coro, 
Una  fatica  sua  bella  ti  manda. 

Da  cui  scorger  potrai  se  ha  stil  canoro, 
K se  egli  degno  è pur  della  ghirlanda, 
t Uie  altrui  circonda  il  crin  di  verde  alloro. 
In  questo  libro,  che  qui  meco  ho  io. 
Punge  (fuor  che  le  sola)  ogni  altro  Dio. 

Ogni  altro  Dio  dalla  sua  penna  è tocco, 
Kiiorchc  sol  tu,  cui  sacra  il  bel  presente. 
Narra  gli  onor  del  tuo  marito  sciocco, 

E qualche  prova  ancor  di  quel  valente, 
t'he  dell’  asta  malgrado,  e dello  stocco 
So  che  del  cor  t’ ò uscito  c della  mente, 
E se  non  che  oggi  ad  altro  intenta  sci , 
Leggerne  almeno  un  saggio  a te  vorrei. 

Qual  trastullo  maggior  (Ciprigna  disse] 
Dar  ne  potresti  infra  quest’  ozj  nostri , 
Che  farne  udir  di  lor  quante  ne  scrisse. 
Spirto  si  arguto  in  suol  giocosi  inchiostri  ? 
Qual  cosa,  che  più  grata  or  ne  venisse 
Esser  potea  dell’opera  che  mostri? 

Ma  per  meglio  ascoltar  ciò  che  tu  leggi , 
Ti  vogliaui  dirimpetto  ai  nostri  seggi. 


Allor  tra  varia  turba  ascoltatrlcc. 
Assiso  inrnntro  ai  duo  beati  amanti , 

D' oro  fregiato,  P orlo  c la  cornice. 

Si  pose  Monto  un  bel  volume  avanti. 

Le  Vergogne  del  Cielo,  il  titol  dice, 

E diviso  è il  poema  in  molti  canti; 

Ma  fra  molti  un  ne  sceglie,  indi  le  rime 
In  questa  guisa  incominciando,  esprime  ; 

Più  volle  ai  dolci  lor  furti  amorosi 
Ritornati  eran  gii  Venere  e Marte, 
Credendo  a tutti  gli  occhi  essere  ascosi , 
Tanta  avean  nel  celarsi  industria  ed  arte. 
Ma  il  Sol  che  i raggi  acuti  e luminosi 
Manda  per  tutto,  e passa  in  ogni  parte. 
Nella  camera  entrò,  che  in  sé  chiudea 
Lo  Dio  più  forte  e la  più  bella  Dea. 

Veggendogli  d’ amor  rapire  il  frutto 
Seno  a seno  congiunto,  e labbro  a labro. 
Tosto  Vulcano  a riferire  il  tutto 
N’  andò  nell’  antro  alTumigato  e scabro. 
Batter  sentissi  al  caso  indegno  e brutto 
Viepiù  grave  e più  duro  il  torto  fabro 
Di  quel  eh’  egli  adoprava  in  Mongibello, 
Sull’  incudin  del  core  altro  martello. 

Non  fu  già  tanto  il  Sol  col  divin  raggio 
Mosso  per  zelo  a palesar  quell’  onte. 
Quanto  per  vendicar  coti  tale  oltraggio 
La  saetta  che  uccise  il  suo  Fetonte, 

Che  quando  al  troppo  ardito  e poco  saggio 
Garzon  eh’ ci  tatuo  amò,  feri  la  fronte, 
Nonmencheal  nglioilcorpo,al  genitore 
Trafisse  di  pietà  l’ anima  e il  core. 

Poiché  distintamente  il  modo  e il  loco 
Dell’  alta  ingiuria  sua  da  Febo  Intese, 
Nel  petto  ardente  dello  Dio  dei  foco. 
Foco  di  sdegno  assai  maggior  s’ accese. 
Temprar  nell’  ira  sua  si  seppe  poco 
Colui  che  tempra  ogni  più  saldo  arnese. 
De’  fulmini  II  maestro , all’  improvviso 
Fulminato  restò  da  quell’avviso. 

Vassen  là  dove  dei  Ciclopi  ignudi 
Alla  fucina  il  rozzo  stuol  travaglia. 

Fa  percosse  sonar  le  curve  incudi , 

Dà  di  piglio  alla  lima  e alla  tanaglia , 

K potisi  a fabbricar  con  lunghi  studi 
PieghevoI  rete  di  hiinuta  maglia. 

Di  un  infrangihii  filo  adamantino 
La  lavorò  I’  artefice  divino. 


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L’ADONE.  * 125 


DI  quel  laeor  la  maosirla  librile 
Se  ala  dlamaiUe,  o III  mal  si  argomenta. 
Non  men  che  forte,  egH  l' ordì  sottile, 
La  fé*  al  molle  e delicata  e lenta. 

Che  di  filar  giammai  stame  simile 
L'emula  di  Minerva  indarno  tenta; 

E quantunque  con  man  si  tratti  e tocchi, 
InrisibiI  la  trama  t quasi  agli  occhi. 

Con  arte  tale  il  magistero  è fatto. 

Che  ancorch’entrino  I duo  traquel  ritegni. 
Purché  non  faccian  sforzo  in  quanto  al  tat- 
Noosidiscopriran  gli  occulti  ingegni,  [to, 
Ha  se  verran  con  Impeto  a quell'  atto. 
Che  suol  far  cigolar  d’intorno  I legni. 
Tosto  che  il  Ietto  a’  agita  e scompiglia. 
La  rete  scocca,  e al  talamo  si  appiglia. 

Uscito  poi  della  spelonca  nera , 
Zoppiccando  sen  corre  a porla  in  opra. 
Nella  stanza  l' acconcia  in  tal  maniera. 
Che  impossibll  sarà  che  si  discopra. 

Nei  sostegni  di  sotto  alla  lettiera. 

Nelle  travi  del  palco  anco  di  sopra. 

Per  le  cortine  in  giro  ei  la  sospende, 

E tra  le  piume  la  dispiega  e stende. 

Quando  egli  ha  ben  le  ben  conteste  sete 
Disposte  intorno  in  si  sagaci  modi , 

Che  discernere  alcun  delle  seccete 
Fila  non  può  gl’  insidiosi  nodi  ; 

, Lascia  l’ albergo,  e della  tesa  rete 
Dissimulando  le  nascoste  frodi , [ta 
Spia  l’andar  degli  amanti , e il  tempo  aspet- 
Della  placevoi  sua  strana  vendetta. 

Usò  per  affidargli  astuzia  e senno 
Senza  punto  mostrar  l’ira  che  l’arse. 

Fe’  correr  voce,  eh’  el  partla  per  Lenno, 
E il  grido  ad  arte  per  il  del  ne  sparse. 
Udita  la  novella,  al  primo  cenno 
Nel  loco  usato  vennero  a trovarse, 

E per  farlo  di  Dio  divenir  bue. 

Nel  dolce  arringo  entrarono  ambidne. 

Si  tosto,  che  la  cuccia  il  peso  grave 
De’  duo  nudi  campioni  a premer  viene. 
Prima  che  ancor  si  sieno  alla  soave 
Pugna  amorosa  apparecchiali  bene. 

La  macchinata  trappola  la  chiave 
Volge,  che  porge  U moto  alle  catene. 

Fa  II  suo  gioco  l’ ordigno,  e In  quel  diletti 
Rimangono  i duo  rei  legati  e stretti. 


L’  ordito  intrico  in  guisa  tal  si  attinse, 
E si  forte  d’intorno  allor  gl’ involse. 

Che  per  scoler  colui  non  se  ne  scinse. 
Per  dibatter  costei  non  se  ne  sciolse. 

Or  poich’antrambo  avviticchiali  avvinse, 
E in  tale  obbrobrio  a suo  voler  gli  colse. 
Dell’agguato  in  cui  stava,  uscito  il  zoppo. 
Prese  la  corda , ove  atteneasi  il  groppo. 

Della  perfida  rete  II  capo  afferra , 

Indi  del  chiuso  albergo  apre  le  porte, 
Tira  le  coltre,  H padigllon  disserra, 

E convoca  del  elei  tutta  la  coi  le, 

E col  re  dei  guerrieri  entrata  in  guerra 
Scoprendo  lor  la  disleal  consorte 
Avvinta  di  durissima  catena , 

Fa  delle  proprie  Infamie  oscena  scena. 

Deh  venite  a veder,  se  più  vedeste. 
Altamente  gridava,  opre  mai  tali. 

L’ eroe  div  ino.  il  capitan  celeste 
Ditemi  è (|uegli  là.  Divi  imniorlalif 
L’ imprese  sne  terribili  son  queste? 
Quesfi  I trofei  superbi  e trionfali? 

Ecco  le  palme  gloriose  e degne. 

Le  spoglie  illustri  e le  onorale  insegne. 

Gran  Padre,  tu  che  l’ universo  reggi, 
Vienne  a mirar  la  tua  pudica  prole. 

Cosi  serba  Imeneo  le  sacre  leggi  ? 

Tali  ignominie  II  del  permetter  sole? 

E che  fa  dunque  Astrea  negli  alti  seggi , 
Se  punire  I colpevoli  non  vole  ? 

Son  cose  tollerabili  ? sono  atti 
Degni  di  Deità  scherzi  si  fatti  ? 

Ama  la  figlia  tua  questo  soldato 
Sano , gagliardo  e di  giocondo  aspetto, 
E perchè  va  pomposo  e bene  ornalo, 

Di  giacersi  con  lui  prende  diletto. 

Schiva  il  mio  crin  malcullo  e rabbuffalo, 
Del  mio  piè  diseguale  odia  il  difetto, 
L’arsiccio  volto  abborre,  c con  disprezzo 
Mi  schernisce  talor  s’ io  I’  accarezzo. 

Se  zoppo  mi  son  io,  tal  qual  mi  sono, 
Giove  e Giunon,  mi  generaste  voi; 

E generato  forse  agile  c buono. 

Perchè  dal  del  precipitarmi  poi  ? 

Se  pur  volevi,  o gran  Rettor  del  tuono. 
Sotto  giogo  perpetuo  accoppiar  noi. 

Non  dovevi  cosi  prima  sconciarmi, 

0 non  dovevi  poi  genero  farmi. 


120  . MARINO. 


La  colpa  non  è mia  dunque,  se  guasti 
Ilei  piede  i iiPi  ti,  e le  giunture  ho  rotte. 

Se  ruzzo  e senza  pompe  e senza  fasti, 
Tinta  ho  la  farcia  di  color  di  notte, 

Tu  sci,  che  colaggiù  mi  confinasti, 

.\  hitator  delle  sicane  grotte  : 

Ma  se  ancor  quivi  io  ti  iiiiiiistro  e servo, 
•Non  meritai  di  trasfurinarnd  in  cervo. 

Deve  per  questo  la  mia  bella  moglie, 
lli'lla,  ma  poco  onesta,  poco  fida, 
Onalora  a trarsi  le  sfrenate  voglie 
Cieco  appetito  la  conduce  c guida, 

' Punto  eh’  io  inetta  il  piè  fuor  delle  soglie, 
K da  lei  mi  allontani  c mi  divida, 
Puttaneggiando  dentro  H proprio  tetto, 
Disonorare  il  maritai  mio  letto? 

Deve  per  tutto  ciò  negli  altrui  deschi 
riho  cercarla  meretrice  infame, 
Dovunque  il  tiglio  a satollar  I’  adeschi 
Dell’  ingorda  lihidinc  le  brame? 
lo  pure  al  par  dei  più  robusti  e freschi 
Credo  vivanda  aver  per  la  sua  fame, 

Chè  dove  un  membro  èdifettoso,  emanca. 
Altra  parte  supplisce  intera  e franca. 

Ma  non  so  se  in  tal  gioco  avverrà  mai, 
di'  ella  più  mi  tradisca,  erbe  mi  oflenda. 
Cosi,  perfida  e rea,  cosi  farai 
De’  tuoi  dolci  trastulli  amara  emenda, 
Finché  la  dote,  ond'  in  sfolto  comprai 
l e mie  proprie  vergogne  a me  si  renda. 
Poi  per  comuu  quiete  il  Kc  superno 
Vo’  che  faccia  tra  noi  divorzio  eterno. 

Or  mirate  vi  prego,  alme  divino, 

(ili  altrui  conginmi  ai  vitiiperj  miei, 

S’ io  fui  ben  cauto,  c s' in  fui  buono  alfine 
L'ccellatore  e pescatnr  di  Del. 

Dite,  se  aneli' io  so  far  prede  e rapine. 
Come  I’  empio  ligliiiol  sa  di  costei. 
Veggasi  chi  di  noi  mastro  |>iù  scaltro 
Sia  di  reti  c di  lacci,  o l’ uno,  o l’ altro. 

So  che  lieve  è la  pena,  e che  il  mio  torto 
Viepiù  palese  in  tal  gastigo  appare. 

Ma  le  corna  che  ascose  in  grembo  porto, 
Vo'  pormi  in  fronte  manifeste  e chiare, 
Pur  eh’  io  riceva  alnien  questo  conforto 
Di  far  la  festa  pubblica  cvulgarc. 

Voglio  la  parte  aver  del  piacer  mio, 

K poiché  ride  ognun,  ridere  anrh’  io. 


Meiur'  ci  così  dicea,  lutti  coloro, 

Che  alla  favola  bella  eran  presenti. 

Il  teatro  del  ciel  facean  sonoro 
Con  lieti  fischi  c con  faceti  accenti, 

K dìceano  additandogli  fra  loro 
Di  si  novo  spettacolo  ridenti  : 

Ve’  come  il  tardo  alfin  giunse  il  veloce. 
Ve’  come  fu  dal  vii  domo  il  feroce. 

Oh  quanti  fur  Del  gioviuetti,  oh  quanti. 
Che  ioaviditi  di  si  dolce  oggetto. 

In  rimirando  i duo  celesti  amanti. 

Che  staccar  non  poteau  petto  da  petto,  ^ 
Viepiù  d'  invidia  assai  tra'  circostanti. 
Che  di  riso  in  quel  puntoebber  soggetto. 
E per  partecipar  di  quei  legami. 

Curalo  uon  avriau  d’  essere  infanti  ! 

Recalo  avriaiisi  a gran  ventura  molti 
Spettatori  del  caso  e testimoni. 

Più  volentieri  allor,  chc'csser  disciolll. 
Come  lo  Dio  guerricr  farsi  prigioni. 
Destar  tra  nodi  si  soavi  involti 
Voluto  avrian,non  ch'altri,!  duo  vecchioni, 
TUon  dico,  e Saturno,  I freddi  cori 
Accesi  aiKli’  essi  di  amorosi  ardori. 

Pallade  c Cinzia,  verginelle  schive, 
Tenner  gran  pezzo  in  lorlo  sguardo  fiso. 
Poi  da  cose  si  sozze  e si  lascive 
Torsero  in  là,  tinte  di  scorno  il  viso. 
Gliinon  Diva  maggior  delP  altre  Dive, 
Non  senza  un  gentilissimo  sorriso,  . 
Coprissi  il  ciglio  con  la  man  polita, 

Ma  giocava  con  I'  occhio  infra  le  dila. 

Vergognosetla  d'  un  ludibrio  tanto 
l a Dea  d’  amor,  cho  I membri  alabastrini 
Non  avea  da  coprir  velo,  nè  manto. 
Truca  bassa  la  fronte  c gli  occhi  chini. 
Intorno  al  corpo  immacolato  intanto 
Sparsi  i cancelli  de’  legami  fini. 
Graticolando  le  sembianze  lielle. 

Diviso  aveano  un  Sole  in  molte  stelle. 

Dravó  lo  Dio  del  ferro,  e si  contorse 
Quando  il  forte  lacciuol  prima  araiodollo. 
Romper  col  suo  valor  credendo  forse, 

K stracciar  quei  v iluppi  ad  un  sol  crollo  ; 
Ma  poiché  prigiouiero  esser  si  accorse. 
Ne  poterne  ritrae  le  braccia  e il  collo. 
Aneli’  ei,  benché  di  rabbia  enfiato  e pieno, 
A pregar  cominciò  come  Sileno. 


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L’ADONE. 


Viiican  Urn  tulUtia  la  rote  chiusa, 

N<>  scìokIIc  il  nodo,  uè  ralloiKa  il  laccio. 
Olii;  1’  lidìda  nioglicr  cosi  delusa  [do. 
Vuol,  die  i\ial  drudosuo  si  resti  iu  brac- 
Inlciccde  ciascuno,  cd  ri  ricusa 
Di  liliorargli  dal  noioso  impaccio. 

Pur  del  vecchio  Nctliin  consente  ai  preghi 
lihe  la  coppia  impudica  alfin  si  sleghi. 

Dassi  allo  Dio  che  nelle  piante  ha  I’  ale, 
Cura  d’ aprir  quell’  iiigegiio.sa  gabbia. 

Ed  ei  non  intraprende  uflìcio  tale 
Per  cortesia,  ni  per  pietii  che  n’  abbia; 
Ma  percliò  dell'  adultera  iumiurtale, 

Che  di  vergogna  c di  dispetto  arrabliia. 
Se  iogliendo  il  no<lo,clic  l’avvolge  c cliiude. 
Spera  palparle  belle  membra  ighude. 

Illtrc  die  d’acquistarsi  ci  fa  disegno 
I.’  al  redo  indissolubile  e tenace. 

Dico  la  rete,  che  con  tanto  ingegno 
Fu  già  d'  Etna  tessuta  alla  fornace, 

Solo  per  poter  poi  con  quel  ritegno 
Prender  |)er  l'  aria  doride  fugace, 
doride  bella,  che  volando  suolo 
Precorrer  1’  Alba  allo  spuntar  del  Sole. 

Scatenato  il  campion  con  la  diletta, 

].’  lina  piangea  de’  vergognosi  inganui. 
Minacciò  1’  altro  con  crudel  vendetta 
Di  ristorar  d'  uiì  tanto  alTronto  i danni. 
Sorsero  alfln  confusi,  c per  la  fretta 
Insieme  si  scambiar  1'  armi  co'  panni.  . 
Questi  il  vago  vestì,  quelle  I’  amica, 
Marte  la  gonna  c Vener  la  lorica. 

\ idea  l’ istoria  del  successo  intero 
.Molilo  seguir,  poiché  fiir  culli  in  fallo, 

E dir  come  di  giovane  guerriero 
Fu  trasformato  Alettrione  in  gallo; 
die  del  duce  di  Tracia  essendo  usciero, 
('■uernito  d’  armi  e carco  di  metallo. 

Qual  fida  spia,  qual  sentinella  accorta. 

Fu  da  lui  posto  a custodir  la  porla. 

Ma  perchè  il  sonno  il  vinse, e non  ben  ten- 
Perguardarsl  dal  Sul,  la  inolilo  desta,  [ne 
Tal  qual  Irovossi  appunto,  angel  divenne. 
Fa  III  lo  sprone  al  talloii,  con  l’ cl  mo  in  testa. 
I ricchi  arnesi  si  niularo  in  pciuie, 
li  superbo  cimler  cangiossi  in  cresta. 

Ed  or  meglio  vegliando  in  altro  manto. 
Accusa  il  suo  venir  sempre  col  canto. 


ir 

K questo,  cd  altre  ancor  legger  volea. 

Ma  sdegnoso  girò  Venere  il  guardo, 

E |icr  lanciarlo  un  nappo  alaalo  area, 

E il  colpia  se  a fuggir  era  più  tardo. 

Sfaccialo  detrallor,  disse  la  Dea, 

Così  mi  loda  il  tuo  ilgliuol  bugiardo? 

Falliti  le  proprie  e non  l’altrui  vergogne, 
Inieiitor  di  calunnie  e di  mcnaogne. 

DiciòMci-curiu,che  con  gli  altri  Intorno 
Slavalo  ad  ascoltar,  si  rise  molto, 

quando  la  mirò  d’  ira  e di  scorno 
Più  die  foco  soffiato  acci.sa  in  volto  ; 

Di  quel  selvaggio  e rustico  soggiorno 
Disviando  1’  amico  entro  II  più  folto. 

Il  sottrasse  al  furor  dell'  alta  Diva, 
flhe  ne  frenica  di  rabbia  e u'  arrossiva» 

Era  quivi  Talla  fra  I’  olire  ancelle 
Pur  come  F.itcrea,  nata  di  Giove, 

Che  le  Grasie  e le  Muse  arca  sorelle. 

Una  ilcllc  tre  Dive  e delle  nove.  ' 

Più  soave  di  lei  Ira  queste,  o quelle 
O la  lingua,  o la  mano  altra  non  move, 

Talia  Ninfa  de’  mini  e degli  allori, 

Talla  dotta  a cantar  teneri  amori. 

Foistei  d'  avorio  Un  curvo  stromenio 
RccossI  in  braccio,  e giunta  innanzi  a loro 
Degli  aurei  tasti  in  suon  dimesso  e lento 
Tutto  pria  ricercò  I'  ordin  sonoro. 

Indi  con  pieno,  chiaro,  allo  concento 
Scoccò  dolce  canzon  dall’  areo  d'  oro, 

E fur  pungenti  si  ma  non  mortali 
l.c  note  a chi  1’  udi  ferite  e strali. 

Saggia  Talia,  che  in  sul  florirdegll  anni 
Fosti  de’  miei  pensicr  la  cura  prima, 

E meco  i molli  e giovenili  aflanni 
Non  senza  altrui  piacer  cantasti  in  rlofat 
Tu  lo  mio  stile  debile  su  I vanni 
Al  del  sollev  a,  onde  i tuoi  detti  csprinN. 
Sv.'glia  I’  ingegno,  e con  celeste  aita 
Movi  al  cauto  le  voci,  al  suon  le  dita. 

Amor  è.  fiamma , che  dal  primo  e vero 
Foco  deriva,  e iu  gentil  cor  si  apprende, 

E rischiarando  il  torbido  pensiero 
Altrui  sovente  il  desir  vago  incende; 

E scorge  per  drittissimo  sentiero 
L'anima  al  gran  priiicipio.ond’clla  scende;  * 
I 'Mostrandole  quaggiù  quella,  che  pria 
I Vide  lassù,  bellezza  c leggiadria. 


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1J8  MARI>0. 

Amor  desìo  di  bel,  virtù  che  spira  Segue  il  suoinaschio per  Icvieprofonde 

Sol  dolcezza,  piacer,  conforto  e pace.  La  smisurata  e ruvida  balena. 

Toglie  al  cieco  furor  l' orgoglio  e l'ira.  Va  dietro  alla  sua  femmina  per  l'oiide 

Gli  fa  r armi  cader,  gelar  la  face.  Ondeggiando  il  dellin  con  curvaseli  iena. 

Il  forte.  Il  fior,cheìlquintocerchioaggira.  Qui  con  lingua  d’Amor  muta  risponde 
Alle  forze  d*  Amor  vinto  soggiace.  All’  angue  lusingbicr  l' aspra  murena. 

Unico  autor  d’  ogni  leggiadro  aflctto,  l.à  con  nodi  d'amor  saldi  e tenaci 
Sommo  ben,  sommo  bel,  sommo  diletto.  Porge  una  conca  all’  altra  conca  i bari. 

Ardon  là  nel  beato  alto  soggiorno  Amano  Tacque  istcsse.  Rllesen  vanno 

Ancor  d’  eterno  amor  T eterne  menti.  Al  fonte  originai , che  a si  le  Invita  ; 

Son  catene  d’ amor  queste  che  intorno  E se  al  bel  corso,  che  lasciar  non  sanm', 

Strlugon  si  forte  il  ciel,  fasce  lucenti.  ti  precisa  la  via  piana  e spedita , 

E questi  lumi  che  fan  notte  e giorno,  Tal  con  forza  amorosa  impeto  fanno, 
Son  del  lor  fabbro  Amor  faville  ardenti,  (ihc  s’apron,  rotti  gli  argini,  l’uscita. 
Foco  d’ Amore  è quel  che  asciuga  incielo  In  seno  il  mari’ accoglie,  e in  lor  trasfonde 


Alla  gelida  Dea  T umido  velo. 

Ama  la  terra  il  cielo,  e il  bel  sembiante 
Mostra  ridente  a lui,  che  T innamora, 

E sol  per  farsi  cara  al  caro  amante 
S’adMna,ilsens’ingemma,ilcrins’infisra. 
I vapor  dalle  viscere,  anelante 
Quasi  a lui  sospirando,  esala  ognora. 

I raucid  suoni^  i crolli  impetuosi 
Gemiti  son  d’ amor,  moti  amorosi. 

Nè  già  r amato  cielo  ama  lei  meno 
Che  con  milT  occhi  sempre  la  vagheggia. 
A lei  piagne  piovoso,  a lei  sereno 
Ride,  e sospira  a le!  quando  lampeggia. 
Irrigator  del  suo  fecondo  seno. 

Io  vicende  d'  amor  seco  gareggia, 

E fa  eh’  ella  poi  gravida  gennoglie  [glie. 
Piante  e flor,  frutti  e fronde,  erbette  e fo- 

Qual  si  leggiero,  o si  veloce  l’ ale 
Spiega  per  l’ampio  ciel  vago  augelletto. 
Cui  dell'alato  arder  l’alato  strale 
Eoon  giunga  e non  punga  insieme  II  petto? 
Qual  pesce  guizza  in  freddo  stagno?  oqualc 
Cova  de’  Humi  il  cristallino  letto. 

Cui  non  riscaldi  Amor,cli’  entro  peri’  onde 
Vivi  del  suo  bel  foco  i semi  asconde? 

Nel  mar,  nel  mare  istesso,  ove  da  Teli 
Ebbe  la  bella  madre  umida  cuna , 

Più  che  del  pescator,  d’Amor  le  reti 
llan  forza,  e regna  Amor  più  che  Fortuna. 
E perchè  da’  pittori , c da'  poeti 
Ignudo  è finto  e senza  spoglia  alcuna. 

Se  non  perchè  sott’acqua  a nuoto  scende, 
E del  suo  foco  i freddi  Numi  accende? 


Prodigamenle  II  proprio  nome  e Tonde. 

Ricetta  II  tortorei  con  la  compagna 
(Bell’  esemplo  di  fede)  un  rjbiio,  un  nido. 
E se  T un  poi  vieti  mcn,  l’altra  si  lagna, 
E fere  il  ciel  di  doloroso  strido, 
lai  colomba  gentil  non  si  scompagna 
Dal  consorte  giammai  diletto  e fido. 
Coppia,  In  cui  si  mantien  semplice  e pura 
L’ lunocenza'd’ Amore  e di  Natura. 

Teme  il  cigno  d’Amor  la  face  ardente 
Viepiù  che  il  foco  dell’  eterna  sfera, 

E più  d’Amor  Tartiglioaspro  e pungente 
Che  dell’  àquila  rapida  e guerriera. 
L’aquila  ancor  del  fulmine  possente 
Ministra  e d’ogn!  augel  reina  altera. 

Noi  teme  meno,  anzi  d’altrui  predare 
Fatta  preda  d’ Amor,  d' Amor  si  sface. 

Il  ficr  leon  con  la  leonza  invitta 
Amor  sol  V Ilice,  ed  al  suo  giogo  allaccia. 
Più  dall’  aurato  strai  geme  trafitta 
L’ orsa  criidel , che  dallo  spiede  in  caccia. 
Fa  vezzi  al  tigre  suo  la  tigre  alllitta  , 

Il  qual  co’  piè  levati  alto  T abbraccia. 
Posa  il dcslrier non  trova,  c parche  piene 
Sol  del  foco  del  core  abbia  le  vene. 

Spira  accesa  d’Amor  losco  amoroso 
La  vipera  peggior  di  ogni  altra  biscia. 
Ella  per  allcttar  l’aspe  orgoglioso 
D’ oro  si  veste  e incontro  al  Sol  si  liscia. 
Correglì  in  grembo  lo  scaldato  sposo. 
Seco  insieme  si  stringe  e .seco  striscia. 
Son  baci  i morsi,  e si  gl’  irrita  Amore  , 
('.he  di  piaceri’  un  morde,  c l’altro  more. 


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129 


L’ADONE. 


Dal  MIO  rnoalon  non  lungo, a pièd’  un  lau- 
Mentr'  ei  pugna  per  lei  sussi  l’agnella,  [ro 
E per  dargli  al  travaglio  alcun  resUuro, 
Se  riede  vincitor  gli  applaude  anch’  ella. 
Ardi  il  robusto  e giovinetto  tauro 
Per  la  giovenca  sua  vexzosa  e bella 
E nei  tronchi  per  lei  l'armi  ritorte 
Aguzza  e sfida  H fier  rivale  a morte. 

Non  ch'altro,  I tronchi  stessi,  I tronchi,  i 
Senton  dolci  d' Amor  nodi  e ferite,  [tralci 
Chi  può  dir  come  agli  olmi  e come  ai  salci 
L’edra  sempre  si  abbarbichi  e la  vite? 
E chi  non  sa  che  se  con  scuri , o falci 
Da  spietato  boschler  son  disunite, 
Lagrimando  d’ Amor  cosi  recise, 

SI  lagnan  della  man  che  l’ ha  divise? 

Fronda  in  ramo  non  vivc,o  ramo  in  pian- 
Cui  non  sla  dato  entro  la  ruvid'  alma  [ U 
Sentir  quella  virtù  feconda  e sanU, 

Che  con  nodo  reciproco  le  incalma. 

Con  sibili  amorosi  Amor  si  vanu 
Far  sospirare  II  fras.sino  e la  palma. 
Baciansi  i mirti,  e con  scaml)ievol  groppo 
Alno  ad  alno  si  sposa , e pioppo  a pioppo. 


Ma  qual  si  dura,  o gelida  si  trova 
Cosa  quaggiù  die  ferro  agguagli,  o pietra  ? 
La  pietra  e II  ferro  ancor  badansi  a prova. 
Nè  dal  rozzo  seguace  ella  si  arretra. 

Da  viva  pietra , ove  altri  il  tratti  e mova. 
Vive  d’ amor  faviile  il  ferro  spelra  ; 

E il  ferro  istesso  Intenerito  e molle 
In  fucina  d’ Amor  s'incende  e bolle. 

Se  Amor  dunque  sostegno  è di  Natura, 
Se  Amore  è pace  di  ogni  nostra  guerra  , 
Se  alle  forze  d*  Amor  forza  non  dura , 

Se  le  glorie  d 'Amor  mela  non  serra , 

Sé  la  virtù  dell'  amorosa  arsura 
In  del  regna,  in  abisso,  in  mare,  in  terra  ; 
Qual  fia , che  non  adori , alma  gentile 
Le  catene  d' Amor,  l'arco  e il  focile? 

Mentre  la  Musa  in  stil  leggiadro  c grave 
Fea  con  maestra  man  guizzar  le  corde , 
E ne  traca  di  melodia  soave 
All'  armonico  del  lenor  concorde; 

Su  per  gli  eburnei  bischeri  la  chiave 
Volgendo  per  temprar  nervo  discorde , 
Un  per  caso  ne  ruppe,  e si  le  spiacque  [que. 
Che  appese  ilplettroa  un  ramoscello,c  tac- 


CANTO  OTTAVO. 

I TRASTULLI. 


ALLEGORIA. 

Il  Piacere,  che  nel  Giardino  del  Tallo  sta  in  compagnia  della  Lascivia,  allude  alla 
scellerata  opinione  di  coloro,  clic  posero  il  sommo  bene  nel  diletti  sensuali.  Adone 
che  si  spoglia  e lava  , significa  1'  uomo,  che  datosi  in  preda  alle  carnalità,  ed  attuf- 
fandosi  dentro  l' acque  del  senso,  rimane  ignudo  c privo  degli  abiti  buoni  e virtuosi. 
I vezzi  di  Venere  , che  con  esso  lui  si  trastulla , vogliono  inferire  le  lusinghe  della 
carne  licenziosa  c sfacciata , la  quale  ama  ed  accarezza  volentieri  il  diletto. 


ASCOUESTO. 

Perviene  Adone  alle  delizie  estreme, 

E prendendo  tra  lor  dolce  Ira-suillo  a 

L’innamorata  Diva  o il  bel  fanciullo. 

Alla  mela  d’ Amor  giangono  insieme. 


Giovani  amanti  e donne  innamorate. 
In  cui  ferve  d’ Amor  dolce  desio. 

Per  voi  scrivo,  a voi  parlo,  or  voi  prestate 
Favorevoli  orecchie  al  cantar  mio. 


Esser  non  può,  che  alla  canuta  ctate 
Abbia  punto  a giovar  quel  che  cant'  io. 
Fugga  di  piacer  vano  esca  soave 
Bianco  crin,  crespa  fronte  e ciglio  grave. 


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no  MARINO. 


Spn-so  la  curva  c <lt'l>ilr  vrrcliicua, 
Ole  )(elale  ha  le  vene  e l'  ossa  vote. 
Incapace  dell’ ultima ilolccraa 
Ahiiorre  quel  che  conseguir  non  potè. 

I nni  non  atto  ad  amar,  disama  e sprezza 
Anco  il  tener  iteli’  amorose  note  ; 

K il  ben  che  di  goder  si  vieta  a Ini, 
l'er  invidia  dannar  suole  in  altrui. 

Lunge,  deh  lunge,  alme  severe  e schive 
Italia  mia  molle  c lusinghiera  Musa. 

Ita  poesie  si  tenere  e lascive 
Incorrotta  onesti  vadane  esclusa. 

Ah  non  venga  a biasmar  qtiam’  ella  scrive 
b’  implacahii  censor  rigida  accusa, 

I.a  cui  caliiiinla  con  maligne  emende 
I.e  cose  irreprensibili  riprende. 

Di  poema  mor.al  gravi  concetti 
Non  speri  udire  Ipocrisia  ritrosa, 

Ohe  notando  nel  ben  solo  I diletli, 

Suol  cor  la  spina  e riliutar  la  rosa. 

So  che  fra  le  delizie  e fra  I diletti 
begli  sclierzi  innocenti,  alma  amorosa 
Cautamente  trattar  sapri  per  gioco, 
Senza  incendio,  o fcTila  il  ferro  e il  foco. 

Suggon  r Istesso  fior  nei  prati  iblei 
Ape  henigna  c vipera  crudele, 

K secondo  gl’  istinti  o Intoni,  o rei, 

I.’  una  in  tosco  il  converte  e l’altra  in  iiiclc. 
Or  se  avverrà,  che  alritti  dai  versi  miei 
Cantcepi.sra  veleno  e tragga  fele, 

Altri  forse  sarà  itten  fiero  ed  empio. 

Che  raccolga  da  lor  frutto  d’  esempio. 

Sia  modesto  I* autor;  clit  sien  le  carte 
Men  piidielte  lalor,  curar  non  deve. 

I.’  liso  dei  vezzi  e il  vaneggiar  dell’  arte 

0 non  i colpa , oppiir  la  colpa  è lieve. 
Chi  dalle  rime  mie  d’  Amor  coiisparte 
Vergogna  miete,  o scandalo  riceve  ; 
Condanni,  o sensi  II  giovcitile  errore, 
C.liò  se  oscena  fi  la  penna,  <■  casto  II  core. 

Già  sergenti  ed  ancelle  avean  levali 
Dalle  candide  nappe  i iinp|ri  d’  oro, 

In  mi  di  cilii  eletti  e delicati 

1 duo  presi  d’  Amor  preser  ristoro  ; 
fhide  poleh’  a versar  fiumi  odorali 
Venne  I’  aureo  bacii)  tra  le  man  loro, 
Sull  I mensa  volò  lieta  e fiorila 

Il  bianro  biavo  ad  asciugar  le  dita. 


Allor  dal  seggio  suo  Venere  sorta 
Verso  r ultima  torre  adduce  Adone; 

Vìen  tosto  a disserrar  l’ aurata  porta 
I,’  ostier  dell’  amenissima  magione. 
Ignudo  ha  il  mauro  hraccio.e  l’unghia  torta 
V’aDìgge  dentro,  eslringelo  iin  falcone. 
I.e  talpe,  le  testiidini  e I’  aragne 
Soli  sempre  di  costui  Ade  compagne.  ' 

Chiuso  nell’ampio  e ben  capace  seno 
quel  giardin,  della  maestra  torre. 

Degli  altri  assai  pifi  spazioso  c pieno 
Di  quante  seppe  Amor  gioir  raccorre. 
l'n  largo  cerchio,  e di  bell’  ombre  ameno 
Viene  un  teatro  .sferico  a comporre. 

Clic  col  gran  cimo  deir  eccelse  mura 
Protegge  la  gratissima  verdura. 

Adnn  va  i nnanzì,  e par  che  novo  aSètto 
Di  amorosa  dolcezza  il  cor  gli  stringa. 
Nuli  fu  mai  d'atto  molle  osceno  oggetto. 
Glie  (|iiivi  agli  occhi  suol  non  s!  dipinga. 
Seiiihianli  di  lascivia  c di  diletto, 
Simiilaeri  ili  vezzo  e dì  lusinga. 

Trastulli,  amori,  o fermi  il  guardo,  o giri, 
GII  son  sempre  presenti,  ovunque  miri'. 

Sembra  il  felice  e dilettoso  loco 
Pien  d’ angelica  festa  un  paradisa. 

Spira  quivi  il  sospiro  aure  di  foco. 
Vaneggia  il  guardo  c lussureggia  il  riso. 
Corre  a baciarsi  con  lo  scherzo  il  gioco. 
Slassi  il  diletinìn  greiiibnal  vezzo  assiso. 
Scaccia  lunge  il  piacer  con  una  sferza 
Le  gravi  cure  c col  trastullo  scherza. 

Chino  la  fronte  e con  lo  sguardo  a terra 
I.’ amoroso  pensier  rode  sè  stesso. 

Chiede  conforto  al  diiol,pace  alla  guerra, 
11  prego  In  atto  supplice  e dimesso. 
Scopre  negli  ocelli  quel  che  II  petto  serra 
Il  cenno  del  desir  tacilo  messo. 

Sporge  le  lalihra  c l’ altrui  labbra  sugge 
Il  bacio,  c nel  liaciar  sè  stesso  strugge. 

Sta  l’adnlazioii  sovra  le  soglie 
Del  dolce  albergo,  e il  pcregrin  vi  guida. 
La  proiiie.ssa  l’ Inv  ila,  c in  guardia  il  toglie  ; 
La  gioia  l’acrnmp.agna,  c par  che  rida. 
La  vaniti  ciasrun  che  v’enlra  accoglie, 

K la  credenza  ogni  ritroso  affida. 

La  rirrheiza  di  porpore  vestita 
Superbamente  I suoi  lesorgil  addila. 


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L’ADOIiE.  tSl 


Mavvi  r o2io,  clic  laogiic  c si  riposa 
Lento  ed  aRìato,  e in  ogni  passo  siede. 
Pigro  e con  rroiitc  stupida  e gravosa 
Si'guclo  il  sonno,  e mal  sostiensi  in  piede. 
Ordir  di  giglio,  incatenar  di  rosa 
l'i'cgi  al  suo  criii  la  gioventù  si  vede. 
Seco  strette  Ita  per  mano  in  compagnia 
licita,  grazia,  vaghezza  e leggiadria. 

(km  l'ingordo  desio  ne  vien  la  speme 
l'erflda,  adulalricc  e lusinghiera.  * 
Mascherati  la  faccia,  errano  insieme  [ra. 
I.’accorto  inganno  e la  menzogna  in  schie- 
.Sparsa  lechionie  in  sulla  fronte  estreme 
Kuggendo  va  l’ occasìon  leggiera, 

Italia  per  mezzo  la  letizia  stolta , 

Salta  per  tutto  la  licenza  sciolta. 

L'escae  il  fucile  in  man.sfacciata  putta, 
Ticn  la  lussuria,  ed  all' infamia  applaude. 
Baldanzosa  l' infamia,  ignuda  tutta 
Mon  apprezza  c non  cura  onore,  o laude. 
Le  serpi  della  chioma  orrida  c bruita 
(ktpre  di  vaghi  lior  i’a.stuiafraude; 

E il  velcn  della  lingua  aspro  cil  atroce 
Di  dolce  riso  c mansueta  voi:e. 

Tremar  l'audacia  ai  primi  furti  c starsi 
^'cdi  smorto  il  pallur  caro  agli  amaiiti. 

^ olan  con  lievi  penne  in  aria  sparsi 
(ili  spergiuri  d'Amor  vani  e vaganti. 

(km  l' ire  molli  « facili  a placarsi 
\’an  le  dubbie  vigilie  e i rozzi  pianti , 

E le  gioconde  e placide  paure , 

, E le  gioie  interrotte  e non  secare. 

Bidè  la  terra  <|ul,  caulan  gli  augelli , 
Danzano  i liori  e suonano  le  fronde, 
Sos{)iràn  1'  aure  c piangono  i ruscelli , 

Ai  pianti,  ai  canti,  ai  suoni  eco  risponde. 
Aman  le  fere  ancor  tra  gli  arboscelli. 
Amano  i pesci  entro  le  gelid'undc. 

Le  pietre  iste.sse  e l' ombre  di  <|uel  loco, 
Spirano  spirti  d'  amoroso  foco. 

Addio,  li  lascio.  Ornai  Un  qui  (di  Giove 
Disse  là  giunto  il  niessagger  sagace) 

Per  ignote  contrade  ed  a te  nove. 

Averti  scorto,  o bcli'Adoo,  mi  piace. 
Eccoci  alUne  in  sul  confln,  laddove 
Ugni  guerra  d’ Amor  termina  in  pace. 

Di  quel  senso  gentil  questa  e La  sede, 

A cui  sol  di  certezza  ogni  altro  cede. 


Ogni  altro  senso  può  ben  di  leggiero 
Deluso  esser  talor  da  falsi  oggetti  ; ' 
Questo  sol  no,  lo  qual  sempre  e dei  vero 
Fido  ministro  e padre  dei  diletli. 

Gli  altri  non  possedendo  il  corpo  intero. 
Ma  qualche  |>arle  sol,  non  àon  perfetti. 
Questo  con  atto  univcrsal  distende 
Le  sue  forze  per  tutto,  c liuto  II  prende. 

Vorrei  parlarne,  e ti  verrei  solvendo 
Più  d'un  dubbio  sotlil  delle  mie  scole; 
Ma  tempo  ù da  tacer,  ch’io  ben  comprendo 
t'.he  la  maestra  tua  non  vuol  parole. 

Io  qui  rimango  ad  Erse  mia  (essendo 
Ghirlandetta  di  mirti  e di  viole. 

Tu  vanne  c godi,  lo  so  che  in  tanta  gioia 
Qualunque  compagnia  ti  (ora  a noia. 

Con  un  cenno  cotàirdi  gliigno  astuto 
.Si  rivolse  a Ciprigna  in  questo  dire;- 
Poi  smarrissi  da  lor,  si  che  veduto  ' 

Non  fu  per  più  d' un  di  fino  all’  uscire. 
Ma  pria  che  desse  l'ultimo  saluto 
.\i  duo  focosi  amanti  in  sul  partire , 
Dell’uno  c l’altro  in  pegno  di  mcrced» 
Giunse  le  destre,  e gl'  iuipahuò  per  fede. 

Beslar  soletti  In  quell' orror  frondoso 
l’oiche  Mercurio  dipartissi  e tacque. 
Rigava  un  fonte  il  vicin  margo  erivoso. 
In  cui  forte  Natura  si  compiacque,  [broso 
L’acque  inafliano  il  bosco,  c il  bo.sco  om- 
Sperchia  sé  stesso  entro  le  liinpid’  actfue. 
Talché  un  giardino  in  duo  giardin  distinta 
Vi  si  vedea  T un  vero,  c l'altro  finto. 

Porta  da  questo  fonte  umile  e lento. 
Per  torto  solco  il  piccini  corno  un  rio. 
Parria  vero  cristallo  e vero  argento. 

Se  non  se  nc  sentis.se  il  mormorio. 

D'uro  ha  l’arene,  c vpiindi  è sempre  intenta 
Di  suaviiano  a raccurlo  il  cicco  Dio, 

Onde  fabbrica  poi  gli  aurati  strali , 
Strazio  unmortal  de’  miseri  niorlali. 

In  due  rivi  gcuiclli  si  dirama 
L’amoroso  ruscel , l’ uno  é di  mele  , 

Pien  di  quanta  dolcezza  il  gusto  brama. 
L’altro  corrompo  il  mel  di  tosco  e fele. 
Quel  fcl,  quel  tosco,  onde  armògià  La  fan» 
L’ aspre  saette  dell’ arder  crudele. 
Crudele  arder,  che  anco  il  materno  seno 
Infetlù  d’amarissimo  veleno. 


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132  MARINO. 


Dal  velenoso  c torbido  compagno 
Sen  va  diviso  il  flumicel  melalo. 

Onde  per  canal  d'or  più  d' un  rigagno 
Verga  di  belle  linee  il  verde  prato, 

E sboccan  tutte  in  un  secreto  bagno. 
Che  nel  centro  del  Imsco  £ fabbricato.  _ 
DI  questo  bagno  morbido  e soave 
La  Lascivia  e il  Piacer  tcngon  la  chiave. 

Siede  all’  uscio  iU'lacer  di  quell’albergo 
Con  la  Lascivia  a trastullarsi  inteso; 
'Caraon  di  varia  piuma  alato  il  tergo. 
Ridente  il  volto,  e di  faville  acceso. 

L’ aurato  scudo,  il  coloralo  usbergo 
Giacegli  inutilmente  al  piè  disteso. 
Torpe  tra  1 lior  pacifico  guerriero 
L’elmo  che  una  sirena  ha  per  cimiero. 

Curvo  arpicordo  «hi  vicini  rami 
Pende,  e spesso  dall’aura  ha  molo  c spirto. 
D’ambra  tersa  e sottile  in  biòndi  stami 
Forcheggia  il  crine  intortigliato  ed  irto. 
Tutto  impacciato  di  laccioli  e d’ami , 

Di  fresca  rosa  e di  fiorito  mino. 

Arco  di  bella  e varia  luce  adorno 
Gli  fa  diadema  in  testa,  iride  intorno.. 

Nè  di  men  bella,  o men  serena  faccia 
Mostrasi  io  grembo  a lui  la  lusinghiera. 
Di  viti  è d’ edrc  i capei  d’oro  allaccia , 
Di  canuti  armellin  guarda  una  .schiera. 
Un  capro  allato,  e con  la  destra  abbraccia 
Il  collo  ad  una  libica  pantera. 

Regge  con  l’altra  ad  un  troocon  vicino 
Ammiraglio  lucente  e cristallino. 

Quivi  al  venir  d’ Adone  e Citerea 
Componendo  del  crin  le  ciocche  erranti , 
I dolcissimi  folgori  tergea 
Delle  luci  umidette  e scintillanti. 

Spesso  a un  nido  di  passere  volgca. 

Clic  siiil’arbor  garrian.gli  occhi  incostanti, 
E la  succinia,  ansi  discinta  gonna 
Scorciava  più,  che  non  conviensi  a donna. 

Ferirò  il  beH’Adon  di  meraviglia 
Quelle  forme  vezzose  c lascivette, 

E con  l’ alma  sospesa  in  sulle  ciglia 
Acontcmplarle  immobile  ristette. 

Ella  d' un  bel  rossor  tutta  vermiglia. 
Impedita  da  scherzi  c lusinghette. 

Col  suo  drudo  per  man,  dall’erba  sorse, 
Ed  al  donzei,  che  l' incontrava  accorse. 


Vergala  a liste  d’ or  candida  tela 
DI  sotlil  seta  e di  filalo  argento 
Vela  le  belle  membra,  e «piasi  vela 
Si  gonfia  in  onde  e si  dilata  al  vento. 

E r interno  soppanno  apre  c rivela 
Tra  i suoi  volazzi  In  cento  giri  e cento. 
Crespa  le  rughe  il  lembo,  e non  ben  chiude 
L’ estremiti  delle  bellezze  ignude. 

Dall’  all  dell’  orecchie  ingiù  pendenic 
Di  due  perle  gemelle  il  peso  porta. 
Sostiene,  il  peso  di  fin  or  lucente 
Sferica  verga  in  piccioi  orbe  attorta. 

Di  smeraldi  cader  vezzo  serpente 
Si  lascia  al  sen  con  negligenza  accorta; 

E della  bianca  man,  che  ad  arte  stende, 

D’ Indiche  fiamme  il  vivo  latte  accende. 

Dell’  estivo  calor,  che  mentre  bolle. 

Le  infiamma  il  volto  di  un  incendio  greve. 
Schermo  si  fa  d' uno  stromento  moHc 
DI  piuma  viepiù  candida  che  neve; 

E per  gonfiar  di  sua  superbia  folle 
Con  doppio  vento  il  vano  fasto  e lieve, 
V’hadi  cristallo  orientai  commessi  [si. 
Duo  specclii  in  mezzo,  c si  vagheggia  In  es- 

TeSe  costei  sue  reti  al  vago  Adone. 
Ogni  alto  cr’  amo, ogni  parola  strale. 
Ronipea  talor'  nel  mezzo  il  suo  sermone 
Languidamente,  e coti  dolcezza  tale. 

Che  il  diamante  spezzar  della  ragione 
Polca,  non  che  del  senso  II  vetro  frale. 
Parlava,  e il  suo  parlar  tronco  e diviso 
Fregiava  or  d’ un  sospiro,  or  d’un  sorriso. 

Se  quanto  di  beltà  nel  volto  mostri , 
Tanto  di  cortesia  chiudi  nel  petto, 

Cbè  tal  certo,  diss’  ella,  agli  occhi  nostri 
Argomenti  di  te  porge  l'aspetto  ; 

Venirti  a sollazzar  ne’  chiusi  chiostri 
Non  sdegnerai  di  quel  bealo  letto. 

Nel  tetto  là,  eli’  io  ti  disegno  a dito,  ., 
Come  degno  ne  sei  sarai  servha. 

Questi  èquci,se  noi  sai,cheallrulconec- 
Qucl  ben  chepuòfar  gli  uomini  felici,  [de, 
Ognuno  il  cerca,  ognuno  il  brama  e chie- 
Usan  tutti  per  lui  varj  artifici. 

Chi  ritrovar  nelle  ricchezze  il  crede. 

Chi  nelle  dignità,  dii  negli  amici. 

Ma  raro  il  piè  da  questo  albergo  ei  move 
Nè  (fuorché  nel  mio  grembo)  abita  altrove. 


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0 


L’ADONE.  133 


Del  sozzo  raso,  ore  ogni  mal  si  accoglie, 
Appena  use),  che  fu  chiamalo  in  ciclo;. 
Magli  conrenne  pria  depor  le  spoglie. 
Talché  Ignudo  r'  andò  senz’  alcun  reio. 
Scende  dal  del  sovente  in  «ineste  soglie , 
Dor’ki  gelosa  agli  occhi  Indegni  il  celo. 

Il  celo  altrui  con  ogni  industria  ed  arte, 
Solo  a qualche  mio  caro  io  ne  fo  parie. 

Quando  rotò  nell’ immortai  soggiorno, 
Nacque  nel  mondo  un  temerario  errore. 
Del  manto,  eh’  ei  lasciò,  si  fece  adorno 
Un  arrersario  suo  dello  Dolore. 

Questi  sen  va  con  le  sue  vesti  intorno , 
Sicché  il  somiglia  all’  abito  di  (ore; 

Onde  ciascun  mortai  preso  all’  inganno. 
Invece  del  piacer  segue  l’ aOanno. 

lo  SOI!  poi  sua  compagna,  io  son  colei. 
Che  voigo  In  gioia  ogni  travaglio  e duolo. 
Da  noi  soli  aver  puoi , se  saggio  sei , 

Quel  piacer  de’piacer,cheal  mondo  è solo. 
De’  suoi  seguaci  e de’  seguaci  miei 
È quasi  innumerabile  lo  stuolo; 

Né  tu  dei  men  felice  esser  di  questi , 
Poiché  giunger  tanl’  oltre  oggi  potesti. 

Qui  lavarti  conviene.  A ciò  t’ invita 
Il  loco  agfalo  e la  stagion  cocente. 

Nostra  legge  il  ricliiede,  e la  llorita 
Tua  Itellezza  ed  etade  anco  il  consente. 
Ma  piiVquella  beltà,  che  teco  unita 
Teco  (o  te  fortunato)  arde  egualmente. 
Non  entra  in  questa  casa,  in  quésto  bosco 
Chi  non  vaneggia  e non  folleggia  nosco. 

A queste  parolette  Adon  confuso 
Nulla  risponde,  e taciturno  stassi, 

Chè  a tenerezze  tante  ancor  non  uso 
Tien  dimessa  la  fronte  e gli  occhi  b.vssi. 
Ma  da  più  Ninfe  é circondalo  e chiuso, 
Che  non  vogliun  solTrir,  che  Innanzi  passi. 
Qual  dal  bel  fianco  la  faretra  scioglie. 
Qual  gli  trac  la  cintura  e qual  le  spoglie. 

Air  importuno  sluol , che  l’ incatena , 
Non  senza  scorno  il  giovinetto  cede  ; 

E salvo  un  lento  vel,  che  il  copre  appena, 
Nudo  si  trova  dalla  testa  al  piede. 

Gira  la  vista  allor  lieta  e serena  '' 

Alla  sua  Diva,  e nuda  anco  la  vede. 

Che  ogni  sua  parte  più  secreta  c chiusa 
Confessa  agii  occhi,  ed  alla  selva  accusa. 


Ella  tra  11  verde  dell’ombrosa  chiostra 
Vergognosella  trattasi  in  disparte. 

Sue  guardinghe  bellezze  or  cela,or  mostra. 
Fa  di  sé  stessa  In  un  rapina  e parte. 
Impallidisce,  indi  i pallori  mostra. 
Sembra  caso  ogni  gesto,  ed  é luti’  arte. 
Giungon  vaghezza  ai  vaghi  membri  Ignudi 
Consigliati  disprezzi , Incolti  studi. 

Copriala  aprova  ogni  arboscel  selvaggio 
Con  braccia  di  frondosa  ombra  conteste. 
Perocché  il  Sol  con  curioso  raggio 
Spiar  volca  quella  beltà  celeste. 

Yidesi  di  dolcezza  ancora  il  faggio. 

Il  faggio,  onde  pendean  l’arco  e la  veste 
Non  possendo  capir  quasi  in  sé  stesso. 
Far  più  germogli,  e divenir  più  spesso. 

Il  grappo  alR>r,che  in  su  la  fronte  accolto 
Stringea  del  crine  il  lucido  tesoro , 

Con  la  candida  man  tentato  e scioltn 
Sparse  Ciprigna  In  un  diluvio'd’  oro; 
Onde  a guisa  d’ un  vel  dorato  e folto 
('.elando  il  bianco  sen  tra  l' onde  loro. 

In  mille  minutissimi  ruscelli 
Dal  capo  scaturir  gli  aurei  capelli. 

Celò  II  bel  sen  con  l’aureo  vel,  ma  come 
Appiattando  la  testa  il  cespo  erboso, 
Invan  l’augci,  che  trac  di  Fasi  il  nome. 
Crede  tutto  a chi  il  mira  essersi  ascoso; 
Cosi  sebben  dalle  diOUse  chiome 
Fece  all’alice  bellezze  un  manto  ombroso. 
Scopriva  intanto  infra  quell’  ombre  aurate 
Sol  nel  Sol  de’  begli  occhi  ogni  beliate. 

Oltre  che  di  quel  Sol  chiara  e sereno 
Quella  nube  gentil  non  spicndea  manco. 
Ella  pur  Cerca  or  il  leggiadro  seno 
Velarsi,  or  il  bel  tergo,  or  il  bel  fianco. 
Ma  le  fila  dell’  or  tenersi  a freno 
Sull’  avorio  non  san  lubrico  e bianco  ; 

E quel  che  di  coprir  la  man  si  sforza. 
Audace  venticel  discopre  a forza. 

Vanno  al  gran  bagno.  Or  dall’antichc  car- 
DLBaiae  Cuma  il  paragon  si  taccia,  [te 
In  un  quadro  perfetto  é con  bell’  arte 
Disposto,  ed  ogni  fronte  é conto  braccia. 
Di  ben  comodi  alberghi  in  ogni  parte 
Cinto,  e tre  ne  contien  per  ogni  faccia. 
Camere  e logge  in  triplicata  fila 
Vi  stanno,  ed  ogni  stanza  Itala  sua  pM. 


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m MARINO. 


10  mczito  all'  eililkio  allo  si  scorge 
Piantato  di  diaspro  un  gran  pilastro. 

Per  le  cui  vene  interne  il  fonte  sorge, 
Forate  si  d.v  diligente  mastro, 

t '.lie  per  dodici  canne  intorno  porge 
I.’  acque  in  vasi  d’ acale  e d'  alabastro. 

K <r  argento  ugni  canna  assai  ben  tersa, 
Come  d’  argento  son  1'  acque  die  versa. 

Vansi  l' acque  a versar, ma  plgreelenle 
In  ampie  conche  di  forbiti  sassi. 

Sicché  raccur  si  può  l’ umor  cadente 
Bali’ ordii!  primo  de’  balcon  piò  bassi. 
Pigra  dico  scn  va  l'onda  lucente, 

E move  tardi  i cristallini  passi, 
r.hè  in  si  ricco  canal  mentre  s’aggira 
l.c  sue  delizie  ambulosa  ammira.  . 

-E  quindi  poscia  per  occulta  tromba 
A sita  propria  inagiun  passa  ciascuna, 

E traboccando  con  fragor  riiiiboiiiba , 
Tanto  Incida  più,  quanto  più  bruna. 
Rasscmbra  ogni  magioii  spelonca, o tomba. 
Per  la  luce  del  Sol  luce  di  Luna. 

Pallido  v’  entra  per  anguste  vie , 

Tanto  clic  non  v'  é notte,  e non  v’  é die. 

11  portico,  a cui  l’ onda  in  grembo  piove, 
Serie  di  curvi  fornici  sostiene. 

Fregiano  il  muro  interior,  U dove 

L’  umido  gorgo  a scaricar  si  viene , 
Marmi  dipinti  in  strane  fogge  e nove 
Di  beile  macchie  e di  lucenti  vene. 
Lusingai!  d’ ogni  inloruo  i bei  riposi 
Covili  opachi  c molli  seggi  ombrosi. 

Ma  nulla  opra  mortai  l'arte  infinita 
Della  cava  testudinc  pareggia. 

Che  di  pietre  mirabili  arriccliita 
Splende  e gemma  plebea  non  vi  lampeggia. 
V’ haquelchc’l  cielcquel  chel’crba  imila 
V haqiiel  che  emulo  al  foco  arde  e rosseg- 
Stucchi  non  vi  ha,  madisotlil  lavoro  [già; 
Smalti  sol  coloriti  in  lame  d’oro. 

Tra’  bei  confin  delle  gemmate  rive 
Si  serena  traspar  l’ onda  raccolta , 

Che  i nonsuoi  fregi  usurpa,  c In  sé  descrive 
Tutti  gli  onor  della  superba  volta. 

Non  tanto  forse  in  si  bell’  acque  e vive 
Sdegneria  Cinzia  esser  veduta  e colla. 
Forse  in  acque  si  belle  il  suo  bel  viso 
Meglio  ameria  di  vagheggiar  Narciso^  . 


Qu  i nei , penso,  addi  v ien,chelaloq  uacc  , 

Ciò  Ninfa,  che  per  lui  muta  si  tacque, 

Di  abitar  fatta  vece  or  si  compiace 
Dov’  ei  di  vaneggiar  gii  si  coiupiacqtie. 
Quivi  de’  detti  estremi  ombra  seguace 
D’arco  inarco  lontan  fogge  peri’ acque; 

E qual  d’ Olimpia  entro  l’ eccelsa  mole. 
Moltiplica  risposte  alle  parole. 

Venne  allor  l’ u na  coppia,  d’altra  scor- 
De’  boi  lavacri  al  più  viciu  recesso;  [se 
Né  mollo  andò,  cbé  quindi  uscir  s' accorse 
D’accenti  e baci  un  fremilo  sommesso.  ' 
Adone  a quella  parte  il  passo  torse 
Tanto  che  per  veder  si  fé’  dappresso,  [te, 
Vide, egli caddergli occhi  in  fondoalfon* 
Tanta  vergogna  gli  gravò  la  fronte. 

Su  la  sponda  d’ un  letto  ha  quivi  scorto 
Libidinoso  satiro  e lascivo, 

Lite  a bellissima  Ninfa  in  braccio  attorto 
Il  fior  d’ogni  piacer  coglie  furtivo. 

Del  bel  tenero  fianco  al  suo  conforto 
Palpa  con  una  man  l’ avorio  vivo,  |[  sta  , 
fam  l’altra,  die  ad altr’ opra  intenta  acco- 
Tenta  parte  piò  dolce  e piò  riposta. 

Tra’  noderosi  c nerboruti  amplessi 
Del  robusto  amalor  la  giovinetta 
Genie,  e con  occhi  languidi  e dimessi 
Dispettosa  si  mostra  e sdegnosetta. 

In  viso  invola  ai  baci  ingordi  c spessi, 

E nega  il  dolce,  c più  negando  alletta: 

Ma  mentre  si  sultragge,  e gliel  contende. 
Nelle  scaltre  repulso  i baci  rende. 

Ritrosa  a studio,  e cen  scioccbczze  acCoi^ 
Svilupparsi  da  lui  lalor  s’iiilinge,  [te 
E intanto  tra  le  ruvide  ritorte 
Piò, s’ incatena  c piò  l’ annoda  e cinge , 

In  guisa  tal,  che  non  giammai  più  forte 
Spranga  legno  con  legno  inchioda  e strin- 
F'Iora  non  so,  non  so  se  Frine,  o Taide  [ge. 
Trovar  mai  seppe  oscenità  si  laide. 

Serpe  nel  petto  giovenilc  c vago 
L’alto  piacer  dell’  impudica  vista, 

Chè  alle  forze  d’ Amor  tiranno  c mago 
Esser  non  può,  che  un  dcbol  cor  resista  ; 
Anzi  dall’  esca  della  dolce  imago 
L’ incitalo  desio  vigore  acquista  ; 

E stimolato  al  naturai  suo  corso. 
Maraviglia  non  fia,  se  rompe  il.morso. 


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L'ADONt:.  136 


E la  sua  Dea,  che  il’ amorosi  nodi 
Ila  stretlo  II  core,  a seguitarlo  intenta. 
Con  detti  arguti  e con  astuti  modi 
Pur  tra  viamotteggiaiiiloil  punge  c tenta. 
Codi  pur  (dicca  seco)  il  frullo  godi 
De'  tuoi  dolci  sospir,  coppia  contenta  , 

> .Sospir  ben  sparsi  e ben  tersati  pianti, 
Kelid  amori  c più  felici  amanti. 

Sia  Fortuna  per  voi.  Non  so  se  tanto 
Fia  cortese  per  me  dii  m’ imprigiona. 
Cosi  favella  al  suo  bel  Sole  accanto , 

E sorride  la  Dea,  mentre  ragiona , 
Facendo  pur  dei  destro  braccio  intanto 
Al  suo  Oanco  sinistro  eimrnea  zona. 

K già  calci , che  gl'  introdusse  quivi , 
Spargea  dal  suq  focil  mille  incentivi. 

(>>mc  fiamma  per  fiamma  accresce  foco, 
(avnie  face  per  face  aggiunge  lume, 

I)  come  geminato  a poco  a poco 
Prende  forza  maggior  fiume  per  fiume  ; 
Cosi  il  fanciullo  all’  inonesto  gioco 
Raddoppia  incendio,  e |>ar  che  si  consume, 
E tutto  in  preda  alla  lascivia  ingorda 
Della  modestia  sua  non  si  ricorda. 

Già  di  sò  stesso  già  fatto  maggiore 
Drizzar  si  sente  al  cor  l'acuto  strale. 
Tanto  ch'ornai  di  quel  focoso  ardore 
\ sostener  lo  stimolo  non  vale; 

Onde  anelando  il  gran  desìi-,  che  il  core 
(kin  sollecito  spron  punge  ed  assale, 

E bramoso  di  hrsi  a pien  felice , 

Pur  rivolto  alla  Dea , la  bacia  o dice: 

lo  moro,  io  moro,  ohimè,  se  non  mi  dona 
Opportuna  pietà  matura  aita. 

Se  di  me  non  vi  cal , già  si  sprigiona. 
Già  pemlente  al  suo  fin  corre  la  vita. 
Ferve  la  fiamma,  ed  imminente  e prona 
L'anima  già  prorompe  insù  l’uscita. 
Quella  beltà,  per  cui  convien  ch'io  mora, 
Suscita  con  gli  spirti  i membri  ancora. 

Tostoebe  a dolce  guerra  Amor  protervo 
.Mi  venne  oggi  a sfidar  con  tanti  vezzi , 
Tesi  anch'  i 0 1' arco,  ed  or  già  temo  11  nervo 
Per  soverchio  rigor  non  mi  si  spezzi. 
Non  posso  più,  dell'  umil  vostro  servo 
Il  troppo  ardir  non  si  schernisca,  o prezzi. 
Che  vorria  pur  (come  veder  potete} 
Beila  gloria  toccar  l' ultime  mete. 


Cosi  parlando,  e della  lieve  spoglia. 

La  falda  alquanto  in  laogiiid’  atto  aperta. 
L’impazienza  dell’  aerosa  voglia 
Si  nz'  alcun  vcl  le  dimostrò  scoverta. 
SoITri , disse  ella  allor,  finché  n’accoglia 
Apparcccliio  miglior,  la  speme  è certa. 
Dalla  Comodità , mia  fida  ancella , 

Data  in  breve  ne  Ha  stanza  più  bella. 

Ritardalo  piacer  ( portalo  in  pace) 

Nelle  dllazion  cresce  non  poco. 

Bastili  di  saper,  che  mi  disfate 
Di  reciproco  amor  srambievoi  foco. 

Tcco  in  sull’ora  della  prima  face 
Mi  avrai,  ti  giuro,  in  più  secreto  loco. 

Fa  pur  buon  cor,  tien  la  mia  fede  In  pegno. 
Tosto  avverrà  che  In  porto  entri  il  tuo  le- 

[gno. 

Come  a fiero  ta]or  veltro  d'irlan^ 
Buon  cacciatoT,  che  Infuriato  H veda , 
.Benché  venga  a passar  dalla  sna  banda 
Vicina  assai,  la  desiata  preda , 

La  libertà  però,  che  gli  dimanda , 

Non  cosi  tosto  avvicn , che  gli  conceda  t 
Anzi  fermo  e tenace  ad  ogni  crollo 
Tira  il  cordon,  che  gl’  imprigiona  il  coito; 

Cosi  nemnien,  per  più  scaldar  l’affetto 
Nel  difiicii  goder  l’ amante  accorta  , 
Mentr'ei  volea  del  suo  maggior  diletto 
Con  la  chiave  amorosa  aprir  la  porta, 

Di  quel  primo  appetito  al  giovanetto 
L’ impeto  affrciia  e il  bacia  e il  riconforta. 
Poi  con  la  bella  man  quindi  il  rimove , 

E l’invita  a girar  le  piante  altrove. 

Può  da  que’ chiosi  alberghi  airampia corte 
Libero  uscir  per  più  d’ un  uscio  II  piede  ; 
E scritta  delle  stanze  in  su  le  porte 
D’  ogni  lavanda  la  virtù  si  veda. 

Ciascun’  acqua  ha  virtù  di  varia  sorte , ' 
(tome  r esperienza  altrui  fa  fede. 

Qual  vigor,  qual  sapore  in  sé  cootegna 
li  latto  è il  gusto  espressamente  insegna. 

0 luiracol  gentil , vena  che  scorre 
D' un  sasso  solo  in  varie  urne  stillante. 
Come  possa  distinte  in  sé  raccorre 
Doti  diverse  e qualità  cotante. 

Chi  può  di  tutte  i propri  eflettl  esporre) 
Qual  più , qual  meno  é gelida,  o fumante. 
Altra  più  torbidetta ,-  altra  più  chiara. 
Altra  dolce , altra  salsa  ed  altra  amara. 


i 


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136  MARINO. 


La  tempra  di  quell' onde,  ore  Tu  posta 
La  bella  l^a  eon  l'idol  suo  gradito. 

Del  fonte  insidioso  era  composta , 

Che  congiunse  a Salmace  Ermafrodito, 
E In  sé  tcnea  proprieti  nascosta 
DI  rinfiammare  il  tepido  appetito , 

Oltre  l'erbe,  che  infuse  erano  in  essa, 
Dotate  pur  della  virtute  istessa. 

Vi  era  il  fallo  e il  satirio  In  cui  figura 
Oscene  forme  il  fiore  c la  radice. 

La  menta  che  salace  è per  natura , 

L’ eruca  degli  amori  irrltatrice. 

E Ti  era  di  altri  semplici  mistura. 

Già  di  Lampsaco  colti  alla  pendice. 
Amor,  ma  dimmi  tu , nel  bel  lavacro 
Qual  fu  nudo  a veder  quel  corpo  sacro. 

Non  cosi  belle  con  le  chiome  sparse 
Quando  alla  prima  ingiiiriail  marsoggiac- 
Ai  duci  d’Argo  venneroamostrarse  [que, 
Le  vezzose  Nereidi  in  mezzo  all’ acque. 
Tal  mai  non  so,  se  la  sua  stella  apparse 
Qualor  dall’  Ocean  più  chiara  nacque. 
Pare  II  bel  volto  il  Sol  nascente , e pare 
Il  seno  r alba , c quella  conca  il  mare. 

Simulacro  di  Ninfa  inciso  e fatto 
Di  qual  marmo  più  terso  in  pregio  saglia. 
Posto  in  ricca  fontana,  o bei-ritratto 
D’ avorio  fin  , cui  nobll  fabbro  intaglia , 
Somiglia  appunto  alla  biancliezza,  all’  atto 
Se  non  che  il  molo  sol  la  disagguaglia; 
E la  fan  dilferir  dal  sasso  scblto 
L’oro  del  crin,  la  porpora  del  volto. 

Al  folgorar  delle  tremanti  stelle 
Arser  gli  umori  algenti  c cristallini. 

Ed  av  vampar  d’insolite  fiammelle 
L’  umide  pietre  e i margini  vicini. 
Vedeansi  accese  entro  le  guance  belle 
Dolci  fiamme  di  rose  e di  rubini , 

E nel  bel  sen  per  entro  un  mar  di  latte 
Tremolando  nuotar  due  poma  intatte. 

Or  qual  fortuna  In  sulla  fronte  ammassa 
L’ampio  volume  della  treccia  bionda. 

Or  qual  cometa  andar  parte  ne  lassa 
Dopo  le  terga  ad  indorar  la  sponda. 

Aura  talor  che  la  scompiglia  e squa.ssa , 
Fa  rincresparla,  ed  ondeggiar  con  l' onda. 
Onde  il  crin  rugiadoso  e sparso  al  vento 
Oro  parca , che  distillasse  argento. 


Parea  battuta  da  beltà  si  cara 
Disfarsi  di  piacer  l’ onda  amorosa , 

E bramava  indurarsi , e spesso  avara 
In  sen  la  si  chiudea , quasi  gelosa. 
Chiudcala,  ma  qual  prò,  se  era  si  chiara. 
Che  mal  teneala  al  bell’ Adone  ascosa? 
Perù  che  tralucea  nel  molle  gelo 
Come  suol  gemma  in  vetro, o lam|>a  lo  velo. 

0 qual  gli  move  al  cor  lascivo  assalto 
L’atto  gentil,  mentre  si  lava  e terge. 

Or  nell’ acque  si  attulTa , or  sorge  in  aito. 
Or  le  vermiglie  labbra  entro  v’  immerge , 
Or  di  quel  molle  e cristallino  smalto 
Con  la  man  bianca  il  caro  amante  asperge. 
Ora  il  sen  se  ne  spruzza , ed  or  la  fronte , 
E fa  d’ alto  piacer  piangere  il  fonte. 

Adone  anch’  egli  dei  leggiadri  arnesi 
Scinto;  c pien  di  stupore  c di  diletto. 
Sotto  eOigie  gelata  ha  spirti  accesi , 
Agghiacciando  di  foce,  arde  nel  petto; 

E mentre  ha  gli  occhi  al  suo  bel  foco  intesi , 
Svefle  dalle  radici  un  sospi  retto 
Cosi  profondo  e fervido  d’amore, 

Cile  par  che  sospirar  si  voglia  il  core. 

Ahi  qual  m’abbaglia,  sospirando  dice. 
Folgore  ardente  e candido  baleno  ì 
Quai  vibrar  veggio,  spettator  felice , 
Fiamme  i begli  occhi,  e nevi  il  bianco  .seno? 
Forse  del  del,  dell’  acque  abitatrice  [no. 
Fatta  C quest’alma,  oquesto  è un  del  tcrre- 
Traslato  è in  terra  il  del.  Venga  chi  volo 
In  aquario  quaggiù  vedere  il  Sole. 

Beltà,  cred’io,  non  vide  in  vai  di  Xanto 
Paride  tal  nella  medesma  Diva; 

Ne  d'  amoroso  foco  arse  cotanto 
Quando  mirò  la  malmirata  Argiva  ; 

Qual  io  la  veggio  allettatrice , e quanto 
Sento  l’alma  stemprarmi  in  fiamma  viva  ; 
Fiamma,  di  cui  maggior  non  so  se  fosse 
Quella  che  la  sua  patria  arse  c distrusse. 

Dimmi , padre  Nettun  , se  li  rimembra 
Quand’  ella  usci  delle  tue  salse  spume, 
DI , se  vedesti  nelle  belle  membra 
Tanto  splendore  accollo  e tanto  lume? 
Dimmi  tu  .sol , (|uella  beltà  non  sembra 
Oggi  maggior  del  solito  costume  ? 
Maggior,  che  quando  in  del  fosti  di  lei 
Divido  testimonio  agli  altri  Dei? 


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L’ADONE.  137 


Fosti  nirn  fortiinato  EiuliniiODr  , 
Indegno  (li  mirar  (|uel  ch’oggi  lo  miro. 
Quando  a te  scese  dal  sovran  balcone 
La  bianca  Dea  dell' argentato  giro. 
Cedimi,  cedi , o misero  Attenne, 

Chè  io  per  più  degnooggetto  ardo  e sosph(. 
E dilTerentc  è ben  la  nostra  sorte , [rn  ; 
Ch'  io  ne  traggo  la  vita,  e tu  n’  hai  morte. 

0 Itellezza  immortai,  perchh  nell’ onde 
TI  lavi  tu,  se  son  di  te  men  pure? 
L'acque  alle  macchia  tue  divengon monde, 
E ransi  belle  con  le  tue  brutture. 

Deb  polche  a si  soavi , e si  seconde 
Destinato  son  io  gioie  e venture. 

Ch’io  li  lavi  e l’asciughi  ancor  consenti 
Con  vivi  pianti  e con  sospiri  ardenti. 

E se  è ver,  che  ne'  fonti  anco  e ne*  fiumi 
Amoroso  taior  foco  sfavilli , 

Fa  che  come  Ad  in  acipia  io  mi  consumi, 
E come  Alfeo  mi  ll(|nefaccia  e stilli. 
Forse  raccolto  Ira  cerulei  Numi , 
Mirando  i fondi  miei  chiari  e tranquilli, 
Fla  che  nella  slaglon  contraria  al  ghiaccio 
La  bella  fiamma  mia  mi  gtdzti  in  braccio. 

Cosi  discorre , e intanto  i freddi  umori 
Prendon  vigor  dall’ amorose  faci. 

Amor  gli  stringe,  e stringe  I corpi  e I cori 
Con  lacci  indissolubili  e tenaci. 

Del  nodo,  che  temprò  que’ fieri  ardori , 
Fe’  catene  le  braccia  e groppi  I baci  ; 

E con  la  propria  benda  al  vaghi  amanti 
Forbì  le  membra  gelide  e stillanti. 

Giunto  era  il  Sol  del  gran  viaggio  al  fine 
Lasciando  al  suo  sparir  smarriti  I fiori. 
Facean  scorta  al  silenzj  ed  alle  brine 
L’ ombre  volanti  e i sonnacchiosi  orrori. 
Chiudea  la  notte  in  bruno  velo  il  crina 
Mendica  de' suoi  soliti  splendori, 

Chè  la  .Stella  d'Amor,  d’amore  accesa 
In  del  non  venne,  ad  altro  uflicio  intesa. 

Cameretta  riposta , ove  consperse 
Ulezzan  l'acre  d^ alili  soavi. 

Ai  solleciti  cori  Amore  asperse, 
Amorl'uscier,  che  ne  volgea  le  chiavi. 
Tutte  incrostate , e qual  diamante  terse 
Vi  ha  di  fino  cristallo  e mura  e travi , 
Che  con  lusso  superbo , ove  altri  miri , 
Son  specchi  agli  occhi  e mantici  ai  desiri. 


Talamo  sparso  di  vapor  sabeo 
Cortine  ha  qui  di  porpora  di  Tiro. 

Quel  che  per  Arianna  e per  Lieo 
D’indiche  spoglie  le  Baccanti  ordiro, 
Quel  che  a Teti  le  Ninfe  ed  a Pelco 
Fabbricar  di  corallo  e di  zaffiro , 

Povero  fora  al  paragon  del  letto , 

Che  è dalle  Grazie  ai  lieti  amanti  eretto. 

Splende  il  letto  reai  di  gemme  adorno , 
E colonne  ha  di  cedro  c sponde  d’ oro. 
F'anno  le  coltre  all'Oriente  scorno  , 
Vincono  gli  origlieri  ogni  tesoro. 
Purpurea  tenda  gli  distende  intorno 
Fregiato  un  del  di  barbaro  lavoro. 
Biancheggiano  fra  gli  ostri  e fra  I rubini 
Morbidi  bissi  ed  odorali  lini. 

Quattro  strani  sostegni  ha  ne’ cantoni , 
So  le  cui  cime  il  padigllon  s’ appoggia. 
Son  fatti  a guisa  d’ arbori  a tronconi 
D’oro  e smeraldo  in  disusata  foggia. 

Qui  quasi  in  verdi  e concave  prigioni, 
Stuol  d’augelllnl  infra  le  fronde  alloggia. 
Onde  se  alcun  taior  scote  la  pianta , 

Ode  concerto  angelico  che  canta. 

Questo  fu  il  porto,  che  tranquillo  accolse 
La  nohil  coppia  dal  dubbioso  flutto. 

Qui  del  seme  d’ Amor  la  mcs.se  colse. 
Qui  vendemmiò  de' suoi  sospiri  II  frutto. 
Qui  tramontando  il  Sol , Vener  si  tolse 
D’ Adon  più  volte  il  bel  possesso  in  tutto^ 
E qui  per  uso  al  tramontar  di  quello 
Spuntava  agli  occhi  suoi  l’ altro  più  bello. 

Da  die  laqueta,  oscura  umida  madre 
Del  silenzio  c del  sonno  i colli  adombra. 
Finché  le  bende  tenebrose  ed  adre 
Il  raggio  mattutin  lacera  e sgombra , 

Di  quelle  membra  candide  e leggiadre 
Gode  la  Dea  gli  abbracciamenti  all’  ombra. 
.Senza  luce  curar,  se  non  la  cara 
Luce,  che  le  sue  tenebre  rischiara. . 

E dall’  Orto  ancor  poi  fin  all’  Occaso 
Sei  cov  a in  grembo , c con  le  braccia  infa- 
Nolte  e di  sempre  èseco;  c se  percaso[scia. 
Di  necessario  alTar  talvolta  il  lascia. 

Che  fla  brev'  ora  senza  lei  rimaso, 
Sentesi  sospirar  con  tanta  ambascia , 
Che  aver  sembra  nel  cor  la  fiamma  tutta , 
Che  Troia  accese  e Mongiliello  erutta. 


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138  MARINO. 

Quaiulo  II  rapido  Sol  per  dritta  verga  | 
Poggiando  a mezzo  il  del  fende  le  piagge, 

Là’ve  de’  monti  le  frondose  terga 
Tcsson  verde  prìgiou  d'  ombre  selvagge. 

Per  soggiornar  dove  il  suo  bene  alberga 
Solitaria  sovente  il  piò  ritragge, 
li  gode  0 lungAun  lìumc,  o sotto  un  speco 
Partir  l’ore,  I pensieri  e I delti  seco. 

K sempre  in  suo  desir  costante  c salda 
0 siede , u giace , o scherza  il  di  con  esso, 
r.onrorde  all'  acque  dell'  ombrosa  falda 
Freme  de'  baci  il  inorinorar  suinmesso, 

NiV  raggio  d'  altro  Sul  la  fiede , o scalda, 
die  de'  begli  ocelli , in  cui  si  3|>cccliia  spcs- 
Ni  sul  meriggio  estivo  aura  coceute , [ so  ; 

Se  non  sul  i|iiella  de'  sospir,  mai  sente. 

Vasscne  poi  per  questa  riva  c quella  . 

I.’ orme  seguendo  dell' amate  piante, 
Predatrice  di  fere  ardita  c bella. 

Del  caro  predator  compagna  errante , 

K l'arco  in  muuu.al  fianco  le  quadrella 
Porta  talordel  fortunato  amante. 

Talchi  ogni  Fauno  ed  ogni  Dea  silvana 
('■li  crede , Apollo  l’ un , l' altra  Diana. 

Cosi  qualor  giovenca  giovinetta 
Sen  va  per  campi  solitari  ed  ermi. 

Tenera  si , che  calpestar  l' erbetta 
Ancor  non  sa  con  pii  securi  e fermi. 

Ni  curva  in  sfera  ancor  piena  e perfetta 
Della  fronte  lunata  i novi  germi, 

Segiicla,  oviimpie  va,  per  la  verdura 
l.a  torva  madre,  e la  circonda  e cura. 

Fatta  gelosa  i si  di  <|iiel  bel  volto. 

Che  teme  Amor  d'amor  non  se  ii’accenda. 

Tenie  non  Itorea  in  turbine  disciolto 
Dalle  nubi  a rapirlo  in  terra  scenda. 

Teme  non  Giove  in  ricca  pioggia  accollo 
A si  rara  bellezza  insidie  tenda. 

Vorria  poter  celar  luci  sì  bobe 
Alla  vista  dei  Sole  e delle  stelle. 

Se  si  rischiara  il  mondo,  o se  s’imbruna, 
S|)ieghi,  o pieghi  la  Notte  il  fosco  velo. 

Dell'  Aurora  ha  sospetto  e della  Luna, 

Che  a lei  noi  furi,  e non  sei  porti  in  cielo. 

Odia,  come  rivai,  l'Aura  iiiiporluna ; 

Gli  augelli,  I tronchi, i fiorl'empion  di  gelo. 

Ha  quasi  gelosia  de'  propri  baci , 

De'  propri  sguardi  suoi  troppo  voraci. 


Sotto  le  curve  c spaziose  spalle 
D’  un  incognito  al  Sol  poggio  frondoso. 
Cinto  da  cupa  e soiitaria  valle 
Si  appiatta  in  cavo  sasso  antro  muscoso. 
Raro  de'  suoi  recessi  il  chiuso  calle 
Altri  tentò,  cim  il  sonno,  eche  il  riposo. 

L' ombre  sue  sacre,  i suoi  riposti  orrori 
E fere  revcriscono  c pastorL 

Questo,  Farle  imitando,  avea  Natura 
Di  rozzi  fregi  a meraviglia  adorno. 

L’  avea  con  vaga  e rustica  pittura 
Sparso  di  fronde  e lìor  dentro  e d’intorno. 
Gli  fea  d’ appio  c di  felce  un’  ombra  oscura 
Schermo  all'  ingiurie  del  cocente  giorno. 
Difcndca  1'  edra  incontro  al  Sol  l'entrala 
Di  cento  braccia  c cento  branche  armata. 

Qui  sjvcsso  ricovrar  da’ campi  aprici 
I La  bellissima  coppia  avea  costume, 

E in  liet’ozio  passar  Foce  felici, 

Sccura  dall'ardor  del  maggior  lume. 

Eran  de’  sonni  lor  F aure  nutrici , 
Gortiuaggi  lo  fronde  e l’erbe  piume. 
Secretarle  le  valli , le  montagne, 

E Ferme  solitudini  compagne. 

ineontroal  biondo  arder,  che  folgoranti 
Dritto  dall’  arco  d’ or  scoccava  I raggi , 
Scudo  faceaiio  ai  duo  felici  amanti 
Con  torte  braccia  i hriarei  selvaggi. 
Mossi  dall’  aure  vane  e vaneggianti , 

Con  alterni  susurri  abeti  e faggi  • 

Pareatio  dire  (e  lingua  era  ogni  fronda) 
Più  ne  nutrisce  Amor,  che  il  Sulee  Fonda. 

Or  q ui  V i un  di  fra  gli  altri  ecco  che  stanco 
Tornar  di  caccia,  ed  andante  il  vede,  [co 
L’or  biondo  e crcspo,il  terso  avorio  e biou- 
Tre  volte  c quattro  a rasciugar  gli  riede. 
Gli  fa  catena  delle  braccia  al  lianco,  [de  r 
Sei  rccain  greinbo.c  in  grembo  all’erba  sic- 
E in  vagheggiando  lui , che  F invaghisce. 
Pur  come  aquila  al  Sol,  gli  occhi  nutrisce. 

Tieu  ic  luci  alle  luci  amate  e fide 
Congiunte  il  seno  al  sen , il  viso  al  viso. 
Divora  e bee,  qualora  ci  bacia,  o ride, 

I Con  la  boccae  con  l'occhio  il  bacio  e il  ri- 
Deb  chi  dagli  occhi  miei  pur  ti  divide  [so. 
I)  non  da' miei  pensìer  giaminai  diviso? 
Qual  altra  esser  può  mai  cura, che  vaglia 
\ far,  che  del  mio  duol  nulla  li  caglia. 


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L’ADONE.  13» 

Or  mi  ttv  veggio  Ilei»  io.  che  d’egual  foco  GotUamci.aniiamci.Ainord'amoriiierce- 
;LIiì  credulo  i'avria?)  meco  non  ardi , Degno  cambio  d'amore  è solo  amore,  [de, 

K che  formi  lalor,  siccome  poco  Kansi  in  virtù  di  mi' amorosa  fede 

Avvezto  a ben  amar,  vezzi  bugiardi.  Due  aline  un' alpia,  e soii  due  ceri  un  core, 

Po'xbù  posposto  alla  fatica  il  gioco.  Cangia  il  cor,  cangia  l’almaalbergo  e sede. 

Dalle  tue  cacce  a me  torni  sì  tardi  ; In  altrui  vive,  in  si  medesma  more. 

E curi  (come  suole  ogni  fanciullo)  Abita  amor  l'abbandonata  salma, 

Più  clic  tuli’  altro,  un  puerii  trastullo.  E vece  vi  sosticn  di  core  c d’alma. 

(o>si  dicendo,  col  bel  vel  pian  piano  0 dolcezza  ineDTablle,  infinita , 

<ili  terge  i molli  e fenidi  sudori,  Soave  piaga  c dilettosa  arsura. 

Vive  rugiade,  onde  II  bei  viso  umano  Dove  quasi  fenice  incenerila 

Riga  I suoi  freschi  c mattutini  fiori.  Ha  culla  insieme  il  core,  e sepoltura;. 

Poi  degli  aurei  capei  di  propria  mano  ' Onde  da  duo  begli  occhi  alma  ferita  [ra, 
fàiglic  le  fila,  e rlcompou  gli  errori;  Muor  non  morendo,  c il  suo  morir  non  cu- 

E dì  lagrime  il  bagna,  e mesce  intanto  E trafitta  d'auinr  sospira  e langue 

Tra  ]icrlc  dì  siidor  perle  jii  pianto.  Senza  duol,  senza  ferro  e senza  sangue. 

Ed  egli  a lei  : Deb  questi  pianti  asciuga.  Còlsi  dolce  a morir  l' anima  impara 
Dell  cessa  ornai  queste  dogliose  note.  Esca  falla  alPardor,  segno  allo  strale. 

Pria  seminar  di  neve,  arar  di  ruga  E sente  in  fiamma  dolcemente  amara 

Tu  vedrai  queste  chiome  c (|ueste  gole.  Per  ferita  mortai  morte  iunuorlala. 

( ;iie  mai  per  altro  amor  sia  posto  in  fuga  Morte,  che  al  cor  salubre,  ai  sensi  cara 
L' amor  che  dal  mio  cor  fuggir  non  |Hite.  j Non  è morte,  anzi  è vita,  anzi  è natale. 
Se  tu  fiamma  mia  cara  ìmmorlal  sei , Amor  clic  la  saetta  c clic  l’ incende, 

linmorlali  saraii  gl'  inccndj  miei.  Per  più  farla  morir,  vita  le  rende. 

Per  quella  face,  onda  infiammalo  io  fui , | Or  se  risponde  il  tuo  volere  al  mio , 
Giuroepcrquclloslralchcilcorm'oflende,  j E soli  coufomii  I miei  desiti  ai  tuoi; 
Giuro  per  gli  occhi  e per  le  clitome  in  cui  j Se  quanto  aggrada  a le,  tanto  bram  io, 
Lo  strale  indora  Amor,  la  face  accende  ; E quanto  piace  a me,  tanto  tu  vuol  ; 

('.he  Adon  tìa  sempre  tuo,  nè  mal  d’altrui.  Se  è diviso  in  due  pelli  un  sol  desio, 

Tal  è quel  Sol,  che  agli  occhi  suoi  risplen-  [ Ed  è comune  un’ anima  tra  noi; 

.S’ altro  clic  il  ver  li  giuro,  0 bella  mia,  [de.  Se  ti  prendi  il  mio  core,  c il  tuo  mi  dai. 
Di  superbo  cinghiai  preda  mi  sia,  . , Perchè  dei  corpi  un  corpo  anco  non  fai? 

Ed  ella  a lui  f Se  tu , ben  mio,  sapessi  i 0 dell' anima  mia  dolce  favilla. 
Quanto  sia  dolce  essere  amato  amando,  0 del  mio  cor  dolcissimo  niartiro, 

E <|uanto  è duro,  esperienza  avessi , [ 0 delle  luci  mie  luce  c pupilla, 

l.unge  dall* amor  suo  girsene  errando,  Omiovezzo,oniio  bado,omi08osptro. 

Di  scambievole  amor-segni  più  espressi  Volgimi  quegli,  onde  ogni  grazia  Uilla , 
■Mi  daresti  talor  meco  posando,  Eoiili  di  puro  e irciiiiilo  zaffiro. 

K saremmo  egualmente  amanti  amati  j Porgimi  quella,  ove  m è dato  in  sorte 
Tu  contento,  io  felice,  ambo  bcaU.  j In  coppa  di  rubino  a ber  la  morte. 

È ver,  che  nulla  il  bel  pensiero  affrena, 

(ilie  sempre  all’  oceliio  il  caro  oggetto  ap- 
io alme  strette  di  leal  catena  [pressa. 

.*so  che  per  lontananza  amor  non  cessa. 

Dividale  se  può  libica  arena, 

Oceano  profondo,  alpe  inaccessa , - 

Pur  lasciare  II  suo  bene  è peggio  assai , 

, Glie  desiarlo,  e non  goilerlo  mai. 


I Quei  begli  occhi  mi  volgi.  Occhi  vitali, 
! Occhi  degli  occhi  miei  specclii  Incenli , 

I Ocelli  faretre  ed  archi,  e degli  strali 
i intinti  nel  piacer  fucine  ardenti. 

Occhi  del  del  d’anrar  stelle  btali, 

E del  Sol  di  belli  vivi  orienti; 

Stelle  serene,  la  cui  luce  bella 
1 Può  far  perpetua  eclisse  alla  mia  stella. 


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MARINO. 


140 

Quella  bocca  mi  porgi.  0 cara  bocca , 
Della  reggia  del  riso  uscio  gemmato , 
Siepe  di  rose,  in  cui  saetta  e snocca 
Viperetta  amorosa  arabo  fiato. 

Arca  di  perle,  onde  ogni  ben  trabocca , 
Cameretta  purpurea,  antro  odorato. 

Ove  rifugge,  ove  s'asconde  Amore 
Poiebi  ba  rubato  un’alma,  ucciso  un  core. 

Tace , ma  qnal  Da  stil  che  di  ciascuna 
Paroletla  il  tenore  a pien  distingua? 
Certo  indegna  è di  lor,  se  non  queir  una. 
Che  le  forma  si  dolci , ogni  altra  lingua. 
Si  parlando,  e miratido  ebbra  e digiuna 
Pasce  la  sete  si , non  che  l’eslingua  ; 

Ansi  perchè  più  arda  e si  consumi , 

Bada  le  dolci  labbra  e i dolci  lumi. 

Bada,  e dopo  il  baciar  mira  e rimira 
Le  baciate  bellezze , or  questi , or  quella. 
Ribada , e poi  sospira  e risospira 
Le  gustale  dolcezze  or  egli , or  ella. 
Vivon  due  vite  in  una  vita  , e spira 
Confusa  in  due  favelle  una  favella. 
Giungono  i cori  in  sulle  labbra  estreme. 
Corrono  l'alme  ad  intrecciarsi  insieme. 

Di  note  ad  ora  ad  or  tronche  e fugaci 
Risona  l’antro  cavernoso  c scabro. 
Dimmi,  0 Dea,  dice  l' un,  questi  tuoi  baci 
Movon  cosi  dal  cor,  come  dal  labro? 
Risponde  l’ altra  : li  cor  nelle  mordaci 
Labbra  si  bacia.  Amordcl  bacio  è fabro. 

Il  cor  Io  stilla , il  labbro  poi  lo  scocca , 

Il  più  ne  gode  l’alma,  il  mcn  la  bocca. 

Baci  questi  non  son , ma  di  concorde 
Amoroso  desio  loquaci  messi , 

Parlan  tacendo  in  lor  le  lingue  Ingorde , 
Ed  ben  gran  sensi  in  tal  silenzio  espressi. 
Son  del  mio  cor,che  il  tuo  badando  morde. 
Muti  accenti  1 sospiri  e i baci  istessi. 
RIspondonsI  tra  lor  l’ anime  accese 
Con  voci  sol  da  lor  medesme  intese. 

Favella  il  bacio,  e del  sospir,  del  guardo 
( Voci  ancta’  essi  d’ amor  ) porta  le  palme , 
Perchè  al  centro  del  cor  premendo  il  dardo 
Sulla  cima  d’ un  labbro  accoppia  l’ alme. 
Che  soave  ristoro  al  foco,  ond’ ardo. 
Compor  le  bocche,  alleggerir  le  salme? 
Le  bocche , che  di  nettare  bramose 
Han  la  sete  e il  licor,  son  api  e rose. 


Quel  bel  vermiglioehe  leJabbfa  Inostra, 
Alcun  dubbio  non  ha,  che  sangue  sia. 

Or  se  nel  sangue  sta  l'aalma  nostra , 
Siccome  1 saggi  pur  voglion  che  stia , 
Dunque  qualor  baciando  entriamo  In  gio- 
Bacia  l’ anima  tua  l’anima  mia , [stra 
E mentre  tu  ribaci , ed  lo  ribacio , 
L’alma  mia  con  la  tua  copula  il  bacio. 

Siede  nel  sommo  dell’ amale  labbia , 
Dove  il  fior  degli  spirti  è tutto  accolto. 
Come  corpo  animato  in  sè  purabbia , 

Il  bado  che  dall'anima  vien  tolto. 

Quivi  non  so  d'anior  qual  dolce  raliliia 
L’ucdde , c dove  niuor  resta  sepolto  : 
Ha  li  dove  Ita  sepolcro , ancora  poi  * 
Bad  divini  II  suscitale  voi.  . , • 

Mentre  a scontrar  si  va  bocca  con  bocca, 
Mentre  a ferir  si  van  baci  con  baci , 

Si  profondo  piacer  l’ anime  tocca. 

Che  apron  l’ ali  a volar,  quasi  fugaci  ; 

E di  tanta  che  in  lor  dolcezza  fiocca , 
Essendo  i cori  angusti  urne  Incapaci , 
Vcrsanla  per  le  labbra,  e vanno  in  esse 
Anelando  a morir  l’ anime  istesse. 

Treman  gli  spirti  infra  i più  vivi  ardori 
Quando  il  bado  a morir  l’anima  spinge. 
Mulan  bocca  le  lingue,  e petto  i cori , 
Spirto  con  spirto,  e cor  con  cor  si  stringe. 
Palpitan  gli  occhi , e delle  guance  i Cori 
Amoroso  pallor  scolora  e tinge  ; 

E morendo  talor  gli  amanti  accorti 
Ritardano  il  morir  per  far  due  inorti. 

Da  te  l'anima  tua  morendo  fugge. 

Io  moribonda  in  sul  baciar  la  prendo  ; 

E in  quel  vital  morir  che  ne  distrugge , 
Mentre  la  tua  mi  dai , la  mia  ti  rendo  ; 

E chi  mi  mira  sospirando,  e sugge , 
Suggo,  sospiro  anch'  lo,  miro  morendo  ; 

E per  morir  quando  ti  bado,  e miro , 
Vorrei  che  anima  fosse  ogni  sospiro. 

Fa  dunque  anima  mia , l’altro  le  dice , 
Ch’  io  con  vita  hnmorlal  cangi  la  morte. 
Voli  l’anima  al  del  si  che  felice 
Sia  degli  eterni  Del  fatta  consorte. 

Fa  di’  lo  viva,  e eh’  io  mora,  e (sedò  lice  ) 
Fa  eh’  io  riviva  poi  con  miglior  sorte. 
Dolcemente  languendo  ail’istess’ora 
Fa  che  in  bocca  lo  ti  viva , in  sen  ti  mora. 


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L’ADONK.  HI 


l'it  albergo  nicdesmo  in  quei  dolci  ostri 
Unisca  il  mio  desir  coi  tuo  desire. 

I.C  nostr’ anime,  1 cor,  gli  spirti  nostri 
Vadano  insieme  a vivere  e morire. 
Ferito  a un  punto  il  fcritor  si  mostri , 
Pera  la  Teritricc  in  sul  Tcrire  ; 

Onde  mentre  di’  io  moro  e ebe  tu  mori. 
Ravvivi  II  morir  nostro  i nostri  ardori. 

SosUcn,  diletta  mia,  ebe  a mio  diletto 
Senza  cessar  dalie  tue  labbra  io  penda. 
Ma  col  labbro  vermiglio  il  bianco  petto 
Avarizia  di  amor  non  mi  difenda. 

Nò  quei  begli  ocebi  al  mio  vorace  affetto 
Dispettoso  rln^,  prego,  contenda. 
Mbrendo  io  vivTfttn  te , tu  in  me  vivrai , 
('.osi  ti  renderò  quanto  mi  dai. 

Se  nulla  è in  noi  di  nostro,  c non  v’  ha  loco 
txisa,  che  possa  tua  dirsi,  nò  mia; 

■Se  il  mio  cor  non  è mio  molto  nò  poco , 
Come  il  tuo  credo  ancor  che  tuo  non  sia  ; 
Poiché  tu  sci  mia  fiamma , io  son  tuo  foco, 
E ciò  che  brama  l’un  l’altro  desia; 
Poiché  di  propria  mano  Amore  ha  fatto, 
F.  fermato  fra  noi  questo  contratto. 

Consenti  pur  eh’  io  ti  ribaci  e dammi , 
Cb’  io  te,  come  tu  me  stringa  ed  abbracci. 
Pungi , ferisci , uccidi  e svenir  fammi 
Finché  l’ anima  sudi , e il  core  aggbiacsi. 
Te  l’ ardor  mio,  me  là  l ua  fiamma  infiammi, 
E me  teco  e te  meco  un  laccio  allacci , 
Perpetuo  moto  abbian  le  lingue,  e doppi 
Sien  delle  braccia  e delle  labbra  I groppi. 

Per  mezzo  i fior  delle  tue  labbra  molli 
Amor  qual  aiigellin  vago  e vezzoso 
Con  cento  suoi  fratei  lascivi  e folli 
Vola  scherzando,  e vi  tien  l’ arco  ascoso. 
Nò  vuol  ch’io  le  mie  fami  ivi  satolli , 
Delle,  dolcezze  sue  quasi  geloso, 

Ché  tosto  di’  io  per  mitigar  l’ardore 
Ne  colgo  un  bacio,  ci  mi  trafigge  il  core. 

Ha  qualor  da  lui  scampo,  e là  rifuggo. 
Dove  ha  più  di  vermiglio  il  tuo  bel  viso. 
Più  dolce  ambrosia  (o  me  beato]  io  suggo 
Di  quella  che  si  gusta  in  paradiso. 
ZeOircito  soave,  ond’io  mi  struggo. 
Sento  spirar  delle  tue  rose  al  riso, 

I.o  qual  del  foco , che  il  mio  cor  consuma. 
Ventilando  l’ ardor,  viepiù  l’alluma. 


No  che  baci  non  son  quésti  eh'  lo  prendo, 
Son  della  dolce  Arabia  aure  odorate, 

D' una  soavità  eh’  io  non  intendo. 

Più  che  di  cinnamomo  imbalsamate. 

Son  profumi  d’Amor,  ch’ei  va  traendo  > 
Dall’incendio  dell’ alme  innamorate. 

Par  che  abbia  in  queste  porpore  ricetto 
Quanto  mele  han  Parnaso,  Ibla  ed  Imetto. 

Felice  me,  che  meritar  potei 
Quel  dolce  mal , che  tanto  ben  mi  ha  fatto. 
Ha  son  ben  folle  ne’  diletti  miei , 

Che  bacio , c parlo  in  un  medesmo  tratto. 

E si  grande  il  piacer,  che  non  vorrei 
l.a  mia  bocca  occupar, fuor  ch’in  quest’at- 
E con  la  bocca  Istessa  il  cor  si  dole,  [to. 
Quando  I baci  dan  luogo  alle  parole. 

Ed  io,  die’ ella , che  fruir  mi  vanto 
Gloria  infinita  In  quei  superni  seggi. 

Non  provo  colassù  diletto  tanto. 

Che  alla  gioia  presente  si  pareggi. 

Prendi  pur  ciò  che  chiedi , e chiedi  quanto 
Di  me  ti  piace , a tuo  piacer  mi  reggi. 

Ecco  a picciole  scosse  a te,  mio  bene. 
Sospirando  e tremando,  il  cor  sen  viene. 

Deh  nel  core,  o mio  cor,  ornai  m’ avventa 
Quella  lingua  d’Amor  dolce  saetta, 

E In  core  df  rubino  aguzzar  tenta 
i.a  punta , che  a morir  dolce  mi  alletta  ; 

E fa  tanto  che  aneli’  io  morir  mi  senta , 
Del  tuo  dolce  morir  dolce  vendetta. 

Serpe  sembri  al  ferir,  ché  ben  ascose 
Stan  sovente  le  serpi  infra  le  rose. 

E se , perch’  ella  è velenosa  e schiva , 
Forse  imitar  la  vipera  si  spiacc , 

Movila  alraen , siccome  suol  lasciva 
Coda  guizzar  di  rondine  fugace. 

Oppur  qual  fronda  di  novella  oliva 
Rincresparla  t’insegni  Amor  sagace. 
Vibrala  si , che  la  tua  bocca  arciera 
Emula  de’ begli  occhi.  Il  cor  mi  fera. 

Non  sono,  egli  ripiglia,  or  non  son  questi 
Gli  occhi  onde  dolci  al  cor  strali  nii  scocchi) 
Gli  occhi  onde  dolce  il  cor  dianzi  m'ardesti? 
Begli  occhi.  Ein  questo  dir  le  bacia  gli  ocelli 
Begli  occhi,  ella  soggiunge,  occhi  celesti, 
Cagion , che  di  dolcezza  il  cor  trabocchi. 
Core,  ond’io  vivo  senza  cor;  tesoro, 
Ond’io  povera  son  ; vita,  ond’io  moro. 


MARINO. 


U3 

Allora  il  vago  : Anzi  tu  sol , tu  sei 
Quel  core,  onde  il  mio  cor  vila  riceve. 
Cor  mio....  Purvolea  dir,  quando  colei 
La  parola  in  un  bacio  e il  cor  gli  beve. 
Ella  per  lui  si  strugge,  egli  per  lei , 
Come  a raggio  di  Sol  falda  di  neve. 
Suonano  i baci , c mal  dal  cavo  speco 
Forse  a più  dolce  suon  non  rispos’  eco. 

Fa  un  groppo  atlor  deli’  un  e l’ al  tro  core 
Quel  sommo  del  piacer,  fin  del  desio. 
Formano  i petti  In  estasi  d’  Amore 
Di  profondi  sospiri  un  mormorio. 
Stillansi  l' alme  in  tepidetto  umore. 
Opprime  i sensi  un  dilettoso  obblio. 
Tornan  fredde  le  lingue  e smorti  i volti, 
E vacillano  i lumi  al  elei  travolti. 


Traniortiscon  di  gioiacbbreelanguenii 
L'  anime  stanche,  al  del  d' Amor  rapile. 
Gl'  iterati  sospiri,  I rotti  accenti. 

Le  dolcissime  guerre  c le  ferite. 

Narrar  non  so.Frcsche  aure,ondc  correnti. 
Voi  che  il  miraste,  ebenl'  udiste,  il  dite. 
Voi  secretar!  de’  felici  amori 
Verdi  mirti,  alti  pini,  ombrosi  allori. 

Ma  gii  fugge  ia  luce,  e l’ ombra  riede, 
E s’  accosta  a Marocco  il  Sole  Intanto. 
Imbrunir  d’  Oriente  il  ciel  si  vede. 
Cangia  in  fosco  la  terra  il  verde  manto.' 
Gii  cede  al  grillo  la  cicala , e cede 
Il  rusignuolo  alla  civetta  il  canto, 

Che  garrisce  le  stelle,  e dice  oltraggio 
Del  bel  pianeta  al  fuggitivo  raggio. 


CANTO  NONO. 

LA  FONTANA  D’  APOLLO. 


ALLEGOlUA. 

Nella  persona  di  Fileno,  nome  derivato  dall' amore,  il  poeta  descrive  si  stesso 
con  gran  parte  degli  avvenimenti  della  sua  vita.  Fingesi  pescatore  per  aver  egli- il 
primo,  almeno  inquantiti,  composte  in  volger  lingua  poesie  marittime.  La  Font.ma 
d’ Apollo  in  Cipro  altro  non  imporla , che  la  copia  della  vena  poetica , la  quale  oggidì 
sovrabbonda  per  tutto,  inassinie  in  materie  liriche,  ed  amorose.  L’ armi  intagliate  in 
essa  son  simulacri  di  nove  famiglie  d'alcuni  principi  principali  d’Itaiia,  protettori 
delle  muse  italiane,  cioò  Savoia,  Esle,  Gonzaga,  Rovere,  Farnese,  ('.olona.  Orsino, 
c precisamente  Medici  ; siccome  l’insegna  de’Gigli  scolpita  a piè  d’ Apollo  iste.sso 
rappresenta  lo  scudo  della  casa  reale  di  Francia.  La  lite  dei  cigni  e.sprlme  il  con- 
corso d’alcuni  buono  poeti  toscani , che  gareggiano  nell’ eccellenza,  cioè  il  Petrarca, 
Dante,  il  Boccaccio,  il  Bembo,  il  Casa,  il  Sannazzaro,  il  Tansillo,  l’ Ariosto,  il 
Tasso,  ed  il  Guarini.  Nel  gufo,  e nella  pica  si  adombrano  (|ualchc  poeta  golfo  mo- 
derno, e qualche  poetessa  ignurauto. 


asGouesTO. 

Vanno  al  fonte  d’ Apollo  i lidi  umanii. 
Mirano  r armi  de'  più  degni  eroi. 
Quivi  in  forma  di  cigni  ascoiian  poi 
De’  toscani  poeti  i versi  e i canti. 


Occhi,lncuì  nutre  Amor  fiamma  gentile, 
Ond'loqnest’ alma  invitai  rogo  accesi. 
Volgete,  prego,  alla  mia  cetra  umile 
Mentre  al  canto  I'  accordo,  i ral  cortesi. 
Voi  mi  deste  l’ ingegno,  c voi  lo  stile. 

Da  voi  le  carte  a ben  vergare  appresi  ; 

E se  v’  ha  stilla  di  purgalo  inchiostro. 
Prende  sol  qualità  dal  nero  vostro. 


Voi  siete  i sacri  fonti,  ove  per  bere 
Corro  sovente,  c gli  arsi  spirti  immergo, 
Sotto  i begli  archi  delle- ciglia  altere 
Più  che  all’ ombra  de’ lauri,!  fogli  vergo; 
Cliè  aver  ben  denno  entro  le  vostre  sfePe 
Poiché  v’  abita  il  Sol,  le  Muse  albergo  ; 

E sento  con  favor  pari  alla  pena 
Donde  nasce  l’ ardor,  piover  la  vena. 


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1.’ 

Altri  coli,  doTc  Parnaso  al  cielo 
Erge  in  dne  corna  le  frondose  cime. 

Per  coronarsi  del  pttì  verde  stelo 
Sudi  a poggiar  per  calle  erto  e snhllmc. 
lo  sol  del  rostro  altero  orgoglio  anelo 
Sul  monte  alpestro  a sollevar  le  rime, 

E vo’,  che  II  gnidertlon  de’  miei  sudori 
Sia  corona  di  mirti  è non  d’  allori. 

Amor  solo  è il  mio  Febo,  ed  Amor  solo 
t^n  r arcoisiesso,  ondagli  strali  ei  scocca, 
Pcrcliè  la  gloria  si  pareggi  al  duolo. 

Della  mia  lira  ancor  le  corde  tocca. 

Dall’  ali  del  peusier,  die  spiega  il  volo 
Li  donde  poi  <|ual  Icaro  trabocca. 

Ansi  pur  dalla  sua  svelse  la  penna,  ' 
Con  cui  scrivo  lalor  guani’  el  mi  accenna. 

Se  fossi  un  degli  auge!  saggi  e canori, 
Cli’  oggi  iniianii  alla  Dea  vengono  in  lite, 

E In  quei  vitali  e virtuosi  umori 
Osassi  d'  atlulfar  le  labbra  ardile, 

10  spererei  nou  pur  de’  vo.slrì  onori 
Noie  formar  mcn  basse,  o più  gradile. 

Ma  con  slil  forse,  a cui  par  non  rimbonslra. 
Cangiar  Venere  in  Marte,  il  pleura  in  lrum> 

[Ila. 

il  duce  canterei  famoso  c chiaro, 
Clicdrgiusto  disdegno  in  guerra  armalo 
Vendicò  dei  Messia  lo  strazio  amaro 
Nel  sacrilego  popolo  ostinato; 

E canlei'ci  col  Suimmiesc  al  paro 

11  Mondo  in  nove  forme  trasformato. 

Ma  poidiò  a ruzzo  sili  liuti  lice  tanto. 
Seguo  d’  Adoucc  di  Qprigna  il  canto. 

Ecco  gii  dalla  porla  aurea  del  mondo 
Delle  fiamme  minori  il  sommo  duce 
Coronato  di  raggi  il  capo  biondo 
Esce  su  i inoliti  a pubblicar  la  luce. 

Gli  fa  festa  Natura,  e dal  fecondo 
Grembo  erbcue  la  terra,  e fior  prodace. 
L’alba  il  corteggia  c In  queste  parti,  in 
quelle 

Gli  fan  per  tutto  il  del  piazza  le  stelle. 

Poiebè  ambedue  di  quel  piacer  divino 
Han  cibato  il  desio,  ma  non  satollo, 
Sorgon  col  .Sole,  e prendono  il  cammino 
Verso  il  Fonte  mirabile  d’ Apollo. 
Giungon  là  dove  chiaro  e cristallino 
Stagna  un  laghetlo,insleme  a bracdacollo, 
Cinto  d’ un  prato,  che  di  fior  novelli 
Serba  in  ogni  stagìon  mensa  agli  augelli. 


ADONE.  lU 

Stranio  carro  era  qui  di  gemme  adoro» 

In  sembianza  di  barca  al  lido  avvinto. 

Quel  della  bionda  aurora,  o quel  dd  giorno 
E di  materia  e di  lavor  ne  ò vinto.  no 
Gran  compassi  ha  di  perle,  e i chiodi  intor- 
Tntti  son  di  diamante  c di  giacinto. 

Il  vaso  tutto  ò d’  una  conca  Intera, 

Glie  apre  II  capace  ventre  In  mezza  sfera. 

AHra  di  questa  mai  forse  Nereo 
Non  vide  opra  maggior  di  nierav  igli.i 

0 nel  ricco  Oceano,  o nell’  Egeo 
Dalla  cerulea  Teli  alla  vermiglia. 

Nacque  del  fertilissimo  f^rltreo 
( Prodigio  di  Natura  ) unica  figlia. 

L’ Ariel  fregi  vi  aggiunse,  e l'orlo  e il  gira 
l.e  incoronò  dì  orientai  zaffiro. 

Su  basi  di  smeraldo  e di  rjihino 
Talamo  ben  gnernilo  in  mezzo  .stassi. 

1 seggi  intorno  ha  di  topazio  fino, 

D’  ametisto  indian  le  rote  c gli  assi;  [ no 
Due  mostri  il  iranno;  han  d’iiomo  e di  delfi- 
Qiiesti  le'mcmbra  ed  ambo  nn  misto  fissi, 
liiiana  forma  ha  quella  parlerh’  esce 
Dell'  acque,  il  deretan  termina  in  pesco. 

Cosi  talor  vid'  lo  pianta  feconda 
Quinci  e quindi  spiegar  varia  la  chioma. 

Se  avvlen,  che  arte  cultrice  in  lei  confonda 
L’  ave  natie  con  1’  adottive  poma  ; 
tlhe  mescolando  II  pampino  c la  fronda 
Giirva  le  verdi  braccia  a doppia  soma. 

Onde  congiunte  in  un  vagheggia  Autunno 
Le  ricchezze  di  Bacco  e di  Vcriunno, 

Una,  1’  non  saprei  dir,  se  Ninfa, oDiva, 
Dal  trono,  ov’  è legalo,  il  carro  slega, 

K drillo,  ov’  i la  coppia,  Inver  la  riva 
Le  redine  rivolge,  c il  corso  piega. 

Poi  con  favella  affabile  e festiva 
La  ricca  poppa  ad  aggravar  lor  prega. 
Idrilla  ha  nome,  e già  la  bella  .salma 
Introdotta  nel  legno,  il  legno  spalma. 

Per  la  tranquilla  c placida  peschiera 
Nc  vanno  Insieme  a tardo  solco  e lento,  , 
Dove  guizzano  i pesci  a schiera  a schiera. 
Quasi  in  elei  crislallin  stelle  d’  argento. 
Adon  r amenili  della  costiera, 

E della  conca  i fregi  ammira  Intento, 

E la  beila  nocchiera  invitatrire 
Mentre  siede  al  timon,  cosi  gli  dice  : 


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m MARINO. 


La  macchina,  signor,  dov’entro  or  sci, 
l'u  del  fabbro  di  Lenno  alto  sudore, 
tion  questa  in  grazia  venne  c di  costei , 
Lite  i la  madre  d'Amor,  comprò  l’ amore. 
Per  trarla  ai  poco  amabili  imenei 
Questa  in  dono  le  oOersc  in  un  col  core. 
Nettuno  aggiunse  ai  preziosi  doni 
Vago  poi  di  piacerle  , i duo  tritoni. 

Nè  sol,  come  tu  vedi , in  acqua  è nave , 
Ma  carro,  ov'ella  il  voglia,  io  aria  e in  terra. 
Spinti  talor  da  dolce  aura  soave 
Per  le  piagge  del  inar  trascorre  ed  erra. 
Talor  lasciando  l' elemento  grave, 
Quand’ella  il  volo  al  terzo  elei  disserra, 
Vi  accoppia , c scioglie  ai  zeffiri  benigni 
I.C  dipinte  colomite , o i bianchi  cigni. 

Così  ragiona, c intantoattorceestcnde 
Contesti  di  fin  or  serici  stami. 

Onde  ai  figli  deir  acque  ordisce  e tende 
Minuti  c sottilissimi  legami. 

Ma  mentre  appresta  il  calamo , ed  intende 
Pcscatrice  leggiadra , a trattar  gli  ami ,. 
Amor  con  altro  laccio,  e con  altr’esca 
Di  Ciprigna  c d'Adon  l' anime  pesca. 

In  un  scoglio  approdò  la  pavicclla , 
Che  quasi  isola  siede  al  lago  in  grembo. 
Questo  non  osò  mai  ferir  procella. 

Teine  ogni  austro  appressarlo,  ed  ogni 
Nè  sentir  mai  latrar  fervida  stella,  [nembo. 
Nè  d’ algente  pruina  asperse  il  lembo  ; 
Ma  sprezza , avvampi  Sirlo,  o tremi  Cauro, 
L’ inclcnienza  del  Cancro  e del  Centauro. 

Sporge  la  curva  riva  in  fuordue  braccia, 
Kforinaun  scmicircolo capare,  [ghiaccia 
Dove  quando  il  del  arde , c quando  ag- 
Sempre  ha  lo  stagno  inalterabll  pace. 
Placido  quivi , c con  serena  faccia 
La  Dea  bella  imitando,  il  vento  tace, 

K vi  fan  l’ acque  a prova , e gli  arboscelli 
Ai  pesci  padiglion,  speccliio  agli  augelli. 

Fiori  e conche  un  sol  margineconfonde. 
Erba  c limo  congiunge  un  sol  confine. 
Spiegano  l’ alghe  c spiegano  le  I ronde 
In  un  sito  comun  il  verde  crine. 

Tra  smeraldi  e zaflìr  l’ ombre  con  l' onde 
Scherzano  gareggiando  assai  vicine  ; 

Kd  han  commercio  in  su  le  ripe  estreme 
Le  verdi  Dee  con  le  cerulee  I nsieme. 


Oh  quante  volte  allorflie  rossoe  biondo 
Ride  In  braccio  alla  vite  il  lieto  Dio, 
Dall’arenoso  suo  gelido  fondo 
La  vezzosa  Nereida  al  lido  uscio; 

E sotto  il  velo,  onde  ricopre  il  mondo , 

La  madre  del  silenzio  e dell’obbllo, 
don  pampini  asciugando  1 membri  molli 
Rapi  l’uvc  mature  al  dolci  colli. 

Quante  cadder  tra  perle  e tra  coralli 
I pomi  che  pendean  poco  lontani 
E la  vendemmia  accolsero  1 cristalli , 

Già  di  vivo  rtibin  gravida  i grani. 

Spesso  strisciando  per  gli  ondosi  calti 
Sdrucciolaste  neil’ acque,  o Dei  silvani. 
Spesso,  voi  fauni,  entro  le  chiare  linfe 
Correste  ad  abbracciar  l’ umide  Ninfe. 

Loco  sovvienimi  aver  veduto  ancora 
(Se  non  quanto  è sul  fiume]  appunto  tale, 
1.1  dove  trae  la  bella  Polidora 
Dalla  Dora,  e dal  Po  nome  immortale. 
Dell’angusto  signor,  che  augusta  onora 
Delizia  serenissima  c reale  ; 

E vi  vidi  sovente  in  ricche  scene 
Celebrar  liete  danze  e liete  cene. 

Su  per  la  riva  i Incidi  secreti 
Del  bel  lago  spiando  ignudi  cori 
Van  di  fanciulli  lascivctti  e lieti , 

Anzi  di  lieti  e lascivctti  amori. 

Chi  fuordcll'ondc  trac  con  lacci  ereti. 

Chi  con  tremula  canna  il  pesce  fuori. 
Altri  con  lunglie  fila  c ferri  adunchi. 
Altri  con  gabbie  di  contesti  giunchi. 

Qui  venne  a caricar  l’onda  tranquilla 
Del  suo  Ilei  peso  la  barchetta  estrana. 
Qui  scesero  a veder  quella , che  stilla 
Dotto  licor,  si  celebre  fontana. 

Viilcan  divino  artefice  scolpilla, 

E vinse  in  essa  ogni  scultura  umana. 

Cosi  grato  esser  volse  al  biondo  Dio 
Quando  I celesti  adulteri  scoprio. 

Febo  poi  tanto  di  sna  grazia  infuse 
In  quel  marmoreo  e limpido  lavacro, 
Qic  la  virtù  poetica  vi  chiuse 
Del  suo  furor  merav  iglioso  e sacro  ; 

K in  compagnia  delle  canore  Muse, 

Di  cui  tutto  v'è  sculto  il  simulacro. 
Sovente  visitandole,  con  esso 
Suol  le  rive  cangiar  ilei  bel  Permesso. 


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L’ADONE.  145 


L'onda  inlauln  RorRoglia,  cdcrcoallora 
Sirenella  IpRgiadra  in  allo  s'erge, 

E veduta  colei,  cui  Cipro  adora, 
Un’altra  volta  poi  si  risoninierge. 

La  man  carca  di  perle  indi  > icn  fora , 

E il  bel  lido  vicin  tutto  n'asperge; 

Per  le  rapite  airostriclic  native , 

Vie  maggior,  delle  noci  c dell' olive. 

Disse  la  Dea;  Se  pur  di  perle  mai 
Fia , die  avaro  talento  il  cor  ti  tocchi , 

A tua  voglia  sbramar  cpii  ben  potrai 
L' appetito  volgar  degli  altri  sciocchi. 
Pcrmcnon uccliiegR’io;  ne  hanpurassai 
La  tua  bocca  ridente  c i miei  tristi  occhi. 
E se  nulla  curiam  fregi  men  belli, 
Rcstiiisi  cibo  ai  mici  lascivi  augelli. 

Sappi , che  di  ricchissime  rugiade 
L’India,  l’Arabia,  Eritra  cTaprnbaua 
Tanta  copia  non  hanno,  o Paro,  oGade, 
Od' austro  il  mare,  o il  mar  di  tramontana. 
Quanta  in  queste  felici  alme  contrade 
Ne  versa  egnor  del  Clel  grazia  sovrana. 
Poscia  in  minuti  globi  il  Sol  le  indura, 

E soir  de' miei  colombi  esca  e pastura. 


Quando  l’Aurora  il  suo  purpureo  velo 
Lava  con  I'  onda,  che  I fioretti  avviva, 

Di  mattutino  umor  piove  dal  ciclo 
Pi(  ciula  stilla  in  temperala  riva  , 

E condcusala  in  rugiadoso  gelo 
L’accoglie  in  cavo  sen  conca  lasciva, 

Del  cui  seme  gentil  vien  poi  produlto, 
l'ari  alia  madre  sua,  candido  frullo. 

Quel  soave  licor,  che  avida  beve, 

E seme,  onde  tal  prole  al  mondo  nasce, 
Ed  è latte  in  un  punto,  onde  riceve 
Virtù,  che  il  parto  suo  nutrisca  e pasce. 
La  propria  spoglia  delicata  e lieve 
1.’  avvolge  quasi  in  argentate  fasce, 

E con  la  purlli  de’ suoi  splendori 
Vince  dell'  alba  1 luminosi  albori. 

Pregiasi  molto  in  lor  Tesser  sincere, 

E d’iin  condor  di  nulla  macchia  olTeso, 
Nè  la  grossezza  men,  pur  elle  leggiere 
Non  abhian  pari  alla  misura  II  peso. 
Quella  forma  è miglior,  che  con  le  sfere 
PIÙ  si  conforma,ondcogni  lume  hai)  preso; 
E quelle  son  tra  lor  le  più  lodale. 

Che  soglion  per  natura  esser  forate. 


Le  perle,  perchè  son  d’egual  hianchezza, 
Ama  la  schiera  immacolata  e bianca. 
Cosi  quello  splendor,  quella  finezza, 
QTai  lor  primi  natali  in  parte  manea. 
Con  doppia  luee  e con  maggior  bellezza 
Nel  lor  ventre  s’ adempie,  e si  rinfranca  ; 

E le  rimandati  fuor  con  gli  e.scrcmenti 
Più  pcrfclle,  più  pure  c più  lucenti. 

Il  coro  poi,  ch’è  d’ adornarmi  avvezzo, 
Delle  mie  vaghe  e leggiadretle  ancelle. 
Per  fabbricar  pendente , o conipor  vezzo 
.Sceglie  tra  lor  le  più  polite  e belle. 

Ed  io  più  eh'  altra  una  tal  pompa  apprezzo. 
Perchè  la  stirpe  lor  vien  dalle  stelle, 

E del  cielo  e del  mare  hanno  il  colore , 
lA  dove  nacque  c dove  regna  Amore. 

Si  per  il  generoso  alto  concetto. 

La  cui  primiera  origine  è celeste,' 

SI  per  la  gran  virtù  del  bell’  oggetto , 
Possente  a confortar  T anime  meste, 

SI  perchè  lo  splendor  reca  diletto, 
Sogllomi  compiacer  forte  di  queste. 
Queste  diero  la  cuna  al  nascer  mio, 
Queste  per  barca  e carro  ancor  vols'  io. 


Ma  però  che  ogni  bella  c ricca  cosa 
Con  gran  dilllcolia  sempre  s' acquista , 
Questa  sì  cara  preda  c preziosa 
<’.on  la  fatica  e col  periglio  è mista. 
Stassene  parte  entro  T albergo  ascosa 
La  perla,  e parte  esposta  alT  altrui  vista. 
SiilTorlodel  covii  che  la  ricetta. 

Alla  rapina  II  pescatore  allctta. 


L’ ingordo  pescalor  che  aperte  scorge 
Le  fauci  allor  della  cerulea  bocca , 
Stendela  destra  (ahi  tcmcrario)e  sporge 
Troppo.a  si  nobil  furto  incauta  c sciocca. 
Perocché  come  prima  ella  si  accorge. 
Che  man  rapace  il  suo  tesor  le  tocca. 
Comprimendo  gelosa  il  proprio  guscio. 
Della  casa  d'argento  appanna  T uscio. 


Con  tanta  forza  T aflìlato  dente 
Stringe  In  un  punto  la  mordace  conca. 
Che  tanaglia,  o coltei  forte  c tagliente 
Men  gagliardo,  o men  ratto  afferra , o trOn- 
Restan  Taudaci  dila  immantinente  [ca.' 
Recise  del  meschin  nella  spelonca, 

Den  giusta  pena  allo  sfrenato  afdlK, 

Del  troppo  avaro  e cupido  destre.  V ^ > 


7 


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H6  marino. 


Cosici  perù  clic  u'anicchj  rarcne. 
Tulle  sa  di  lai  pesca  e I’  ari!  c I modi , 

E del  pesce  braiiculo  apprese  ba  bene 
Le  scallrc  insidie  e I’  ingegnose  frodi. 
Quando  il  sasso  Ira'  niccbi  a ntcllersienc. 
Che  SOI!  dell'  alimi  viscere  cuslodi, 

Onde  passa  securo  entro  la  scoria 
La  sua  nemica  a divorar  |ter  fona. 

Quindi  suole  avvenir  che  la  conchiglia, 
Nel  cui  grembo  si  cria  la  margarila. 
Quando  vede  la  man,  che  giù  la  piglia. 
Spesso  il  caslor  perseguitato  tmila, 

E della  bianca  sua  lucida  figlia. 

Che  generata  ba  si,  uon  partorita. 

Fa  prodiga  a colui,  di  cui  ragiono. 

Di  spontaneo  voler  libero  dono. 

E se  saver  vuoi  pur  chi  cosici  sia. 

Che  è destinata  ad  abitar  quest'  acque. 
Figlia  fu  di  Aebeloo,  che  in  couipagnia 
Di  due  gemelle  sue  d'  un  parlo  nacque. 
Ma  da  fortuna  ingiuriosa  c ria  [<|ue; 
La  coppia  a lei  congiunta  oppressa  glac- 
E cb'  ella  sol  giungesse  a queste  sponde. 
Fu  grazia  mia  che  signoreggio  I'  onde. 

GUallri  duo  delTlrren  mostri  guizzanti 
Eran  di  qualità  simili  a questo. 

Attrattivi  negli  atti  e nei  sembianti. 
Donne  il  petto  c la  faccia,  e coda  il  resto  ; 
Soavissimo  rìschio  a’  luviganti. 

Doloroso  piacer,  scherzo  funesto  ; 

Il  cui  cantar  uc'  salsi  ondosi  regni 
Era  morte  al  nocchicr,  naufragioai  legni. 

Ma  poiché  ogni  arte  lor  vinse  e deluse 
Di  là  passando  il  peregrin  sagace. 
Quando  con  cera  impenetrabii  chiuse 
Le  caute  orecchie  all'  armonia  tenace, 

D’  ira  arrabbiale,  e di  dolor  confuse 
Le  disperse  del  mar  I'  onda  rapace, 

E (salvo  quegta,  che  campò  persorlc} 
Per  dispcraziou  si  dicr  la  morte. 

Delle  tre  mezzo  pesci  e mezzo  dive 
Quella,  che  in  questo  mar  gittata  venne. 
Qui,  come  vedi,  immortalmente  vive; 
Ciò  per  pietà  dal  mio  gran  Nume  ottenne. 
L’  altre  per  varj  lidi  e varie  rive 
Corser,  né  so  bcu  dir  ciò  che  n'  avvenne. 
So  beo  che  una  di  lor  dall'  onde  spinta 
Presso  Cunia  c Puzzuol  rimase  estinta. 


E trasportata  a quella  nobii  sede. 
Miglior  cheli!  vita,  in  morte  ebbe  ventura. 
Perché  de'  Calci  U popolo  le  diede 
il  paradiso  mio  per  sepoltura. 

Dico  il  lieto  paese,  ove  si  vede 
Si  di  sé  stessa  innamorar  Natura , 

A cui  cinto 'di  colli  il  mar  fa  piazza. 

Che  a Neltimo  é teatro,  a Bacco  è lazza. 

Dall'  ossa  ilella  vergine  canora. 

Che  in  quel  terrcn  celeste  ebbe  l’avello. 
Spirto  di  melodia  pullula  ancora. 

Quasi  d’ antico  onor  germe  novello. 

Più  d'  una  lira  vi  ai  sente  ognora, 

E più  d'un  bianco  mio  musico  augello; 
E che  sia  vero , un  de’  suol  figli  ascolta, 
A che  dolce  canzou  la  lingua  ha  sciòlta. 

Volgesi  a quella  parte,  ond'  esce  il  canto 
Adone , e vetle  un  pescator  sul  lito. 

Di  semplice  duaggio  ha  gonna  e manto. 
Ed  ha  di  polpo  un  cappero»  sdruscito. 
Ampio  cappel,  che  si  ripiega  alquanto. 
Gli  adombra  il  crin,  di  sottil  paglia  ordito . 
Tiene  a piè  la  cistella,  in  man  la  canna. 
Con  cui  dell’  acque  il  popol  muto  inganna. 

Lilla,  dicea,  che  si  fastosa  e lieta 
Ognor  ue  vai  del  mio  tormento  acerbo. 

Deh  Vienne  all’ombra  ,or  ch’il  maggior  |>ia- 
Scaldaiileonferocee'l  cansuperba  ncta 
Qua  Vienne,  ove  leggiadra  c mansueta 
Un’  anguilla  domestica  li  serbo. 

Che  di  limo  si  nutre  entro  un  forame 
Di  questo  scoglio, e non  ba  spine, o si|uamc. 

Più  bel  non  vide,  o più  vezzoso  pesce 
Del  Mincio  mai  la  celebrala  pesca. 

Spesso  qualora  il  mar  si  gonfia  e cresce 
Salta  dal  fondo  in  su  la  riva  fresca. 

Va  per  l’ erba  seiqiendo,  e tant'  olir'  esce , 
Che  V leu  fin  nei  mio  grembo  a prender  l'e- 
Di  fin  oro  all'orcccbie  ha  due  pendenti  ' sca; 
E mi  vomita  in  man  perle  lucenti. 

Ila  lunga  coda  e larga  testa  o grossa. 
Rocca  allerta  e viscosa  ed  ampie  terga. 
La  schiena  è di  color  tra  bruna  e rossa, 
D auree  macchie  smaltata  a verga  a verga. 
Si  dibatte  |ier  I’  act|ua  c per  la  fossa , 

Nè  pur  iu  pace  un  sol  momento  alberga. 
Lubrica  scorre,  entra  per  tutto  e guizza  , 
E se  la  tocca  alcun , tosto  si  drizza. 


Digilize*'  : V ^OOgle 


L’ ADONE.  H7 


Tua  sari,  se  l' accetti  e se  ti  piace 
Deporre  alquanto  il  dispieiato  orgoglio. 
Del  tuo  \ivaio  entro  I'  umor  vivace 
io  di  mia  iiiaiio  imprigionar  la  voglio. 

Oh  di  questo  animai  viepiù  fugace , 

Più  dura  al  mio  pregar  di  questo  scoglio. 
Vieni  a temprar  dell  vieni  un  doppio  ardo- 
E se  il  pesce  non  vuoi  prenditi  H core,  [re. 

Chiede  a Venere  Adon,  dii  sia  coloi , 
Che  si  ben  col  cantar  1’  aure  lusinga. 

È de'  nostri,  risponde.  Amor  di  lui 
Non  avri  inai  chi  più  fori’ arda,  ostrlng*. 
Fileno  ha  nome,  e dall’  insìdie  altrui 
È qui  giunto  a menar  vita  solinga. 
Nacque  colà  nella  felice  terra, 

CJic  la  morta  Sirena  hi  gren^io  serra. 

Ma  se  ti  cal  più  oltre  intender  forse 
Di  sue  fortune,  aiidiaime  ov’  egli  stasai. 
Cosi  SCI!  giro,  ed  eì  quando  s’ acroise 
Ver  lui  drizur  la  bella  coppia  i passi , 
Di  cotanta  beltà  stupido  sorse 
Per  reverirla,  da  que’  rozzi  sassi; 

Ma  con  man  gli  accennò  l' amica  Dea, 
Che  di  là  non  partisse,  ove  sedea. 

Per  romper, dice,o  per  turbar  non  regno 
I tuoi  dolci  riposi,  o i bei  lavori. 

Sai  ben,  clic  quando  del  mio  patrio  regno 
Prendesti  in  prima  a celebrar  gli  onori. 
Io  diedi  forza  al  tuo  aDannato  ingegno , 
Svegliandolo  a cantar  teucri  amori  ; 
Onde  il  nome  immortale  ancor  per  tutto 
Serbati  di  Lilla  tua  l’arena  c il  flutto. 

Del  foco  tuo  con  mormorio  sonoro 
Farà  il  mar,  dov’  io  nacqui , eterna  fede; 
E come  Apollo  lì  donò  l’allòro. 

Cosi  l’alga  Nettuno  or  ti  concede. 
Lodanti  i muti  pesci,  e tu  di  loro 
Fai  dìlotlose  c voluiitàric  prede; 

Anzi  con  soavissime  rapine 
Prendi  l’ anime  umane  e le  divine. 

Fortunato  cantor,  la  nobil  arte 
Quanto  più  gradirei  del  tuo  concento. 
Se  I diletti  c i dolor  spiegassi  in  carte. 
Che  per  costui,  non  più  sentili , io  sento; 
Per  costui,  che  è di  me  la  miglior  parte , 
Amaro  mìo  piacer,  dolce  tormento. 
Mezzo  dell’  alma  mia,  vita  mia  vera, 
Anzi  di  questa  vita  anima  intera. 


Deh , te  ne  prego,  cosi  il  Ciel  secondo 
Sempre,  e benigno  ai  tuoi  deslrsi  mostri , 
Fa  nell’  età  futura  udire  al  mondo 
La  bella  istoria  degi'  iiieendj  nostri. 

So,  che  se  (|uest’  ardor  lieto  e giocondo 
Sarà  materia  ai  tuoi  vitali  Incliiostri, 
Passerà  l’ onda  oscura  e chiara  fia 
Non  senza  giuria  tua , la  fiamma  mia. 

Farò,  se  ciò  farai,  per  te  colei 
Languir,  percui  languisci,  amante  amala: 
E quando  U nodo,  onde  legato  sei , 

Verrà  poscia  a troncar  Parca  spietata , 
Nel  felice  drappel  de’  cigni  miei 
Ti  porrò , candid’  ombra,  alma  beata , 
Dove  l’Eternità,  che  sempre  vive. 

Nel  libro  suo  l’ altrui  memorie  scrive. 

Risponde,  0 degna  Dea  delia  beliate. 
Imperatrice  d’ogni  iiobii  petto. 
Canterò,  scriverò,  se  voi  mi  date 
Vena  corrispondeule  al  bel  suggello. 

Da  voi  vieintiii  lo  stile,  e voi  levale 
Sovra  sò  stesso  il  debile  intelletto, 
Poicliò  la  cetra  mia  rauca  e discorde 
Si  ha.de’  lacci  d’Amor  fatte  le  corde. 

Questo  cor, che  si  struggeapocoapoco 
Languendo  di  dolcissima  ferita. 

La  mercè  vostra,  in  ogni  tempo  e loco. 
Sarà  fonte  d’  amor  più  che  di  vita; 
Somministrando  al  suo  celeste  foco 
Nelle  pene  locato,  esca  inflnita. 

Con  tal  piacer  per  la  beltà  che  adoro , 
Sperando  vivo,  e sospirando  moro. 

Nacque  neinascermio,  ni  fia  eh’ estinto 
Manclii  per  volger  d’ anni  ardor  si  caro. 
Quelle  catene,  ond’  io  son  preso  e cinto. 
Insieme  con  le  fasce  mi  legaro. 

Quei  lini  stessi,  in  eh’ io  fui  priniaavvinto. 
La  piaga  del  mio  petto  anco  fasciaro. 
Lavalo  appena  dai  materno  bagno. 

Fui  lavalo  dai  pianto,  onde  mi  lagno. 

Amor  fu  mio  maestro,  appred  amando 
A scriver  poscia  ed  a cantar  d’ Amore. 
Di  due  furori  acceso,  arsì  penando, 

L’ un  mi  scaldò  la  mente  e l’ altro  il  core  ; 
L’uno  iusegnommi  a lagrimar  cantando. 
L’altro  a far  le  mie  lagrime  canore. 
Amor  fe’  con  la  doglia  amaro  il  pianto , 
Febo  con  l’ armonia  soave  il  canto. 


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marino. 


14$ 

N(^ar  non  voglio,  uè  negar  poss’  io. 

Che  al  dolci  sludj , agli  onorati  alTannl , 
elio  rapiscono  i nomi  al  cicco  olibllo, 

E fanno  al  tempo  ingordo  eterni  inganni. 

Fatale  elczion  l'animo  mio 

Noti  inclinasse  assai  fin  da'  prini'  anni. 

In  quolumine  inarlir  grave  c molesto, 
llcfiigio  unqiianon  ebbi  altro  ebe  (lucslo. 

Ma  da  (|uesla  di  vezzi  arte  nutrice 
Ecco  le  spoglie  alfin  che  allri  riporla. 
Ecco  qual  fruito  vien  di  tal  radice , 

V'n  guarnel  ili  zigrin,  l'amo  e ia  sporla. 
Trofei  del  nostro  secolo  infelice. 

In  cui  di  gloria  ogni  favilla  i morta. 

I.'età  del  ferro  è scorsa , c sol  di  questa 
La  vilissima  ruggine  ne  resta. 

Tempo  fu , elio  ai  cultor  de'  sacri  rami 
Favorevoli  fur  mollo  i pianeti. 

Or  sol  regnano  in  terra  avare  fami , 

E copia  grande  d'  uomini  indiscreti , 
De'qual  se  alcunoè  pur  ch'il  canto  n' a-  | 
Ama  le  poesie,  non  i poeti  ; [mi. 

Ni!  fla  poca  mercè,  quand’egli  .applaude 
Premiando  talor  laude  con  laude. 

Di  me  non  parlo,  e se  pur  canto,  oscrivo, 
D’ Amor,  non  di  Fortuna  io  mi  lamento, 
Chè  non  in  lutto  di  ricchezze  è privo 
r.hi  trae  la  vita  povero  e contento. 

In  tale  stato  volciiiier  mi  vivo. 

Bastami  sol,  che  d oro  ho  lo  strumento. 
Lo  stromento,  ch’io  sono  (a  quell’  alloro 
Vedilo  lì  sospeso)  è di  fin  oro. 

Ha  di  gigli  dorali  intorno  i fregi , 

Ed  ha  gemmato  il  manico  e le  chiavi. 
Dono  ben  degno  del  gran  re  de’  regi , 
Rege , amor  de'  soggetti , onor  degli  avi. 
Si  non  indegni  di  cantar  suoi  pregi 
Fossero  i versi  miei  poco  soavi, 

Coni’  egli  è tale  infra  gli  eroi  maggiori 
Qual  è. il  suo  giglio  infra  i più  bassi  fiori. 

Ma  questo  è il  men  se  non  che  il  vulgo  a cui 
Fosco  vel  d’ ignoranza  1 lumi  appanna , 
Prendendo  a scherno  i bei  sudori  altrui , 
Nel  conoscere  il  meglio  erra  e s’ Inganna. 
E sebben  io  tra  que'  miglior  non  fui , 
Sovente  chi  più  vai  biasnia  e condanna. 
Mlser,  di  colpi  tali  ognor  fu  segno 
Il  mio  battuto  e travagliato  ingegno. 


Più  d'una  volta  il  gcnitor  severo. 

In  cui  d’oro  bollian  desi  ri  ardenti , 
Stringendo  il  morso  del  paterno  impero. 
Studio  iuiitil,  mi  disse,  a che  pur  lenti? 

Ed  a forza  piegò  l’alto  pensiero 
A vender  fole  gì  garruli  clienti. 

Dettando  a questi  supplicanti  e quelli 
Nel  rauco  foro  i queruli  libelli. 

Ma  perchè  potè  in  noi  Natura  assai , 

La  lusinga  del  Genio  in  me  prevalse, 

E la  toga  deposta  , altrui  lasciai 
l’arolelle  smaltir  mendaci  e false. 

Nè  duhbj  testi  inlerpelrar  curai. 

Nè  discordi  arcordar  chiose  mi  calse. 
Quella  stimando  sol  perfetta  legge. 

Che  de’  sensi  sfrenati  il  freii  corregge. 

Legge  ornai  più  non  v’  ha  la  qual  per  dritto 
Punisca  il  fallo,  o ricompensi  il  merlò. 
Sembra  quanto  è fin  qui  deciso  e scritto 
1)' opinion  confuse  abisso  incerto. 

Dalle  calunnie  il  litigante  atllitto 
Somiglia  in  vasto  mar  legno  inesperto. 
Reggono  il  tutto  con  affetto  ingordo 
Passion  cieca  ed  interesse  sordo. 

La  rota  eletta  a terminar  le  liti 
Qual  nuova  d’ Ission  rota  si  volve, 

E con  giri  perpetui  ed  iniinili 
Traltien  l’altrui  ragion,  nè  la  risolve. 
Purqnc’lunghilutervallialliu  spedili, [ve. 
Spesso  il  buon  si  condanna  e il  reos’assol- 
Dell’oro.al  cui  guadagno  è il  mondo  inteso. 
La  bilancia  d’ Astrea  trabocca  il  peso. 

Tcnnemi  pur  assai  la  patria  bella 
Dentro  1 confiti  delle  native  soglie  , 

Dico  Napoli  mìa  , che  la  sorella 
Della  Sirena  tua  sepolta  accoglie. 

Ma  perchè  Puom  nell’età  sua  novella 
È pronto  a variar  pensieri  c voglie , 

Vago  desio  mi  spinse  c mi  dispose 
A cercar  nove  terre  c nove  cose. 

Mossemi  ancor  con  falsi  allettamenti 
La  persuasion  della  speranza. 

Ed  al  sacro  splendor  degli  ostri  ardenti 
Mi  trasse  pien  di  giovenii  baldanza , 
Sicché  all’altrice  delle  chiare  genti 
Chiesi  mercè  di  riposala  stanza  , 
Credendo  Amor  vi  soggiornasse , come 
Par  che  prometta  il  suo  fallace  nome. 


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L’ 

Parte  colà  dei  più  lici'  anni  io  spesi , 
E dei  colli  ramosi  all’ombra  tissi, 

E sotto  stelle  nobili  e cortesi 
Or  i’ altrui  lodi,  or  le  mie  pene  scrissi. 
Stelle,  I cui  raggi  d’alta  gloria  accesi 
Vinceano  i maggior  lumi  in  cielo  affissi, 
Ma  r inllucnzc  lor  per  tutto  spar.se 
Ad  ogni  altro  benigne,  a me  Tur  scarse. 

Vidi  la  corte,  e nella  corte  io  vidi 
Promesse  lungbe  e guiderdoni  avari. 
Favori  ingiusti  e pairneinj  infidi , 
Speranze  dolci  e pcniimcnti  amari. 
Sorrisi  tradilor,  vezzi  omicidi. 

Ed  acqui,sii  dubbiosi  e danni  chiari , 

E voli  vani  ed  idoli  bugiardi , 

Onde  il  male  è securoe  il  ben  vien  tardi. 

Ma  come  può  vero  diletto,  o come 
Vera  quiete  altrui  donar  la  corte  7 
Le  die  la  cortesia  del  proprio  nome 
Solo  il  principio,  il  fine  ha  dalla  morte. 

Io  volsi  dunque  pria  che  cangiar  chiome, 
Terra  e cielo  cangiar,  per  cangiar  sorte. 
Ma  lung’ora  perù  del  loco  in  cui 
Rlcovrar  mi  dovessi,  in  dubbio  fid. 

Sperai  di  tanti  danni  alcun  ristoro 
Trovar  laddove  ogni  valor  soggiorna  , 
Nella  città  clic  il  nome  ebbe  dai  toro , 
Siccome  il  fiume  suo  n’ebhe  le  corna. 
Venni  alla  Dora , che  di  ferill  oro 
(Come  il  liiol  risona]  i campi  adorna. 

Ma  in  prigion  dolorosa , ove  mi  scorse. 
Lasso,  che  in  vece  d’or,  ferro  mi  porse. 

Di  quel  signor,  che  generoso  c giusto 
Regna  colà  dell’  Alpe  alle  radici. 

Non  mi  dogl’io;cosl  pur  sempre  Augusto 
Goda  al  talor  dovuti , anni  felici. 

3ol  del  Destino  accuso  il  torlo  ingiusto, 

K il  lituo  amor  de’  disleali  amici. 

Per  la  cui  scelleraggine  si  vede 
Laddove  nasce  il  Po,  morir  la  fede. 

Venne  sospinta  da  llvor  maligno 
Aiicor  quivi  rinvidia  a saettarmi, 

Ghè  sua  ragion  con  scellerato  ordigno 
Difender  volse , e disputar  con  l’ armi  ; 

E ri.sponileiulo  col  focil  sanguigno, 

E col  tuoi!  delle  palle  al  suon  dei  carmi , 
Mosse  r ingiurie  a vendicar  non  gravi 
Delle  penne  innocenti  i ferri  cavi. 


ADONE.  1 1!( 

I Mi  assalse  insidiosa , e come  avante 
Lingua  vibrò  di  fiele  e di  veleno, 

Cosi  poi  vomitò  foco  sonante 
Per  la  bocca  d’ un  fulmine  terreno. 

Con  la  canna  forala  e folgorante 
Tentò  ferirmi  e lacerarmi  il  seno. 

Come  la  fama  mi  trafisse  c come 
Mi  lacerò  con  le  parole  il  nome.  . 

Non  meritava  un  lieve  scherzo  c vano 
Di  arguti  risi  c di  faceti  versi , 

Che  altri  doves.se  armar  l’ iniqua  mano 
Di  si  perfidi  artigli  c sì  perversi , 

E scoccar  contro  me  colpo  villano , 

Che  inerme  il  fianco  alla  percossa  oITcrsi. 
Che  non  fa,  che  non  osa  ira  e furore 
D’animo  disparato  e traditore? 

Pensò  forse  il  fellon  quando  m'olTcse 
Per  alto  tal  dì  nilgllorar  ventura, 

E con  la  voce  del  ferrato  arnese 
Di  acquistar  grido  appo  l’età  futura. 
Sperò  col  lampo  che  la  polve  accese , 

Di  rischiarar  la  sua  memoria  oscura, 

E fatto  dalla  rabbia  audace  c forte 
Si  volse  immortalar  con  la  mia  morte. 

Girò  l’infausta  chiave,  e le  sue  strane 
Volgendo  intorno  c spaventose  rote, 
Abbassar  fe’  la  lesta  al  fiero  cane , 

Che  in  bocca  licn  la  formidabii  cote , 
Sicché  toccò  le  macchine  inumane, 
Ondeav  vampa  il  balen,  che  altrui  pcrcote, 
E con  fragore  orribile  e rimbombo 
Avventò  contro  me  globi  di  piombo. 

Ma  fussc  pur  del  Ciel  grazia  seconda. 
Che  innocenza  c bontà  sovente  aita, 

0 pur  virtù  di  quella  sacra  fronda, 

Ole  dal  folgore  mai  non  é ferita; 

Fra  gli  ozj  di  quest’  antro  e di  quest’  onda, 
Fid  rìserbato  a più  tranquilla  vita. 

Forse  come  amator  di  sua  bell’ arte, 
Campommi  Apollo  da  Vulcano  e Marte. 

Quindi  l’Alpi  varcando,  il  bel  paese 
Giunsi  a veder  della  contrada  franca , 
Dove  i gran  gigli  d’oro  ombra  cortese 
Prestaro  un  tenqvo  alla  mìa  vita  stanca. 
La  virtù  vidi  e la  beltà  francese; 
V’abbonda  onor,  nè  cortesia  vi  manca. 
Terrei)  si  d' ogni  ben  ricco  e fecondo , 

Ch’  io  non  so  dir  se  sia  provincia  o mondo. 


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J50  MARINO. 


Ma  perocché  II  fororsuole  in  gran  parte 
Di  quel  petti  guerrieri  esser  tiranno , 

E le  penne  pacifiche  e le  carte 

Con  aste  e spade  conversar  non  sanno , 

E tra  gli  scoppi  e timpani  di  Marte 

I concenti  d’ Amor  voce  non  hanno , 
Questo  scoglio  romito  e questo  lido 
Feci  de’  miei  pensier  refugio  e nido. 

Qui  mi  vivo  a me  stesso,  ein  quest’arena 
Che  cosa  sia  felicltil  comprendo, 

E qui  purgando  la  mia  rozza  vena , 

Da'  tuoi  candidi  cigni  il  canto  apprendo , 
Con  cui  sfogar  del  cor  la  dolce  pena 
La  pescatrice  mia  m’ode  ridendo. 

Vena  povera  certo  ed  infeconda , 

Ma  scliictta  e naturai  com’  é quesf  onda. 

Cosi  vinto  il  rigor  del  iter  Destino , 

Con  cui  vera  virté  sempre  combatte, 

Di  Paiisilippo  e Nisida  e Pioppino 
Risarcisco  le  perdite  che  ho  fatte. 

II  puro  stagna  e il  bel  fonte  vicino , 

Ix  lor  rive  fiorite  e fonde  Intatte  [nio, 
Son  mia  corte  ernia  reggia  ; altro  non  bra- 
che I'  erba  e f acqua  c la  cannuccia  e l’amo. 

Vom  cheanelante  a vani  acquisti  aspira, 
E in  cose  frali  ogni  suo  studio  ha  messo , 
Fa  quat  turbo , o paleo , c he  mentre  gira , 
La  sepoltura  fabbrica  a sé  stesso , 

E dopo  molte  rote  aifln  si  mira 
Avere  al  moto  li  precipizio  appresso. 
Che  vai  tanto  sudar,  gente  inquieta. 

Se  angusta  fossa  alle  fatiche  è meta  7 

n meglio  i dunque  in  questa  vita  breve 
Procacciar  contro  Morte  alcun  riparo, 

E poiché  H corpo  incenerir  pur  deve , 
Rendere  almeno  li  nome  eterno  e chiaro. 
Chi  da  Fortuna  rea  torto  riceve 
Specchisiln  me.chc  a disprezzarla  imparo; 
Sol  beato  é chi  gode  in  ore  liete 
Trai  modesti  piacer  bella  quiete. 

Virtù  non  monche  Amordi  sé  s’ appaga, 
Dice  la  Dea , che  Intenta  il  parlar  otle. 
Siccome  amor  sol  con  amor  si  paga , 
Cosi  virtù  sol  di  virtù  si  gode. 

Altro  premio , altro  prezzo  ed  altra  paga 
Non  richiede , né  vuol , che  onore  e lode. 
Ella  é mercé , e mercé  soia  a sé  stessa. 
Cosi  dicendo , al  bel  fonte  si  appressa. 


Nell’  isoletta  un  piccol  pian  ri  tondo 
Da  siepe  é cinto  di  fin  oro  eletto , 

Che  coi  metallo  prezioso  c biondo 
Difende  II  praticcl  die  vi  fa  letto. 

E di  germi  odoriferi  fecondo 
B’ aromatiche  piante havvi  nii  boschetto. 
Che  fan  con  l’ ombre  lor  frondose  e spesse 
Il  loco  insuperbir  di  ricca  messe. 

Un  Pamasctio  d’hnmortal  verdura 
Noi  centro  dei  pratei  fa  piazza  ombrosa , 
In  mezzo  al  cui  quadrangolo  a misura 
La  pianta  della  fabbrica  si  posa. 
Fermansi  a contemplar  l'alta  struttura 
La  vaga  e il  vago  in  sulla  sponda  erbosa , 

E van  mirando  i peregrini  intagli , 

Oli  nulla  é sottollSole  Opra  che  agguagli. 

Di  terreno  scullor  scarpelli  industri 
Formar  non  saprien  mai  si  bella  fonte  ; 

E ben  fece  molt’anni  e molti  lustri 
Ai  tre  giganti  etnei  sudar  la  fronte. 

Note  dì  marmo  fin  fignie  illustri  [monte, 
Cerchiano  nn  sasso,  e il  sasso  as%m  lira  un 
E quel  monte  ha  due  dme , e in  siAt  diM 
Alato  corridor.  la  zampa  imprime. 

Deh  perdontd'ilClel  si  grave  fallo. 

Per  cui  men  caro  il  buon  llcor  si  ttene, 
Zoppo  fabbricator  del  bel  cavallo , 

Che  ne  venne  ad  aprir  novo  Ippocrene. 
Bastar  ben  ti  dovea , che  il  suo  cristafio 
Scaturisse  Elicona  in  larghe  vene, 

Senza  far  di  quell’ acque  elette  e rare 
L’uso  a pochi  concesso,  ornai  volgare. 

Qnantl  da  Indi  in  qua  del  nome  Indegni 
Poeti  il  -chiaro  stadio  han  fatto  vile?  (gni 
Quanti  con  labbra  immonde  aodad  inge- 
Vanno  a contaminar  T onda  gemile? 

Non  si  turbi  il  bel  coro  e non  si  sdegni , 

Se  venale  e plebeo  diiien  lo  stile. 
Poiché  del  mondo  ogni  contrada  quasi 
Di  Caballhii  abbonda  e di  Parnasi. 

E si  ben  finto  fi  zappador  destriero , 
Che  allo  spuntar  del  giorno  hi  oriente 
I corsieri  del  Soi  credcndol  vero 
Rhigbiaudo  gii  annitrirono  sovente. 
Piove  dal  sasso  in  un  diluvio  intero 
l.a  piena  in  pila  concava c lucente, 

E la  pila,  che  acrnglie  in  sé  la  pioggia  , 
Delle  Mose  su  gii  omeri  s'appoggia. 


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L’ADONE.  I&l 


Ha  lo  stromento  mio  daecona  Musa , 

Ed  a dascBB  stromonlo  in  ogni  parte 
L’  onda  canora  in  care  piombo  chiusa. 
Per  molle  canne  l’ anima  coniparle. 
Strangolala  gorgoglia  , indi  dilbisa 
Volge  macchine  e rote  ordite  ad  arte, 

E con  tenor  di  melodia  mentita 
Della  man,  della  bocca  II  suono  Imita. 

Sta  sotto  r ombra  della  cava  pietra, 
Cbe  soltogiace  al  volator  Pegaso , 
n bel  signor  della  comma  cetra , 

Il  gran  reuor  di  PIndo  e di  Parnaso. 

In  testa  il  lauro,  al  Ranco  ha  la  faretra, 
E versa  l' acqua  In  più  capace  vaso. 

L’ aoriua , che  d’alto  vien  lucida  e tersa , 
Per  r armonico  plettro  in  giù  riversa. 

Intorno  al  labbro  spazioso  e grande 
Della  conca , che  copro  11  re  di  Deto , 

S’ intesse  il  fonte  da  tutte  le  bande 
Di  traslucido  argento  un  sottll  velo , 

E in  tal  guisa  il  suo  giro  allarga  e spande. 
Che  vIen  quasi  a formar  coppa  di  gelo , 
In  guisa  tal,  che  a chi  per  ber  s’appressa. 
Tazza  insieme  e bevanda  è l’acqua  istessa. 

Par  che  quel  chiaro  velo  inargentato , 
Cbe  di  liquidi  slami  ordì  Nature , 

Abbia  r Arte  tessuto  e lavorato 
Per  guardar  dalla  polve  onda  si  pura  ; 

0 sia  per  asciugar  forse  filato 
L’ acqua , cbe  In  sostener  quella  scultura 
Le  Dee  del  tempo  e dell’  obblio  nemiche 
StiSan,  quasi  sudor  delle  fatiche. 

Voigon  le  Mose,  l’ una  ali’  altra  opposte 
Le  spalle  al  fonte , ed  allo  stagno  il  viso. 
E in  diverse  attitudini  composte 
Fanno  corona  all’  annentier  d' Anfriso. 
In  pih  levate , e in  vago  ordin  disposte 
Grondan  perle  dal  crin , In-ine  dai  viso , 
E scalzee  mezzo  ignudo  accolte  In  cerchio 
Della  gran  conca  reggono  il  ooverebio. 

Dalla  conca  più  alla  alla  più  bassa , 
Che  in  bacino  maggior  l’ acqua  ricetta , 
Delle  bell’  onde  il  precipizio  passa , 

La  qual  pur  le  riceve  e le  rigetta. 

Nel  cerchio  Inferior  cader  le  lassa. 

Dove  r acqua  divisa  a bere  alletta. 

In  quattro  fonti  piccioli  è divisa , 

Ed  og^i  fonte  ha  la  sua  statua  Incisa. 


Quattro  le  statue  son  ; la  Gloria'  in  nna. 
La  Fama  in  altra  parte  incise  stanne. 

La  Virtù  quindi,  e quinci  li  Fortuna 
Vaghi  al  vago  lavor  termini  fanno; 

E in  cima  a tre  scagllon  posta  ciascuna , 
Cbe  agiato  all'  aitnil  sete  adito  danno , 

L’ acqua  In  vaso  minor  versa  c ripone 
0 per  urna , o per  tromba,  o per  cannone. 

Chi  può  dir  poi , siccome  scherza,  e in 
Guise  si  varia  la  voluMI  vena!  [qnante 
Or  per  torto  senticr  serpendo  errante 
Tesse  di  bei  meandri  ampia  catena; 

Or  con  dirotta  aspergine  saltante 
Ragna  lambendo  II  del  l’ aura  sereni  ; 

E polche  quanto  può  s’ Inalza  c poggia , 
Sparge  I’  accolto  nembo  In  lieta  pioggia. 

Piovuta  si  ringorga  e si  nasconde  [ to. 
L'acqua,  ein  cupo  canal  soppressa  alqnan- 
Sin ghiozzi  si , che  il  mòrmorio  dell’ onde 
Sembra  di  rosignuol  gemito  e pianto. 

Poi  per  seccete  vie  sboccando  altronde , 
Esce  con  forza  tal , con  furor  tanto , 

Che  si  disfiocca  in  argentata  sptraia , 

E somiglia  a veder  candida  piami. 

Meraviglia  lalor,  mentre  s’ estolle , 

Arco  stampa  nel  del  simile  ad  Iri. 
Trasformarsi  l’ umor  liquido  e rooRe, 
Voltoin  reggi , in  comete , in  stelle  il  miri. 
Miri  qui  sgorgar  globi,  eruttar  bolle. 

Là  girelle  rotar  con  cento  girl , 

Spuntar  rampolli  e pnllnlar  zampilli , 

E guizzi  « spruzzi  e pIspIndH  e spilli. 

Nel  lo  spazio,  che  l'orlo  a cerchiar  rione  ‘ 
Tra  cornice  e cornice  al  maggior  vase , 
Havt  i un  fregio  di  scudi , il  qual  contiene 
L’ Insegne  in  sò  rIeHc  più  chiare  case , 

E di  cigni  scherzanti  e di  Sirene 
Varie  trecce  ogni  setido  ha  nella  base , 
Che  distendendo  van  su  I bianchi  marmi 
L’aH  e le  code,  e fan  cartiglio  all’ armi. 

Posto  è in  tal  guisa  intorno  alta  belT  opra 
L’ ordin  deir  armi  più  famose  al  mondo, 
Cile  delle  Mose  , die  stan  lor  di  sopra , 
Rrggon  r incarco,  compartite  In  tondo. 
(;omc  r una  sostenga  e I’  altra  copre , 
Sonirelorinbdcambio  appoggio  e pon- 
Ogni  slatm  imo  scudo  ha  sollofl  plede[do. 

K in  ogni  scudo  un  simbolo  si  vede. 


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J52  MARlMt. 


Perdisdnguer  l' imprese  il  fabro  egregio 
Dell’  ornamento  nobile  e sulilimc , 

Mischi  (li  più  coior,  ma  d' cgual  pregio 
Scelse  e poli  con  ingegnose  iinie. 

Talché  d’ ogni  divisa  il  vario  fregio 
Le  differenze  in  color  vario  esprime  , 

E con  pielre  diverse  In  un  commesse 
E scultura  e pittura  accbppia  in  esse. 

Vedi  marmi  coli  vivi  e spiranti, 

Disse  al  suo  bell’  Adon  Venere  allora , 
Son  famiglie  d' eroi , de’  cui  sembianti 
Virtù  si  pregia  e poesia  s’  onora. 

Hanno  molto  a girar  gU  anni  rotanti 
Pria  die  abbian  vita,  e non  son  nati  anco- 
Mosso  Viilcan  da  spirilo  presago , [ra. 
Innanzi  tempo  ne  adombri  l’ imago. 

Tu  dei  saper,  che  sotto  H del  secondo 
Il  giro  di  quel  fuso  adamantino , 

Che  la  Necessità  rivolge  a tondo. 

Mossa  però  dal  gran  Motor  divina , 

La  serie  delle  cose  al  basso  mondo 
Muta  Imniutabil  sempre  alto  destino, 

E fra  questo  licendc  anco  le  lingue 
L’ una  nasce  di  lor,  l’ altra  s’ estingue. 

La  dotta  cetra  argiva  udrassi  pria 
Sul  Cefiso  spiegar  melati  accenti, 

E trarre  alla  dolcissima  armonia 
Del  mare  orientai  sospesi  i venti. 
Privilegio  fatai  di  questa  Ila 
Di  sacre  cose  inebbriar  le  menti. 
Sollevando  ai  secreti  alti  misteri 
De’  Numi  eterni  i nobili  pensieri. 

Moverà  non  men  dolco  il  Tebro  poi 
Sulle  corde  latine  il  plettro  d’  oro , 

Onde  dai  cigni  miei  nei  poggi  suoi 
Fia  trapiantato  il  trionfale  alloro. 

Grave  e ben  alto  a celebrare  croi 
Sarà  del  Lazio  il  pettine  canoro, 

Ed  a sonar  con  bellicosi  carmi 
Di  gucrrieri'c  di  duci  imprese  ed  armi. 

Succederà  la  tosca  lira  a queste , 

DI  queste  assai  più  delicata  e pura  , 
Che  di  tutti  gli  onor  si  adorna  e veste , 
Onde  r altre  arricchirò  arte  c natura. 
Intenerito  dal  cantar  celeste 
L’ Arno  al  corso  porrà  freno  c misura , 
£ dai  versi  allettato  c trattenuto 
Porterà  tardo  al  mare  il  suo  tributo. 


Questa  con  vagiti  metri  e dolci  note , 

E con  numeri  molli  accolti  in  rima 
Fia  che  per  propria  e siiigolar  sua  dote 
Meglio  che  altra  non  fa,  gli  amori  esprima. 
Or  alle  tosche  Muse  ( ancorché  ignote  ) 

Fu  il  nobii  fonte  dedicato  in  prima, 

Né  certo  edificar  si  dovean  cose 
Nel  paese  d’ Amor,  fuorché  amorose. 

Ma  perchè  é ver,  che  delie  Muse  afDitte 
Sono  Invidia  e Fortuna  emide  antiche. 
Dopo  d’alte  difese  c d’armi  invitte. 
Avrai!  contro  si  perfide  nemiche. 

Le  case  dunque  die  qui  son  descritte, 
Sosterran  l’onorate  altrui  fatiche; 

E questi  fien  tra  i prbtcipì  più  degni , 

Che  darai!  fida  aita  ai  sacri  ingegni. 

Beato  mondo  allor,  mondo  beato , 

Cui  tanto  amico  Ciel  gloria  dcslina: 
Beatissima  Italia,  a cui  fia  dato 
Per  costor  risarcir  l’alta  mina, 

E tornar  trionfante  al  primo  stalo 
Delle  provincic  univcrsal  regina! 

Si  dice,  e della  schiera  ivi  scolpita 
Le  generose  immagini  gli  addita. 

Ferma,  dicea , la  vista  in  quella  parte. 
Dove  il  bianco  corsier  sul  rosso  splende. 
Questo,  .sebben  feroce , il  fiero  Marte  • 
Ama , e foco  guerrier  nel  petto  accende. 
Talor  d’.àpollo  a viepiù  placid’arte 
Inerme  ancona  c mansueto  intende  ; 
Onde  aprendo  la  vena  a novi  fonti 
Fia  clic  novo  Pegaso , il  ciel  sormonti. 

Sappi  .che  fra  qiie’inostri,  onde  s’adoma 
Del  sommo  ciel  la  Incida  testura, 

Oltre  il  Pegaso,  altro  deslrler soggiorna, 
Adombrato  però  di  luce  oscura. 

Pur  di  segno  iiiinor  maggior  ritorna 
Sol  per  esser  di  questo  ombra  e figura  ; 

E le  sue  fosclic  e tenebrose  stelle 
Tempo  verrà,  che  saran  chiare  e belle. 

Né  speri  alcun  giammai  con  sprone  o verga 
Domarlo  a forza , o maneggiarlo  in  corso, 
Cam  dura  scila  premergli  le  terga, 

0 con  tenace  frcii  stringergli  il  morso. 
Spirilo  in  lui  si  generoso  alberga. 

Clic  iiilollcranle  lia  di  vii  soma  il  dorso. 
Chi  crede  averlo  o soggiogato,  o vinto. 
Con  fatai  precipizio  a terra  é spinto. 


L'ADONE. 


Pur  deposto  talor  l'impeto  audace, 
Che  arri  di  sangue  osti!  versali  rivi. 
Chiuderà  Giano,  ed  aprirà  la  Pace, 

Ed  ai  cipressi  innesterà  gli  olivi. 
Germoglicran  dal  cenere,  che  ^iacc 
De' cadaveri  morti  i lauri  vivi, 

E diverrai!  sol  per  lodarlo  allora 
L'Alpi  Parnaso,  c Caballin  la  Dura. 

Dal  chiaro  armento  di  Sassonia  uscito 
Carco  ne  andrà  di  scettri  e di  diademi  ; 
Neppur  la  bella  Italia  al  fier  nitrito. 

Ma  Ila  che  l’Asia  sbigottisca  c tremi. 

Poi  di  spoglie  e troCei  tutto  arriccliito 
Verrà  della  mia  Cipro  ai  lidi  estremi. 

Ma  clic?  fiero  destin,  perfido  Trace! 

E qui  scioglie  un  sospiro,  e pensa  e tace. 

Tu  vedi , segue  poi , l' aquila  bianca , 
Che  divide  dell' aria  i campi  inmieivsi , 

E le  nubi  trascende,  e lieve- c franca 
Su  i propri  vanni  in  maestà  sostiensi. 
Quella  in  opre  d' unor  giammai  non  stanca 
L'insegna  ila  de' gloriosi  Estensi, 

II  cui  volo  m.-ignaniiiio  c reale 
Per  vie  dritte  c sublimi  aprirà  l'ale. 

Non  tanto  le  verrà  la  bella  insegna 
Per  la  divina  origine  d’Ettoric, 

Quanto  perditi  con  lei  Ila  clic  couvegna 
L’inclita  augella,  clic  vlltatc  abborrc. 
Quella  però , clic  ogni  bassezza  sdegna , 
Assai  presso  alle  sfere  il  del  trascorre. 
Questa  dal  vulgo  allontanando  i passi 
Non  sia  clic  a vii  jiensicr  raiiiino  abbassi. 

Quella  la  spoglia  dell'  antldic  piume 
Dentro  puro  ruscel  ringiovinita , 

Di  rinnovar  sò  stessa  lia  per  costume 
A molli  c inulti  secoli  di  vita. 

Questa  purgala  eiilro  il  caslalìo  fiume-, 
Quasi  fenice  del  bel  rogo  uscita, 

Verrà  l’ire  del  Teinpo  a curar  poco. 
Fatta  imiiiortal  dall’  acque,  c non  dal  foco. 

E come  quella  ognor  con  guardo  fiso 
Avvezzar  alla  luco  I figli  suole. 

In  quel  modo , clic  a’  i ni  del  tuo  bel  viso 
Anch’io  sempre  mi  volgo,  o mio  bel  Sole  ; 
Così  da  (|licsla  con  accorte  avviso 
Imparerà  la  generosa  prole 
Di  Febo  amica , ed  a'  suoi  raggi  intesa 
DI  celeste  splendor  mostrarsi  accesa. 


153  ■ 

Beq  s’afntitàgliaii  tra  lur,  se  non  che  quel'la 

I cigni  d’  oltraggiar  prende  diletto. 

Uà  da  questa  ch’  io  dico,  aquila  bella 
Avran  ^ augei  canori  esca  e ricetto. 

I E se  allr’  aquila  in  del  conversa  in  stella  . 
U’  una  cctera  sola  adorna  il  petto. 

Questa  ne  avrà  fra  l'altrc  in  terra  due 
Possenti  ad  eternar  le  glorie  sue. 

Vedi  quell’ altre  poi  quattro  seguenti. 
Emulo  della  prima,  aquile  nere. 

Per  accennar,  che  a lutti  quattro  i venti 
Hanno  il  volo  a spiegar  dell’ ali  altere. 

A semplici  colombe  ed  innocenti 
Non  saraii  queste  ingiuriose  c fiere. 

Ma  spirti  avrai!  di  guerreggiar  sol  vaghi 
Con  nibbi  ed  avoltoi.,  vipere  e draghi. 

Bapl  cangialo  In  questi  forme  itileSM 

II  mio  gran  genltor  vago  garzone, 

Beiichò , cred'  io , se  te  veduto  avesse , 
Preposto  avrebbe  a Ganimede  Adone. 

Ma  se  coslume  è naturale  in  e.sse 
Satollar  di  rapine  il  curvo  unghione, 

Quc.stc  pronte  a donar,  non  a rapire, 

Sol  di  prede  di  cori  aVran  desire. 

Predice  a queste  l’indovina  Manto 

II  favor  lutto  ddraonle  Dive. 

Per  questo  Mincio  con  eterno  vanto 
Popolale  dì  cigni  avrà  le  rive , 

Mornioranilo  concorde  al  iiobil  canto 
De’  suoi  Gonzaglii  le  memorie  vive,  [do. 

Che  vlvran  sempre  in  più  d’un  sili  facon- 
E non  inorran  Qncbò  non  more  il  mondo.  . 

Sotto  l' ali  di  questo  il  maggiurcigno. 

Che  darà  vita  al  mio  Troian  pietoso, 

Da  molili-,  da  spezzar  duro  macigno 
Formerà  canto  in  ogni  età  famose. 

E già  da  queste  ancor  destro  c benigno 
Giunto  in  Italia  a procacciar  riposo, 

Eblie  lo  ste.sso  Enea  presagio  c segno 
Di  felice  vittoria  e lieto  regno. 

Mira  quel  tronco,  acni  di  fronde aurate 
Fanno  ponipo.so  Ucrin  germi  felici. 

E la  ipiercia  d’Urbin,  che  in  altra  date 
Tali  e tante  aprirà  rami  e radici , 

Che  poicli'avrà  di  spoglie  a.ssai  pregiate 
Arricchiti  di  Boma  i c dii  aprici , 

II!  riva  porterà  del  bel  Melaaro 
Con  suoi  frùuì  lucenti  un  sccol  d’auro. 


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JS4  MARITO. 


Questa  più  di'  altra  pianta,  Irrigar  I*  on- 
Denno  del  fecondissimo  Elicona.  [de 
DI  questa  Apollo  alle  sue  chiome  blonde 
Di  lauro  inrece,  inlesserà  corona. 

.\l  mormorio  delle  soavi  fronde 
Il  suono  invidiar  potrà  Dodona. 

Avranno  all’  ombra  sua  tranquillo  c fido 

I miei  candidi  aiigei  ricovro  e nido. 

La  bella  scorza,  che  seccar  non  potè 
Ardor  d’estate,  ne  rigor  di  verno. 
Pollerà  al  del  con  mille  incise  note 
De’  suol  chiarì  cultori  il  nome  eterno. 

II  ceppo  altìer,  che  fulmine  non  scote , 
Prendendo  d'Aqnilon  l’ ingiurie  a scherno, 
Sempre  maggiore  acquisterà  fermezza. 
Come  fa  nel  mio  cor  la  tua  bellezza. 

Or  colà  volgi  gli  orchi  ai  sci  giacinti , 
Nel  cui  lieto  ceruleo  appunto  miri 
Queir  azzurro  sereno,  onde  son  tinti 
Delle;  tue  luci  I lucidi  zafilri. 

Si  chiaro  ^ quel  eolor,  che  gli  ha  dipinti. 
Chea’ egli  avvlcn,  che  inc.ssi  il  guardo  giri. 
Non  sai!  pensicr  chedubhioallrnaeder- 
Dir  se  sien  gigli  in  deIo,o  stelle  in  terra,  [ra 

Gigli  celesti  c fortunati , oh  quale 
Seme  d'alte  speranze  in  voi  s’aceoglie! 
Qual  d'odori  di  gloria  aura  Immortale 
Trarrà  la  Fama  dalle  vostre  foglie  ! 

E quanl’  api  da  voi  porteran  l' ale 
Ricche  di  ricche  e preziose  spoglie. 
Onde  illustre  lavor  fia  poi  costrutto. 
Ch’empierà  di  dolcezza  il  mondo  tutto! 

Voi  piantati  c nutriti  in  que’ begli  orti , 
Dove  non  son  da  bruma  I fiori  offesi , 
Darete  per  sottrarle  agli  altrui  torti 
AUe  sante  sorelle  ombre  cortesi. 

Per  voi  non  men  magnanimi  che  forti, 
Cresccran  tanto  in  pregio  I gran  Farnesi, 
Che  a qual  fiume  più  celebre  c più  chiaro 
La  palma  usurperai!  la  Parma  e II  Taro. 

Quella  colonna , il  cui  camlor  lucente 
Del  suo  seno  as.somiglla  il  bel  candore. 
Sostegno  fia  della  \irtù  cadente, 

StabiI  come  la  fede  è nel  mio  core. 

E se  tra  le  colonne  in  occidente 
Ij  gran  lampa  del  Sol  tramonta  e more. 
Da  questa  Invitta  e salda  ad  ogni  crollo 
Rinascerà  con  la  sua  luce  Apollo. 


Quante  volte  quamf  io  [folle  eh’  io  ni*  e- 
Dì  Gradlv  o l’ amor  gradir  solla,  [ra  I) 

Questa,  diceami,  la  mia  reggia  altera,- 
Questa  de’  miei  trionfi  il  trono  sia. 

Ca;sari  e Mecenati  in  lunga  schiera 
Per  lei  rinnoverà  la  città  mia  ; 

Nè  figli  mai  tra'  suoi  famosi  e chiarì 
La  gran-lupa  latina  avrà  più  cari. 

L’altro  scudo  vicin,  che  per  traversb 
Di  tre  strisele  vermiglie  il  bianco  hiostra, 
E di  rose  purpuree  il  rampo  terso 
(Simile  al  volto  tuo)  fregiato  mostra; 

Di  stirpe  fia , splendor  dell’  universo , 
Pompa  del  Tebro,  e meraviglia  nostra , 
A cui , come  a miglior  fra  le  migliori , 
Ben  converrassi  il  fior  degli  altri  Bori. 

Fior,  che  del  sangue  mio  superbo  vai. 
Fior,  pupilla  d’Amor,  tesordi  Maggio, 
Tu  de'  prati  di  Pindo  onor  sarai. 

Nè  dei  d'ombra,  o di  Sol  temer  oltraggio. 
Quella,  ch’onora  il  elei  romano,  e mai 
Non  tuia  In  torbid'  onda  il  chiaro  raggio; 
De’  fregi  tuoi,  non  più  di  stelle  inteste 
Porterà  le  ghirlande  orsa  celeste. 

Ecco  del  gran  Tonante,  ecco  poi  nero 
Un  altro  egregio  imperiale  augello. 

Del  Daria,  a cui  di  Dori  il  salso  impero 
Destinalo  è dal  Ciel,  lo  scudo  è quello. 
Fido  ministro  del  gran  Giove  Ibero 
Arderà,  ferirà  lo  stuol  rubello. 

Siccome  tu  con  tuoi  pungenti  sguardi 

I ritrosi  d’ Amor  ferisci  ed  ardi. 

Non  ha  cpieslo  a vibrar  del  cielo  in  terra 

II  tripartito  folgore  vermìglio. 

Ma  deir  altro  infernaLcheinnovaguerra 
Fia  temprato  di  bronzo,  armar  l’artiglio. 
Quanto  il  lembo  del  marcirconda  e serra 
Tremerà  tulio,  e correrà  perìglio. 

Solo  11  verde  arbosccl , non  che  ferito , 
Fia  difeso  da  questo  e custodito. 

Dcll.i  progenie , eh’  io  ti  conto  e mostro 
Aquila  peregrina  alzerà  <1  volo , 

Ohe  Imporporala  del  più  liicid’ ostro 
Le  brune  penne,  andrà  da  polo  a polo. 
Progenie  degna  di  famoso  inchiostro, 
Del  mondo  onor,  non  di  Liguria  solo. 
Degna  più  eh’  altra  assai  del  favor  mio  , 
Che  darà  legge  al  mar,  dove  nacqn'  io. 


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L'ADONE.  IbS 


Ma  deh  poli  mente  alle  purpuree  palle, 
Di  que’  Medici  illualri  arme  sovrana, 

Per  cui  (se  il  chiaro  antiveder  non  falle) 
Le  piaghe  amiche  ha  da  saldar  Toscana. 
Da  Fortona  battute,  al  del  faralle 
Balzar  Virtù  lovr’  ogni  gloria  umana. 
Con  case  al  gioco  deir  instabii  Sorte 
Vincermtno  I ku-  dud  Invidia  e Morte. 


Non  fia  mai  che  di  questa  un  più  bel  man- 
Alma  copra  più  saggia,  o più  pudica,  [to 
Ma  delle  lodi  sue  basti  soltanto. 

Uopo  non  è,  ch’io  più  di  ciò  ti  iHca,  [to 
Che  qual  proprioella  siasi  e come  e qnan- 
Vinca  di  pregio  ogni  memoria  antica. 

In  parte,  ov’  io  comlnr  tl  voglio  In  breve, 
Esserne  l’occhio  tuo  giudice  deve. 


Palle  d'alto  valor  fulniinatrld, 

Onde  tempesta  uscir  deve  si  fatta , " 

Che  de’  ruhelii  eserciti  nemid 
Fia  che  ogni  forza,  ogni  riparo  abbatta. 
Per  cui  non  sol  de’  Barbari  infclid 
La  superbia  cadrù  rotta  e disfatta , 

Ma  dello  scoppio  il  gran  rimbombo  aolo 
Tutto  de’  vizi  altrrriri  io  stuolo. 

Sono  I bei  globi  slmili  ai  celesti , 

E simulacri  delle  sfere  eterne; 

E ben  pari  e coaforme  io  quelle  e iu  questi 
(Tranne  sol  uno)  il  nomerò  si  scm’nc. 

A dinotar,  che  agii  onorati  gesti 
Tutte  (|uante  n’Iia  H cid  rote  superne 
Volgeranno  propizie  amico  lame , 

Solo  esdnso  Satnnto,  infausto  Nume. 


Cosi  gli  dice,  ed  alla  bella  il  bello  * 

Le  parole  interrompe  in  tal  maniera; 

Deh  dlmml,o  fida  mia,  che  scudo  ^quello. 

Lo  qual  posto  non  * con  gli  altri  in  schiera. 

Ma  nella  base  sta,  che  fa  scahello 
Al  gran  Motor  della  più  ehiara  sfera  ì 
In  queir  azznr,  che  al  del  parsi  somigli, 

Cile  vogllon  dir  que’ tre  dorati  gigli  T 

» 

Della  casa  di  Francia  i la  divisa, 

E tal  loco  a ragion  Vulcan  le  diede. 

Però  che  appunto  a quella  isteisa  guisa  * 
Fla  <11  Febo,  risponde,  alliergo  t sede. 

E siccome  dal  numero  divisa 
Starsi  sola  in  disparte  ivi  si  vede. 

Cosi  d’agni  valor  ricca  e possente 
- Se  n'andrù  singolar  dall’altra  geme. 


Fiorir  Farti  più  bébé,  e rischiararsi 
.\llor  d’ Arno  vedrem  le  lorhid'  acque  ; 
E risorger  la  luce , e rinfracoarsi 
IMI’  Italico  onor,  eh*  attinta  giacque  ; 
E molti  Ingegni  a nobii  vaio  alzarsi 
Sull'  ali  di  colui , che  da  me  nacque , 

E con  chiari  concenti  addoldr  l’ aura 
Diclro  al  cantor  di  Oeatriee  c Lanm. 


Ragion  è ben,  che  dell'Italia  aggiunga 
Questa  sola  straniera  onore  ai  fiegi , 
Ch’altragiammai,culV1rtùscal<li  epunga. 
Non  lìa  che  i cigni  snoi  eotanto  appregl. 
Troppo  fora  a contar  la  serie  lungi. 

Che  ne  uscirù,  de' gloriosi  regi , 

E senza  annoverar  al  follo  stuolo 
finta  per  tutti  ad  iltustrarU  un  solo. 


E qui  rapita  ai  secoli  lontani 
La  bella  Cllerea  la  mente  aperse  , 

Onde  l’istoria  de'  successi  nroani 
Quasi  in  teatro,  al  tuo  paosier  s’oflerse, 
E ne’  più  cupi  e più  profondi  arcani 
Dell'  eth  da  venir  tutta  a’  immerse. 

O qual, «ficea,  vegdf  io,  correndo  I lustri , 
Nascer  di  ceppo  tal  germogli  Hiustri! 


CoM  tutte  nel  cor  raccolte  sono 
DeH’Mtre  membra  le  vlrtndi  Insieme, 
CoM  lotta  H signor,  di  eoi  ragiono. 
Raccorrà  in  sù  de’ suol  F unica  speme. 

Nè  meo  materia  a qual  più  cMaro  suono 
Darà  da  celebrar  sue  glorie  estreme. 

Che  premfo  a’ bel  sudor,  che  I sacri  monti 
Stillar  vedran  dalle  più  dotte  fronti. 


lo  veggio  quinci  dopo  molto  c molto 
Volger  di  cid,  girar  di  mesi  e d’anni 
Dd  secol  tristo  In  tenebre  sepolto 
Spuntar  un  Sole  a ristorare  I danni. 

Sol , che  avrà  sol  di  «hmna  H sesso  e II  voRo, 
Ma  il  cor  sempre  vlrtl  tra  i reg]  affanni. 
Ogni  nobU  virtù  sol  da  costei 
Vsrrh  che  nasca , o sorgerà  per  Id. 


Con  man  tenera  ancor,  legala  c stretta 
Terrà  Fortona  mobile  e vagante , 

Skebè  resa  a Virtù  serva  e soggetta, 
Faralla  a suo  favor  tornar  costante. 

E il  veglio  alato,  che  con  tanta  fretta 
Fugge.e  fuggendo  nfbipe  anco  il  dianwme, 
Perchè  gli  onori  suoi  non  se  ne  porti. 
Con  groppi  stringerà  tenari  e forti. 


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ISO  MARINO. 


Oltre  il  buon  zelo  e la  giustizia,  a cui 
Dritto  è clic  Gallia  ogni  speranza  appoggi, 
Fiache  tra'gigii  d’or  sol  per  costui 
Delle  Musetoscanc  il  coro  alloggi. 

Il  Tago  c il  Gange  irriglicran  per  lui, 
Invece  del  Gistaiio,  i sacri  poggi , 

Onde  per  fecondar  l'arido  alloro  [d'oro. 
L' acque,  di’ or  soii  d'argento,  allor  flcn 

Nasci,  nasci,  o Luigi  ! Amica  stella 
Qiiaiil'oiior,qiiantopregio  a te  promette! 
Vibri  pur  quanto  .sa  cruda  c rubella 
L’altrui  perfidia  in  tc  lance  c saette. 
Taccio  l’ altre  tuo  glorie,  e passo  a quella. 
Che  le  Muse  da  tc  non  fian  neglette. 

De’ dolci  studj,c  della  sacra  scliiera 
Te  rettore  c tutore  il  mondo  sjiera. 

Ó 

Cresci,  cresci,  o Luigi,  inclita  prole 
D'alme  eccelse  c reali  e giuste c pie. 

Il  tuo  gran  nome,  ove  l’altrui  non  suole 
Si  spargerà  per  disusate  vie; 

E dove  sorge  c dove  cade  il  Sole 
E dove  nasce  e dove  more  il  die. 

La  Fama  il  porterà  leggera  e scarca, 

E romperà  le  forbici  alla  l’arca. 

Tra  molte  emolte  cetre,  onde  rimbomba 
Dd  tuoi  vanti  immortali  il  chiaro  grido. 
Dal  Sebeto  traslala  odo  una  tromba 
Della  tua  Senna  al  fortunato  lido. 

Questa  trar  ti  potrà  d'oscura  tomba, 

E darti  iiìfra  le  stelle  eterno  nido. 
Ch’empiendo  il  del  d’ infalicabii  suono 
.Sarà  lira  al  conccnio  e squilla  al  tuono. 

E sebben  chi  la  suona  c dii  la  tocca 
Sosterrà  di  fortuna  oltraggi  c scherni; 
Quando  l’ invidia  altrui  maligna  c sciocca 
Fia  che  in  lui  sparga  i suoi  veleni  interni  ; 
Mentre  avrà  spirloln  petto  c fiato  in  boc- 
Non  però  cesserà,  che  non  li  eterni;  [ca. 
Di  tc  narrando  meraviglie  tante. 

Clic  ne  suoni  Parnaso  c tremi  Atlante. 

Allor  Venere  tace,  c dove  folta 
Stcìidon  la  verde  rliioma  allori  e faggi , 
Mille  intorno  al  bel  fonte,  c mille  ascolta 
Poeti  alali  e musici  selvaggi , 

Che  con  rime  amorose  a volta  a volta, 

E con  infaticabili  passaggi. 

Intrecciando  sen  van  per  la  verdura. 

Di  lasciva  armonia  dolce  mistura. 


Il  vago  stuol  de’ litiganti  augelli. 

Per  riportar  de’ primi  onori  il  fasto, 
Innanzi  a Citerea  tra  gli  arboscelli 
Cominciò  gareggiando  alto  contrasto. 

E concenti  formò  si  novi  elvelli, 

Che  a pareggiarli  io  col  mio  sili  non  basto. 
Giurò  Venere  istcssain  del  avvezza,. 

Che  le  sfere  non  lian  tanta  dolcezza. 

0 perchè  assai  piacesse  a questa  Diva 
Il  canto,  che  in  sul  fine  è più  solenne, 

0 perchè  monda,  c di  sozzure  scliiva 
Amasse  il  bel  candor  di  quelle  penne  • 
Gregge  di  bianchi  cigni  ella  nutriva 
NeH’isolelta,  ove  quel  giorno  venne. 
Che  ambiziosi  allor  delle  sue  lodi 
A cantar  si  sfidare  in  mille  modi. 

Infiniti , da  strani  ermi  confini, 
Gucrricr  facondi  c mu.sici  campioni , 

E domestici  a prova  c peregrini 
Vi  concorsero  insieme  a far  tenzoni. 
Tra' frondosi  s’udir  mirti  vicini 
Vibraraccenti  c saettar  canzoni,  ' 

E della  pugna  lor,  che  fu  concento. 

Fu  steccato  la  selva  q tromba  il  vento. 

Varj  di  voce  c nello  stil  diversi, 

Tulli  però  del  par  leggiadri  e vaghi, 

E tulli  alla  gentil  coppia  conversi 
Cantati  come  Amor  arda  c come  impiaghi. 
Cantati  titolli  il  fitluro,  e formati  versi- 
DeU'oprc  altrui  fatidici  e presaghi. 

Cito  quel  die  ivi  si  bee  furor  divino. 
Sveglia  nc'  petti  lor  spirto  indovino. 

Stiamo  ad  udir  ( la  Dea  di  Pafo  disse) 
Degli  alati  canlor  le  dolci  gare. 

Tener  l’ orecchie  atlentamonte  afiis.se 
Si  donno  a quell'  insolito  cantare. 
Perchè  si  belle  ed  Olimaie  risse 
.Saranno  in  altra  età  famose  e chiare. 

Gli  augelli  autor  di  si  soavi  canti 
Son  di  sacri  poeti  ombre  volanti. 

L’ anime  di  costor,  poiché  disciolle 
Son  da’  legami  del  corporeo  velo,  [volte 
Passano  in  cigni,  e che  in  tal  forma  in- 
Vivan  poi  sempre,  ha  stabilito  il  Cielo. 

E tra  questi  mirteti  in  pace  accolte 
Le  fa  beale  il  gran  reltor  di  Deio, 

Li  dove  ognor,  siccome  fer  già  (|iiando 
Temicr  corpo  mortai,  vivon cantando. 


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1.’  ADONE. 


Molte  ve  n’  ha  che  ancor  rinchiuse  e sirene 
Nonson  tra'  sensi , e inieste  pur  son  lail, 
A cantar  qui  per  mia  delizia  elette 
Fiiicliè  in  career  terreno  inipiicliin  I’  alt. 
Adone  il  canto  ad  asenliar  si  stelle 
Di  qiic*  felici  spiriti  immortali, 

Che  gii  venian  con  voci  invece  d'anni, 
Nel  verde  agone  al  paragon  de'  carmi. 

Fu  benigno  favor,  grazia  cortese 
Di  lei,  che  è de'  suol  lumi  unico  Sole, 

E Biiracol  del  del,  che  Adone  intese 
Di  quel  linguaggio  i sensi  e le  parole , 

E ben  distinto  ogni  concetto  apprese 
Espresso  fuor  delle  canore  gole. 

.Nella  scuola  d’ Amor  die  non  s' apprende. 
Se  il  parlar  degli  augelli  anco  s’ intende? 

Eran  tra  (|uesti  augei  l’ uni  lira  d’ Orfeo, 
Clic  fe  de’  versi  suoi  seguace  il  liosco. 
Pindaro  v’  era,  ederavi  Museo, 

E Teocrito  era,  c v’  era  Mosco. 

Bravi  Anacreonic,  oravi  A loco, 

E .Safo  alto  splendor  del  secol  fosco, 

Cile  non  portò  di  quanti  io  qui  ne  scrivo , 
Luce  minore  all’  idioma  argivo. 

V era  lo  sluol  di  quei  Latini  primi. 
Clic  in  amoroso  stil  mi’glio  cantaro. 
Gallo,  Orazio,  Catullo,  alme  sublimi, 
Tibullo,Accio, Properzio  c Tucca  c Varo, 
Ed  Ovidio,  di  cui  non  ò dii  siimi 
die  altro  cigno  d’  Amor  volasse  al  paro. 
V era  la  scMcra-poi  docili  moderni 
Dell’  italica  lingua  onori  eterni. 

E sebben  gli  altri  che  le  liiaiiche  piume 
Per  le  piagge  spiegar  di  Doma  e d’Argo, 
Fur  lor  maestri, ond’  ebber  spirto'*  lume, 
Mercò,  dicaqiHdliilCicl  iie  fu  più  largo, 
(jucsli  però  die  di  Parnaso  il  Nujnc 
Gli  ha  destinati  a possetler  (lud  iiiargo, 
Cantano  soli  alla  gran  Dea  presenti; 
Tacciono  gli  altri  ad  ascoltare  intcìiliz. 

Aristofane  tu,  che  ornasti  tanto 
Là  nei  greci  teatri  il  .socco  d’  oro. 

Tu,  che  d’  iiitrrpclr.ar  ti  desti  vanto  - 
Il  ragionar  del  popolo  canoro, 

E in  scena  il  novo  iiiesplicaliil  canto 
Spiegar  sapesti  c le  favelle  loro, 

Tanta  or  dal  biondo  Dio  mere*  ni’  ìmpetta, 
Cko  distinguerlo  insegni  alla  mia  cetra. 


I.’v? 

l’n  ve  ne  fu  die  anvra  un  verde  lauro 
Fece  col  suo  cantar  Laura  immortale. 

Ed  illustrò  dal  Battrlaiio  al  Mauro 
Quel  foco , che  d’  Apollo  II  fe’  rivale-; 
Dicendo  pur  die  alle  qiiadrella  d’  auro 
falde  la  forza  del  fulmineo  strale, 

Poidiò  nell’  arbor  sacra  al  Cid  diletta. 
Dove  Giove  non  potè , Amor  saetta. 

Altro  il  cui  volo  pareggiar  non  lice, 
Ben  sull’ ali  leggier  tre  mondi  canta, 

E la  beltà  beata,  e Beatrice, 

Che  da  terra  il  r.apiscc  esalta  c vanta. 

L'n  suo  vicin  con  stil  non  iiien  felice 
Seco  s’  accorda  in  un  istcssa  pianta, 
Pcrdiè  Ccrtaldo  ammiri,  c il  mondo  scema 
Lasiia  fiamma  e la  fama  a un  punto  eterna. 

Ilav  vi  poi  d'  .\dria  ancor  canoro  mostro, 
Piirpiiren  cigno  c nobile  e gentile , 

Clic  la  lingua  ha  di  latte  c il  manto  d’iistro. 
Bussa  la  piuma  e candido  lo  stile. 

Apre  unii  luiige  aiigcl  d’  Etriiria  il  rostro 
(Siilvo  il  capo  di’ è verde)  a lui  simile  , 
Appellando  il  suo  amor  sul  verde  stelo. 
Scoglio  In  mar,seicc  in  tcrra,angdo  in  cielo 

Accompagna  coslor  soavemente 
Il  sonalnr  della  sincera  avena. 

Clic  le  Muse  calar  fece  sovente 
Di  Mergdiina  alla  nativa  arena. 

Le  cui  dolci  seguir  note  si  sente 
Anco  un  altro  figliuol  della  Sirena  , 

Clic  con  i|ual  arte  I rami  a spogliar  veglia 
Lo  sfrondator  della  vcndciiinila  insegna. 

Donne  insieme  ed  eroi , guerre  ed  amori 
Quel  che  nac(|ue  in  sui  Po,  cantar  s'iidia, 
Inimnrtnlaiido  di  Buggier  gli  onori 
Con  pura  vena  , c semplice  armonia  ; 

E di  dolcezza  Inebbriava  i cori, 

I circostanti  tronchi  inloiieria. 

Arder  facea  d’ amor  le  pietre  e 1’  onde , 
Sospirar  l' aure  c lagrimar  le  fronde. 

Teslor  di  rime  eccelse  e numerose 
Di  Partenope  un  figlio  a lui  successe, 

E prese  a celebrar  P Armi  pietose , 
Liberatrici  dello  mura  oppresse; 

E i suo!  pcnsicr  si  vivamente  espose, 

I versi  suoi  sì  nobilmente  espresse, 

Che  fc’  del  nome  di  Goffredo  e Guelfo 
Sonar  Cipro  non  sol , ma  Deio  e Ddfo.  ' 


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MARffiO. 


Ni  ui  con  voce  nwn  gradita  e cara 
Favoleggiando  U canto  tuo  scioglieatl. 
Dico  a le  che  di  gloria  oggi  sì  chiara 
Il  tuo  fido  (saMore  adorni  e vesti. 

Seguir  voleano  e della  nobii  gara 
Dubbia  ancor  la  vittoria  era  tra  questi, 
Quand'  ecco  fuor  d’ un  cavernoso  tufo 
Sbucar  dilToniie  c rabbuffato  un  gulq. 

Oh  quanto,  oh  quanto  meglio.  Inranie 
Ritorneresti  all'inrelici  grotte,  [augello. 
Nunzio  d’infausti  augurj,  al  Sol  rubello, 
E dell' ombre  compagno  c della  notte! 
Non  disturbar  l' angelico  drappello. 
Vanne  tra  cave  piante  c mura  rotte 
A celar  quella  tua  fronte  cornuta. 

Quegli  occhi  biechi  e quella  barba  irsuta. 

Da  qual  profonda  e tenebrosa  buca 
Nottula  temeraria  al  giorno  uscisti  7 
Torna  11  dove  Sol  mai  non  riluca 
Tra  foschi  orrori  e lagrimosi  e tristi; 

Tu  trionfl  cantar  d’invitto  duca? 

Tu  di  mondi  novelli  eccelsi  acquisti  ? 

Tu  deir  Invidia  rea  figlio  maligno 
Di  pipistrel  vuoi  trasformarli  Incigno? 

Cosi  parla  all’augel  malvagio  e brutto 
\ji  Dea,  sdegnando  un  stil  sì  rauco  udire, 
E i chiari  onor  del  domator  del  flutto, 
Dov'  ella  ebbe  il  natal,  tanto  avvilire. 
Spiacc  del  cigni  al  concistoro  tutto 
La  villana  sciocchezaa  e il  folle  ardire. 
Che  r alle  lodi  ad  abitassar  si  metta 
Del  colombo  a lei  sacro  una  elvella. 

Mentre  a garrirs’appresta,  aceoocio  in  atto 
Che  della  nobii  turim  il  gioco  accresce , 

E scote  l'ali  e in  un  medesmo  tratto 
Gli  urli  tra  i canti  ambizioso  d mesce  ; 
Loquacissima  pica  II  contraffatto 
Uccellato  ucccUone  a ^dar  esce, 

E con  strilli  importuni  in  rozzi  carmi  [mi. 
Dassi  anefa’  ella  a gracchiar  d'amori  e d’ar- 

Ma  che?  non  prima  a balbettar  si  mise 
Quel  «IO,  canto  non  già,  strepito  e strido. 
Che  allo  levossi  in  mille  e mille  guise 
Infra  I volanti  ascoltatori  un  grido. 

Ed  empit  si,  che  Citerea  ne  rise. 

Quasi  di  festa  popola»^  U lido. 

Tacque  alfine,  e fuggi  non  senza  rischio. 
Del  volgo  degli  auge!  favola  e fischio. 


Non  i gran  fatto,  che  l’audacia  stolta 
Di  questa  gazza,  clic  sì  mal  borbotta, 
L’adunauza  gentil,  che  è qui  racooila, 
Disse  Venere  bella,  abbia  interrotta. 

Già  volse  in  altra  forma  un’  altra  volta 
Con  la  schiera  pugnar  famosa  e dotta  ; 
Ma  con  11  altre  Pieridi  confuse 
Vergogna accre^ihe  a sé,  gloria  alle  Mose. 

Amor,  che  vede  di  quel  canto  lieto 
La  madre  intesa  alla  pjacevoi  guerra. 
Volando  intanto,  ov’  è il  vicin  mirteto, 
Insidiosa  chiave  asconde  e serra; 

Volge  anelletto  piccioto  e secreto, 

E con  gagliardo  piè  batte  la  terra. 

Ed  ecco  d’acqua  uu  repentino  velo. 

Che  fa  pelago  al  suolo  e nube  al  cieio. 

Appena  il  piede  il  pavimento  tocca, 

E l’ordigno  volubile  si  move. 

Che  il  fonte  traditor  subito  scocca 
Saette  d’ acqua  inaspetuie  c nove, 

E prorompe  in  più  seberzi  e mentre  fiocca 
Tempesta  par  quando  è sereno  e piove. 
Spicciano  l’ onde  ed  avventate  in  alto 
Movono  a chi  noi  sa  furtivo  assalto. 

Come  qualora  a Roma  il  festo  giorno 
Del  suo  sommo  pastor  riporta  l’ anno. 

Le  fusette  volanti  a mille  Intorno 
Col  firmamento  a gareggiar  sen  vanno, 
Ma  ne  riedon  poi  vinte,  e nel  riteme 
Lucida  precipizio  a terra  fanno, 

E fanno  le  cadenti  auree  fiammefle 
Un  diluvio  di  folgori  e di  stelle; 

Cosi  il  bel  fonte  io  più  fonti  si  sparse. 
Se  non  quanto  diverso  è relcmento. 
Questo  gioco  bagnò,  quel  talor  arse, 

E r una  pioggia  è d’ or,  l’ altra  d’  argento. 
Alcun  non  sa  di  ior  come  guardarne 
Da  quel  furor  che  assale  a tradimento. 
Altrui  persegue,  e qnanlo  più  lo  schiva, 
Dov’uom  erede  salvarsi,  ivi  r arriva. 

Ahi  crudo  Amor,  versar  fontaneedonii 
Arte  non  è,  che  tu  pur  ora  impari, 
Avvezso  già  per  soliti  costumi 
Le  lue  fiamme  a spruzzar  di  umori  amari. 
E non  U basta  ognor  dai  nostri  lumi 
Lagrimosi  stillar  ruscelli  e mari. 

Ma  spesso  vuoi  che  gl’  infelici  amanti 
Spargano  il  sangue,  ove  son  scarti  i pianti. 


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L’ADONE. 


Ii9 


Fugge  la  D«a  di  mille  riti  c mille 
Dagnall  il  sen  col  suo  bel  Toco  in  braccio; 
E queste,  dice  a lui,  gelide  stille. 

Che  m'han  tutta  di  fuor  sparsa  di  ghiaccio. 
Tosto  rasciugherò  con  le  raville, 

DI  quei  sospiri,  ond’io  per  te  mi  sfaccio. 
Va  poi  seco  in  disparte,  e cosi  lassa 
In  penoso  piacer  I’  ore  trapassa. 

Gli  tramontar  tolea  la  maggior  stella, 
B del  giorno  a\  ansava  ancora  poco. 
Quando  col  bell’  Adon  Venere  bella 
Parti  da  quel  delizioso  loco. 

Dhnan,  dolce  mio  ben,  gli  soggluns' ella. 
Al  pria!  lampi  del  diurno  fooh 
Ne  verrai  meco  a visitare  indin» 

Dei  regni  miei  le  meraviglie  estreme. 

B il  mio  carro  immortai  to'  die  li  porti 
Sui  sereni  del  elei  campi  lucenti, 

A più  vaghi  giardini,  a più  begli  orti. 
Dove  invece  di  fiori  ha  stelle  ardenti, 
Magion  d'tncorroMibili  diporti. 

Patria  beata  delle  Hete  genti. 

Non  deve  a te  mia  gloria  essere  ascosa. 
Che  degna  è ben  del  del  celeste  cosa. 


Quivi  data  per  me  il  fia  licenza 
Di  contemplar  con  niorlall  occhi  impuri 
Quante  d' alta  beltà  somma  eccellenza 
Donne  avran  mai  nel  secoli  fulnri  ; [za. 
Benché  m’ingombri  il  corqualchc  Icmcn- 
E vo',  che  la  tua  fè  me  n'assicuri. 

Non  alcuna  di  lor,  mentre  la  miri, 

A me  ti  tolga,  ed  al  suo  amor  ti  tiri. 

Sebben  la  Dea  d’ amor  cosi  dicea. 

Non  n’  era  la  ragion  solo  il  diletto. 

Ma  perchè  dcsviarlo  indi  volea. 

Non  senza  aver  di  Marte  alto  sospetto. 
Sapendo  licn,  che  la  sua  stella  rea 
Il  risguardava  con  maligno  aspetto, 

E lemca  non  le  fussc  all'  improvviso 
Deutro  le  braccia  un  di  colto  edjp;iao. 

Sorgea  la  notte  intanto,  «FoigÉge  nera 
Portava  iatomc,  c I pigri  a^priìa  Me. 
Dell'  immortali  sue  lucenti  (ere 
Tutto  M rampo  celeste  era  già  pieno; 

E di  quelle  stellanti  e vaghe  schiere 
Per  le  piagge  del  ciel  puro  e sereno. 

La  catciatrice  Dea,  che  fogge  il  giorno, 
L'orme  segida  con  argentato  corno. 


V 


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IfiO 


MARINO. 


CANTO  DECIMO. 

LK  MARAVIGLIE. 


ALLEGORIA. 

(’.hc  Adone  sotto  la  condotta  di  Mercurio  c dì  Venere  salga  in  ciclo,  ci  disegna, 
che  con  la  favorevole  costellazione  di  questi  due  pianeti  può  l’ intelletto  umano  solle- 
varsi alle  più  alte  S|)ecuiazioni , eziandio  delle  cose  celesti.  La  grotta  della  Natura, 
po.sta  nel  cielo  della  Luna  con  tutte  I' altre  cirrostanze,  allude  airantica  opinione 
eh*  .slinava  in  (|uel  cerchio  ritrovarsi  l' idee  di  tutte  le  cose.  Ed  essendo  ella 
còsi  proaslma  al  inondo  clcnicntarc,  madre  dell’  umidità,  c concorrente  insieme  col 
Sole  alla  generazione,  meritamente  le  si  attrihulsce  la  giurisdizione  sopra  le  cose 
naturali.  L’isola  dei  Sogni,  che  nel  medesimo  luogo  .si  finge,  esprime  il  dominio  e 
la  forza  che  ha  quel  pianeta  sopra  1'  ombre  notiurnc  e sopra  il  cerehro  umano.  La 
casa  dell'  Arto  situala  nella  .sfora  di  Mercurio,  e lo  studio  delle  saiic  scienze,  la 
biblioteca  dei  libri  segnalati,  I'  oflirina  dei  primi  inventori  delle  cose,  il  mappamondo 
dove  si  scorgono  tutti  gli  accidenti  dell'  universo,  ed  in  particolare  le  moderne  guerre 
della  Franria  c dell’ Italia, -aono  per  darci  ad  intendere  la  qiialilà  di  quella  stella, 
potentissima  (quando  i b«0  disposta)  ad  inclinare  gli  uoniinì  alla  virtù  e ad  operare 
eiTetli  mirabili  in  coloro  che  sotto  le  nascono. 


AnCOUESTO. 

Dì  sfera  Ih  sfera  colaash  salita 
Venere  con  Adone  in  eiel  sen  viene. 

A cui  Mercurio  poi  quanto  contiene 
il  maggior  mondo  in  plccul  mondo  additu. 


Musa,  tu  che  del  ciel  per  torli  calli 
Infaticahliuiente  il  corso  roti, 

E mentre  de* volubili  cristalli 
Oliai  veloce  c qual  pigro  accordi  1 moti, 
Oui  armonico  piede,  in  lieti  halli 
Dell'Olimpo  stellante  il  suol  percoli, 
Onde  di  (|ncl  concento  il  siion  si  forma, 
Lhc  è del  nostro  cantar  misura  c norma; 

Tu,  divina  virtù,  mente  immortale, 
Scorgi  l'audace  ingegno,  Urania  .saggia, 
Cile  oltre  i propri  conlin  si  leva  c sale 
A spaziar  perla  celeste  piaggia. 

Aura  di  tuo  favor  mi  regga  l’ale 
Per  si  alto  scntier  sicch’  io  non  raggia. 
Movi  In  penna  mia,  tu  clic  il  elei  movi, 

E detta  a novo  siil  concetti  novi. 


Tifi  primìcr peri' acque  alzò  l’ antenne. 
Con  la  cetra  sotterra  Orfeo  discese. 
Spiegò  per  l'aiire  Dedalo  le  penne. 
Prometeo  al  cerrlik)  ardente  il  volo  steso. 
Ren  conforme  all’  ardir  la  pena  venne 
Per  cosi  stolte  c temerarie  imprese. 

Ma  più  troppo  ha  di  rischio  c di  spavento 
La  strada  inacce.ssibìlc  eli' io  tento. 

Tento  insolite  vie, dal  nostro  senso 
E dal  nostro  intelletto  assai  Imitane, 
Onde  qiialor  dì  sollevarvi  io  penso 
0 di  questo,  0 di  quel  le  voglie  insane  ; 
Quasi  dehil  potenza  a lume  ininicnso. 

Che  abbacinata  in  cecità  rimane,  [po 
L’ uno  alibagliato,  c l’ altro  infermo  c zop- 
Si  stanca  al  sommo  e si  confonde  al  troppo. 


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• L’ADONE.  161 


E se  pur,  die  noi  vinca  c noi  soverchi 
L’ Uifinilo  splendor,  talvolta  avviene^ 

. E che  il  pensier  vi  poggi  e che  ricerchi 
Del  non  trito  caminln  le  vie  serene, 
Immaginando  tpiel  superni  cerchi. 

Non  sa,  se  non  trovar  forme  terrene. - 
So  ben,  che  sema  te  toccar  sì  vieti 
A si  tardo  cursor  si  eccelsa  n>cU. 


Quelle  Innocenti  e candide  augellcllc. 
Da' cui  rostri  si  apprende  amore  e pace. 
Non  temoli  già,  d'  amor  ministre  elette. 
Lo  smerlo  ingordo,  o il  pcregriu  rapace. 
Con  lor  r aquila  scherza,  altre  saette 
Nel  cor,  che  nell’  artiglio  aver  le  piace. 

I pili  fieri  dintorno  augei  grifagni 
Son  di  nemici  lor  fatti  compagni. 


Tu,  che  di  Beatrice  il  dotto  amante 
Già  ra)dt||liàM  di  scanno  In  fcanno, 

E il  fe9Sb  wrtitor,  clic  d’ActWianCe 
Immortalò  l’alta  rulnm flì|^iilli. 
Guidasti  d,  che  sul  destrian  «piante 
Seppe  condurvi  II  paladìii  bdtanno. 
Passar  per  grazia,  or  anco  a ine  concedi 
Del  tuo  gran  tempio  alle  secrcte  sedi.  ^ 

Già  per  gli  ampi  del  del  spa^^f^||^ 
Dinanzi  al  Sol  Lucifero  fuggiva, 

E quel  scotcnclo  i suol  gemmati  freni 
L’uscio  purpureo  al  novo  giorno  apriva. 
Fendean  le  nebbie  a guisa  di  baleni 
Anelando  i dcslrior  di  fiamma  viva, 

E vedeansi  pian  pian  nel  venir  loro 
Ceder  l’ ombre  notturne  ai  fiali  d' oro. 


Precorre,  e Segue  il  carro  ampia  falange 
(Parte  il  circonda)  di  valletti  arcieri. 

Ed  altri  a consolar  l’ Alba  che  piange. 
Col  venir  della  Dea  volan  leggieri. 

Altri  al  Sol,  elle  rotando  esce  di  Gange, 
Pereliè  sgombri  la  via,  vati  messaggicri. 
Ciascuno  il  primo  alle  fugaci  stelle 
Procura  di  annunziar  l’alte  boi 


0 tu,  che  In  novo  e dlsu(MH^o 
Saggia  scorta  mi  giihli  a queJ^|lM^egno, 
Disse  a Mercurio  Adone,  OTttnon  odo. 
Che  altri  di  pervenir  fusse  mai  degno, 
Pria  di’  io  giunga  lassù,  solvimi  un-nodo, 
Che  forte  implica  il  mio  dubbioso  ingc- 
È fors'  egli  corporeo  ancora  il  cielo  [gno. 
Poiché  può  ricettar  corporeo  velo? 


Dalle  stalle  di  Cipro,  ove  si  pasce 
Gran  famiglia  d’aiigcl  semplici  c molli, 
Sei  ne  scelse  In  tre  coppie  e In  auree  fasce 
Al  timon  del  bel  carro  Amor  legolli. 
Torcer  lor  vedi  ìncontr’al  di,  che  nasce, 
Le  vezzose  cervici  c 1 vaghi  colli, 

E le  smaltate  c colorite  gole 
Tutte  abbellirsi  e variarsi  al  Sole. 
t ^ 

Vengon  gemendo,  e con  giocondi  passi 
Novon  citati  al  liol  viaggio  il  [ilede,  , 

Al  bel^tagglo,  ove  appi  cstamlo  v.issi' 
Venerecon  colui  che  il  «or  |e  ilieda. 

Al  governo  del  freii  Merciirto  slassi, 

E dei  corso  sublime  arbitro  siede; 

Sovra  la  prineipal  poppa  lunata 
Posa  la  bella  coppia  innamorata. 


Se  corpo  Ita  il  ciel,dilnque  materia  tiene. 
Scegli  è material,  dunque  è composto; 
Se  composto  md  dal,  ne  segue  bene 
Che  è dei  contrari  alle  discordie  esposto  ; 
Se  soggiace  ai  contrari,  ancor  conviene 
Che  alla  corriizinn  sia  sottoposto. 

Eppur  ddciel  parlando,  udito  ho  sempre. 
Ch’egli  abbia  Incorrottibili  le  tempre. 

Tace,  c in  tal  suono  ai  delti  apre  la  via 
Il  dotto  timonicr  del  carro  aurato  : 

Negar  non  vo’,  che  corpo  il  ciel  non  sia 
Dipalpabìl  materia  edificalo, 

. Gilé  far  col  molo  suo  quell’ armonia 
Non  potrebbe,  ch'cl  fa,  mentre  è girato. 
È tutto  corporal  dòcile  si  move,  (il  dove. 
E ciò  che  ha.  Il  qual  e il  quanto,  il  donde* 


Sdol.scr  d’un  lancio  le  colombe  a volo 
Legate  al  giogo  d'or.  Tali  d’ argento. 

Si  aprirò  i cieli  e screnossl  il  polo, 
Sparver  le  nubi  ed  acqnelossi  il  vento. 
Di  canori  augciietli  un  lungo  stuolo 
Le  secondò  con  musico  concento, 

E sparser  mille  passere  lascive 
Di  garriti  d’amer  voti  festive. 


.^a  sappi,  che  non  sempre  t da  Natura 
La  materia  a tal  fin  temprala  e mista, 
Perchè  abbia  a generar  colai  mistura, 
Quel  che  perde  mutando  iiiquclche  acqui- 
la perchèquantilà  prenda  c figura,  [sta  ; 
E dd  corpo  alla  forma  ella  sussista  ; 

Nè  di  material  quanto  è prodotto 
Dee  necessariamente  esser  corrotto. 


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102  MARINO. 


Materia  dar  questa  materia  suole 
Al  discorso  mortai,  cbe  sovente  erra. 

Cbi  fabbricata  la  celeste  mole 

Di  foco  e fumo  tieo,  chi  d’acqua  e terra. 

Se  arrivassero  al  ver  si  fatte  iole, 

Sarebbe  quivi  una  perpetua  guerra. 

Così  di  quel  die  l' uom  non  sa  vedere, 
Favulcggiaiido  va  aiille  cliiiiiere. 

La  materia  del  del,  sebben  sublima 
Sovra  l’ altre  il  suo  grado  in  eiiiinenu. 
Non  però  dalla  vostra  altra  si  stima; 
Nulla  Ira  gl'  iutlividui  ha  diflerenza. 

Ogni  materia  parte  i della  prima. 

Sol  la  forma  si  varia  e non  l' essenza. 
Varietà  tra  le  sue  parti  appare. 

Secondo  clic  elle  soii  |ùù  dense,  o rare. 

Bastiti  di  saper,  cbe  peregrina 
Impressione  in  sè  mai  non  l'ioeve 
La  perfetta  natura  adamantina 
Di  quel  corpo  lassù  lubrico  e lieve. 
Paragonarsi  (ancorebù  pura  e fina) 
Qualità  d’ demento  a lei  non  deve. 

Un  fiore  scdto,  una  sostanza  quinta. 

Da  coi  di  pregio  ogni  materia  è vinta. 

La  sua  figura  i circolare  e tonda. 
Periferia  continua,  e senza  punto. 
Terminnon  ha,  nu  spazio  rgual  dreonda; 
Il  priiidpio  col  fin  sempre  ba  congiunto. 
Linea,  die  appien  d' ogni  eccedenza  ab- 
Alla  divinità  sìmile  appunto,  [bonda, 
E la  Jìv  ina  Elemllade  imita, 

Perpetua,  iiidIssolulNle,  infinita. 

Or  a questa  del  del  materia  eterna 
L’aniiiia,  die  l'iiiforina,è  sempie  unita. 
Questa  è ifRclla  virtù  santa  e su|>erna. 
Spirto,  che  le  dii  molo  c le  dà  vita. 

Senza  lei,  che  la  volge  e la  governa. 

Fora  sua  nobilUi  troppo  avvilita. 

Miglior  foran  del  del  le  pietre  islesse. 

Se  la  forma  motrice  ei  non  avesse. 

Que.sta  con  lena  ognor  possente  e franca 
Della  maccliina  sua  reggendo  il  pondo. 

Le  rote  mai  di  moderar  non  manca 
Di  quel  grand'  oriuol,  che  gira  a tondo. 
Per  questa  in  guisa  tal,  cbe  non  si  stanca. 
L’organo  immenso,  onde  ha  misura  il 
Con  sonora  vertighic  si  volvc,  [mondo. 
Ne  si  discorda  mai,  aù  si  dissolve. 


Cosi  diesa  di  dove  il  messaggtero, 

Nè  lasciava  d'andar,  perdi* d parlasse. 
De’  campi  intanto,  ov’ha  Giunone  Impero, 
Lasciale  avea  le  region  più  basse, 

E gii  verso  II  più  sttlvn  e più  leggiero 
Elemento  drizzava  il  lodifasse. 

La  cui  sfera  immorial  mai  sempre  arcen 
Passò  senza  periglio  e senza  oOesa. 

Varcato  il  puro  ed  Innocente  foco. 

Che  alla  gelida  Dea  la  faccia  asdnga. 
L’etra  sormonta,  ed  a più  nobii  loco 
Gli  presso  al  primo  del  prende  la  fviga, 
E II  suo  corpo  incontrando  a poco  a poco. 
Che  par  specchio  ben  terso  e senza  roga. 
In  queste  note  II  favellar  dtoliiigue 
Il  maestro  dell' arti  e delle  lingue  : 

Adoi),  so  che  saper  di  questo  giro 
Brami  I secreti,  ove  slam  quasi  ascesi, 
Con  tanta  atlenzion  mirar  ti  miro 
Nel  volto  della  Dea,  madre  dei  nteai  ; 

Cliè  sebben  tu  mi  taci  il  tuo  destro, 

E la  dimanda  tua  non  mi  palesi, 

Ti  veggio  in  fronte  ogni  pensier  dlpIiMo 
Più  che  se  per  parlar  ftisse  distinto. 

Questo,  a cui  slam  vicini,  è delU  Luna 
L'  orbc,die  Imbianca  il  del  con  suoi  aplen- 
Candlda  guida  della  Nolte  bruna,  (dori. 
Occhio  de’ ciechi  e tenebrosi  orrori. 
Genera  le  rugiade,  i nembi  aduna. 

Ed  è iiiiuislra  de'  fecondi  umori. 

Dagli  altrui  raggi  Illuminata  sptande. 

Dal  Sol  toglie  la  luce,  al  Sol  la  rende. 

Di  questo  corpo  la  grandezza  vera 
Minor  sempre  è dd  Sol,  iièiiiai  l’adombra, 
Cile  della  terra  a misurarla  intera 
La  trentesima  parte  appena  ingombra. 
Ma  se  s’accosta  alla  terrena  sfera,  (bra, 
Egual  gli  sembra, egli  può  far  qualch’oi»- 
Sol  per  un  sol  momento  allor si  vede 
Vincer  il  Sol,  d’ogni  altro  tempo  cede. 

ila  varie  forine,  e mol li  aspetti  c atolli, 
Or  è tonda,  or  bicorne,  or  piena,  or  soena. 
E sempre  tieii  nel  Sol  gli  occhi  rivolti, 
Cbe  la  percote  dalla  parte  estremo. 

Onde  semprealnien  può  l’ un  de’due  volti 
Partecipar  di  sua  beltà  suprema. 

Fa  ciascun  mese  II  suo  periodo  intero, 

E circnnd.vndo  il  del,  engia  emiapero. 


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L’ADONE.  163 


Perrliè  s’appressa  a Toi  più  che  KlUllrì  or- 
Suol  sopra  i vostri  corpi  aver  itran  forza,  [bi 
Donna  è de' sensi,  e Dea  di  mai!  e morbi. 
Ella  sol  gii  produce,  eila  gli  ammorza. 
Quanto,  o padre  Ocean,  nel  grembo assor- 
Quanto  in  te  vive  sotto  dura  scorza,  [bi, 
E il  moto  istesso  tuo  cangiando  inanza 
Altera  al  moto  tuo  stato  e sembianza. 

Il  (rntlo  e H fior,  la  pianta  e la  radice. 

Il  mare.  Il  fonte,  il  flume  e l' onda  e il  pc- 
Prendon  da  questa  ogni  virtù  motrice,[si:e, 
E H moto  ancor,  quand*  ella  manca  o cre- 
Dei  celebro  ella  è sol  govematrice,  [sce. 
DI  quanto  il  ventre  chiude  e quanto  n’e- 
E tutto  ciù,  che  in  sù  parte  ritiene  [sce, 
D'nniida  qualità,  con  lei  conviene. 

Cosa,  non  dico  sol  Saturno,  o Giove 
Nel  mondo  Inferior  propizia,  o fella, 

Ma  qual  altra  o che  posa,  o che  si  move, 
StahiI  non  versa,  o vagabonda  stella. 

Che  non  passi  per  lei  ; quante  il  del  piove 
InSuenze  laggiù,  scendon  per  qneHa, 

Per  quella  chiara  lampada  d’ argento. 

Che  i dell’ombre notturne  alto  ornamento. 

Onde  se  awien,  che  girl  B bel  semblan  te 
CoHocato  e disposto  in  buono  aspetto, 
Aaeorchè  variabile  e vagante. 

Partorisce  talor  felice  effetto. 

Ma  Fortuna  non  mai,  fuorché  incostante. 
Speri  chhmque  a lei  nasce  soggetto. 

Che  con  perpetuo  crror  Ba  che  k>  spinga 
Fuor  di  patria  a menar  vita  raminga. 

Con  più  diffuso  ancor  lungo  sermone 
H tìsico  divin  volea  seguire, 

Quantio  a mezzo  ii  discorso  il  bel  garzone 
La  feveili  gli  tronca  e prende  a dire  : 

D' una  cosa  a spiar  l’alta  cagione 
Caldo  mi  move  e fervido  desire. 

Cosa,  che  da  ehe  pria  l’oeehio  la  scorse. 
Sempre  ba  la  mente  mia  tenuta-in  forse. 

D’ airone  ombrose  macchie  impressa  lo 
DeUatriforme  Dea  la  guancia  pura,  [veggio 
Dimmi  il  perchè;  tra  mille  dubbj  ondeg- 
Nè  so  trovarne  opinion  secura.  [glo, 
Qual  immondo  contagio,  io  li  richieggio, 
DI  brutte  stampe  H vago  volto  oscura  ? 
Cod  ragiona , e I’  altro  un’  altre  volta 
La  parola  ripiglia,  e dice  : Ascolta. 


Poiché  cotanto  addentro  Intender  t uoi. 
Al  bel  quesito  soddisfar  prometto. 

Ma  di  ciò  la  ragion  ti  dirà  poi 
L’ occhio  vie  meglio  assai,  che  l' intelletto. 
Non  mancan  già  fllosofl  tra  voi , 

Che  notato  hanno  in  lei  questo  difetto. 
Studia  ciascun  d’ investigarlo  a prova. 
Ma  chi  si  apponga  al  ver  raro  si  trova. 

Afferma  alcun,  che  d’  altra  cosa  densa 
Sia  Ira  Feho  e Febea  corpo  framesso, 

La  qual  dello  splendor,  eh'  ci  le  dispensa. 
In  parte  ad  occupar  venga  il  reflesso. 

Il  che  se  fusse  pur,  come  altri  pensa. 
Non  sempre  il  volto  suo  fora  l’ istesso. 
Nè  sempre  la  vedria  chi  in  lei  si  affisa 
In  un  loco  macchiata,  e d’  una  guisa. 

Havvi  chi  crede,  che  per  e.«cr  tanto 
Cinzia  vicina  agli  clementi  vostri. 

Della  natura  elementare  al(|uanlo 
Convlen  pur  che  partecipe  si  mostri. 
C.OSÌ  la  gloria  Immacolata  e il  vanto. 
Cerca  contaminar  de’  regni  nostri. 

Come  cosa  del  del  sincera  e scbieiu 
Possa  di  vii  mistura  essere  infetta. 

Altri  ri  fu,  che  esser  quel  globo  disse 
Quasi  opaco  cristal,  che  il  piombo  badifr- 
E che  col  suo  reverbcro  venisse  [Irò, 
L’  ombra  delle  montagne  a farlo  tefro. 
Ma  qual  si  terso  mai  fu,  che  ferisse 
Per  cotanta  distanza,  acciai»,  o vetro? 

E qual  vasta  cerviera  in  specchio  giunge 
L’ immagine  a mirar  cosi  da  lunge? 

Egli  è dunque  da  dir,  che  più  secreta 
Colà  s’  asconda,  ed  esplorata  invano 
Altra  ragion,  che  penetrar  si  vieta 
All’  ardimento  dell’  ingegno  umano. 

Or  io  ti  fo  saper,  clic  quel  pianeta 
Non  è,  rom’  altri  vuol,  polito  e piano, 
Mane’  recessi  suol  profondi  c cupi 
ib  non  nien  che  la  terra  è valli  e rupi. 

La  snperflde  sua  mal  conosduta 
Dico,  che  è pur  come  la  terra  istc&sa, 
Aspra,  Ineguale  e tumida  e scrignuta. 
Concava  in  parte,  In  parte  ancor  convessa. 
Qnhrl  veder  potrai  ( ma  la  veduta 
Noi  pnù  raffigurar,  se  non  s’  appressa) 
.Altri  mari , altri  fiumi  ed  altri  fonti, 
Qttà,  regni,  provincic  e piani  e monti. 


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16',  MARINO. 


E questo  è quel,  che  sa  laggiù  parere 
Nel  bel  viso  di  Trivia  I segni  foschi,  [dere 
Benché  altre  macchie,  che  ornon  puoi  vc- 
Vo’  che  entro  ancor  v i scorga  c vi  conoscili , 
Che  son  più  spesse  c più  minute  e nere, 
Eson  pur  scogli  e colli  c campi  c boschi. 
Son  nel  più  puro  delle  bianche  gole. 

Ma  da  terra  aOlssarlc  occhio  non  potè. 

Tempo  verrà,  che  senza  impedimento 
Queste  sue  note  ancor  fien  note  e chiare, 
Mercfc  di  un  ammirabile  stromenro. 

Per  cui  ciò  che  è lontan,  vicino  appare; 
E con  un  occhio  chiuso  e l' altro  intento 
Speculando  ciascun  Torbe  lunare. 
Scorciar  potrà  lunghissimi  intervalli 
Per  un  piccini  cannone  e due  cristalli. 

Del  telescopio  a questa  etate  ignoto 
Per  te  fla , Galileo , T opra  composta  , 
L’opra,chcal  senso  altrui, benché  remoto 
Fatto  molto  maggior  T oggetto  accosta. 
Tu  solo  osse.rvator  d’ogni  suo  moto, 

E dì  qualunque  baiti  lei  parte  nascosta. 
Potrai , senza  che  vel  nulla  le  chiuda , 
Novello  Endinduti , mirarla  ignuda. 

E col  medesmo  occhiai  non  solo  in  lei 
Vedrai  dappresso  ogni  atomo  distinto, 
Ma  Giove  ancor  sotto  gli  auspirj  mici 
Scorgerai  d’altri  lumi  intorbo  cìnto. 
Onde  lassù  dell’ Arno  I Semidei 
Il  nome  lasceran  sellilo  c dipinto. 

Glie  Giulio  a Cosmo  ceda  allor  fìa  giusto, 
E dal  Medici  tuo  sia  vinto  Angusto. 

Aprenilo  il  sen  dell’  Ocean  profondo, 
Ma  non  senza  periglio  e senza  guerra. 

Il  ligure  Argonauta  al  basso  mondo 
.Scoprirà  novo  cielo,  c nova  terra. 

Tu  del  del , non  del  mar  Tìll  secondo. 
Quanto  gira  spiando,  c quanto  serra 
Senza  alcun  rischio , ad  ogni  gente  ascose 
Scoprirai  nove  luci  c nove  cose. 

Ben  del  tu  molto  al  dei, che  ti  discopra 
I.'invenzion  dell’ organo  celeste,. 

Ma  viepiù  il  cielo  alla  tua  nobii  opra , 
Che  le  bellezze  sue  fa  manifeste. 

Degna  é Tiniiiiagin  tua  , che  sia  là  sopra 
Tra  ì lumi  accolta,  onde  si  fregia  c veste, 
E delle  tue  lunette  il  vetro  frale 
Tra  gli  eterni  zaOir  resti  inimorlale. 


Non  prima  no , che  delle  stelle  istesae 
Estìngua  il  cielo  I luminosi  ral , 

Esser  dee  lo  splendor,  che  al  crin  ti  tesse 
Onorala  corona , estinto  mai. 

Chiara  la  gloria  tua  vivrà  con  esse , 

E tu  per  lama  in  ior  chiaro  vivrai , 

E con  lingue  di  luce  ardenti  e belle 
Favellerau  dì  te  sempre  le  stelle. 

Non  avea  ben  quel  ragionar  fornito 
Il  secretarlo  de’ celesti  Numi, 

Quando  il  carro  immortal  vide  salilo 
Sovra  il  lume  minor  de' due  gran  lumi. 
Trovossi  Adone,  in  altro  mondo  uscito. 
In  altri  prati,  in  altri  bo.schi  c fiumi. 
Quindi  arrivò  per  non  segnato  calle 
Presso  un  speco  riposto  in  chiusa  valle. 

Circondala  spelonca  erma  e remota 
Verdeggiante  le  squame , angue  custode , 
Angue,  che  attorce  in  flessuosa  rota 
Sue  parli  estreme  e sé  medesmo  rode. 
Donna  canuta  il  crin  , crespa  la  gota, 

Del  cui  sembiante  il  del  s’allegra  e gode, 
Dell’antro  venerabile  c divino 
Siede  sui  limitare  adamantino. 

Pcndonle  ognor  da  queste  membra  e 
Mille  pargoleggiando  alme  Volanti, [quelle 
E tutta  piena  inlorno  é di  mammelle , 
Onde  allattando  va  turba  d'infanti. 
Misurator  de'  cieli  e delle  stelle , 

E cancellicr  de’suoi  decreti  santi. 

Le  leggi , al  cui  sol  cenno  il  tutto  vive. 
Ne’ gran  fasti  del  Fato  un  veglio  scrive. 

Calvo  é il  veglio  c rugoso,  e spande  al 
Della  barba  prolissa  il  bianco  pelo,  [petto 
Severo  in  vista  c di  robusto  aspetto, 

E grande  si,  che  quasi  adombra  il  cielo. 

È tutto  ignudo  c senza  vesta,  eccetto 
Quanto  il  ricopre  iin  varìabìl  velo. 

Agii  sembra  nel  corso,  ha  i piò  calzati. 
Ed  a guisa  di^augel , gii  omeri  alati. 

Tien  divisa  in  due  vetri  in  sulla  schiena 
Lucida  ampolla,  onde  traspar  di  foro 
Sempre  agitata  e prigioniera  arena, 
Nunzia  verace  delle  rapid’ore. 

A filo  a filo  per  angusta  vena 
Trapassa  c riede  al  suo  contìnuo  errore, 
E mentre  ognor  si  volge  e sorge  c cade , 
Segna  gli  spazj  dell’  timana  ctade. 


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L’ADONE. 


Di  soni  c serro,  ad  ubbidirgli  avvezza 
Moltitudine  intórno  ha  reverente, 

Di  quella  maestà , che  il  tutto  sprezza. 
Provvida  esecutrice  e diligente. 
Mostrava  Adon  desio  d’aver  contezza 
Qua!  si  fosse  quel  loco  e quella  gente  ; 
Onde  cosi  di  quei  secreti  iiiiiuensi 
Il  suo  conducltor  gli  aperse  I sensi. 

Sacra  a colei , che  gii  ordini  fatali 
Ministra  al  mon<ln,èquesla  grotta  annosa. 
Non  solo  impenetrabile  ai  mortali, 

•àgli  occhi  umani  ed  alle  menti  ascosa  , 
Sicchó  alzarvi  giammai  la  vista,  o l’ali 
Intelletto  non  può,  sguardo  non  osa; 
Ma  gl’  interni  recessi  anco  di  lei 
Quasi  appena  spiar  sanno  gli  Dei. 


165 

Di  sua  forma  non  So  se  t’ accorgesti , 
t'hè  non  è mai  l’istessa  alla  veduta. 
Faccia  ed  età  di  tre  maniere  ha  questi , 
L’acerba  , la  virile  c la  canuta. 

Tu  vedi  ben,  come  sembiante  e gesti 
Varia  sovente  c d’or  in  or  si  muta. 
l-’olTigie,  che  pur  or  it’olTerse  iiinanzì. 
Altra  ne  sembra,  c non  è più  qual  dianzi. 

Vedigli  assiso  al  piedi  un  potentato. 
Da  cui  tutte  ic  cose  hall  vita. e morte , 
Olii  un  gran  libro,  le  cui  carte  è dato 
Volger  (com’ella  viiol)sn|o  alla  Suite. 

A questo  Nume,  che  si  appella  Fato, 
Detta  quant’el  determina  in  sua  corte. 
Quegli  lo  scrive,  ed  ordina  al  governo. 
Primavera  ed  autunno , estate  c inverno. 


Natura  univcrsal  madre  feconda 
È la  donna,  che  assisa  ivi  si  mostra. 

In  quella  cava  ha  sua  inagion  (irofonda. 
Occulto  allierg'i  e solitaria  chiostra. 
Giusto  è,  che  ognun  di  voi  le  corrisponda, 
Vuoisi  onorar  qual  genitrice  vostra; 

E ben  lo  devi  tu  , come  creato  [grato. 
Più  bel  d’ogni  altro.  Adone,  esser  più 

Qiiell’iiom  anticoch’allespallc  ha  i vanni, 
E quei,  che  ogni  mortai  cosa  consuma, 
Domator  di  monarclii  e di  tiranni. 

Con  cui  non  è dii  contrastar  presuma. 
Parlo  del  Tempo  dlspensier  degli  anhi. 
Che  scorre  il  del  con  si  spedita  piuma, 
E si  presto  sen  fugge  e si  leggiero. 

Che  è tardo  a seguitarlo  anco  II  pensiero. 

Con  l’ ali,  che  si  grandi  ha  sulle  terga , 
Vola  tanto  che  il  .Sol  l’ adegua  appena. 
Sola  però  l’ Eternità , che  alberga 
Sovra  le  stelle,  il  giunge  c l’incatena. 

La  penna  ancor,  che  dotte  carte  verga , 
Passa  il  suo  volo,  e il  suo  furore  alTrena. 
Cosi  (chi  il  crederebbe?)  un  fragii  foglio 
Può  di  chi  tutto  pnò  Vincer  l’orgoglio. 


Comandati  questi  al  secolo  c palese 
(ìli  fan  ciò  che  far  dee  di  punto  In  punto. 
Il  secol  poi  che  ha  le  sue  voglie  intese  , 
Al  lustro  inipon  che  l’eseguiscaappiinto. 
Il  lustro  all’ anno,  e l’anno  al  mese,  il  mese 
Al  giorno, il  giorno  all’ora, c l’ora  ai  punto, 
Così  dispon  gli  alfari , e con  tal  legge 
Signoreggia  i mortali  e il  mondo  regge. 

Vedi  que’ duo,  l’un  giovinetto  adorno, 
Candido  e biohdo  e con  serene  ciglia. 
L’altra  femmina  cbruna.evanno  intorno, 
E si  tengono  in  mezzo  una  lor  figlia. 

Son  color,  se  noi  sai,  la  Notte  c il  Giorno, 
E l’Aurora  ò tra  lor  bianca  e vermiglia. 
Or  mira  quelle  tre,  che  tutto  lian  pieno 
Di  gomitoli  d’accia  il  lembo  c il  seno. 

Quelle  le  Parche  son  , per  cui  laggiiiso 
E filata  la  vita  a tutti  voi^ 

Nel  suo  volto  guardar  sempre  han  per  uso. 
Tutte  dtpendon  sol  dai  cenni  suoi. 
Quella  tien  la  conocchia  e questa  il  fuse. 
L’altra  torre  lo  stame  e il  tronca  poi. 
Vedi  la  Verità  figlia  del  vecchio  , [diio. 
Che  innanzi  agli  occhi  gli  sostien  lo  spec- 


Di  duro  acciaio  ha  temperati  i denti , 
Infrangibili , eterni , adamantini. 

Delle  torri  superbe  ed  eminenti 
Rode  e rompe  con  questi  i sassi  alpini  ; 
Dei  gran  teatri  i porfidi  lucenti , 

Degli  eccelsi  colossi  i marmi  fini. 
Divoralor  del  tutto,  alfln  risolve 
Le  più  salde  materie  in  trita  polve. 


Quanto  in  terra  si  fa,  là  dentro  ri  mira, 
E dell’altrui  follie  nota  gli  esempi. 

Vede  l’ umana  ambizion  che  aspira 
In  mille  modi  a fargli  oltraggi  e .scempi. 
Crede  fiaccargli  alcun  la  forza  e l’ ira 
Ergendo  statue  e fabbricando  tempi. 
Altri  contro  gli  drizza  archi  e trofei , 
Piramidi , obelischi  e mausolei. 


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166  MARINO. 


Ride  egli  allora,  e si  sei  prende  a gioco. 
Scorgendo  quanto  l'uom  s'ingaiinaed  erra 
E poiché  in  piedi  lia  pur  tenute  un  poco 
Quelle  macchine  altere,  alfìn  le  atterra. 
Dalle  ili  preda  dell’  acqua , ovver  del  foco. 
Or  le  dona  alla  peste , ora  alla  guerra. 

I.e  sparge  in  fumo  in  quella  guisa  oin  que- 
Sicché  Testigioalcun  non  ve  ne  resta,  [sta 

E di  ciò  la  ministra  è sol  quell*  una, 
Cile  è cieca  e d’  un  delHn  sul  dorso  siede, 
Calva  da  tergo  c il  crine  in  fronte  aduna. 
Alata  e tien  sovra  una  palla  il  piede. - 
Guarda  se  la  conosci,  è la  Fortuna, 

Che  al  paterno  lerreii  passar  ti  diede. 
Mira  quanti  lesor  dissipa  al  vento. 

Mitre,  scettri,  corone , oro  ed  argento. 

Quattro  donne  reali  a pié  le  miri, 

E son  le  monarchie  dell*  universo. 

D’ or  coronata  é quella  degli  Assiri, 
D’argento  l'altra.clic  ha  l’impero  perso; 
La  Grecia  appresso  con  iiien  ricchi  giri 
Porta  cerchialo  il  crin  di  rame  terso. 

L*  ultima,  che  di  ferro  orna  la  chioma, 

£ la  guerriera  e bellicosa  Roma. 

Ma  ciò  che  vai,  so  il  tuttoé  un  sogno  bre- 
Stolto  colui,  che  in  vanita  si  lida.  [vet 
Dritto  é ben, che  d' un  ben,  che  perir  deve, 
L’  un  filosofo  pianga  e l’ altro  rida. 

Sola  virtù  del  Tempo  avaro  c lieve 
Può  t’ ingorda  sprezzar  rabbia  omicida. 
Tutto  il  resto  il  crudel,  mentre  che  fugge, 
E rapace  c vorace,  invola  c strugge.  • 

Guarda  sull’  uscio  pur  della  caverna, 

E vedrai  due  gran  donne  assise  quivi, 

E quinci  e quindi  dalla  foce  interna. 

Di  qualità  contraria  uscir  duo  rivi. 

Siede  r una  da  destra  e luce  eterna 
Le  fregia  il  volto  di  bei  raggi  vivi. 
Ridente  in  vista  c di  un  aspetto  santo. 

In  man  lo  scettro  ed  Ita  stellalo  il  luanto. 

£ la  Felicita,  de*  cui  vestigi 
Cerca  ciascun,  né  sa  trovar  la  traccia. 
Ma  da  larve  deluso  e da  prestigi 
Di  quella  Invece,  la  Miseria  abbraccia. 
Stanno  molte  donzelle  a’  suoi  servigi, 

D’ occhio  giocondo  e di  piacevol  faccia. 
Vita,  abbondanza,  c ben  coiitcìitc  c liete 
Festa,  gioia,  alicgiia,  pace  c quiete. 


Lungoilsuopièconlimpid'ondaevlva 
Mormorando  seti  va  soavemente. 

Il  destro  flumicei , da  cui  deriva. 

Di  letizia  immortai  vena  corrente. 

Ella  un  lambicco  in  man  sovra  la  riva 
Colmo  dell’  acqua  tien  di  quel  torrente, 
E (come  vedi  ben)  fuor  della  boccia 
In  terra  le  distilla  a goccia  a goccia. 

A poco  a poco  ingiù  versa  il  diletto, 
Perché  altri  non  può  farne  intero  acquista. 
Scarso  é 1’  uman  conforto  ed  imperfetto, 
E qualche  parte  in  sé  sempre  Ita  di  tristo. 
Quel  ben  che  qui  nel  ciclépuroeschietto. 
Piove  laggiù  contaminato  e misto. 
Perocché  pria  che  caggia,  ci  si  confonde 
Con  qucll'altro  rusccl  che  amare  ha  Tonde. 

L’al  tro  ruscel , eh  c mcn  purgato  e chiaro 
Passa  da  manca,  é tutto  di  veleno. 
Viepiù  che  fiel,  v iepiù  die  assenziuamaro, 
E sol  pianti  e sciagure  accoglie  in  seno. 
Vedi  colei,  che  il  vaso,  onde  volaro 
Le  compagne  d’Astrea,  tutto  iT  ba  pieno, 
E con  prodiga  man  sovra  i mortali 
Sparge  quanti  mai  fur  malori  e mali. 

Pandora  é quella  ; il  bossolo  di  Giove 
Folle  audacia  ad  aprir  le  persuase. 

Fuggi  lu  stuul  delle  VirUidi  altrove. 

Le  Disgrazie  restaro  in  fondo  al  vase. 
Sol  la  Speranza  in  cima  all'  urlo,  dove 
Sempre  accompagna  i miseri,  rimase  ; 
Ed  é quella  cuUi  vestita  a verde. 

Che  in  del  non  cntra,e  oelTentrar  si  perde. 

Or  vedi  come  fuor  dell’  ampia  bocca 
Dell’  urna  rea,  che  ogni  difetto  asconde. 

In  larga  vena  scaturisce  e fiocca 
Il  sozzo  umor  di  quelle  perfid’  onde. 
Dell’altro  fiume, onde  piacer  trabocca, 
Questo  in  copia  maggior  T acque  diOonde. 
Perché  in  quel  nido  di  tormenti  e guai 
Sempre  T amaro  è più  che  il  dolce  as^i. 

Vedi  Morte, Penuria  eGtierra  e Peste, 
Vecchiezza  e Povertà  con  bassa  fronte, 
Pena,  Angoscia,  Fatica,  afiliUc  e meste 
Figlie  appo  lei  d’ Averno  e d’ Acheronte. 
Ve’  Temivia  Ingratitudine  tra  queste. 
Prima  d’  ogni  altro  mal  radice  e fante. 
E tutte  uscite  son  del  vaso  immondo 
I Per  infestar,  per  infettare  il  mondo. 


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L’ADONE. 


Noeti  maratrigliar,  che  affanni  e doglie 
In  questo  primo  ciel  facciali  dimora. 
Perchè  la  Diia,  onde  Usuo  moto ei  toglie, 
E di  ogni  morbo  e di  ogni  mal  signora. 
In  lei  dominio  e potestà  s’  accoglie 
E sovra  i corpi  e sovra  l' alme  ancora. 
Ma  se  di  ogni  bruttura  iniqua  e feila 
Vuoi  U schiuma  veder,  volgiti  a quella. 

Si  disse,  e gli  mostrò  mostro  difforme 
Con  orecchie  di  Mida  e man  di  Cacto. 

Ai  duoi  volti  parca  Giano  biforme. 

Alla  cresta  Priapo,  al  ventre  Bacco. 

La  gola  al  lupo  avea  forma  conforme. 
Artigli  avea  d' arpia,  aanne  di  ciacco. 
Era  iena  alla  voce  e volpe  ai  tratti. 
Scorpione  alla  coda  e siniia  agli  atU. 

Chiese  aUa  guida  Adon,  di  che  natura 
Kusse  bestia  si  strana,  e di  che  sorte. 

Ed  intese  da  lui,  che  era  figura 
Vera  ed  idea  della  moderna  corte. 
Portento  orrendo  dell'  età  futura, 

Piaget  dei  mondo,  assai  peggior  che  Morte, 
Deir  Erinni  infernali  aborto  espresso. 
Vomito  dell'  inferno,  inferno  istesso. 

Ma  di  questa,  dicea,  meglio  è tacerne. 
Poiché  ogni  pronto  stil  vi  fora  coppo. 
Ben  mille  lingue  e mille  penne  eterne 
In  mia  vece  di  lei  parlerau  troppo. 

Mira  in  quel  tribunal,  dove  si  sceme 
Di  gente  intorno  adulatrice  un  groppo. 
Donna  con  torve  luci  e lunghe  orecchie. 
Che  da'  fianchi  ai  tiendue  bruite  veccliie. 

L'Autorità  tirannica  dipigne 
Quella  superba  e barbara  sembianxa, 

E r assislemi  sue  sciocche  e maligne 
Son  la Sospizionc  e l’Ignoranza,  [gne. 
Labbra baverdi e spumaiitieman  sapgul- 
Mostra  rigor,  furor,  fasto,  arroganza. 
Porge  la  destra  ad  una  donna  ignuda. 

Di  cui  non  è la  più  perversa  e cruda. 

Questa  tutta  di  sdegno,  accesa  e tinta, 
E di  dispetto  e di  fastidio  è piena  ; 

E da  turba  crudel  tirata  e spiata 
Giovinetta  gentil  dietro  si  mena. 

Che  l’ima  et’ altra  mano  al  tergo  avvinta 
Porta  di  dura  e rigida  catena. 

Smarrita  il  viso  e pallidetta  alquanto^ 

Ed  ha  bianca  la  gtmna  e biancoUmanto. 


La  Calunnia  ècolei, che  al  trono  angusto 
Per  man  la  tragge  e par  d’ astio  si  roda. 
Delia  la  faccia  ha  si,  ma  dietro  al  busto 
Le  si  attorce  di  serpe  orrida  coda. 

L’ altra  condotta  nel  giudizio  ingiusto, 

A cui  le  braccia  Indegno  ferro  annoda, 

È r Incorrotta  e candida  Innocenza, 
Sovrallatta  talor  dall’  Insolenza. 

Il  LIvor  l'è  dincontra,  il  quale  approva 
La  falsa  accusa,  e la  risguarda  in  torlo. 
Aconito  infemal  nel  petto  cova, 

E di  squallido  bosso  ha  il  viso  smorto. 
Simile  ad  uom,  che  afflitto  ancor  si  trova 
Da  lungo  morbo,  onde  guari  di  corto. 
Coppia  d'ancelle  alla  Calunnia  applaude, 
Testhnoni  malvagi.  Insidia  e Kraude. 

Segue  costoro  addolorala,  e piange 
Di  tal  perfidia  il  torto  e la  menzogna 
La  Penitenza,  che  si  affligge  ed  auge 
Presso  la  Verità,  clie  la  rampogna. 

E si  sqiurtia  la  vesta,  e il  crin  si  frange, 

E di  diiol  si  dispera,  o di  vergogna, 

E col  llagel  di  una  spinosa  verga 
Si  balte  il  corpo,  e macera  le  terga. 

Oimè,  non  sliam  più  qui,  lasciam  per  Dio 
Di  questi  mostri  abbominandl  il  nido. 
Tacquesi,  e lungo  un  tortuoso  rio 
Quindi  sviolio  il  saggio  duce  e fido. 

D’  ua’  oscura  isoletia  Adon  scoprio 
Non  molto  iunge,  ancor  inccriOj  II  lido. 
L'aria  avea  d’ogn' intorno  opaca  c bruna 
Qual  fosca  notte  in  maliosa  Luna. 

Giace  in  mezzo  d’un  fiume,  ilqualsi  reco 
Dilaga  r acque  sue  placide  e chele, 

E va  si  lento  e mormora  si  poco, 

Che  provoca  in  altrui  sonno  e quiete. 
Ecco,  Mercurio  alior  soggiunse,  il  loco. 
Dove  discorre  il  sonnacchioso  Lete, 

Da  cui  la  verga  mia  forte  e possente 
Prende  virtù  d’ addormentar  la  gente. 

L’isola d’ogni  parteabbracciaechiude, 
Come  scorger  ben  puoi,  I’  onda  klale. 
Sembra  oziusa  e livida  palude. 

Onde  caltgin  densa  in  allo  sale. 

Vedi  quante  in  quell' acque  anime  ignude' 
Vanno  a lavarsi  ed  a luibrv  i I'  ale 
Pria  che  le  copra  ii  corrotiibii  velo,  - 
Per  obhlUr  ciò  che  han  veduto  In  ciclo. 


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l(iS  MARINO. 


Vedine  molle,  che  a ba)^iar  le  piiimc 
Vengoii  pur  nelle  pigre  onde  infeliei, 

E perdun  pur  dentro  il  incdesmo  liiimc 
La  conoscenza  de’  cortesi  amici. 

.Soli  gl'ingrati  color  clic  lian  per  costume 
Dimenticar  favori  c bcneflci, 

E scriver  nelle  foglie  c dare  ai  venti 
Gli  obliliglii,  le  promesse  c i giuranicnli. 

Altre  ne  vedi  ancor  i|iiassù  dal  mondo 
Salire  ad  or  ad  or  macelliate  e brutte. 
Le  qiiai  non  pur  di  ipicl  licore  immondo 
Gorroiio  a ber,  ma  vi  s'immorgon  tutte. 
Genti  SUI!  quelle,  die  da  basso  fondo 
Soti  ]>er  fortuna  ad  alto  grado  adilutte. 
Dove  ciascun  divieti  si  smemorato. 

Glie  più  non  gli  sovvieii  del  primo  stato. 

Oh  dei  terreni  oiior  perfida  nsaiiz.v.. 
Con  cui  robblio  di  subito  si  beve, 

Onde  con  repentina  empia  tnntanza 
Viciisì  ruoiiio  a scordar  di  quanto  deve! 
E non  solo  d’altrui  la  riiiicmbraiiza 
In  lui  s’offusca  e si  smarrisce  in  breve. 
Ma  si  del  tutto  ogni  memoria  ba  spenta , 
G.lie  di  si  stesso  pur  npn  si  rammenta. 

Il  paese  dei  Sogni  è questo,  a cui 
Pervenuti  noi  siamo  a mano  a mano. 
Vedi  che  appunto  nei  sembianti  sui 
.Simile  al  sogni) , ha  non  su  clic  del  vano , 
Clic  apparisce  c sparisce  agli  occhi  altrui, 
E visìbile  appena  è di  lontaiin. 

Qui  da  Giove  scacciato  il  Sonno  nero, 
Camtuniaee  del  del,  fondò  l’ impero. 

Ma  per  poter  varcar  l’ onda  soave 
Sarà  buon , che  alcun  legno  orsi  prepari. 
Ed  ecco  allora  In  pargoletta  nave 
Strania  ciurma  apparir  di  mai  inari. 
Itatonc  c Tarassio  il  remo  grave, 

E Pliitocle  c Morfeo  inovcan  del  pari; 
Era  il  vecchio  Kantasìo  il  galeotto. 

Al  nieslier  del  timone  esperto  c dotto. 

Presero  un  porlo,  ove  d’ elettro  puro, 
AH’augel  vigilante  un  tempio  è sacro. 
Quindi  scolpito  sta  l’ Èrebo  oscuro. 
Quinci  d’Ecatc  bella  il  siniiilacro. 

In  sull’  entrar,  pria  che  si  pa.ssi  al  muro, 
V’  ba  di  duo  fonti  un  gemino  lavacro; 
Che  fan  cadendo  un  mormorio  secreto; 
Pannicebia  è detto  l’ un , l’ altro  Ncgrcto. 


Fa  cerchio  alla  città  selva  frondosa, 
Che  dà  grato  ristoro  al  corpo  lasso. 

La  mandragora  stupida  e gravosa, 

E II  papavero  v’  ha  col  capo  basso. 

L’orso  Ira  questi  languido  riposa, 

E riposanvi  all’ ombra  il  ghiro  e il  tasso. 
Nò  d’abitar  quei  rami  osano  augelli, 

Fuor  clic  iiollolc-c  gufi  c pipistrelli. 

D’  un  iri  a più  color  case  e contrade 
Statisi  tra  lumi  tenebrosi  occulte. 

Quattro  porle  maestre  ha  la  citlade,- 
Due  di  terra  c di  ferro  incise  c scullc. 

Le  qiiai  rispondoii  per  diritte  strade 
Della  Pigrizia  alle  campagne  incultc; 

E per  queste  sovente  o falsi , o veri 
Escono  I sogni  «paventosi  e fieri. 

Dell'altrcdiie  ciasriina  il  fiume  guarda, 
L’ una  È d’ avorio  e si  illsserra  allora, 
Cli’c  nel  suo  centro  la  stagion  più  larda , 
L’altra  di  corno  c s’apre  in  sull'  aurora. 
Perqiiella  ascheriiir  l’uoni  turba  bugiarda 
D’ ingannatrici  immagini  vicn  fora. 

Da  questa  soglion  trar  l’ anime  vaghe 
Visioni  del  ver  spesso  presaghe. 

La  bella  coppia  entrò  per  l’uscio  ebiimo, 
E fiir  ipicll’ ombre  da'snoi  raggi  rotte. 

Il  suo  palagio  ombroso  e taciturno 
Nella  piazza  maggior  lenea  la  Notte. 
Dall’altra  parte  di  vapor  notturno 
Velato  e cliiuso  tra  profonde  grotte 
L'albergo  ancor  del  Sonno  si  vedea. 

Che  sovra  un  letto  d’ebano  giacca. 

Oli  di  qiiaute  fantastiche  bugie 
•Mostruose  apparenze  intorno  vanno! 
Sogni  .schivi  del  Sol,  nemici  al  die. 
Fabbri  d’ illusion,  padri  d’ inganno. 
Minolauri,  Centauri , Idre  ed  Arpie,  - 
E Geriotii  e Rriarei  vi  stantio. 

. Clil  Sirena,  chi  Sfinge  al  corpo  sembra. 
Chi  di  Ciclopo  c dii  di  Fauno  ha  membra. 

Chi  par  bertuccia  etj  ò qual  bue  cornuto. 
Chi  tutto  è capo  c il  capo  poi  senz’  ocelli. 
Altri  hanconi’liannu  i iiicrgi  il  becco  acuto, 
Altri  la  barba  a guisa  degli  aloccliì. 

Altri  con  faccia  umana  è si  orecchiuto , 
Clic  conv  icn  eh’  ogni  orccdiia  il  tcrreii  loc- 
Altri  ba  piò  d'oca  e di  falcone  artiglio,  [chi. 
L’occhio  nel  ventre  c nel  bellico  il  ciglio. 


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L’ADONE.  I(J9 


Vedresti  effigie  angelica  e sembiante, 
Poi  si  termina  IKpiedc  in  piedistallo. 

Visi  di  can  con  trombe  d’elclante. 

Colli  di  grò  con  leste  di  camallo, 

Busti  di  nano  e braccia  di  gigante, 

Ali  di  parpagllon,  creste  di  gallo-. 

Con  rode  di  pavon  grill  e pogasi , 

FHisi  per  gambe  e piOcri  per  nasi. 

Alcun  di  lor,  quasi  spalmato  legno , 
Vola  a vela  per  l'aiire  c scorre  a nuotò. 
Ma  di  due  rote  ha  sotto  un  altro  ingegno. 
Onde  corre  qual  carro  e varia  molo. 

On  un  mantice  alcun  di  vento  pregno 
Gonlla  c sgonfia  soffiando  il  corpo  voto, 
E tanti  flati  accumula  nell' epa. 

Che  come  rospo  aifln  ne  scoppia  e crepa. 

r 

E questi  ed  altri  ancor  più  contrafatti 
Ve  n'  ha,  piccioli  c grandi,  interi  e mozzi. 
Quasi  vive  grottesche,  o .spirti  astratti. 
Scherzi  del  caso  e del  pensiero  abbozzi. 
Parte  alle  spoglie  « alle  rattezze,  agli  atti 
Son  lieti  e vaghi  e parte  immondi  e sozzi. 
Molli  al  gesto,  al  vestir  sili  e plei>ei. 
Molti  di  regi  in  abito  e di  Dei, 

Tra  gli  altri  Adon  vi  riconobbe  quello. 
Che  in  Cipro  già,  quand’ei  tra'lior  dormiva 
Rapprescntogli  il  simulacro  bello 
Della  sua  bella  ed  amorosa  Diva. 

E già  quel  pigro  e lusinghier  drappello 
Dietro  alla  Notte,  che  volando  usciva, 
Cili  s’accostava  in  mille  rornie  intorno 
Per  gravargli  le  ciglia,  o torgli  il  giorno. 


Deh  perdoidml  il  ver,  se  altrui  par  Torse, 
Eh'  io  qui  del  elei  la  di((nltale  olTenda , 
Polche  laddove  Tempo  vinqua  non  corse, 
L’ore  non  spiegati  mai  notturna  benda. 
Farciol,  perchè  cosi  quel  che  non  scorstì 
Il  senso  mai , l’ intendiincnto  intenda, 
Non  sapendo  trovar  Tuor  di  natura 
Agli  spag)  celesti  altra  misura. 

In  questo  mezzo  il  condottier  superno 
Le  sci  vaglie  corsiere  al  carro  aggiunse. 
Fece  entrarvi  gli  amanti  ed  al  governo 
Assiso  poi,  ver  l’altro  del  le  punse. 

Ed  al  bel  tetto  del  suo  albergo  eterno. 
In  poche  ore  rotanilo,  appresso  giunse. 
Intanto  II  parlator  facondo  e saggio 
La  noia  alleggcria  del  gran  vliggio. 

Eccoci,  gli  diceva , eccoci  a vista 
Della  mia  stella,  che  più  su  si  gira, 
Candida  no,  ma  variata  e mista 
Di  un  tal  livor,  che  al  pioni boalquanto  tira; 
Picclola  si , che  quasi  ajvpena  è vista, 

E talor  sembra  estinta  a chi  la  mira, 

E nelle  notti  più  serene  c chiare 
Dell'  anno  sol  per  pochi  mesi  appare. 

Questo  gli  avvien  non  sol  perchè  minore 
Deir  altre  erranti  e delle  fisse  è molto, 
Ma  però  che  da  luce  assai  maggiore 
Gli  è spesso  il  lume  inerclissato  e tolto. 
Sotto  I raggi  del  Sole  il  suo  splendore 
Nasconde  si,  che  vi  riiiian  sepolto, 

E tra  que' lampi,  onde  si  copre  e vela. 
Quasi  in  lucida  nebbia  , altrui  si  cela. 


Ma  il  suo  dottor  si  se  n’accorse  c presto 
Gli  Te' le  luci  alzar  stupide  e basse. 

Vener  sorrise  ed  ci  poscia  che  desto 
L’cbbi-,  non  volse  più  che  ivi  indugiasse. 
Ma  mostrandogli  a dito  or  quello,  or  que- 
All' altra  riva  un’altra  volta  il  trasse,  [sto, 
Dimandavalo  Adon  di  molte  cose. 

Ed  a molte  dimande  egli  rispose. 

E giunta  a mezzo  di  suo  corso  ornai 
L’  umida  Notte  all’ncean  srendea, 

E con  tremanti  c pallidelti  rai 
Più  d' un  lume  dal  del  seco  cadoa. 

Cinto  di  folte  stelle  è più  che  mai 
Chiaro  il  pianeta  inargentato  artica , 
Vagheggiando  con  occhio  intento  c vago 
In  fresca  valle  addormentato  il  vago. 


Ma  dall’  essere  al  .Sol  tanto  vicina 
Maggior  forza  e vigor  prende  sovente  , 
Come  ancor  questa  del  tuo  cor  crina 
Per  ristessa  cagione  è più  possente. 
Seco  e col  Sole  in  compagnia  cammina. 
Seco  la  rota  sua  compie  egualmente. 
Benché  Ira  noi  sia  gran  disuguaglianza, 
Chè  assai  di  lume  c di  beltà  mi  avanza. 

La  qualità  di  sua  natura  è bene 
Mutabile,  volubile,  inquieta. 

Si  varia  ognor,  nè  mai  fermezza  tiene. 
Or  infausta,  or  seconda,  or  trista,  or  lieta. 
Ma  questa  tanta  instalviltà  le  viene 
Dalla  congiunzion  d’altro  pianeta. 
Perdi’  io  son  tal,  che  negli  elTelti  mici 
Buon  co’ buoni  nd  mostro,  e reo  co’ rei. 

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170  HABINU. 


Mascou  per  la  virtù  di  questa  luce 
Luminosi  intelletti,  iogegui  acuti. 

Senno  altrui  dona  ed  iioiuini  produce 
Cauti  agli  aOari  e nell'  industrie  astuti. 
Vago  desio  di  nuove  cose  induco , 

E d’ incognite  al  mondo  arti  e virttiU. 

Per  lei  sol  cliiaro  e celebre  divenne 
Delle  lingue  lo  studio  c delle  penne. 

E quando  questa  tua  dolce  lumiera 
VI  applica  il  raggio  suo  lieto  e benigno. 
Quel  fortunato,  al  cui  nalaie  impera, 
Riesce  in  terra  il  più  famoso  cigno. 

Cosi  lo  Dio  della  seconda  sfera 
Parla  al  vago  fìgliuol  del  re  Ciprigno, 

E tuttavia,  mentre  cosi  gli  conta 
Le  proprie  doti,  il  patrio  del  sormonta. 

Avean  l' aureo  timon  per  la  via  torta 
Drizzato  già  le  mattutine  ancelle. 

Gii  su  I cuiiGn  della  dorata  porla 
Giunto  era  il  Sole  e fea  sparir  le  stelle  ; 
La  cui  leggiadra  messaggiera  c scorta 
Sgombrando  intanto  queste  nubi  e quelle, 
Perle  piagge  spargea chiare  ed  ombrose 
Della  terra  e del  del  rugiade  e rose. 

Quando  vi  giunse  e con  la  coppia  scese 
Sovrra  le  soglie  del  lucente  chiostro. 
Come  fu  dentro  Adon,vidc  un  paese  [slro; 
Con  più  bel  giorno  e più  bel  del,  che  il  no- 
Poi  dietro  alle  sue  scorte  il  cammìn  prese 
Per  un  ampio  senlier,  che  gli  fu  mostro; 
E in  un  gran  pian  si  ritrovaro  adagio, 
Nei  cui  mezzo  sorgea  nobil  palagio. 

Palagio,  che  al  modello,  alla  figura 
Quasi  d'  anfiteatro  avea  semliiaiua. 

Ogni  edificio,  ogni  arllQzio  oscura. 

Ogni  lavoro,  ogni  ricchezza  avanza. 
Vista  nel  primo  giro  bai  di  Natura, 

Disse  Cillenio,  la  secreta  stanza. 

Or  ecco,  o bell’  Aduli , sci  giunto  in  parte. 
Dove  l'albergo  ancor  vedrai  dell' Arte, 

Dell'Arte  emula  sua  la  casa  è questa. 
Eccola  la,  se  di  vederla  brami. 

Di  gemme  in  hi  tirate  è la  sua  vesta. 
Trapunta  di  ricchissimi  ricami. 

Mira  di  che  bei  fregi  orna  la  testa. 

Come  r intreccia  de'  più  verdi  rami. 

Di  stromeiiti  e di  macchine  ancor  vedi 
Qual  e quanto  si  tieii  cumu|o  a’  piedi. 


Mira  penne  e pannelli,  e mira  quanti 
Vi  ba  scarpelli  e martelli,  asce  ed  incudi, 
Dolini  e lime,  circini  e quadranti. 

Subbi  e spole,  aghi  e fusi  e spade  e scudi. 
Cosi  dlcoagli  e procedendo  avanti. 

La  gran  maestra  iralasdò  suoi  studi, 

E riverente  e con  cortese  inchino 
L'miliossi  al  messaggicr  divino. 

Dal  divin  inessaggiero  Adoii  coudutto 
La  porta  ciilrù  della  celeste  mole. 

Di  diamante  ogni  muro  avea  costrutto. 
Che  lampeggiando  abbarbagliai  a il  Sole; 
E 1'  immenso  cortile  era  per  lutto 
Intorniato  di  diverse  scule, 

E molte  donne  in  cattedra  sedenti 
Vedeansi  quivi  ammaestrar  le  genti. 

Queste  d'  caie,  o di  bellezza  eguali, 
Mercurio  ripigliò,  vergini  elette 
Sono  ancelle  deli’ .Arte,  e liberali, 
Pcrocchò  r noni  fan  libero,  sou  dette. 
Fonti  inesausti,  oracoli  immortali 
Del  saper  vero  c non  son  più  che  sette. 
Fidate  guide,  illustratrici  sante 
Del  senso  cieco  e dell'  ingegno  errante. 

Colei  di'  è prima  e tieii  in  man  lecbiav  i 
Della  sublime  e spaziosa  porta. 

Di  tutte  le  altre  facoltà  più  gravi 
Agli  anni  rozzi  è foudamènto  c scorta. 
Quella,  che  con  ragion  belle  e soavi 
Loda,  blasma,  difende,  accusa,  esorta, 

E la  diletta  mia,  che  dalla  Imcca 
Mentre  che  versa  il  mel,  1'  aculeo  scocca. 

Ve’  r altra  poi  con  la  faretra  a lato. 
Sottile  arciera  a saettare  intenta. 

Che  bene  acuti  ognor  dall’  arco  aurato 
Di  strali  invece  i sillogismi  avventa. 
Passa  ogni  petto  d’  aspri  diibbj  armalo. 
Nega,  prova,  conferma  ed  argomenta. 
Scioglie,  dichiara,  c dalle  cose  vere 
Distingue  il  falso,  aliln  concliiude  e fere. 

Vedi  quell’  altre  ancor  quattro  donzelle 
Di  sembiante  e di  volto  alquanto  oscure. 
Tutte  d’  un  parlo  sul  iiacquer  gemelle  , 
E trallaii  pesi  e numeri  e misure. 

L’  una  cuntcìnplatrice  i delle  stelle , 

E suol  vaticinar  cose  future; 

Vedi  die  ha  in  man  la  sfera,  e dei  pianeti 
Si  diletta  di  espor  gli  alti  secreti. 


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L'ADONE.  171 


L’  altra,  ché  con  la  pertica  disegna 
E triangoli  e tondi  e cubi  e (piadri, 
Conlineeepumi  II  rerniostrando, insegna 
Riglie  e piombi  adoprar,  compassi  c s<|ua- 
La  terza  di  sua  man  figura  e segna  [drì. 
Tariffe  egregie  e calcoli  leggiadri. 

Sottrae  la  somma,  la  radice  trova. 
Moltiplica  il  parlilo,  e fa  la  prova. 

liistrulsce  a compor  I'  ultima  suora 
E fughe  e pause  e sincope  c battute  , 

E temprar  note  all*  armonia  sonora 
Or  lente  egrati,  or  rapide  ed- acute. 
Altre  vederne  non  mcn  sagge  ancora 
Oltre  queste  potrai  fin  qui  vedute. 
Benché  le  sctle,ch’  io  l' ho  conte  e mostre, 
Sien  le  prime  a purgar  le  nienti  vostre. 

m 

Ecco  altre  due  sorelle,  e ilei  Disegno, 
E della  Simmetria  pregiale  figlie. 

L’  una  con  bei  colori  in  tela,  o In  legno 
Sa  di  nulla  formar  gran  meraviglie. 

L' altra,  che  nell’  industria  e nell'  ingegno 
Non  ha  (trattane  lei]  chi  la  soniiglie. 

Sa  dar  col  ferro  al  sasso  anima  vera. 

Al  metallo,  allo  Stucco  ed  alla  cera. 

Eccoti  ancor  col  mappamondo  arante, 
E con  la  carta  un’  altra  giovinetta, 

Che  scoprendo  i paesi  e quali  e quante 
Regioni  ha  la  terra,  altrui  dilutta. 
Senteiue  poi  religiose  e sante 
Damigella  celeste  altrove  detta. 

Di  Dio  discorre,  c dell'  eterna  vita 
Ai  discepoli' suoi  la  strada  addita. 

Mira  coli  quella  matrona'augnsta, 

Che  per  toga  e per  laurea  è veneranda. 
E la  Legge  civil,  che  santa  e giusta 
Sol  cose  oneste  e lecite  comanda. 

Quella,  che  porge d'  altrui  febbre  adusta 
Amara  e salutifera  bevanda, 

E di  ogni  morbo  umaii  medicalrice, 

Che  sua  virtù  non  chiude  erba,  o radice. 

Guarda  or  colei,  che  spirili  divini 
Spira,  sebben  fattezze  alquanto  Ifa  brutte, 
8 par, che  ognun  l’ onori, ognun  r inchini. 
Qual  madre  universal  dell'  altre  tutte. 
Quella  i Sofia,  che  rabbuffala  1 crini , 
Magra,  e con  guance  pallide  e distrutte. 
Con  scalai  piedi  e con  squarciati  panni. 
Pur  di  dotti  scolari  empie  gU  scanni. 


Azione,  passione,  allo  e potenza. 
Qualità,  quantità  mostra  in  ogni  ente. 
Genere  c specie,  proprio  e differenza , 
Relazione,  sostanza  ed  arcidenle. 

Con  qual  legge  Natura  c Providenza 
Crea  le  co.se,  e corrnuipe  alternamente. 
La  materia,  la  fonila,  il  temiKi,  il  moto. 
Dichiara  e il  silo  e l'infinito  e il  voto. 

Ticn  due  donne  da'  fianchi . t ua  che  siede 
Sovra  quel  sasso  Jicn  (piadraio  e sodo, 
f;  la  Doiiriiiajclie  a chiunque  il  chiede 
Di  ogni  dinicollà  discloglìe  il  nodo. 

I.'’ altra  che  con  la'  libbra  in  man  si  vede 
Pesarle  cose, ed  liu  il  martello  c il  chiodo, 
È la  Ragion,  che  con  accorto  ingegno 
A ncsaqn  crede,  c vuol  da  lutti  il  pegno. 

Ma  quell’  altra  colà,  che  ha  si  leggiere 
Le  penne,  è Dea  del  mondo,  anzi  tiranna. 
DI  fallace  cristallo  ha  due  visiere, 

Che  r occhio  illude,  c il  buon  gindiclo  ap- 
E le  fa  guatar  torto  c travedere,  [panna 
SIcch’  altrui  ipesso  c sé  nirdesma  Inganna. 
Di  un  tal  cangiacolor  la  spoglia  ha  mista, 
Che  r apparenze  ognor  muta  alla  vista. 

Né  di  tanti  color  gemmarfti  e belle 
Suol  I’  augel  di  Giuiion  rotar  le  piume, 
Né  di  tanti  arricchir  I'  ali  novelle 
Quel  del  Sole  in  Arabia  ha  per  costume. 
Né  di  tanti  lidrir  veggionsi  quelle 
Dell'  alalo  figliuol  del  tuo  bel  Nume, 

DI  quante  eli’  ha  le  sue  varie  e diverse 
Verdi,  bianche,  vermiglie  e rance  c perse. 

Opinion  s'  appella,  c molte  ha  seco 
Ministre  infami  e meretrici  infide, 

Larve,  che  uscite  del  tartareo  speco 
V'eiigon  dell'  alme  Incaute  a farsi  guide , 
Ed  è lor  capo  un  giovinetto  cieco, 

Cir  Errore  ha  nome,  c lusingando  ride. 
D'  un  licore  incantato  inebbrial  sensi, 

E lui  seguendo  a precipizio  vicnsi. 

Mira  inlorno  astrolabi  rd  almanacclil. 
Trappole,  lime  sorde  c grimaldelli. 
Gabbie,  bolge,  giornee,  bossoli  c sacelli. 
Labirinti,  archipendoli  c livelli, 

Dadi,  carte,  pallon,  tavole  e scacchi, 

E sonagli  c carrucole  c succhielli, 

Naspi,  arcolai,  velllcchi  c orhioii. 
Lambicchi,  bocce,  mantici  e crogiuoli. 


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172  MARINO. 


Mira  pieni  di  vento  otri  e vessiche, 

E di  gonfio  sapon  tiirgiile  paile. 

Torri  di  fumo,  pampini  d’  orticiic, 

Fiori  di  zueciic  c piume  verdi  e giailo, 
Aragni,  scarabei,  griiii,  formiche, 

Vespe,  zanzare,  iucciolc  e farfalie, 

Topi,  gatti,  bigatti  c cento  taii 
Stravaganze  d’  ordigni  e d'  animaii. 

Tutte  queste,  che  vedi  e d’altri  estrani 
Fantasmi  ancor  prodigiose  schiere. 

Sono  i caprìcci  degi’  ingegni  umani , 
Fantasie,  frenesie  pazze  e chimere. 

V ha  molinl  e paiei  mobili  c vani, 
Girelle,  argani  e rote  in  piu  maniere. 
Altri  forma  liaii  di  pesci,  altri  d'uccelli, 
VarJ,  siccome  son  varj  i cervelli. 

Or  mira  all’ombra  della  sacra  pianta 
Fregiala  il  crin  dell’  onorate  foglie 

I. a  Poesia,  che  mentre  scrive  c canta. 

Il  fiore  di  ogni  scienza  insieme  accoglie. 
La  Favola  ò con  lei,  che  orna  ed  ainnianta 
Le  vaghe  mhnibra  di  pompose  .spoglie. 

J. ’  accompagna  l’ Istoria  ignuda  dtinna  , 
Senza  vcl , senza  fregio  e senza  gonna. 

Vedi  la  Gloria,  che  <iual  .Sol  risplende  , 
Vedi  I’  Applauso  poi , vedi  la  Lode  , 

Vedi  r Onor,  che  a coronarla  intende 
Di  luce  eterna , onde  trionfa  e gode. 

Ma  vedi  ancor  coppia  di  furie  orrende  , 
Che  di  rabliia  per  lei  tutta  si  roile. 

La  persegue  l’ Invidia  empia  e crudele. 
Gite  Ita  le  vipere  in  itiatto,  in  bocca  il  fiele. 

Iji  maligna  Censura  ognor  l’i  dietro, 
E quattt’  ella  compone,  entenda  c ta.ssa. 
Ca>l  vaglio  ogni  snoacrcnto, ogni  suo  ttteiro 
Crivella  c poi  per  la  trafila  il  passa,  [irò. 
Posticci  ha  gli  ecciti  in  froitte  e soti  di  ve- 
Or  se  gli  affigge  , or  li  ripoitc  e lassa. 
Nola  civtt  qttesli  gli  altrui  lievi  errori, 

Nè  .scorge  inlanto  i suor moito  tttaggiori. 

Ciò  detto,  di  diaspri  c di  alabastri 
Gli  mostra  un  arsettal  capace  e grande, 
Gite  sovr’  alte  colonne  e gran  pilastri. 

Le  sue  volle  lucenti  appoggia  e .spattde. 
Turba  v’  ha  dentro  di  diversi  tttaslri , 
Ingegner  d’opre  illustri  c memorande. 
Qui  di  lavori  ancor  non  titai  più  visti 
Soggiornati,  dice,  i piti  ramosi  artisti. 


Di  quanto  mai  fu  ritrovato  in  terra , 

0 si  ritroverà  degno  di  stima, 

0 sia  cosa  da  pace,  o sia  da  guerra. 

Qui  ne  fu  l'esemplar  gran  tempo  prima. 
Qui  pria  per  lunghi  secoli  si  serra 
Ignoto  ad  ogni  gente,  ad  ogni  clima  , 

Poi  si  pubblica  al  mondo  e si  produce 
Air  umana  notizia  ed  alla  luce. 

Vedi  Prometeo  figlio  di  lapeto , 

Cile  di  spirto  celeste  il  fango  informa. 

E vedi  Cadmo  autor  dell’  alfabeto. 

Da  cui  prendoii  le  lingue  ordine  c norma. 
Vedi  il  Sir.tcusan  , clic  il  gran  secreto 
Trova,  Olili’  un  piccini  cielo  ha  moto  e for- 
Eil  Tarenlin,  chela  colomha  imita,  [ma, 
E il  grand’ Alberto,  che  al  melai  dà  vita. 

Ecco  Tubai  prittio  inventor  de’  suoni , 
Il  Tebano  Aniioiie  c il  Trace  Orfeo.  • 
Ecco  con  altre  corde  ed  altri  tuoni 
Litio,  Inpa,  Tamira  e Timoteo. 

Ecco  con  nove  armoniche  ragioni 
Il  niirabil  Terpaiidro  e il  buon  Tirteo, 
Fabbri  di  nove  lire  e nove  cetre, 
.\nimatori  d'  arbori  e di  pietre. 

Mira  Tesibio,  c mira  Anassiiiienc 
Su  la  mostra  segnar  l' ore  correnti. 

Mira  Pirodc  poi , che  lialle  vene 
Trae  della  selce  le  scintille  ardenti. 
Anacarsi  è colui,  iiiiia  che  tiene 
In  mano  il  folle  c dà  misura  ai  venti. 

Mira  al(|uanto  più  in  là  metter  in  uso 
Esculajiio  lo  specchio , e Giostro  il  fuso. 

E Gigc  v’  Ita,  che  la  pittura  inventa , 
Ed  liavvi  col  pennello  Apollodoro, 

E Gorello  è con  lor,  che  rappresenta 
Di  lla  plastica  indtistre  il  bel  lavoro, 

E DcddI , che  agguagliar  non  si  contenta 
Con  sue  penne  nel  volo  eHorea  e Coro; 
.Ma  niarrhinaiido  va  d'  asse  e dilegui 
Ingegnoso  archilclto  alti  disegni. 

Epimenide,  Furialo,  Iperbio  e Dosso 
Templi  e palagi  ancor  fondano  a prova  , 
E Trasoiic  erge  11  muro,  e cava  il  fosso 
Danao,  che  il  priiiio  pozzo  in  terra  trova. 
Navi  superbe  edifica  .Mitiosso  , 

Tifi  il  timon,  con  cui  1' alfreni  e mova, 
liellorofontc  è tra  coslor  eli’  io  narro , 
Ed  Eritonio  co’  cavalli  e il  carro. 


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L’ ADONE.  I7J 


Guarda  Aristeo  con  quanto  util  fatica 
Del  mel , del  latte  alla  cultura  inteude, 
Tritolemo  a’  mortai  mostra  la  spica , 
Bigc  r aratro , che  la  terra  fende. 

Preio  allo  scudo  , Midia  alla  lorica 
Travaglia,  EtoloiI  dardo  a lanciar  prende. 
Scile  pon  r arco  In  opra  e la  saetta, 

V asta  Tirren,  Pantasilea  I’  accetta. 

Ravvi  poi  mille  fabbricati  e fatti 
Da  Creteosi , da  Siri  e da  Fenici , 

Mossi  da  rote  impetuose  e tratti 
Altri  arnesi  guerrieri  , altri  artifici. 

Vedi  arpagoni  e scorpioni  e gatti  , 
Haccbiue  di  cittadi  espugnatrici , 

E da  cozzar  con  torri  e con  pareli 
Catapulte  , baliste  ed  arieti. 

Bertoldo  vedi  lA , nato  in  sul  Reno , 
Che  per  strage  del  mondo  e per  ruina 
1,’  irreparabii  fulmine  terreno 
Fonde , temprato  all'  infernal  fucina. 
Quegli  è Giovanni  (oh  rortimalo  appieno!) 
Che  le  stampe  introduce  in  Argentina; 

E ben  gli  dee  Magonza  eterna  gloria  , 
Come  eterna  egli  fa  1'  altrui  memoria. 

Cosi  parlando  per  eccelse  scale 
Sovr’  aureo  palco  Si  trovar  saliti , 

E quindi  entraro  in  galleria  reale  , 

Cbe  volumi  accogliea  quasi  Infiniti. 

Eran  con  bella  serie  in  cento  sale 
Riposti  in  ricchi  armari  c compartiti , 
Legati  in  gemme , ed  ogni  classe  loro 
Dlstinguea  la  cornice  in  linee  d’  oro. 

Ceda  Atene  famosa , a cui  già  Scese 
Rapi  gli  archivj  d'ogni  antico  scritto. 
Che  poi  dal  buon  Selcuco  all’  anni  perse 
Ritolti , in  Grecia  fer  nuovo  tragitto. 

Nè  da’  suoi  Toloniei  d’  opre  diverse 
Cumulalo  Musco  celebri  Egitto. 

Ne  di  tal  libri  in  quest’  ctatc,  e tanti 
Crlilii  si  pregi,  o il  Yatican  si  vanti. 

Molti  n'eran  vergati  in  molle  cera  , 
Molti  in  sottili  c candide  membrane. 
Parte  in  fronde  di  palma  c parte  n’  era 
Di  piombo  in  lame  ben  polite  e piane. 

In  Caldeo  ve  n’  avea  scritta  una  schiera , 
Altri  in  lettre  fenicie  c soriane  , 

Altri  in  egizj  simboli  c ligure , 

Altri  in  note  furtive  e cifre  oscure. 


Questo  è l’erario , In  cui  si  fa  conserva. 
Segui  Mercurio  , de’  più  scelti  inchiostri. 
Di  quanti  mai  scrittor  Febo  e Minerva 
Sapran  meglio  imitar  tra’ saggi  vostri. 

I nomi , a cui  non  noce  età  proterva. 
Vedi  a carattcr  d’  or  scritti  ne’  rostri. 

Qui  stai!  le  lor  fatiche  e qui  son  stale 
Pria  che  composte  sieno  e che  sicn  nate. 

Quanti  d’ Illustri  e celebrati  autori 
Si  smarriscon  per  caso  empio  e sinistro 
Degni  di  vita  e nobili  sudori , 

Ed  or  Nettuno, or  n’  è Vulcan  ministro? 
Or  qui  di  lutti  quei  ricchi  tesori , 

Che  si.perdon  laggiù  , si  tien  registro  ; 
Sacre  memorie  ed  involate  agli  anni , 
Che  Iraman  morte  agli  onorati  affanni. 

Là  libreria  del  dotto  Stagirila  , 

Che  il  fior  contien  d’  ugni  scrittura  eletta. 
Di  cui  Teofrasto  in  sull’  uscir  di  vita 
Lascerà  successore  , è qui  perfetta. 

D’  Empedocle,  Pitlagora  ed  Archita 
Vi  ha  le  dottrine,  c qualunque  altra  setta, 
Di  Tale  le  , Democrito  e Solone, 
Parmenide , Anassagora  e Zenone. 

Petronio  vi  ha,  di  cui  gran  parte  ascose 
Torbido  Lete  in  nebbie  oscure  e cieche. 
Di  Tacito  vi  son  l’ ultime  prose. 

Tutte  di  Livio  le  bramale  Deche  , 

La  Medea  di  Nasone,  ed  altre  cose 
He’  Latini  miglior,  non  meli  che  greche. 
Cornelio  Gallo  con  Lucrezio  Caro  , 

Ennio  cd  Accio  e Pacuvio  c Tucca  e Varo. 

D’  Andronico  e di  Nevio  i drammi  lieti. 
Di  Cecilio  e Licinio  anco  vi  stanno , 

F.  di  Pubblio  Terenzio  I più  faceti  [no. 
Sali,  elle  alle  salse  acque  in  preda  andran- 
E non  pur  d’ altri  istorici  e poeti 
l,e  disperse  reliquie  albergo  v’  hanno. 
Ma  gli  oracoli  ancor  delle  Sibille, 
Scampati  dal  furor  delle  faville. 

Tacque,  e volgendo  Adon  l’occhio  in  dis- 
Vide  gran  quantità  di  libri  sciolti , [ parte 
Che  avean  malconce  c lacere  le  carte  , 
Tutti  sossopra  in  un  gran  muccliio  accolti. 
Giacean  negletti  al  suol , la  maggior  parte 
Rosi  dal  tarlo,  e nella  polve  involti. 

Or  perchè,  disse,  esposti  a tanto  danno 
Dai  bell’  ordine  questi  esclusi  stanno?  - 


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174  MARINO. 


E pcrcbi  senza  onor,  senza  ornamento 
Dì  coverta,  o di  nastro  io  qui  gli  trovo? 
Un  fra  gli  altri  gittato  al  pavinienlo 
Ne  veggo  là  fra  Drusianu  e Bovo, 

Che  ( se  creder  si  deve  all'  argomento) 
Porta  un  titolo  illustre  : Il  Mondo  Novo. 
Ma  si  logoro  |iar,  s' io  ben  dlscerno, 
(Ihc  quasi  II  mondo  vecchio  è più  moderno. 

Di  scusa  certo  c di  pietà  soii  degni. 
Sorridendo  l’intorprtrc  rispose. 

Quei,  che  d'ognì  valor  poveri  ingegni 
Si  sforzati  d'emular  l'opre  famose; 

Che  ingordigia  d’onor  non  ha  ritegni 
Nelle  cupide  menti  anilrizlose , 

E quando  alto  volar  nc  veggìun  uno, 

A quel  segno  arrivar  vorria  ciascuno. 

Non  mica  a tutti  è di  toccar  concesso 
DcUa  gloria  iiuiuorlal  la  cima  alpina. 

Chi  volar  vuol  senz’ali , accoppia  spesso 
All’  audace  salita  alta  ruina. 

Ha  quantunque  avvenir  soglia  1*  istcsso 
Quasi  in  ogni  bell'arte  e disciplina. 

Non  sì  vedo  però  maggior  tracollo , 

Che  di  chi  segue  iudegnamonte  Apollo. 

Dietro  a'  chiari  scrittor  di  Sniirna  e Manto, 
Per  cui  sempre  vivranno  ì duci  e rarmi. 
Tentando  invan  di  pareggiargli  al  canto. 
Più  d'uno  arroterà  lo  stile  c I carmi. 

Oh  quanti  poi, con  quanto  studio  e quanto 
Dell’ italico  stuol  di  veder  parmi 
Tracciar  con  poca  lode  i due  migliori , 
Che  io  sul  Po  canteran  guerre  ed  amori! 


Ma  più  non  dìmoriam,  ch4  poiché  a questi 
Ti  ho  scorto  eterni  e luminosi  mondi , 
-Converrà,  che  altro  ancor  ti  manifesti 
Dei  .secreti  del  Fato  ahi  e profondi, 

E vie  molto  maggior,  che  non  vedesti. 
Maraviglie  vedrai,  se  mi  secondi. 

Qui  tacque  e in  ricca  higgia  e spaziosa 
Il  condusse  a mirar  mirabil  cosa. 

Vasto  edirizìo  d' ingegnosa  sfera 
Reggea,  quasi  gran  mappa,  un  piedistallo. 
Che  si  appoggiava  ad  una  base  intera 
Tutta  Intagliata  del  miglior  metallo. 

Era  d’ ampiezza  assai  ben  grande , ed  era 
Fabbrieata  d'acciaio  c di  cristallo. 

La  ccrchiavan  per  tutto  In  molti  giri 
F'asce  di  lucidissimi  zaffiri. 

Forma  avead’  un  grati  pomoe  risplendea 
Pili  clie  lucculc  e ben  polito  specchio, 

E d’aurei  seggi  intorno  intorno  avea 
Per  risguardai'la  un  comodo  apparecchio. 
Quivi.^  mentre  die  intento  Adon  tenea 
L’oediìo  alla  palla,  al  suo  parlar  l’orec* 
Mercurio  seco  c con  la  Dea  s’ affise , [chìo, 
Indi  da  capo  a ragionar  si  mise. 

Questa,  dìcoa,  sovraniortal  fattura. 

La  qual  confonde  ogni  creato  ingegno. 
Opra  mirabil  é,  ma  di  Natura, 

E di  diviu  Maestro  alto  disegno. 
L’artcnce  di  tanta  architettura. 

Clic  d'ogni  altro  arlllicìo  eccede  il  segno. 
Fu  questa  mia  del  gran  Fattor  sovrano 
(Bctiebé  imperfetta)  imitatrice  mano. 


Che  di  poemi  in  quella  lingua  cresca 
Numerosa  farragine  e di  rime , 

La  facii  troppo  iiiveiiziou  tedesca  [me. 
N'i cagloo,  che  per  prezzo  il  lutto  imprì- 
Ma  se  alcuna  sarà,  che  inai  riesca , 
L’opra,  clic  tu  dict'sti  t tra  le  prime. 
Cosi  figliano  i uioiiU  e il  topo  nasce. 

Ma  poi  nato  ch’egli  è si  more  in  fasce. 


Sudò  molto  la  man,  né  l'intelletto. 
Poco  io  si  nobii  macchina  sofferse, 

E lungo  tempo  inabile  archileUo 
Sue  fatiche  e suoi  sludj  invan  disperse; 
Ma  ipiei,  eh' é sol  tra  noi  fabbro  perfetto, 
Del  bel  lavor  l’iuveiizìon  m’aperse, 

E il  secreto  mi  fc’  facile  c lieve 
Di  raecoi  re  il  gran  mondo  in  spazio  breve. 


Poiché  si  falli  parti  un  breve  lume 
Visto  appena  bau  laggiù  nel  vostro  mondo, 
1 1 V ccctaiarel  dalle  v cloci  piume  , 

Quel  ebe  vedesti  già  iicH' altro  tondo. 
Qui  ridurle  in  un  monte  lia  per  costume 
Per  seppellirle  in  tenebroso  fando. 

Alfio  le  porla  ad  altulTar  nel  rio, 

Cbe  copre  il  lutto  di  perpetua  obivlio. 


E die  sia  ver,  rivolgi  a questa  mia 
Adamauliiia  fabbrica  le  ciglia. 

Di  se  vedesti,  0 se  cs.scrpuò,  che  sìa 
Istroniuilo  maggior  di  meraviglia  7 
Composta  ò con  taiu’artc  c macslria. 
Che  al  gioirò  universal  si  rassomiglia. 
Mirar  nel  ccrebio  puoi  limpivto  c terso 
Quanto  l’orbe  contien  dell' universo. 


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V ADONE. 


Fonner  di  «ito  rame  un  cleloanitusto 
Fla  forse  in  aicnn  tempo  altrui  roneesso, 
Dove  or  sereno,  or  di  vapori  onusto 
L’aere  redrassi  e il  tuono  e il  lampo  es- 
E tener  moto  regolalo  c giusto  [presso , 
l.a  bianca  Dea  con  l’ altre  stelle  appresso, 
E con  perpetuo  error  per  l’ alta  mole 
Di  fera  in  fera  Ir  tra  le  sfere  il  Sole. 

Ma  dorè  nn  tal  miracolo  si  lesse , 

0 chi  senno  ebbe  mal  tanto  profondo, 
Che  compilar,  compendiar  sapesse 
La  gran  rota  del  tutto  In  picclol  tondo  T 
Al  magistero  mio  soi  si  concesse 
Fare  un  vero  model  del  maggior  mondo. 
Lo  qual-dcl  mondo  insieme  elementare, 
(Non  dieso!  del  celeste)  è l’esemplare. 

Onde  di  quante  cose  o buone , o ree 
Passate  ha  II  mondo  in  qualsirogUa  etade, 
E di  quante  passar  poscia  ne  dee 
Per  quante  ha  colaggi  ù terre  e contrade; 
Qui  son  le  prime  originarie  Idee , 

Dove  scorger  si  può  ciò  che  vi  accade. 
Riluce  tutto  in  questo  vetro  puro 
Col  passato  e II  presente,  anco  il  futuro. 

Vedi  lo  ione  fervide  e l’ algenti , 

E dove  bolle  e dove  agghiaccia  l’anno. 
Vedi  con  qual  misura  agli  elementi 
Tutti  i corpi  celesti  in  giro  vanno. 

Verli  il  sentier,  laddove  I duo  lucenti 
Passcggierl  del  del  difetto  fanno. 

Vedi  come  veloce  il  moto  gira 

Del  del , che  ogni  altro  del  dietro  si  tira. 

Ecco  I tropici  poi , quindi  discerni 
Volgersi  il  Cancro  e quinci  il  Capricorno, 
Dove  aggnaglian  del  pari  i corsi  alterni 
La  notte  ai  sonno,  alla  vigilia  il  giorno. 
Ecco  i colori , uniti  ai  poli  eterni , 

Che  sempre  il  del  van  discorrendo  intorno. 
Ecco  con  cinque  linee  I paralelli , 

E nel  bel  meno  il  principal  tra  quelli. 

Eccoli  li  sotto  il  più  basso  cielo 
Il  foco , che  sempr’  arde  c mai  non  erra. 
Mira  dcll'acque  II  trasparente  gelo. 

Che  il  gran  vaso  del  mar  nel  ventre  serra. 
Mira  dell’aria  molle  il  snttil  velo. 

Mira  scabrosa  e ruvida  la  terra. 

Tutta  librata  nel  suo  proprio  pondo  « 
Quasi  centro  del  del , l>ase  del  mondo. 


175 

Rimira , e vi  vedrai  distinti , e chiari 
Bosclii , colli , pianure  c valli  e monti. 
Vedrai  scogli  ed  arene,  isole  e mari , 

E laglil  q numi  e niscelletti  c fonti  ; 
Provincie  e regni , e di  costumi  vari 
Genti  diverse  e d’abiti  e di  fronti. 

Vedrai  con  peli  esqiiammeepenneerostri 
E fere  e pesci  ed  aiigellelti  e mostri. 

Vedi  la  parte,  ove  l’Aurora  al  Tauro 
Il  capo  Indora  e l’oriente  alluma. 

Vedi  l’altra,  ove  lava  al  vecchio  mauro 
Il  piè  di  sasso  I*  alTricana  spuma. 

Vedi  là  dove  spula  il  fiero  t^uro 
Sulle  balze  rifce  gelida  bruma. 

Vedi  ove  il  negro  con  la  negra  gente 
Suda  sotto  r arder  dell’ as.se  ardente. 

Ecco  le  rupi , onde  trabocca  II  Nilo , * 
Che  la  patria  c II  natal  si  ben  nasconde. 
Ecco  r Eufrate  che  per  dritto  Alo 
Le  due  gran  region  parte  con  l’onde.  , 
L’Indo  è colà,  che  per  antico  stilo 
Fa  di  tempesto  d’or  ricche  le  sponde. 
Queir  è il  terren,  laddove  sferza  e scopa 
Le  sue  fertili  piagge  il  mar  d’ Europa. 

Vuol  l’ Arabie  veder  per  te  famose. 

La  Pctrea,  la  Deserta  e la  Felice? 

Eccoti  il  loco  appunto  ove  t’ espose 
La  trasformata  già  tua  genitrice. 

Ve’  le  rive  di  Cipro,  anihiilose 
DI  ima  tanta  bellezza  abitatrice. 

Conosci  il  prato,  ove  perdesti  II  core; 

È quello  il  tetto,  ove  t’accolse  .Amore. 

Grande  è II  teatro  c nel  suol  spaz]  ImmenM 
Chi  langiie  in  pena  e chi  gioisce  In  gioco. 
Ma  per  non  ti  stancar  la  mente  e I sensi 
In  cose  ornai , che  tl  rllevan  poco. 

Tanto  sol  mostrerò,  quanto  appartlensi 
Alla  bell’esca  del  tuo  dolce  foco. 

Sai  pur,  che  protettrice  è questa  Dea 
Della  stirpe  di  Dardano  c d’Enea. 

Le  diede  sovra  Pallade  e Citinone 
Paride  già  delle  bellezze  II  vanto  , 
Benché  iragicn  n’ebbeH  gtilderdone, 
Ecorser  sangue  il  Simoenta  e il  Xante. 
Questa  ( ma  non  già  sola  ) è la  ragione , 
Ch’ella  il  seme  troiano  ami  cotanto. 
Mirolla  in  questo  dir  Mercurio  e rise. 
L’altra  arrossi  col  rimembrar  d’ Anchise. 


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176  MARINO. 


Or  mentre,  segni  poi , del  caro  fianco 
Uscito  del  deslricr,  che  Insidie  cliiiide, 
Stuol  di  greci  guerrieri  il  Frigio  stanco 
Assai  con  armi  impetuose  e crmle  , 

Sotto  la  scorta  del  buon  duce  Tranco 
Ricorra  alla  meotica  palude 
Una  gran  parte  di  reliquie  rirc; 

Esuli , peregrine  e fuggitive. 

Taccio  II  corso  fatai  di  queste  genti, 
E de' suoi  rarj  casi  il  lungo  giro; 

Per  quanti  fortuneroli  accidenti 
In  Germania  passar  con  Marcomiro; 
Come  di  Marcomiro  i discendenti 
Nel  gallico  terrcn  si  stabilirò , 

Dappoiclit  Kerramondo  al  mondo  renne, 
Cile  dello  scettro  il  primo  onor  vi  tenne. 

Nè  fia  d’ uopo  additarti  ad  uno  ad  uno 
Di  quest’ ampia  miniera  i gran  monarchi, 
E le  palme  e le  spoglie  e di  ciascuno 
L' eccelse  imprese  e gli  onorati  incarclil. 
La  folla  selva  degli  eroi,  che  aduno 
Consenti  purché  brevemente  io  rarcbi, 
E scelga  sol  del  niihiero  ch’io  dico. 

Col  degno  figlio  il  valoroso  Enrico. 

Volgi  la  rista  ore  il  min  dito  accenna, 
E la  Lega  vedrai  l’ insegne  sciorrc  , 

E quasi  armata  ed  animata  Ardenna, 

Tre  foreste  di  lance  in  un  raccòrrò. 

Ma  d'altra  parte  il  paladin  di  Senna 
Vedile  pochi  c scelti  a fronte  opporre. 
Vedi  con  quanto  ardire  oltre  Garona 
Fa  le  truppe  marciar  contro  Pcrona. 

Montagna , che  del  elei  tocchi  i confini , 
Selva  d'antiche  e condensate  piante. 
Fiume  che  d’alta  rupe  in  giù  mini. 
Tempesta  in  nemlio  rapido  c sonante , 
Nere  indurata  in  freddi  giughi  alpini , 
Fiamma  eh’  Euro  alle  stelle  erga  fumante, 
Mar,  cielo,  inferno  all’animosa  spada 
Forano  agerol  guado  e piana  strada. 

Gucrricr,dcstrieriatterra,armLstendardi 
Spezza  c sprezzandogli  urti, apre  lestrade. 
Nembi  di  sassi , grandini  di  dardi , 
Turbini  d’aste , fnimini  di  spade 
Piovongli  sopra  ed  ci  dei  più  gagliardi 
Sostien  gl’ incontri,  agl’impeti  non  cade. 
Nè  stanco  posa,  nè  ferito  langue. 

Fatto  scoglio  di  ferro  in  mar  di  sangue. 


Tutto  del  sangue  osili  molle  c vermiglio 
Abbatte,  impiaga,  uccide,  ovunque  tocchi. 
VediI  V ibrando  a prova  li  ferro  e II  ciglio , 
Ferir  coibrandoe  spaventar  con  gli  occhi. 
Se  altri  talor  nell’orrido  scompiglio 
Si  rivolge  a mirar  quai  colpi  ci  scoccili , 
Dal  guardo  è pria,  che  dalla  spada  ucciso, 
E chi  fugge  la  man  non  campa  il  viso. 

Chi  gli  contcnder.’i  l’alto  diadema. 

Se  nn  oste  tal  d’ ogni' poter  disarma? 

Nè  sol  dappresso  II  Rodano  ne  trema , 

Ma  fa  da  lunge  impallidir  la  Parma. 

Ecco  del  Tagu  la  speranza  estrema. 

Il  signor  degli  Allobrogi  che  s’arma. 

Ecco  die  in  prov  a al  paragon  concorre 
Con  l’italico  Achille  il  gallo  Ettorre. 

Odi  Parigi  i fieri  tuoni,  c vedi 
Quanti  Tirala  man  fniniini  avventa? 

Dell  cliepeiisi'loh  che  fai?  percliè  non  cedi? 
Giù  co’ giganti  suoi  Fiegra  paventa. 
Stendi , .stendi  le  palme  c pietà  cliledi, 

E Taurce  chiavi  al  regio  piè  presenta. 
Stolta  sei  ben  se  altro  pensierti  move; 
Cosi  si  vince  sol  Tira  di  Giove. 

Vedilo  entrar  nelle  famose  mura. 

Ed  occupar  le  mal  difese  porte. 

Vai!  con  la  fuga  cicca  c mal  seciira 
Declinando  il  furor  del  braccio  forte , 
L’ignobiI  pianto  e la  pleliea  paura; 

Chi  non  fugge  da  lui  segue  la  morte. 
Battuto  dal  timor  cade  il  consiglio, 

E l' ordine  confuso  è dal  periglio. 

Eccolo  alfin,  cITè  con  applauso  eletto 
De’ Galli  alteri  a governare  II  freno, 

Nè  studia  quivi  con  tiranno  affetto 
Iteni  iisur|iati  accumularsi  in  seno. 

Cam  larga  nian , con  gioviale  aspetto 
Versa  d' oro,  ov  ’èd'nopo,  il  grembo  pieno, 
E d’or  in  or  regnando,  altrui  più  scopre 
Generosi  pensier,  magnanim’opre. 

Non  vi  Ila  più  loco  ambizione  ingorda. 
Non  più  stolto  furor,  discordia  fiera. 

Non  vi  ha  prudenza  cicca , o pietà  sorda , 
Pace  c giustizia  in  quell’  impero  impera. 
Sa  far,  si  lien  le  repugnanze  accorda , 
Autunno  gerinogliar  di  primavera , 
Mentre  fra  gli  aurei  gigli  a Senna  in  riva 
Pianta  dopo  la  palma  anco  T oliva. 


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L'ADO^E. 


Virtù  quaMo  è magKÌor,lan(o  è più  spcs- 
Deir  invidia  maligna  esposta  ai  danni,  [so 
La  quai  suol  quasi  a lei  far  quell’  Istesso, 
Che  il  tarlo  ai  legni  e la  tignuola  al  panni. 
Qual  oml>ra,che  va  sempre  al  corpo  appres- 
La  perseguita  ognor  con  varj  aflanni.  [so, 
Mason  gli  oltraggi  suoi , che  olTendon  poco, 
Lim»del  ferro  c mantici  del  foco. 

Mira  il  Sorde’  migliori,  al  cui  gran  lume 
L'altrui  sciocco  livor  divien  farfalla , 
Merci  di  quel  valor,  che  per  costume 
Quanto  si  affonda  più , più  .sorge  a galla  ; 
Malgrado  di  chi  nócergli  presume, 

Al  pesi  è i>alma , alle  percosse  è palla  ; 
Onde  di  novo  onor  doppiando  luce 
È fatto  inclito  re  d' inclito  duce. 

Del  guerrier  forte,  i cui  gran  pregi  esal  lo 
Kia  tale  e tanta  la  suhiime  altezza , 

Che  come  Olimpo  olirà  le  nubi  in  allo 
Moti  teme  i venti  c I fulmini  disprezza. 
Cosi  d’invidia , oppur  d’insidia  assalto 
Danneggiar  non  potrà  tanta  grandezza  ; 
Anzi  ogni  ofle.sa  ed  ogni  Ingiuria  loro 
Sarà  soffio  alla  Samma  e llanima  all’oro. 

Se  non  eh’  io  veggio  di  furor  d’ inferno 
Di  una  furia  terrena  il  petto  acceso, 

E punto  dalle  vipere  d’Averno 
Un  cor  malvagio  a perSd’opra  inteso. 

Non  vedi  là,  come  colui,  che  a scherno 
Prese  eserciti  armati , a terra  ha  steso 
Mosso  da  folle  e temeraria  mano, 

Con  un  colpo  crndel  ferro  villano? 


Ma  che?  Se  da  colei,  che  vince  il  tutto, 

È vinto  alfine  il  sempre  invitto  Enrico , 
L’alto  onor  de’Borbon  quasi  distrutto 
Tn  parte  a ristorar  vicn  Lodovico , 

Che  da  si  degno  stipite  produtto , 
Aggiunge  gloria  al  gran  lignaggio  antico, 
E sotto  r ombra  del  materno  stelo 
Alza  felice  i verdi  rami  al  cielo. 

Or  mi  volgo  colà  , dove  Baiona 
Smalta  di  gigli  i fortunali  lidi. 

Veggio  superbo  il  mar  ches’ineorona 
Di  gemme  e d’or,  qual  mai  più  ricco  il  vidi. 
Già  già  l'arena  sua  tutta  risona 
Di  lieti  bombi  e di  festivi  gridi. 

Veggio  per  Tonde  placide  e tranquille 
Sfavillar  lampi  e lampeggiar  faville. 

Nè  T indico  Oceano  orientale 
Tante  dduna  nel  sen  barltare  spoglie  : 

Nè  lo  stellato  cicl  cumulo  tale 
Di  bellezze  e di  lumi  in  fronte  accoglie. 
Oh  spèltaeoi  gentil , pompa  reale , 

Oh  ben  nato  consorte,  oh  degna  moglie  ! 
Qual  concorso  di  regi  e di  reine 
Scetide  a felicitar  Tacque  marine! 

RIsguarda  in  mezzo  al  fiume  ov’  io  li  moalro 
\ edrai  colonne  eburnee , aurei  sostegni 
Con  un  gran  sovraciel  di  lucid’ òstro  » 
Par  ricca  temla  a un’  i.sola  di  legni , [slro 
Che  fianco  a fianco  aggiunti  e rostro  a ro- 
Porgojioll  nohii  cambio aiduo  granregni. 
Mentre  prendono  e dan  Spagna  a Parigi 
Lisabetta  a Filippo,  Anna  a Luigi. 


Quando  all’allespcranzc  in  sen  concetto 
Tenendo  il  mondo  già  tutto  converso, 
Cinto  d’armi  forbite  e genti  elette 
Spaventa  il  Moro  ed  atterrisce  il  Perso, 
E gli  appresta  Fortuna  c gli  promette 
Lo  scettro  universa!  dell’ universo. 

Pria  che  egli  vada  a trionfar  d’ altrui , 
Vieti  Morte  iniqua  a trionfar  di  lui. 

Vansi  le  Virtù  tutte  a seppellire 
Nel  sepolcro  che  chiude  il  Sol  de’  Franchi, 
Salvo  la  Fama,  che  non  vuol  morire, 
Percliè  alle  glon'e  sue  vita  non  manchi  ; 

E come  al  caso  orribile  a ridire 
I suoi  tatù’ occhi  lagrimaudo  Ita  stanchi. 
Cosi  per  farlo  ancor  sempre  immortale 
Si  apparecchia  a stancar  le  lingue  e T ale. 


Ma  vedi  opporsi  agl’imenei  felici 
Suddite  al  Gallo c ribellanti  schiere, 

E coprir  di  Guascogna  i campi  aprici 
Quasi  dense  boscaglie , armi  guerriere. 
Quinci  e qiiinili  avversarle  e protettrici 
Spiegati  Guisa  c Condè  bande  e bandiere. 
Ma  del  figlio  d'  Fìnrico  il  novo  Enrico 

SI  mostra  si , non  è perù  nemico. 

• ' 

L’uiioècolui.che  sotto  ha  quel  destriero 
Baio  di  pelo,  italiaii  di  razza; 

,Di  tre  vaghi  aironi  orna  il  cimiero, 

F!  di  croci  vermiglie  elmo  e corazza. 
Benché  misto  di  bigio  alibia.il  erin  nero. 
Gli  agi  abbandona,  ed  esce  armatoinpiaiz- 
E carco  In  un  d’ esperienza  e d’ anni , [za  ; 
Torna  di  Marte  ai  già  dismessi  aOannl. 


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MARINO. 


178 

L'altro  è quei  più  lonun  ,cho  la  campagna 
Scorre,  di  ferro  e d’or  gra'c  lucente. 

È sul  ' crde  degli  anni , e l' accompagna 
Fiera  c di  noviU  cupida  gente. 

Ila  nello  scudo  i gigli,  e di  Breuagna 
Cavalca  ubero  un  curridor  possente, 

E tien  dal  fianco  allraversata  al  tergo 
lina  banda  d’azzurro  in  sull’usbergo. 

Già  giù  numero  ini  mcnso  i ii  gombra  il  pia- 
lli tende  armate  c di  trabacche  tese,  [no 
Piagne  disfatte  il  misero  Aquilano 
E le  messi  e le  muli  al  bel  paese. 

Già  timo  il  giglio  d' òr  di  sangue  umano , 
Che  è pure  (ahi  ferità  ) sangue  francese , 
Sembra  quel  fior,  che  del  suo  re  trafitto 
Nelle  foglie  purpuree  iinonielia  scritto. 

Gallia  infelice,  ahi  qual  s’appiglia,  ahi 
Nelle  viscere  tue  morbo  intestino!  [quale 
Rode  il  tuo  sen  profondo  intorno  male 
Di  domestico  tosco  e cittadino. 

Pqgnan  discordi  umori  in  corpo  frale 
Si  ch’io  preveggio  il  tuo  morir  vicino; 
Ed  al  tuo  scampo  ogni  o|lra,  ogni  arte  è v a- 
Se  medica  pietà  non  (i  risana.  [na, 

Pan  colà  men  le  alla  gran  donna  d' Amo 
Con  qual  valor  la  sua  ragion  difende. 

Nè  con  petto  tremante,  o viso  scarno 
Fra  tante  cure  sue  posa  mai  prende. 

• Vorrtibbe  (e  il  leu ta ben,  ma ilten la Hidar- 
Senza  ferro eslirjtar  le  teste  orrende,  [no) 
Le  teste  di  quell'idra  empia  ed  immonda. 
Di  veleno  Infernal  sempre  feconda. 


Fissa  dritto  colà  meco  lo  sguardo. 
Dove  l'ampia  riviera  il  |>asso  serra. 

Quiv  i campeggia  ’l  gran  cainpìon  Guisardo 
Contro  cui  notisi  tien  torre,  nè  terra. 

E par  die  dica  intrepido  e gagliardo. 
Chi  la  pace  ricusa,  abbia  la  guerra. 

E con  prodezza  alla  baldanza  eguale 
Dell’ av  versarlo  i miglior  forti  assale,. 

L’ esercito  reai  cauto  provvede 
Di  gen li  e d' armi , e non  s’ allenta,  o stane 
Per  eseguir  quanto  giovevol  crede , 

0 necessario  alla  corona  franca. 

0 senza  eseoipiu  incomparabilfede! 
Quando  ai  casi  opportuni  ognialtromanca 
Sol  questi  a par  delle  più  forti  mura. 
Mostra  petto  costante,  almasecura. 

Fa  gran  levate  di  c.vvalli  e fanti; 

Cile  può  contro  costor  l'oste  nemica? 
Gente  miglior  non  vide  il  Sol  Ira  quanti 
Cinser  spada  giammai,  ve.slir  lorica. 

Non  sanno  in  guerra  indomiti  e costanti 
0 temer  rischio,  o ricusar  fatica, 
l'si  in  ogni  stagion  con  l'armi  grevi 
Rere  i sudori  e calpestar  le  nevi. 

Oh  qual  ferver  di  Marie,  oh  qual  già  tocca 
Al  re  crescente  il  cor  foco  d’ardire  I 
Brama  di  girdra’ folgori,  che  scocca 
Più  d’un  cavo  metallo,  a sfogar  l’ire, 
àia  dappoldiè  non  può  là  dove  fiocca 
l.a  tempesta  del  sangue,  in  pugna  uscire, 
Vasscne  o caccia  esercitando,  o giostra. 
Che  una  effigie  di  guerra  almen  gU  mostra. 


Clic  non  fa  per  troncarle  lecco  pospone 
Alle  pubbliche  cose  il  ben  privalo, 

Ed  all'  impeto  oslil  la  vita  espone 
Per  salvar  del  gran  pi  glio  il  dubbio  stato. 
Ad  accordo  venir  pur  si  dispone  , 

E sospende  tra  l’ ire  il  brarcio  armalo, 
Purcliè  il  furor  s' acqueti  c ressi  quella 
D’orgoglio  insano  a(|iiiloiiar  procella. 


Cosi  Icoii  dalla  mammella  irsuta 
Uso  ancora  a poppar  cibi  novelli , 

Tosto  che  r uiigliia  al  pièsenlc  cresciuta, 
.\IIa  bocca  le  zanne,  al  collo  1.  velli , 

Già  la  rupe  Italia  sdegna  c rifiuta, 
l.a  tana  augusta  e le  vivande  imbelli  ; 

Già  segue  là  tra  le  cornute  squadre 
Per  le  gettile  selve  il  biondo  padre. 


Maquaiidoalfinla  gran  iriivivesiasrorge, 
Clic  l’ aria  offusca,  c il  mar  rontiirba  e nie- 
E clic  l’ onda  icrri  iiile  più  sorge , [sec, 
E che  il  vento  implacabile  piùcrosce. 

Al  ben  saldo  limon  la  destra  porge, 
Drizzasi  al  polo,  c di  caniiiiin  non  esce. 
Or  con  forza  reggendo,  or  con  Ingegno 
Tra  tanti  flutti  il  travagliato  legno. 


Ma  q Ilei  la  Dea  (di'  al  Irò  clic  Dea  non  deve 
Dirsi  colei,  clic  a divin’opre  aspira) 
Smorza  iniaiiloquel  foco  enonl’è  greve 
Per  la  commi  salute  il  placar  l' ira. 

I congiurali  principi  riceve  , 

E l'accampalo  esercito  ritira  , 

Ed  al  pepili  fellone  e contumace 
Perdonando  il  fallir,  dona  la  pace. 


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L’ADONE.  nn 


Ecee  d’astio  (>rlTato  ancor  bollire 
De'duci  istessi  gli  aniini  Inquieti , 

E in  stretta  lega  ammutinati  ordire 
Di  novelie  congiure  occulte  reti. 

Ecco  r accorto  re  viene  a scoprire 
Di  quel  trattato  i taciti  secreti, 

E da’ sospetti  d’ogni  oltraggio  indegno 
l'<on  la  prigione  altrui  libera  li  regno. 

Poiehill  pensierdel  macchinato  danno 
Vano  riesce  e d’ogni  cfletto  roto, 

Del  capo  afflitto  le  reliquie  vanno' 

Qual  potvc  sparsa  allo  spirar  di  Noto. 
Ma  per  norc  ragion  ptir  anco  fanno 
Novo  tra  lor  sedizioso  moto; 

Eppur  con  nove  forze  e genti  nove 
La  regia  armala  a’ danni  lor  si  move. 

Fuor  de’ materni  Impeij  Intanto  uscito 
Passa  il  re  novo  a possedere  il  Irono , 

Da  cui  pria  calcitrante  e poi  pentito 
Chi  pur  dianzi  rolTese,  otiien  perdipio. 
Richiamata  l>  Virtù  , Marte  sbandito 
Per  qiieit’alto  donzei , di  cui  ragiono;  # 
L’ alto  donici , che  sostener  non  pavé 
Con  si  tenera  man  scettro  si  grave. 

n Tamigi , il  Danubio , il  Reti , il  Reno 
l.’ama,  il  teme,  l’ammira  anco  da  iiinge, 
Anzi  fin  nell'  italico  terreno 

dar  le  leggi  col  gran  nome  giunge. 

E se  pur  di  vederne  espresso  appieno 
Un  degno  esemplo  alcun  desio  ti  pimge, 
Risgtiarda  in  riva  al  Po,  come  si  face 
Arbitro  della  guerra  e della  pace. 

lodicd,  ore  Ira  II  Po,  che  non  lontano 
.Nasce,  e la  Dora  e il  Tanaro  rìsle;le 
Il  bel  paese,  al  cui  fecondo  plano 
La  montagna  del  ferro  il  nome  diede. 
Vedrai  Savoia  con  armata  mano. 

Che  due  cose  In  un  ponto  a Manica  chiede. 
Il  pegno  della  picclola  nipote, 

E de’  confin  la  patteggiata  dote. 

Vedi  di  Cadmo  II  snccessor,  che  viene 
In  campo  a por  le  sue  ragioni  antiche , 

E perché  l’ima  nega  e l’altra  tiene , 

Case  unite  in  amor  tornan  nemiche. 
Forse  nutrisci,  o Mincio,  entro  le  vene 
Il  seme  ancor  delle  guerriere  spiche, 
Poiché  veggio  dal  sen  della  tua  terra 
Pullular  tuttavia  germi  di  gtierra?  , 


Veder  puoi  di  Torin  l’ Invitto  duce. 

Cui  non  ha  Roma , o Macedonia  eguale , 

.Che  carriaggi  e salmerie  conduce  ^ 

Con  varie  sovra  lor  macchine  e scale. 

Su  lo  spuntar  della  diurna  luce 
A Trino  arriva,  e la  gran  porta  assale. 

Vedi  sttiol  piemontese  e savoiardo 
Quivi  attaccar  r espugnalor  petlardo. 

« 

Ecco  rotto  II  rasici , passato  il  ponte. 
Non  perù  senza  sangue  e senza  morti , 

Le  genti  alloggia  all’alta  rocca  a fronte, 
Prende  ì qiiartier  piti  vantaggiosi  e forti. 
Manda  la  valle  ad  appianar  col  monte, 

I picconieri  e i manovali  aerarti. 

Mette  1 passi  a spedir  scoscesi  e scabri  * 
Con  vanghe  e zappe  e guastadori  c fabri. 

Fa  con  gabbie  c trincee  steccar  dintorno 
De’ miglior  posti  I più  securi  siti. 

Col  sembiaiite'rcal  vergogna  e scorno 
Accresce  ai  vili , ed  animo  agli  arditi.  ’ 

Par  fiamma,  o lampo,  or  parte,  or  fa  ritor- 
Cercanilo  ove  conforti , ed  ore  aiti , ino 
Mentre  il  cannon,  che  fulminando  scoppia 
NdTlvellln  la  batteria  raddoppia. 

Ed  egli  In  un  co’  generosi  figli 
Studia , come  lalor  meglio  si  batta , 

Sempre  occupandoinfrh  i maggior  perigli 
La  prima  entrata  e l’ ultima  ritratta. 
Convicn,  che  pur  (R  ceder  si  consigli 
La  terra  alfin  per  non  restar  disfatta , 

Ed  apre  al  vlncltor,  che  l’asseciira 
Dalla  preda , dal  ferro  e dall’ arsura. 

[quisla; 

Honcalvo  a un  tempoespugna  anco  e eoa- 
Ma  chi  pn*  qui  vietar  che  non  si  rirbe? 

Va  il  tutto  a sacco.  O qual  confuso  e mista 
Scorgo  di  fumo  e polve  oscura  nube  ! 

E se  pari  l’ udir  ftisse  alla  vista , 

Risonar  v’  udirei  timpani  e tube. 

Rendersi  i difensor  giù  veder  parmi , 

Salve  le  vite  con  gli  arnesi  c l’ armi. 

Pur  nell’ Alba  medesma  Alba  ésorpresa, 
Eppur  dalle  rapine  oppressa  langne. 

II  miser  citladin  non  ha  difesa 

Per  doglia  afflitto  e per  paura  «sangue. 

Vali  soldato,  ove  il  trae  fra  Tire  accesa 
Fame,  d’ or,  sete  d'or  più  che  di  sangue.  ^ 
Suscita  Toro,  eh’ é sotterra  accolto  , 

E seppellisce  poi  chi  l’ha  sepolto. 


*■ 

» 


• • 


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Ito  MARINO. 


Di  buon  presidio  il  gran  guerrier  fornisce 
Le  prese  piazze  ed  ecco  il  cani  po  lia  mosso. 
Nova  milizia  assolda,  e ingagliardisce 
Di  gente  civezia  c valesana  il  grosso. 
Ecco  della  cittli , che  Impaludisce 
Là  tra  ilfielbo  e la  Nizza , il  muro  hascosso. 
Ecco  a difesa  del  signor  di  Manto 
li  vicino  Spagnol  moversi  intanto. 

Per  reverenza  dell’  Insegne  Iberc 
Toglie  a Nizza  I’  assedio,  e si  ritraggc  ; 
Quindi  van  di  cavalli  armate  schiere 
D' Incisa  e d’ Acqui  a disertar  le  piagge. 
Tragedia  miserabile  a vedere 
I.e  culte  vigne  divenir  selvagge, 

E dal  furor  del  foco  c delle  spade 
Abbattuti  I villaggi,  aiae  le  biade. 

Trema  Casale  ; a temprar  armi  intesi 
Sudano  i fabbri  alle  fucine  ardenti. 
L'acclarmanca  a tant'  uopo,onde  son  presi 
Mille  dagli  ozj  lor  ferri  innocenti. 

Rozzi  non  solo  e villarecci  arnesi, 

* Ma  cittadini  artefici  stromenti 

Forma  cangiano  ed  uso  e far  ne  vedi  ' 
ElmicscudI,  aste  ed  azzeespadeespìedk 

Il  vomere  già  curvo,  or  fatto  acuto, 

A Beliona  donato,  a Cercr  tolto. 

Su  la  sonante  incudine  battuto, 

D*  aratore  in  guerrier  vedi  rivolto. 

L’ antico  agricoltor  rastro  forcuto. 

Nel  fango  e nella  ruggine  sepolto. 
Vestendo  di  splendor  la  viltà  prima, 
Ringiovenisce  al  foco  ed  alla  lima. 

Intanto  e quinci  e quindi  ecco  spediti 
Vanno,  e vengono  ognorcorrieri  emessi. 
Chi  il  buon  re,  eh*  lo  dicea,  vuol  che  sopiti 
Siano  i contrasti, c la  gran  pugna  cessi  ; 
Ed  acciocchÈ  gli  aliar  di  tante  liti 
In  non  sospetta  man  restiti  rimessi. 

Ai  deputati  imperiali  e regj 
Fa  consegnar  della  vittoria  i preg]. 

S' induce  alfm,  capitolati  i patti, 

I.’  eroe  dell'  Alpi  a disarmar  la  destra, 

E dei  delBnltor  de’  gran  contralti 
Tra  le  mani  il  deposito  sequestra. 

Ma  qual  rio  sacrilegio  ò che  non  tratti 
L’empia  discordia  d' ogni  mal  maestra? 
■ Ecco  da  capo  al  rinnovar  dell'anno 
Novi  interessi  a nove  risse  il  Iranno. 


Tornano  a scorrer  Tarmi  ove  ancor  stassi 
La  prateria  si  desolala  o rasa,  ’ 

Che  ne  stillano  pianto  e sangue  i sassi, 
PoichI'  fabbrica  in  piè  non  v'è  rlmatia. 
Nè  resta  agli  abitanti  amilli  e lassi 
Villa,  borgo,  poder,  castello,  ocasa. 

Già  s' appresta  la  guerra,  e già  la  tromba 
Altri  chiama  alla  gloria,  altri  alla  tomba. 

Colui  di’  è primo  e la  divisa  ha  nera 
E sull’  usbergo  bruii  bianca  la  croce, 
(Reii  il  conosco  alla  sembianza  altera) 

È Carlo , il  cor  magnanimo  c feroce. 

Di  corno  in  corno  e d’ una  in  altra  schiera 
Il  volo  impenna  al  corridor  veloce. 

Per  tutto  a tutti  assiste  e il  suo  valore 
Intelletto  i del  campo.,  anima  e core. 

Spoglia  di  grosso  e malcuralo  panno , 
Lacerata  da  lance  e da  quadrella , 

L’ armi  gli  copre  c fregio  altro  non  hanno. 
Nè  vuol  tanto  valor  vesta  più  bella. 

Spada , splendido  don  del  re  britanno ,’ 
Cii|ge,  ni  v’ha  ricchezza  eguale  a quella. 
Ricca , ma  più  talor  suo  pregio  accresce , 
Chi  i rubin  tra  i diamanti  il  sangue  mesce. 

Mira  colà , dove  distende  c sporge 
A$ti  verso  Aquiloii  T antiche  mura. 

Poco  lungo  di  fuor  vedrai  che  sorge 
Un  piccioi  colle  In  mezzo  alla  pianura. 
Quindi  (fuor  che  la  testa}  armato  el  scorge 
Le  classi  tutte , e il  suo  poter  misura. 
Quindi  del  campo  in  generai  rassegna 
Rivede  ogni  guerrier,  nota  ogn’ insegna. 

Quasi  pastor,  che  le  lanose  gregge 
Con  la  prov  vida  verga  a pasco  adduca , 
Con  leggiadre  ordinanze  altrui  dà  legge 
Il  coraggioso,  il  bellicoso  duca. 

Per  mostrar  quivi  a chi  l'affreua  e regge 
Come  di  ferro  e di  valor  riluca , 

Spiega  ogni  suini  vessilli  e gonfaloni. 
Gonfia  stendardi  c sventola  pennoni. 

Quanto  d’ Insubria  il  bel  confin  circonda 
Fin  sotto  le  ligustiche  pendici , 

Quanto  di  Sesia  e Bormla  irriga  Tonda, 
Volo  rimali  di  turbe  abitatrici. 

Quel , che  nella  vallea  cupa  e profmida 
fvoggioriian  del  Monviso  alle  radici, 
Vengnnvi , e di  Provenza  c di  Narbona 
Quei  che  bcron  Diirenza,  Isara  e Sona. 


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L’ ADONE. 


Nè  pur  li'  Augusta  solo  c di  Lucerna 
Le  valli  incuUe  e le  montagne  algenti, 

E dagli  aspri  cantoni  Agauno  e Berna 
Mandanti  copia  di  robuste  genti  ; 

Ma  giù  dall’ Alpi,  ove  mai  sempre  verna, 
V’inondan  (|uasi  rapidi  torrenti, 

Per  le  vie  di  Bernardo  e di  Gebcnna 
Quei  che  lasciano  ancor  Ligeri  e Senna. 

Un  che  con  armi  d’or  va  seco  al  paro-, 
È l’Aldighiera,  il  marescial  temuto. 

Che  sotto  giogo  di  pesante  acciaro 
Doma  il  corpo  rugoso  e il  crin  canuto.  , 
Ecco  di  Damian  l'eccidio  amaro. 

Da'  due  franclii  gucrrier  preso  e battuto , 
Ed  ecco  d’ Alba  la  seconda  scossa. 

Chi  fla , che  impeto  tanto  arrenar  possa? 

Poi)  mentea  quel  cimier  che  con  tre  ciiAe 
Di  bianca  piuma  si  rincrespa  al  vento. 

E di  Vittorio,  il  principe  sublime. 

Del  Piemonte  alta  speme,  alto  ornamento. 
Ben  l’interno  valor  negli  alti  esprime. 
Ha  di  latte  il  destrier,  l’armi  d'argento. 
Ed’  un  aureo  moiiil,  che  al  petto  scende, 
Groppo  misterioso  al  collo  appende. 

Vedi  con  quanto  ardireein  che  fier  alto 
Inaspettato  a Messcran  s’ accampa , 

E giunto  a Cravacor,  quasi  iu  uu  tratto 
Di  ruina  mortai  segni  vi  stampa. 

Già  questo  c quel,  poiché  del  giusto  patto 
Nonfurcontenti,  in  vive  fiamme  avvampa. 
Già  d’ ambedue  con  esterminio  duro 
Spianato  è il  Torte  e smantellato  il  muro. 

Vuoi  veder  un,  che  natoagrandi  imprese. 
D’emular  il  gran  padre  s’  alTatica?  . 
Mira  Tommaso , il  giovane  cortese  , 

Che  tinta  di  sanguigno  ha  la  lorica, 

E il  cuoio  del  leon  sovra  l’ arnese 
Porta,  dell’avo  Alcide  insegna  antica. 

Di  seta  ha  1 velli  e con  sotlil  lavoro 
Mostra  il  ceflh  d' argento  e l’ unghie  d’ oro. 

Vedilo  in  dubbia  e perigliosa  miscliia 
Passar  ^ra  mille  picche  c mille  spade. 
Già  dal  volante  fulmine , che  fischia , 
Trafitto  il  corridor  sotto  gli  cade. 

Ma  ne’  casi  maggior  viepiù  s’arrischia 
Quel  cor,  che  col  valor  vince  l’ctadc, 

E pien'^ d’ ardir  più  generoso  ed  alto. 
Preso  novo  destrier,  torna  all'  assalto. 


181 

Miralo  poi , mentre  il  maggior  fratello 
Con  gran  guasto  di  morti  c di  prigioni  . 
llompe  il  soccorso  e il  capitan  di  quello 
Uccide  , che  confuso  è tra’  pedoni  ; 

Della  cavalleria  giunto  al  drappello 
Torre  i regj  stendardi  a due  campioni , 
Indi  mandargli  per  eterno  esempio  « 
D’alta  prodezza  ad  appiccar  nel  tempio. 

Solo  il  gran  Filiberto  altrove  intanto 
Dtibbioso  spcttator,  stassi  in  disparte. 

Ma  il  buon  Maurizio  con  purpureo  manto 
Regge  il  paterno  scettro  in  altra  parte, 

E l’ alte  leggi  del  governo  santo 
Con  giusta  lance  ai  popoli  comparte. 
Talor  pio  cacciatore  al  fidi  cani 
Del  devoto  Amedeo  dispensa  i pani. 

Oh  se  mai  prenderà Tifi  celeste,. 

Il  gran  tiinon  della  beata  nave  , 

Da  qua!  scogli  secura  , a quai  tempeste 
Sottratta , correrà  calma  soave!  ^ 

Già  la  vegg’  io  per  quelle  rive  e queste 
Portar,  nov’ Argo,  di  gran  merci  grave , 
Scorta  da  divin  '/elDro  secondo , 
li  vello  d’oro  a vestir  d'oro  il  mondo. 

Ma  vedi  or  come  freme  e come  ferve 
Contro  costoro  il  fior  d’Italia  tutta. 

Genti  all’  ibero  o tributarie , o serve , 
Gioventù  ben  armata , e meglio  instrulta. 
Ben  a tante  e si  fiere  armi  e caterve  , 

Si  oppon  l'inclito  Estense  e le  ributta. 
Alfiii  pur  all’esercito,  che  passa, 

Libcro.il  cammin  cede  e il  varco  lassa. 

Passan  l’ ardite  schiere  e di  Milano 
li  prefetto  maggior  tra’  suoi  l’accoglie. 
Eccolo  là  sovra  un  corrente  ispano , 

Che  l’ insegne  reali  all’aura  scioglie. 

Il  baston  generai  di  capitano 
Ticn  nella  de.stra  e veste  oscure  spoglie. 
Mira  poi  come  in  un  feroci  e vaghi 
S' armai!  dall’altro  lato  i gran  Gonzaghi. 

Quei  ch’had’un  verde  scuro  a Roccoa  floc- 
La  sopravesta , è di  Niverse  il  pregio,  [co 
Vedi  un  cli’ha  d’or  lo  scudo  e d’or  lo  stocco. 
Quegli  è Vincenzo  il  giovinetto  egregio. 
L’altro,  che  splende  di  lucente  cocco, 

E In  sembiante  ne  viene  augusto  e regio. 
Riposato  nel  gesto  e venerando  , 

Quegli,  s'to  ben  comprendo,è  Ferdinando. 


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182  MARINO. 


Lascia  i Iwi  sludj  c prende  a guerra  accin- 
Uaì  tranquilli  pcusier  nira  diversa,  [to 
ManU)  die  il  fior  dei  liidd’  ostri  ha  tinto, 
Fa  ricca  pompa  all’armatura  tersa. 
Oroppo  di  gemme  in  cima  il  tiene  arrinto 
Sicché  l'omero  e il  petto  gli  attraversa; 
Ma  pur  l’arclar  con  argentata  luce 
Sotto  la  fina  porpora  tralucc. 

Vedi  il  Tolédo , che  Vercelli  affronta , 
Già  r ha  di  stretto  assedio  incoronala. 

La  citti  tutta  alle  difese  pronta 
Sta  sulle  mura  e sulle  torri  armata. 

Vedi  lo  scalator,  che  su  vi  monta , 

E il  cittadino  a custodir  I'  entrata  ; 

Ma  poiché  assai  resiste  e si  difende, 

Per  difetto  di  polve  alfin  si  rende. 

In  questo  mezzo  il  capitano  alpino 
Di  far  giialdane  e correrie  non  resta. 
Filizzano  ed  Annone  e il  Monferrino 
Con  mille  piaghe  in  mille  guise  infesta. 
Oltre  il  frutto  perduto,  il  contadino 
Forza  è che  paghi  or  quella  taglia  or  questa. 
Corre  I’  altrui  licenza , ove  l' alletta 
Desire  o di  guadagno,  o di  vendetta. 

Cosi  divisa,  e dell’  istorie  Ignote 
Svela  il  fosco  tenor  lo  Dio  d’Egitto, 
Quando  nel  terso  aeciar,  tra  le  cui  rote 
Quanto  creò  Natura  é circoscritto, 

-Adone  in  parli  alquanto  Indi  remote 
Volgesi  e vede  un  non  minor  confHito. 
Dove  la  gente  In  gran  diluvio  inonda, 

E diffuso  in  torrenti  il  sangue  abbonda. 

Onde  rivolto  ai  messagger  volante  : 
Della  bella  facondia  arguto  padre  , 

Disse,  0 nunzio  divin , tu  che  sai  tante 
Meraviglie  formar  nove  e leggiadre, 
L’altra  guerra.  Che  fan  quindi  distante 
L’altrech’altrove  lo  veggio  armate  squadre 
Fam  mi  conto  onde  avvien  poiché  ancor  qui- 
Par  si  combatta  e corra  il  sangue  in  rivi,  [vi 

Io  ti  dirò , risponde , altra  cagione. 
Austria  in  un  tempo  a guerreggiar  sospin- 
Con  la  donna  reai  del  gran  leone , [gè 
Clic  per  Adria  guardar  la  spada  stringe. 
Né  pur  del  sangue  di  più  d' un  squadrone 
l.a  terra  sola  si  colora  e tinge , 

Ma  il  mare  islesso  in  non  men  fioro  assalto 
Rosseggia  ancor  di  sanguinoso  smalto. 


Se  gola  hai  di  vederlo , or  meco  affisa 
Dritto  le  luci , ov’  io  I’  affiso  e giro. 

Egli  girolle , e in  disusata  guisa 
Vide  oudeggfar  lo  sferico  zaffiro. 

Già  di  Anlìlritea  mano  a man  ravvisa 
1 vasti  alberghi  entro  l’angusto  giro, 

E di  gran  selve  di  spalmati  legni 
Popolati  rimira  i salsi  regni. 

DaHc  rive  adriatiche  e dal  porto 
DI  Parlcnope  bella,  alate  travi 
Già  del  ferro  mordace  II  dente  torto 
Spiccano,  onuste  di  metalli  cavi. 

Già  quinci  e quindi  a para  par  s’é  scorto 
l'n  naviglio  compor  di  molte  navi , 

Le  cui  veloci  e volatrici  antenne 
Per  non  segnate  vie  hatton  le  penne. 

Volati  per  l’ alto  e de’ cerulei  chiostri 
Arano  i molli  solchi  i curvi  abeti. 
Rompon  co’  remi  e co’  taglienti  rostri 
Delle  prore  ferrate  II  scn  di  Teli. 

I fieri  armenti  dei  marini  mostri 
Fuggono  spaventati  ai  lor  secreti. 

Sotto  r ombra  degli  arbori  che  aduna  [na. 
Qucst’armatae  queir  altra,  il  mar  s’Imbm- 

Appena  omeri  quasi  ha  11  mar  bastanti 

II  pc.so  a sostener  di  tanti  pini. 

Appena  II  vento  istes.so  a gonfiar  tanti 
Può  co’  fiati  supplir,  candidi  lini. 

Fugaci  Olimpi  e vagabondi  Atlanti, 

Alpi  comuiti  e mobili  Appennini 
Paioli,  svelti  da  terra  c sparsi  a nuoto, 

I gran  vascelli  alla  grossezza , al  moto. 

Veder  fra  tanti  affanni  in  tanta  guerra 
La  vergin  bella  a Gilerea  dispiacque. 

La  vergin  bella , che  s’ annida  e serra 
Tra  i lucenti  cristalli , ov’  ella  nacque  ; 
Ond’ hanno  insieme  il  mar  lite  e la  terra. 
L’ima  gli  offre  le  rive  e l’altro  l’ acque, 
Piignan  con  belle  ed  ambiziose  gare 
Per  averla  Ira  lor  la  terra  e II  mare. 

Ecco  che  gorghi  già  di  foco  e polve 
Vomita  il  bronzo  concavo  e forato. 
Scoccando  si , che  i legni  apre  c dissolve. 
Con  fiero  bombo  il  fulmine  piombato. 
Nebbia  d’ orror  caliginoso  involvc 
E mare  e del  da  questo  e da  quel  lato. 
Sembra  ogni  canna  ( tante  fiamme  spira) 
La  gola  di  Tifeo,  quando  si  adira. 


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L’ADONE.  •-  183 


Gii  viensi  ad  afferrar  poppa  con  poppa, 
Già  sproH  con  sprone  impetuoso  coirà , 
Già  vota  il  fusoc  il  fil,che  Clolo  aggroppa 
Di  mille  vite  a un  punto  Atropo  mozza,  [pa, 
Spada  In  spaùa.asta  In  asta  urtando  intup- 
L’ acqua  già  ne  divicn  squallida  e sozza , 
E del  taiiguc  coinun  tinta,  sonilglia 
Del  gran  golfo  Eritreo  l' onda  vemiiglia. 

L’ una  classe  nell’  altra  avventa  e scaglia 
Pregni  d’occulto  ardor  globi  e volumi , 
Onde,  mentre  più  stretta  è la  battaglia, 
Incendio  repi  nlin  vienebe  s’allumi. 
Scoppiati  le  cave  p.alle  e fan  che  soglia 
Turbo  alle  stelle  di  faville  e fumi. 

Tra  H bitume  e la  pece  e il  nitro  e il  zolfo 
Citi  sbalzasi  cici,  chi  sdrucciola  nel  golfo. 

Scorre  Vulcano  e momorando  nigge, 
E tra  i ruggiti  suoi  vibra  la  lingua. 
Gabbie  Intorno  e castella  arde  e distrugge, 
Ni  sa  .Nettuno  ornai , coiue  l'estingua. 
L’esca  del  sangue,  che  divora  e sugge, 
AUuiento  gli  porge , onde  s’ impingua. 
Vince , trionfa  e con  la  man  rapace 
Depreda  il  tutto  imperioso  e sfacc. 

In  ben  mille  piramidi  vedresti 
Sorger  la  fiamma  dagli  ondosi  campi , 
Alzar  le  ponte,  ed  a quei  venti  e questi 
Crollarle  cornac  scaturirne  I lampi. 

Tra  si  fieri  spettacoli  e funesti  [pi. 
Par  che  la  liamma  ondeggi  e l’onda  avvam- 
par che  torni  alla  lite,  onde  pria  nacque. 
Fatto  abisso  di  foco , il  cìci  dell’  acque. 

L’ eccelse  poppe  e le  merlale  rocclic 
Soli  cangiate  in  feretri  c fatte  tombe. 

Con  rauche  voci  e con  tremende  bocche 
Romoreggian  tamburi  c stridon  trombe. 
Lanciansi  i dardi  c volansi  le  corche, 
Vibransi  Paste  c rotatisi  le  Trombe  ; 

Clii  niuor  trafillo  e chi  malvivo  langue, 
Solcan  laceri  busti  il  proprio  sangue. 

Tremendi  casi , la  spietata  zutfa 
Mesce  di  ferro  in  un , d’acqua  e di  foco. 
Chi  nel  fondo  del  pelago  .s'attnOa, 

Chi  del  sale  spumante  è fatto  gioco. 

Chi  galleggia  risorto  c il  flutto  sbuffa, 
Chi  tenta  risalir,  ma  gli  vai  poco  , 

Chè  ricade  ferito,  ed  a versare 

Vicn  di  tepido  sangue  un  mar  net  mare. 


Strepito  di  minacce  e di  querele,  ' 
Di  i>ereosse  e di  seoppj  i lidi  assorda. 

.Altri  con  man  delle  squarciale  vele 
S'ailien  sospeso  in  aria  a qualche  corda, 

•Ma  giunto  dall'arsura  empia  e crudele 
Vassi  a precipitar  nell’onda  ingorda. 

Onde  con  strana  « ni i.si  rabll sorte 
Prova  quattro elenienti  in  una  morte. 

Or  quando  più  cnidel  bolle  la  giwrra , 

E va  baccando  la  Discordia  stolta , 

Qnando  di  qua  di  là  fonda  e la  terra 
Tutta  è nei  sangue  e nell’orrore  involta; 
là'co  del  fier  Bifronte  il  tempio  serra 
Colui  che  anco  il  sevró  la  prima  volta. 

Placa  gli  animi  alicri,  c fa  che  rada 
L’ Ira  dai  cori  e dalla  man  la  spada. 

E per  fermar  con  sempre  staliil  chiodo 
La  pace  che  ii  gran  tempo  ila  in  esigilo, 
Cristina  bella  in  sacrosanto  nodo 
Strìnge  del  re  dei  moiui  al  maggior  figlio. 
VcdrassI  il  groppo,  ondo  si  gloria  Rodo, 
Insieme  incatenar  la  palma  e il  giglio. 

E tu  di  gigli  allor,  non  più  di  rose 
Tesserai , Dea  d’ amor , trecce  amorose. 

Già  d’ età,  già  di  senno,  e già  cresehito 
Tanto  è di  forze  H giovinetto  Atignsto, 

Clio  ottico  del  pari  amabile  c temuto 
Vanto  di  buono  c titolo  di  giusta. 

Ma  l’orgoglio  dei  principi  abbattuto 
Sorge  ancor  più  superbo  c più  robusto, 

E il  IveI  regno  da  Inr  straccialo  a brani 
Rassomiglia  Atteon  tra  ì propri  cani. 

Movesi  all’  armi , e ne  va  seco  armalo 
Enrico,  il  primo  fior  del  regio  .seme. 

Quei,  elle  pur  dianzi  andò,  quasi  sdegnato. 

Co’  mcn  fedeli  a collegarsi  insieme. 

Sdegno  fu,  ma  fu  lieve;  or  clic  allo  stato 
Del  gran  cugino  allo  periglio  el  teme , 

Gli  sovvien  quanto  è d’uopo  in  tanta  im-  , 
Di  consiglio , d’ aiuto  c di  difesa,  [presa 

Va  con  poche  armi  ad  assalir  la  fronte 
Dei  nemici  dispersi , c li  sorprende. 

Non  vedi  Can,  che  volontarie  c pronte 
Gli  disserra  le  porte  c gii  si  rende  7 
Vedi  di  Sci  nel  sanguinoso  ponte 
Quante  squadre  rubclle  a terra  stende. 

Poi  per  domar  la  scellerata  seti» 

Ver  l’ estrema  Biarnc  il  campo  affretta. 


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Ifli  MARINO. 


Cede  lo  sforzo  , e l’ impelo  nemico, 
Ingombra  Navarrin  terrore  e gelo. 

Gii  v’eiitra,e  nell’entrarvi  il  re  ch'io  dico, 
Non  men  clic  di  \alor  s’arma  di  zelo. 
Rende  ai  dislrulti  altari  il  cullo  antico, 

A si'  stesso  r onor,  la  gloria  al  Cielo. 

Ogni  passo  è vittoria,  ovunque  ei  vada, 
K vince  senza  sangue  e seiua  spada. 

Oual  uont  che  pigro  c sonnacchioso  dorme 
Giace  col  corpo  in  tulle  piume  molli , 

Con  l'alma  del  pensicr  seguendo  Torme, 
Varca  fiumi  e foreste  c piani  c colli  ; 

Tal  rivolgendo  Adon  gli  occhi  alle  forme, 
Della  cui  vista  ancor  non  son  satolli , 

Non  sa  se  vede , o pargli  di  vedere 
Tra  lumi  ed  ombre  immagini  e chimere. 

Mentre  ch’ei  pur  dei  simulacri  accolti 
Nel  mondo  cristallin  i'opre  rimira. 

Del  silenzio  in  tal  guisa  i nodi  ha  sciolti 
L'alto  invchtor  della  celeste  lira. 

Sappi , che  dietro  a molti  corsi  e molti 
Del  gran  pianeta  che  II  quart’  orbe  gira , 
Pria  che  alibia  elTetto  il  ver  staranno  ascose 
Le  qui  tante  da  te  vedute  cose. 

Ma  quei  successi,  chcancorchiudcii  Fato, 
1"  ho  voluto  mostrar,  come  presenti,  . 
Acciocché  miri  alcun  fatto  onorato 
Delle  più  degne  c gloriose  genti. 


Fin  qui  Giove  periiictte,  « non  m'é  dato 
Più  in  là  scoprirti  dei  futuri  eventi. 

Or  tempo  é da  fornir  l'opra  che  resta. 
Vedi  il  Sol , che  nel  mar  china  la  lesta. 

Vedi  che  armata  di  argentati  lampi 
Per  le  campagne  del  suo  ciel  serene 
l.a  stella  inferlor,  che  ornai  degli  ampi 
Spazj  dell’orizzonte  il  mezzo  tiene. 
Mentre  dell’ aria  negli  aperti  campi 
A combatter  col  di  la  notte  viene. 

Prende  a schierar  delle  guerriere  ardenti 
I numerosi  eserciti  lucenti. 

Lungo  troppo  il  cammino,  e breve  è l'ora-. 
Onde  convien  sollecitare  il  pas.so. 

Per  poter,  raccorciala  ogni  dimora , 
Tornar  per  Torme  nostre  al  mondo  basso. 
Perocché  il  suo  bel  lume  ha  già  l’Aurora 
Due  volle  acceso , ed  altrettante  casso 
Da  che  partimmo,  c qui  (fuor  che  a felice 
Gente  immortale]  il  troppo  star  non  lice. 

Cosi  Mercurio  ; e T altro  allor  dintorno 
Dove  T occhio  il  traea , volgendo  il  piede. 
Le  ricche  logge  dell’albergo  adorno. 

Di  parte  in  parte  a contemplar  si  diede. 
E da  che  prese  a tramontare  il  giorno , 
Che  ivi  all’ombra  perògiammai  non  cede, . 
Non  seppe  mai  da  tal  vista  levarse 
Finché  Tallr’alba  in  oriente  apparse. 


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L’ADONE; 


I8& 


CANTO  UNDEGIMO. 

LE  BELLEZZE. 


ALLEGORIA. 


Perla  luce  die  circonda  le  ombre  delle  donne  belle,  s'inicnde  la  Bellezza,  la 
qual  da’  platonici  fu  delta  raggio  di  Dio.  Nella  Fama  che  seguita  la  reiiia  Maria 
de’ Medici , e parla  delle  sue  grandezze,  si  compreude  clic  la  lode  va  sempre  dietro 
alla  virtù , c che  le  azioni  generose  ed  illiistri  non  restano  giammai  senza  la  meritala 
gloria.  In  Mercurio,  che  a’  prieghi  d’  Adone  calcolandogli  la  figura  della  nativitA,  e 
pronosticandogli  la  morte,  vien  confutato  da  Venere,  si  dinota  quanto  sia  grande 
1’  umana  curiosità  di  volere  Intendere  le  cose  future , c quanto  poco  si  debba  credere 
alla  vanità  dell’  astrologia  giudiciaria. 


ARGOMENTO. 

Bellezze  i contemplar  d’alme  divine 
Sen  pogala  al  terzo  del  la  eoppl.v  lieta; 
E dagli  eflclU  di  quel  bel  pianeta 
Scopre  lo  Dio  facondo  alle  dottrine. 


0 già  dell’Arno,  or  della  Senna  onore. 
Maria  più  eh’ altra  invitta  e generosa. 
Donna  non  già,  ma  nova  Dea  d’  amore  , 
Che  vinta  col  tuo  giglio  hai  la  sua  rosa , 
E del  gallico  Marie  il  fiero  core 
Domar  sapesti  e trionfarne  sposa  , . 

Prendi  queste  d’ onor  novelle  fronde , 
Nate  colà  su  le  castalie  sponde. 

Queste  poche  d’  onor  fronde  novelle. 
Questi  fior  di  Parnaso  e di  Permesso 
La  tua  chioma  reai  degna  di  stelle 
Non  sprezzi,  ond'  io  corona  oggi  le  tesso; 
Poiché  anco  II  Sole,  o Sol  dell’ altre  belle. 
Che  è della  tua  beltà  ritratto  espresso  , 
Scorno  non  ha , che  fra  la  luce  e I'  oro , 
Che  gli  fregiano  il  cria , serpa  l’alloro. 


Che  tue  lodi  garrisca  e di  te  canti 
Stridula  voce,  IgnobiI  cetra  e vile. 

Che  I tuoi  si  chiari  c si  famosi  vanti 
Adombri  oscuro  inchiostro, oscuro  stile; 
Che  I pregj  tuoi  si  spaziosi  c tanti 
Raccolga  angusto  foglio,  alma  gentile, 
Sdegnarnon  dei  ,ch’é  gloria  e non  oltraggio 
Illustrar  l’ombre  altrui  col  proprio  raggio. 

Sai,  ebe  pur  rauco  a salutar  l'Aurora 
Infra  1 cigni  canori  il  corvo  sorge. 

In  picciol  onda,  in  piccini  vetro  ancora 
Chiusa  del  del  l’ immensità  si  scorge. 

Nè  suol  celeste  Dea  quando  talora 
Simulacro  votivo  altri  le  porge. 

Ricca  di  sua  bellezza  aver  a sdegno 
Rozzo  liti , rozzo  piombo  c rozzo  legno. 


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186  MARINO. 


Tii  <ip|l’  Ingpgnn  mio  propizia  sleiia  , 
IVr  quest’  arqiia  ,di’  io  corro,  esser  ben 
Poiché  i divini  amor  canlo  di  quella,  [dei, 
Della  cui  stirpe  originata  sei; 

K di  volto  e di  cor  benigna  e bella  •> 
Ileo  la  somigli  c ti  pareggi  a lei, 

A cui  per  farsi  a te  del  tutto  eguale 
Oliamo  sol  nianra , e l' oiiesLt  reale. 

Troppo  atidace  lalor  lento  ben  io 
Oantando  .alzarmi  al  tuo  celeste  foco. 

Ma  le  penne  all’  ardir,  l’ aure  al  desio 
Mancano,  e raggio  augel  tarpato  e roco. 
Pur  se  d''ll’opre  tue  nel  cantar  mio 
Il  pili  sì  tace,  e quel  eh’  io  scrivo  è poco, 
(ìran  fiamma  secondar  breve  favilla 
Suole,  cflunic  talor  siiecotle  a stilla. 

Pscila  col  canestro  era  e con  l’ urna 
La  condottricc  de’  novelli  albori , 

Dall’  aureo  vaso  e dalla  mano  eburna 
Versando  perle  e seminando  fiori. 

(zia  la  caliginosa  aria  notturna 
Spogliava  r ombre  e rivestia  I colori, 

E precorreano  e prediceano  il  giorno 
La  stella  innanzi  e gli  augelletli  intorno. 

Quando  I’  angelfe  querule  e lascive 
Il  carro  della  Dea  levando  in  alto, 

Dal  cerchio  di  quel  Nume,  a cui  s’ ascrìve 
L’eloquenza  e il  saver,  spiccaroii  salto. 
K in  breve  acceso  di  fianinicllc  vive , 
Vive,  ma  non  cocenti,  un  puro  smalto 
Quasi  di  sebietto  azzurro  oltramarino , 
.Mia  vista  d’  Adon  si  fé’  vicino. 

Vassi  al  del  di  costei,  che  II  cor  ti  sfate, 
Disse  Merctirio  allor,  dal  dei  secondo. 
Mira  cola  della  sua  bella  face 
Il  dolce  signorii  lume  fecondo. 

0 letizia,  otlelizìa  , o vita,  o pace 
Univcrsal  dell’  un  e l’ altro  mondo  ! 

(>)me secco,  qual  non  pili  mai  si  vide, 
Della  lampa  felice  il  lampo  ride! 

Di  questa  stella,  a cui  slam  presso  ornai. 
La  grandezza  non  i qnant’  altri  crede, 
C.hè  è del  globo  terren  minore  assai , 
Pur  tanta  in  ogni  modo  esser  si  vede , 

E tanti  sparge , e si  vivaci  rai , 

Che  Giove  ìste.ssoiii  qiialclie  parte  eccede; 
Kd  a lei  cede  ogni  altra  luce  intonio  , 
Salvo  le  due , che  fan  la  notte  e il  giorno. 


Nò  di  tutto  r esercito  stellante, 

I cui  splendor  col  suo  bel  volto  Imbruna , ' 
Kiamnia  si  luminosa  arde  tra  quante 
Ferme  ne  ha  il  cielo,  o peregrine,  alcuna. 
Quinci  quando  talor  spunt^ln  Levante 
Piazza  intorno  si  fa,  come  la  Luna; 

E talvolta  addiiicn,  die  splender  suole 
In  faccia  al  giorno,  al  paragon  del  Sole. 

Qualor  gli  .sguardi  avventurosi  gira, 

K spiega  in  sul  ba'con  le  chiome  bionde. 
Tal  di  grazia  , c d’ amor  faville  spira. 

Tanti  dì  cortesìa  raggi  diffonde, 

Che  può  gli  occhi  invaghir  di  chi  la  mira, 

E la  notte  fugar,  che  si  nasconde. 

Dando  stiipor  dal  suo  lucente  albergo 
Al  mio  gran  zio , che  la  soslien  sul  tergo, 

Lurc  del  mondo  ed  ultima  e primiera, 
Ella  il  giorno  dischiude  ed  ellail  serra. 
Sorge  la  prima  a rischiarar  la  sera. 

Tosto  che  II  carro  d’  or  gira  sotterra. 

Poi  quando  tutta  la  fugace  schiera 
Delle  stelle  minor  nel  mar  si  serra  , 

Riman  nell’ aria  d’ogni  luce  priva 
'Sola  invece  del  Sol  finché  egli  arriva.  • 

Sempre  accompagna  il  Sol,  nò  mai  da  lui 
Per  brevissimo  spazio  si  disgiunge. 

Come  ancor  fa  la  mia , sicchò  ambodul 
Nonsappiam  l'un  dall'altro  andarne  lunge, 
Siam  suoi  seguaci , e seco  ognun  di  nui 
Quasi  in  un  tempo,  al  fin  del  corso  giunge. 
Terminando  di  par  con  la  sua  scorta 
Del  gran  calle  vital  la  linea  torta. 

Ben  (come  vetterptioi)  di  stia  sembianza 
Grande  veracemente  ò la  chiarezza  , 

Ma  sua  virtude  e sua  fatai  possanza 
Sappi  ancor , che  risponde  alla  bellezza. 

Di  piacevnl  natura  ogni  altra  avanza. 
Tutta  ò benignità , tutta  ò dolcezza. 

Tu  per  lei  sola  appien  fatto  contento 
Saprai  per  prova  dir,  se  adulo,  o mento. 

Egli  è ben  ver  che  se  Saturno,  o Marte 
A lea  si  accosta  con  obliquo  aspetto  , 

Le  contamina  il  lume,  e le  comparte 
Di  sua  rea  qualità  qualche  difetto. 

Ma  quando  av  vien , che  in  elevata  parte 
Lunge  lo  sguardo  infausto  abivfa  ricetto. 
Non  si  può  dir  con  (pianti  effclti  e quali 
Fortunati  suol  far  gli  alimi  natali. 


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1/ ADONE.  IS'^ 


Gli  agi  del  Ietto  , e con  diletto  e riso 
Seberai , giochi,  trastulli , ozj  promette. 
Bellezza  dona,  e leggiadria  di  viso  , 

Ma  fa  molli  le  genti  e laselvette. 

E se  quaiid’io  le  son  incontro  assiso, 
Meco  amico  e concorde  i rai  riflette  , 
Produco  in  terra  con  anspicj  lieti 
ObUri  oratori  e celebri  poeti. 

Se  Febo  poscia  a visitar  si  move  , 

E in  sito  Principal  la  casa  tiene , 

0 vietisi  a vagheggiar  cui  padre  Giove  , 
De’  suoi  tesori  prodiga  diviene. 

Il  grembo  appieno  allarga,  e laggiù  piove 
Ogni  grazia , ogni  onore  ed  ogni  bene , 
K col  favor  dell  ’ una  e I'  altra  luce 
A gran  fortune  i suoi  soggetti  adduce. 

Con  questo  dir  per  entro  il  lucid'  arco 
Dei  cerchio  adamaniin  drizza  il  sentiero, 
Cbe  al  conosciuto  carro  aprendo  il  varco. 
La  Diva  ammette  al  suo  celeste  impero. 
Loco,  die  di  piacer,  di  gioia  carco. 
Paradiso  del  cici  può  dirsi  invero  ; 

E tanta  luce  c tanta  gloria  serra  , 
Cheappoquel  cielo  ogni  altro  cieloè  terra. 

Aurette  molli , zelSri  lascivi , , 

Fonti  d’ argento  e nettare  sonanti , 

Di  corrente  zaflir  placidi  rivi , 

Rive  smaltale  a perle  ed  a diamanti , 
Rupi  gemoiale  di  smeraldi  vivi , 

Selve  d'  incenso  e Ivalsauio  stillanti , 
Prati  sempre  di  porjiora  floriti , 

Hagge  deliziose , antri  romiti  ; 

Vaghi  per  terra  di  grottesche  erbose. 
Di  pastini  ben  culti  ainp}  giardini , 

Rei  padiglioni  di  viole  e rose , 

. Di  garofani  liiaiichi  e piirpuriui , 

Dolci  concordie  e ninsiclie  amorose 
Di  Sirene,  di  cigni  e d’  augeUini , 

Boschi  di  folli  allori  e folli  mirti, 
Tranquilli  alberglii  di  felici  spirti  ; 

Freschi  ninfei  di  limpidi  cristalli , 

Puri  canali  di  dorate  arene , 

Siepi  di  cedri , cespi  di  coraili , 

Scogli  muscosi  e colliiieltc  amene , 
Ombre  srerete  di  solinghe  valli , 

E di  verdi  teatri  opaclie  scene  , 
lòrtorelle  c colombe  innamorate. 

Fanno  gioir  le  regìon  beale. 


Ravvi  riposte  c rristaHine  sténze 
Di  scelti  unguenti  e d' odorali  fumi , 

Che  sngllon  ricettar  belle  adunanze 
Di  Ninfe  no , ma  di  celesti  Numi. 

Altra  liete  canzoni  c liete  danze 
Accorda  all'  armonia  de'  sacri  Oumi. 
Altra  nuota  in  imrio,clieha  Tonde  intatte 
Di  maniu  e mele  e di  rugiada  e latte. 

Siccome  suol  triangolar  «ristailo 
Ripercosso  talor  da  raggio  avverso, 
Mostrar  rosso  ed  .vzznrro  e vervlee  giallo 
Quasi  noritfl  un  bel  giardiii. diverso; 
Onde  chi  mira  I bei  colori , ed  hallo 
Del  gran  pianeta  al  lampeggiar  converso, 
Veggendo  Iride  fallo  iin  puro  gelo  , 

Non  sa  se  11  Sol  sia  In  terra  ,0  il  vetro  in  clehv 

rosi  volgendo  ai  dilettosi  oggetti , 

Novi  ài  suo  senso  , attonito  le  ciglia , 
Entrato  il  bell'  Adon  Ira  que’  ricetti, 
.Non  senza  allo  piacersi  meraviglia. 

Sul  coBo  ai  volatori  aniorosetll 
L’  uccisor  d’  Argo  alibandonò  la  briglia, 
E gli  lasciò  su  per  la  riva  fresca 
Pascer  d’ambrosia  incorruttibilesca. 

Nel  drìtlo  mezzo  vaneggiava  un  pianò 
Cinto  di  colli  e spazioso  in  giro, 

Qie  portando  lo  sguardo  assai  lontano. 
Tutto  d’  or  mattonalo  e di  zaffiro. 

Era  in  un  piazza  e prato,  e quivi  in  strano 
lavor  composti  a risguardare  uscirò 
Varj  orlicelli  di  Ivel  liur  dipbiti , 

Clic  di  larghi  sentieri  craii  distinti. 

Dietro  la  pesta  Adon , sotto  la  cura 
Della  sua  bella  ed  amorosa  duce , 

Si  mise  per  la  florida  pianura , 

La  cui  via  dritta  in  ver  la  costa  adduce. 
Quando  rasserenossi  oltre  misura 
Queir cmispero  di  beala  luce. 

Ed  erro  un  lustro  lampeggiar  dintorno. 
Clic  Sole  a Sole  aggiunse  e giorno  a giorno. 

A guisa  di  carbon , che  si  ravviva 
DI  Borea  ai  soflj  c doppio  vampo  acquista. 
Novo  splendor  sovra  .splendore  arriva. 
Clic  riga  l'aria  di  vermiglia  lista. 

Qnasi  anqvia  sfora,  il  boi  cliiaror  s'apriva. 
Nel  cui  centro  il  garzon  ficcò  la  vista, 

E vide  entro  quel  circolo  lucente 
Gran  tratta  spaziar  di  lieta  gente. 


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188  MARINO. 


Come  aiigellinl , che  talor  satolli 
A stormo  a stormo  levansi  dal  flume, 
Quasi  congratulanti , ai  vicin  colli 
Scoton  cantando  le  bagnate  piume  ; 

0 come  pecchie,  che  da’  campi  molli 
Rapirle  care  prede  han  per  costume, 
Tra'  purpurei  fioretti  e tra  gli  azzurri 
Alternando  scn  van  dolci  susurri.  ' 

Cosi  meiiavan  tra  festivi  cjjnti 
L’ anime  fortunate  allegra  vita. 

Lucide  a maraviglia  e folgoranti. 

Tutte  in  età  di  gioventù  fiorita. 

Vive  persone  no,  paioli  sembianti 
Specchiati  in  bel  cristal,  che  II  vero  imita. 
Ciascuna  lor  immagine  rassembra  [bra. 
VaniU,  che  abbia  corpo  ed  abbia  mciu- 

Trcniolavan  per  entro  i rai  sereni 
Quelle  fulgide  fiamme  a mille  a mille 
Non  altrimenti , che  atomi , o baleni 
Soglian  per  le  snebbiate  aure  tranijUille, 
0 lucciolclle , che  iic’  prati  ameni - 
Con  vicende  di  iampi  e di  sciiilillc 
Vibrano,  quasi  fiaccole  animate. 

Il  focH  delie  piume  inargentate. 

Deh  per  quel  dolce  ardor,  disse  il  don- 
Alla  sua  Dea,  che  per  te  dolce  m'arse  [zcllo 
Dammi , ch’io  sappia;  che  folgore  i quello. 
Che  repentino  agli  occhi  nostri  apparse? 
E quelle  luci , che  in  più  d’ un  drappello 
Vanno  per  mezzo  I raggi  erranti  c sparse. 
Dimmi  che  son,  pnichù  a beltà  si  rara 
La  chiarezza  del  del  più  si  rischiara? 

La  luce , che  tu  miri , è quella  istessa , 
Che  arde  ne’  tuoi  begli  occhi,  ella  rispose. 
Specchio  di  Dio,  che  si  vagheggia  in  essa. 
Fior  delle  più  perfette  e rare  cose , [sa. 
Stampa  immortal  da  quel  suggello  impres- 
Dove  il  l'altor  la  sua  sembianza  pose, 
Proporzion  d’ogni  mortai  fattura. 
Pregio  del  mondo  e gloria  di  Natura. 

Esca  dolec  dell' occhio  e dolce  rete 
Del  cor,  che  dolcemente  il  fa  languire,  ' 
Vero  piacer  delfaliira,  alma  quiete' 

De’  sensi , ulliinn  fin  d’ ogni  desirc , 
Fonte,  che  solo  aitnii  può  trar  la  sete, 

E sol  render  amabile  il  martire. 

Se  udito  hai  nominar  giammai  bellezza. 
Qui  ne  vedi  l’essenza  e la  pienezza. 


L’anima  nata  Infra  l’ eterne  forme. 

Ed  avvezza  a quel  bel,  che  a sé  la  chiama, 
Della  beltà  celeste  in. terra  Torme 
Cerca  e ciò  che  Talletta  c segue  e brama  ; 

E quando  oggetto  ai  suoi  pensier  conforme 
Trova , vi  corre  ingordamente  e T ama. 
Fior,  fronde,  gemme  estelle  e Sole  ammira 
Ma  viepiù  ’l  Sol  ch’in  due  begli  occhi  gira. 

Bel  lezza  i Sole  c lampo  e fiamma  e strale. 
Fere  ov’ arriva  e ciò  che  tocca  accende. 
Sua  forza  è tanta  c sua  virtude  è tale. 

Che  inebbria  sì,  ma  senza  offesa  offende. 
Nulla  senza  beltà  diletta , o vale , 

Il  tutto  annoia  ove  beltà  non  splende. 

E qual  cosa  si  può  fra  le  create 
Più  bella  ritrovar  della  beliate? 

(coglia 

Perde  appo  questo  (ancorché  in  un  s’ac- 
Quanlo  il  mondo  ha  di  buonojogni  altro  be- 
Ognl  altro  ben,  che  a desiare  invoglia,  [ne, 
Allin  sazia  il  desio  quando  s' ottiene. 

Sol  quel  desio,  che  di  beltà  germoglia. 
Cresce  in  godendo,  e vie  maggior  diviene. 
Sempre  amor  novo  a novo  bel  succede, 
Tàuto  più  cerca,  quanto  più  possiede. 

Giogo  caro  c leggier,  leggiera  salma , 
Prigionia  grata  c tirannia  soave. 

In  qualuhqnc  altro  affar  perder  la  palma 
Altrui  rincresce  e Tesser  vìnto  è grave. 

A quest’  Impero  sol  qual  più  grand’  alma 
Soggiace,  e d’ubbidir  sdegno  non  bave. 
Non  è cor  sì  superbo,  o si  rubcllo. 

Che  ngn  sì  pieghi  c non  s’ inchini  al  bello. 

Violenza  gentil,  che  opprime,  aSfena, 
Tira,  sforza,  rapisce,  eppnr  non  noce. 
Tosco  vital , che  nutre  ed  avvelena, 

E senza  danno  al  cor  passa  veloce , 
Magìa  del  del  che  incanta  ed  incatena, 

E non  ha  mano  e non  ha  lingua,  o voce. 
Voce,  che  muta  persuade  e prega  , 

Man , che  senza  legami  annoda  e lega. 

Un  sol  guardo  cortese , un  atto  pio 
Di  bella  donna,  mille  strazj  appaga. 

Fa  subito  ogni  mal  porre  in  obblìo. 
Lodar  T incendio  e benedir  la  piaga, 
r.iipido  di  penar  rende  11  desio , 

E del  proprio  dolòr  T anima  vaga , 

Ed  noni  dì  vita  c di  conforto  privo 
È possente  a tornar  beato  e vivo. 


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L’ADONE. 


Queste  è quel  lume,  che  innamora  e 
E fa  corona  all' anime  contente,  [piace, 
Nè  foco  In  damma,  nè  fatilla  in  face. 

Nè  stella  in  ciel , nè  Sole  in  oriente 
Arde  in  si  puro  incendio  c si  vivace, 

Che  agguagli  il  dolce  arder  che  <|uì  si  seme. 
Sono  astratte  sostanze  e lucìd’ ombro, 

DI  ogni  Impaccio  terreti  libere  c sgombre. 

Son  delle  donne  più  famose  e belle 
Tutte  raccolte  qui  l’alme  beate. 
Perocché  per  fatai  legge  di  stelle 
Quante  giammai  ne  sicno,  o ne  son  state, 
Quelie  che  nacquer  gii  mill'anni,  e quelle 
Che  nasceran  nella  futura  etalc, 

.Son  (come  qui  le  vedi}  a schiera  a schiena 
Tutte  quante  dovute  alla  mia  sfera. 

E se  vago  sei  pur  di  mirar  come 
Liete  sen  van  per  questa  piaggia  aperta, 
E vuoi,  che  alcuna  io  ne  disegni  a nome. 
Meco  non  ti  rincresca  ascender  l-’erta. 
Quivi  di  quante'  scorgi  aurate  chiome 
Contezza  avrai  più  manifesta  e certa, 
Chè  meglio  apparirà  ; benché  remota) 
Qualunque  fia  tra  lor  degna  di  nota. 

Ciò  detto,  ad  un  poggiiiol  poggjaro  in 
Delle  rupi  più  basse  e più  vicine,  [cima 
Ma  qoal,  segui  Ciprigna,  elegger  prima 
Del  bel  nunier  degg’  io,  che  è senza  line  7 
0 qiiai  più  stimerò  degne  di  stima? 

Le  Barbare,  le  Greche,  o le  Latine 
Fra  tante  le  più  belle  e nobii  donne, 

(.he  abbia  il  (’Jel  destinate  a vestir  gonne  ? 

Tu  vedi  ben  colei , che  tanta  luce 
Fra  r altre  tutte  di  bellezza  ha  seco. 

R la  famosa  suora  di  Polluce , 

Flebil  materia  al  gran  poeta  cieco. 

Vedi  Briseida^che  il  più  forte  duce 
Fe’  sdegnoso  appartar  dal  campo  greco. 
Polissena  la  segue  c va  contenta,  [ta. 
Chè  l’ ira  ostil  col  proprio  sangue  ha  spen- 

L’altra,  che  alquanto  ha  turbatetto  il  cl- 
E la  vezzosa  vedova  alTric.ina , [gito. 
Del  mio  ramingo  ed  agitalo  figlio 
Fiamma  quasi  maggior  della  troiana. 

Tien  nella  destra  i|  ferro  ancor  vermiglio. 
Nè  la  piaga  del  petto  in  tutto  è sana; 

E in  tanta  gioia  pur  mostra  la  vista 
D' il  a,  d’ odio,  d’  amor,^di  aOTanuo  mista. 


Quellache  ha  in  man  dite  serpi, c tanta  do- 
Lussiiria  trae  di  barbaresche  spoglie,  [pò 
E pende  nel  color  dell’Etiopo, 

.Ma  col  suo  bruno  all'Alba  il  pregio  toglie, 
E il  nero  crine  all’uso  di  Canopo 
Sotto  un  diadema  a più  colori  accoglie; 
Del  grande  Antonio  amica,  è Cleopatra, 
Che  l'ha  di  sua  beltà  fatto  idolatra. 

Danae  è colei,  che  semplicetta  accolse 
.Nel  grembo  virgiiial  l'oro  impudico. 
Quella  è l' incauta  Semele,  che  volse 
Mirare  in  Irono  il  non  ben  nolo  amico. 
Ecco  Europa  colà , da  cui  già  tolse 
La  più  nobii  provincia  il  nome  antico. 
Eccoti  Leda  qui,  che  si  compiacque 
Del  bianco  augello,  ond'Elenapoi  nacque. 

Vi  è Dianira,  che  si  duul  delusa 
Di  avere  ucciso  l' iiccisor  di  .Anteo. 

Havvi  Arianna,  che  l'inganno  accusa 
Del  troppo  ingrato  e perfido  Teseo, 
Guarda  Andromeda  poi  che  non  ricusa 
Il  lido  suo  liberator  Perseo. 

Ed  Ero  guarda,  che  da  lido  a lido 
Trasse  più  volte  il  nuotator  di  Abido. 

A edi  una  turba  di  progenie  ebrea 
Tutta  in  un  gro|)po,  che  laggiù  cammlila? 
In  queste  sol,  die  il  fior  son  di  Giudea, 
Arde  di  santo  amor  fiamma  divina. 

V ha  Uebecca  c liachele  c Betsabea, 

Havvi  Susanna,  Ester,  Dalila  e Dina* 

E Giuditta  è Ira  lor  la  vedovella 
Feroce  e formidabile,  ma  bella. 

Mira  il  tragico  ardor  del  pria  crinlele. 
Poi  ripentito,  anzi  arrabbiato  Erode, 
Marianne  gentil,  che  le  querelo 
Del  fiero  amante  di  quas.sù  non  ode. 
L’altra  che  d’aver  tolto  al  suo  fedele 
Il  bel  trionfo  insuperbisce  e gode. 

Io  dico  a Tito  il  buono,  è Berenice, 

Che  del  gran  vincitore  è vincitrice. 

Or  ti  addilo  di  beile  un  altro  coro. 

Non  meno  accese  in  amoroso  rogo. 

La  gran  donna  del  Lazio  è madre  loro. 
Cui  por  s’aspetta  all' universo  il  giogo. 
Livia  d' Augusto  è prima  infra  costoro. 
Messalina  di  Claudio  ha  l’altro  luogo, 
Senza  niill' altre  ancor,  chè  ne  tralascio 
Per  restringer  gran  massa  in  piccol  fascio. 


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190 

LaMÌar  però  non  voglio  una  che  solto 
La  manca  poppa  insanguinata  c guasta 
Ha  (li  punta  mortale  il  fianco  rotto , 
Lucrezia,  ancorché  fama  abbia  di  casta. 
^on  so  se  ha  come  il  corpo,  il  cor  corrotto. 
So,  ehc.  alla  forza  altrui  poco  contrasta  ; 

, E so,  che  col  pugnai  non  s’ apre  il  petto , 
(^e  gustar  pria  non  voglia  il  mio  diletto. 

No  no,  non  già  per  ira  il  sen  si  fiede , 
Che  abbia  (li  so  ben  dir)  contro  il  tiranno. 
Per  vendicar,  siccome  il  volgo  crede, 
Con  un  colpo  il  suo  torlo  c il  enraun  dan- 
Fallo  sol  per  dolor,  perchè  s*  avvede  [no. 
Pur  troppo  tardi  del  suo  sciocco  Inganno, 
Che  n'ha  passata  per  follia  d’onore 
Senza  tanto  piacer  l'età  migliore. 

% 

Volgili  a Fausta , che  di  foco  infausto 
Percagion  del  ligliaslrohailcorlant’arso, 
Che  convten , che  di  Amor  fatto  olocausto 
Crispo  l’estingua  col  suo  sangue  sparso. 
Il  tempo  a dime  lame  è troppo  esausto , 
L’ occhio  a segnarle  tutto  è troppo  scarso. 
Lascio  l’ aniirs  schiera  e passo  a quella , 
Che  dee  nobilitar  l’ età  novella. 

Tra  i più  chiari  splendor  delle  moderne 
Vedi  là  scintillar  Ciidia  Gonzaga, 
bell’  immensa  beltà  che  in  lei  si  scerne , 
Potrà  far  solo  il  grido  incendio  e piaga , 
Ed  al  fler  Soliman  le  fibre  interne 
Strugger  dell’  alma  innamorala  c vaga , 
Onde  per  adempir  gli  alti  desiri 
Verrà  lo  Scita  a ber  Tonde  di  Liri. 

Vedi  duo  rami  del  medesmo  stelo , 

Una  coppia  reai  di  Margherite , 

Sol  per  bear  la  terra  elette  in  cielo, 

E far  di  casto  amor  dolci  ferite. 

Quella  che  è prima  e di  purpureo  velo 
Le  scbicltc  membra  c candide  ha  vestile. 
Indorerà  con  luce  ardente  e rbiara 
E del  secolo  il  ferro  e di  Ferrara. 

L’ altra, che  inanoa  man  sccocongiunge, 
Di  Lorena  felice  i |voggi  onora. 
Folgoreggia  il  bel  volto  ancor  da  lunge , 

E di  lume  divin  tutto  s’infiora. 

Amor  non  cura,  eppur  saetta  e punge. 
Ed  altrui  non  volendo,  uccide  ancora. 
Mira  con  che  ridente  aria  soave 
Tempra  il  rigor  del  portamento  grave. 


♦ ■ 

Ecco  d’ogni  beltà , per  cui  beata 
Eia  Novellara,  un  novo  mostro  e strano. 
Per  immagin  formar  si  ben  formala 
Dei  gran  pittor  s’avvantaggiò  la  mano. 

Di  Amor  guerriera  e di  faville  armata 
Fa  piaghe  ardenti,  onde  si  fugge  invano. 
Ogni  sna  parulctla,  ogni  suo  sguardo 
Fulmina  una  facella,  avventa  un  leardo. 

Isabella  la  bella  è costei  detta. 

Che  dalle  prime  due  non  si  dilunga. 
Disponi  il  cure,  o gran  Vincenzo , aspetta 
Cile  un  suo  raggio  per  gli  occhi  al  cor  ti 
Saprai  di  quale  ardor  di  qual  saelta[giunga. 
Dolcemente  mortai  riscaldi  e punga. 
Venga  a mirar  costei , chi  non  intende 
Come  si  possa  amar  cosa  che  oflende. 

Che  lume  è quel  che  trae  di  lampi  un  neiii- 
Checandid'ombra?  c di  che  rai  si  veste?[bo- 
Porta  nel  volto  Amor,  leGrazie  in  grembo, 
E nulla  ha  di  tcrrcn,  tutta  è celeste. 

SI  sì,  tien  scritlo  nelT aurato  lembo. 

La  fenice  del  Po,  Giulia  da  Este. 

0 del  mondo  cadente  ultima  S|>CDie, 

Prole  gentil  dell’ onoralo  seme  I 

Oh  pome  la  vegg’io  folgor  divino 
Tra  mille  balenar  luci  lombarde! 
Fincli’uom  degno  di  lei  trovi  il  destino. 
Scompagnala  trarrà  Tore  più  tarde. 
Quasi  tra  perle  lucido  rubino, 

Da  lin  or  circoscrlllo,  avvampa  ed  arde. 
Quasi  rosa  Ira  i fior,  che  in  fresca  sponda 
Fonila  llSol,niolcc  l’aura  e nutre  Tonda. 

Ecco  del  Tebro  una  pregiata  figlia. 
Onde  la  gloria  Aldobrandina  Irraggia, 
Idolo  della  terra  e meraviglia 
Di  qiiesu  lieta  c fortnnata  piaggia. 

Volge  T arciere  e sagittarie  ciglia 
Bella,  nè  inen  che  bella,  onesta  e saggia. 
Ride  il  bel  volto,  e quasi  un  elei  si  ammira. 
Che  le  stelle  paterne  intorno  gira. 

AKre  due  ne  van  seco  in  una  schiera  , 
Che  le  scDibran  compagne,  c son  sorelle. 
Colei,  elle  più  si  accosta  alla  primiera , 
Apre  al  verno  maggior  rose  novelle. 
L’altra  iiicontraiido  la  più  chiara  sfera. 
Fa  quel  del  Sol,clTei  fa  dell’ altre  stelle. 
Farà  la  prima  il  Taro  adorno  c lieto, 
Dell’ altre  due  si  arricchirà  Sebeto. 


MARINO. 


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* L’ADONE.  191 


Ornai  Savoia  agli  oiior  suoi  mi  appella, 
E quaUro  Dive  a rimirar  m'invila, 
Caterina  e Maria  con  isabella , 

E Ja  maggior  di  tulle  è Margherita. 

Qual  Paride,  che  scelga  or  la  più  bella? 
Qual  lingua  fia  di  giudlcariu  ardita? 

Per  queste,  onde  risona  c Tile  e Dallro, 
Le  Graiie,  die  son  tre,  divcrraii  quattro. 

^ L’Aurora  ti  parrà,  se  quella  vedi,  [iia. 
Quaod'elia  il  pigro  suo  tecciiioabbando- 
Se  questa  prendi  a risguordar,  la  credi 
La  bella  o bianca  Gglia  di  Laiona. 

Se  dell’altra  di  lor  notizia  chiedi, 

E miri  lo  splendor  die  l'incorona. 

Dirai , che  a mezzo  giorno,  a mezza  state 
Ha  minor  lume  il  luminoso  frale. 

Mala  perla,  eh’ io  dico,  ai  cui  gran  pregi 
L’ Indo  stupisce  e l' Oriente  ha  scorno. 
Dagli  antidii  tcsor  di  cento  regi 
Uacila  a risdiiarar  d’  Europa  il  giorno; 
Quella,  che  dee  di  preziosi  fregi 
Far  del  gran  figlio  mio  l’erario  adorno, 

E tal,  che  mai  non  ne  produsse  alcuna 
La  conca,  ove  nascendo  ebbi  la  cuna. 

Amor  dirà,  che  il  paragone  è vile, 

A cui  tanto  di  questa  il  caiidor  piacque, 
Che  al  suo  povero  sen  ne  fe’ monile, 

E nel  foco  alhnolla  e non  nell’  acque. 
Dirà,  che  questa  sua  perla  gentile 
Tzà  l’ onde  no,  ma  tra  le  stelle  nacque. 
Eche  il  del,  perchè  vince  ogni  altra  stella. 
Vuoisi  Invece  del  Soie,  ornar  di  quella. 

Il  più  lucido  fli  del  vello  aurato 
Per  porla  innohii  filza,  ha  Cloto  attorto  ; 
E per  legarla  il  più  flit  or  pregiato 
UaScelto  Amor  die  abbia  l' occaso  o l’ orlo. 
Ma  legge  vuol  d'irreparabii  fato. 

Che  in  breve  il  suo  signor  rimanga  morto  ; 
Nè  potendo  ella  distemprarsi  io  (lianto. 
Piangali  sangue  per  lei  Torino  e Manto. 

Quell' altra  che  somiglia  altera  e sola 
L' unica  verginella  peregrina, 

Qualor  le  piume  ha  rinnovale  e vola 
A visitar  la  region  vicina , 

Matilda  è poi,  d' Emanuel  figliuola, 

Ne'  cui  begli  occhi  Amor  gli  strali  aUhia; 
Ed  a cui  diè  di  sua  beltà  superna 
Quanto  pub  dar  Itiunipoteoza  etenia. 


Quegli  occhi  vaghi  e di  doicezzaardenli. 
Per  cui  fia  più  del  del  bella  la  terra. 
Struggerai! , non  che  I cor,  le  nevi  algenti, 
Che  dell' Alpi  canute  il  cerchio  serra. 
Moveran  cou  tal  armi  e sì  pungenti 
Contro  Palme  ritrose  assalto  e guerra, 
Che  torran  lor  lidi' amorosa  impresa 
E r ingegno  e la  fuga  e la  difesa. 

Vedi  un  rivaggio,  che  dell'erba  fresca 
Ripiegando  le  cime,  il  prato  bagna. 
Quivi  agli  amori  Amore  istesso  adesca 
Quanto  avran  mai  di  bello  Italia  e Spagna. 
Quivi  fiorisce  ogni  beltà  donnesca , 

Ma  forz'è,  ebe  di  dirne  io  mi  rimagna, 
Cliè  all'occhio,  che  non  ben  tante  n'aceo- 
La  lontananza  e lo  splendor  le  toghe,  [gilè 

Pur  non  conv  icn,  die  con  silenzio  io  passi 
Quelle  che  soo  Ira  l' Alpi  e I Pirenei. 

E prima  alla  mia  vista  incontro  fassi 
Alma,  che  co’  suoi  lumi  abbaglia  i miei. 
Sola  degna , a cui  ceda  è il  pomo  lassi , 
Cile  011011111  dal  paslor  de'  boschi  idei. 
Margherita  Valesia,  il  cui  valore 
E tesor  di  virtù,  pompa  d'onore. 

Qucsl’allra  pcriadie  qual  Sol  fiammeggia. 
Ragion  non  è eh’  io  del  mio  dir.  defraudo. 
Benché  di  ini  tal  soggetto  io  benmiavveg- 
Con  le  parole  estenuar  la  laude.  [già 
Oh  con  qual  grazia  e maestà  passeggia. 
Come  stupido  il  Cicl  tutto  l’ applaude-! 
Tanti  spirti  reali  intorno  piove. 

Che  par  la  sfera  mia  sfera  di  Giove. 

Ma  par  negli  alti  si  contristi  c dolga, 
E va  turbala  c disdegnosa  alquanto 
. Che  senza  morte  si  rallenti  e sciolga 
Quel  nudo , onde  la  strinse  Imeneo  santo  ; 
K che  altra  a un  punto  le  rapisca  e tolga 
Di  Gallia  il  regno  e di  heltade  il  vanto. 
Onde  perdere  in  un  deggia  per  quella 
E di  reina  il  titolo  e di  bella. 

Più  oltre  , oh  che  divin  volto  vegg’io. 
Il  cui  grave  rigor  modera  e molce 
Di  benigna  letizia  un  raggio  pio, 

E d'onesto  sorriso  un  lampo  dolce! 

EU’  è Carlotta , ardor  del  regno  mio , 

Cile  gli  onor  di  Coiidè  sostiene  e folce; 
Nume  degno  di  altari  e che  si  adori 
Con  sacrifici  d’aiiiiiic  c di  curi. 


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MARINO. 


192 

Dal  ciclo,  011(1’  esce  il  gran  fanal  di  Deio, 
Alla  riva  che  è meta  a sua  fatica, 

E dai  pigri  Trioni , ove  di  gelo 
La  Tana  il  piede  incristallito  implica. 

Fin  dove  «otto  II  più  cocente  cielo 
Ferve  dì  Libia  la  pianura  aprica; 

Beltà  non  v’ha,  che  più  siaintniriepregi,. 
Possente  ad  infianimar  l’ alme  dei  regi. 

Aguzza  il  guardo  pur,  se  pur  da  tante 
Luci  esser  può,  che  non  languisca  offeso; 
E guarda , che  a (|uel  .Sol  che  avrai  davan  te. 
Non  resti  o l’occhio  cieco,  o il  core  acceso. 
Vedrai  Maria  Borbon , dal  cui  senibianto 
Il  modello  del  bel  .Natura  ha  preso. 

Beltà , che  far  potrebbe  In  forme  nove  ^ 
Spuntar  le  cornac  nascer  l’ali  a Giove. 

V 

Questa  degli  avi  suoi  degna  nipote , 
Farà  di  Monpensier  più  chiari  i figli.'  - 
Hanno  ancor  mollo  a volger  ipiestc  role 
Pria  che  nasca  laggiù  chi  la  somigli. 

Bella  onestà  le  impor|)ora  le  gole , 

Ma  confonde  alle  rose  I patrj  gigli. 

Fa  bealo  l’ inferno  il  suo  bel  viso, 

E poh  le  pene  eterne  in  paradiso.  ' 

Risguarda  or  (piella  iii'iimiltà  superba 
Sotto  càndido  vel  fronte  serena 
Qiianl’  aspetto  reai  ritiene  e serba , 

E la  vaga  Luigia  di  Lorena. 

Dell’  angelica  vista  aUpianto  acerba , 

E del  bel  guardo  la  licenza  alTrena; 

Ma  la  forza  del  foco  c dello  strale. 

Che  passa  i cori , ad  alTrcnar  non  vale. 

Per  questa  il  mio  reame,  il  suo  lignaggio 
Non  mgn  d’onor,  che  di  beltà  florisce. 
Vince  parlando  ogni  rigor  selvaggio. 

Le  tigri  umilia  e gli  aspidi  addolcisce. 
Tempra  gli  smalli  col  benìgiiQ  raggio. 
Scaldai  ghiacci , apre  i marmi,  icorrapi- 
.\mor,  questi  miracoli  soii  tuoi,  [sce. 
Gilè  in  virtù  de’  begli  occhi  il  tutto  puoi. 

Mira  quell’aura,  che  con  schivi  gesti 
Dal  commercio  eomnn  sen  va  lontana. 
Agli  atti  gravi,  agli  andamenti  onesti 
Sfaretrala  talor  sembra  Diana. 

Ma  per  qiiaulo  comprendo  ai  rai  celesti , 
È la  Dea  Gaterina,  alma  sovrana, 
fihc  in  sé  romita  e dallo  stuol  divisa 
Fa  di  si  sol  gioir  Gioiosa  c Guisa. 


Anna  obbliar  dISuesson  non  deggio, 
Ornamento  eislupor  della'mia  corte. 
Languir  per  lei  d’ amor  mill’ alme  veggio, 
E veggio  al  nascer  suo  nascer  la  morte. 
0 delle  glorie  mìe  colonna  e seggio , 

0 maniere  leggiadre , o luci  accorte'! 
Dove  di  quelle  luci  il  Sol  non  giri , 

Altro  eh’  ombre  non  vede,  occhio  che  miri. 

Fisa  la  vista  e era’  più  densi  rai 
Enrichelta  Vandoma  intento  mira  , 

E due  d’amor  luciferi  vedrai , 

Glie  invece  d’occhi  la  sua  fronte  gira. 
Due  giardini  di  fior  non  secchi  mai 
Veston  le  guance , onde  dolce  aura  spira. 
Ride  la  bocca,  onde  puoi  ben  vederle 
In  osici  di  rubili  chiostri  di  jiCrle. 

E che  dirò  di  quella  nobil  ombra. 

In  cui  tanto  di  lume  Apollo  Infuse, 

Che  di  Safo  e Gorinna  i raggi  adombra, 
E gloria  accresce  c numero  alle  Muse  ? 
Anna  lloana,  che  d’un  lauro  all’ ombra 
Le  suore  seco  a gareggiar  ben  use 
Sfida  a c.vnlar  con  que’  celesti  accenti. 
Che  dei  fogo  d' amor  son  sì  cocenti. 

Tacerò  poi  fra  tante  lampe  eccelse 
Quella,  onde  Boccaforte  arde  c sfavilla  7 
Per  crear  (|uesla  luce , il  GicI  sì  svelse 
bel  destro  lume  runica  pupiHa. 

Se  ancor  verde  ed  acerba  Amor  la  scelse 
Per  arder  Palme  e sol  d’ardor  nutrillà. 
Deh  che  fia  poscia  e qual  trarranne  arsura 
Quando  alle  liamiiie  sue  sarà  matura? 

Ma  dove  lascio  un  altro  lume  chiaro  7 
Maria,  de’  Monbasoni  egregia  prole? 
Grazia,  che  .stia  di  tanta  grazia  al  paro. 
Non  mira  in  quanto  mondo  alluma  il  Sole. 
Le  doti  illustri  dello  .spirto  raro 
Raccontar  non  si  lasciano  a parole. 

Dir  di  lei  non  si  può , che  non  s’  onori , 
Onorar  non  si  può,  che  non  s’adori. 

Incoinposla  bellezza  e semplicctla 
Parte  si  scopre  in  lei , parle  sl  chiude. 
Ignudo  Amor  nel  vago  viso  alletta  , 

Le  Grazie  nel  bel  sen  scherzano  igiinde. 
(àirtese  orgoglio  e maestà  negletta  , . , 
Maniere  insieme  e mansuete  e crude , 
Gravità  dolce  e gentilezza  onesta 
Bella  la  fan , ma  in  sua  beltà  modesta. 


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193 


L’ ADONE. 


A queste  teorie  aggiunti,  a queste  lodi 

I pregi  del  magnaniuio  marito , 
lo  dico  Carlo , che  con  saldi  nodi 
D’yinor  santo  e pudico  è seco  unito , 

E Pun  Tassi  dell'altro  in  dolci  modi 
Di  scambievole  onor  fregio  gradito , 

(^n  quel  lume  reciproco  fra  loro,  [oro. 
Cbf  oro  a gemma  raddoppia  e gemma  ad 

0 dei  Rodano  altero , inclito  figlio , 

Per  cui  di  gloria  il  Gallo  impenna  l’ali. 
Signor  degno  di  scettro,  il  cui  consiglio 
Volge  la  chiave  de’  pensicr  reali; 

II  cui  sommo  valor  farà  dal  giglio 
Sovente  pullular  palme  immortali  ; 

Dritto  fia  ben,  che  d’ ogni  gioia  colmo 
Stringa  si  bella  vite  un  si  degn’  olmo. 

E qui  Venero  tace , indi  gli  addita 
In  disparte  un  drappel  di  donne  elette  ; 

E fra  lor,  come  capo , è reverila 
Una  , che  trae  per  man  tre  pargolette. 
Tien  composta  negli  atti,  a bruii  vestila 
l.e  bionde  trecce  In  fosco  vel  ristrette; 

E diadema  reale  ha  sulla  chioma 
Di  tre  gigli  fregiato  e di  sei  poma. 

Son  le  fanciulle  alla  beltà  materna 
E nel  volto  e nel  gesto  assai  sembianti  ; 

E in  fronte  alla  maggior  par  si  discerna 
Cerchio  dì  gemme  illustri  e scintillanti , 

. Sicché  d’ Apollo  la  corona  eterna 
Tempestata  non  è di  raggi  tanti , 

Onde  nel  tutto  à lei  si  rassomiglia 
Di  si  gran  genitrice  emula  flgiia. 

Tal  dove  l’ ombre  trionfali  spande 
La-pianta  amica  a Giove  e cdra  al  Sole , 
Sotto  il  suo  tronco  verdeggiante  e grande 
Tenera  sorge  e gioviiKtta  pro.le; 

Tal  rosa  ancor  non  atta  alle  glilrlande 
Non  aperta  e non  chiusa  in  orto,  suole 
Spiegando  all’aura  i suoi  novelli  onori. 
Dalla  madre  imparar  come  s’ inSori. 

Parve  (pa  le  più  degne  c più  leggiadre 
Questa  ad  Adun  la  più  leggiadra  e degna  ; 
Onde  rivolto  alla  benigna  madre 
Del  piccioi  Dio, che  nel  suo  petto  regna; 
Chi  è colei,  che  fra  si  belle  squadro. 
Disse,  d'  ogni  beltà  porta  l' insegna 7 
Colei,  che  in  vista  alTabihiienle  altera 
Guida  l’illustre  ed  onorata  schiera? 


IBen  reina  mi  par  delle  reine , 

Cotanta  in  lei  d’onor  luce  risplende, 

I Ed  ha  tre  fanciullette  a sè  vicine, 

I In  cui  l’efligie  sua  ben  si  comprende. 

E coronata  d’ or  l’ oro  del  crine , 

Vasscnc  avvolta  in  tenebrose  bende, 

E sotto  oscuro  manto  e bruno  velo 
Può  d’ ogni  lume  impoverire  il  cielo. 

Adone,  ella  risponde , io  ben  vorrei 
Spegner  la  sete  al  bel  desir,  che  mostri, 
Ma  scarsi  sono  a favellar  di  lei  [stri. 
Non  che  gli  accenti,!  più  facondi  lncbio> 
Non  han  luce  più  chiara  I regni  mici , 

Non  vedran  più  bel  Sul  mai  gli  occhi  vostrL 
Con  voce  di  diamante  e stil  di  foco. 

Cento  lingue  d'acciarne  dlrian  poco. 

Altre  volte  sovvicmmi  aver  narrato 
Qual  d'eccellenze  in  lei  cumul  si  serra. 

Oh  quante  palme,  oh  quanti  allori  il  Fato, 
Nella  futura  età  le  serba  in  terra! 
àia  di  quanti  travagli  il  mondo  armato 
Per  maggior  gloria  sua  le  farà  guerra  ! 

Che  non  può  l'alta  grazia  e il  buon  consiglio 
E del  provvido  ingegno  e del  bel  ciglio? 

Ma  di  sue  lodi, a cui  di  par  non  m’ergo, 
Dar  ti  potrà  colei  miglior  novelle , 

Dico  colei , che  tu  le  vedi  a tergo 
Tra  il  lido  siiiol  delle  seguaci  ancelle. 
Fama  si  appella  e tien  sublime  albergo 
Là  nell'ultimo  del  sovra  le  stelle. 

Dove  sorge  fondata  immobilmente 
Di  diamante  immortai , torre  eminente. 

Olimpo  a Giove  ingiurioso  monte. 
Atlante  delle  stelle  alto  sostegno, 

Pelia,  che  altrui  fu  scala,  Ossa,  che  ponte 
Per  assalir  questo  superno  regno, 

L’ Emo,  il  Libano,  il  Tauro,  o qual  lafronte 
Erge  a più  eccelso  Inaccessibil  segno. 
Fora  a questa  d’altezza  ancor  secondo,- 
Che  passa  il  ciel,  clic  signoreggia  il  mondo. 

Entrale  iiinumcrabili  ha  la  rocca , 

E il  tetto  e il  muro  in  molte  parti  rotto, 

DI  bronzo  usci  c balconi , e non  gli  tocca 
(Che  gran  romor  non  faccia)  aura  di  molto. 
Tosto  che  esce  il  parlar  fuor  d’ una  bocca , 
A lei  per  queste  vie  passa  introdotto, 

E forma  quivi  un  indistinto  suono, 

I Come  suol  di  lontan  tempesta , o tuono. 

» 


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194  MARINO. 


QuWi  la  pose  11  gran  Rctlor  de’  cieli, 
Quasi  guardia  fedel,  cauta  custode. 
Pecchi  ciò  che  si  fa  scopra  c riveli, 
Nunzia  di  quanto  mira  c di  quant'ode. 
Cosa  occulta  non  i , che  a lei  si  celi , 

E dì  confomie  all'  opre  o biasino,  o lode. 
Se  si  move  aura  in  ramo,  in  ramo  fronda, 
Esser  non  può , che  da  costei  s’ asconda. 

Dell' umane  memorie  ombra  seguace 
Sctìipre  avvisa,  riporla  c parte  e riede, 
Ni  riposa  giammai , ni  giammai  tace, 

E piò,  quanto  più  cresce , acquista  fede. 
Garrulo  Nume  c spirilo  loquace , 

Vita  de’  nomi  e di  si  stessa  crede , 
Possente  ad  eternar  gli  eroi  pregiati , 

E far  presenti  i secoli  passati. 

Generolla  la  terra  c co’  giganti 
Nacque  in  un  parto  orriliili  c feroci. 

Dea,  che  quant’ occhi  intorno  lia  vigilanti. 
Tanti  ha  vanni  ai  volar  presti  c veloci , 

E quante  penne  ha  volatrici  c quanti 
Luòii,lanteaiicohaiingue  c tante  ha  voci 
E tante  boccile  e tante  orecclilc , ond’  ella 
Tutto  spia,  tutto  sa,  tutto  favella. 

Picciola  sorge  c debile  da  prima. 

Poi  s’  avanza  volando  e forza  prende. 
Passa  l’aria  c la  terra  c su  la  cima 
Poggia  de'  letti  e fra  le  nubi  ascende. 

E per  varj  idiomi  in  ogni  clima 
Pari  al  guardo  ed  al  volo  il  grido  stende. 
Di  ciò  che  altri  mai  fa , di  ciò  che  dice 
0 di  buono,  o di  reo  pubblicalricc. 


La  sollecita  Dea , cui  del  desio 
Del  bellissimo  Adon  nulla  è nascosto, 

E che  quando  l'alato  e cieco  Dio 
Il  congiunse  alla  madre,  il  seppe  tosto; 
Ben  di  lontan  la  sua  dimanda  udio, 

E quanto  Citerca  gli  avea  risposto; 

Ond’ una  ailor delle  sue  cento  lingue 
Sciogliendo,  il  ragionar  cosi  distingue  i 

Volgi,  o mortale,  ov  e quel  Sol  lampeggia 
Di  bellezze  e di  grazie'uuico  c solo. 

Gli  ocelli  felici,  c la  liciti  vaglwggia , 
Che  alza  i più  pigri  ingegni  a nobii  volo. 
Dico  quel  Sul , per  cui  dolce  fiammeggia 
La  terra  e il  ciclo  e l' un  e l' altro  polo  ; 
Quel  vivo  Sole,  alla  cui  chiara  lampa 
Senna  senno  nou  ha,  se  non  avvampa. 

Questa  è l’ eccelsa  e gloriosa  donna , 
Che  accoppia  a regio  scettro  animo  regie. 
Gran  rciiia  de’ Galli , c delia  gonna, 

E del  sesso  imperfetto  eterno  pregio. 
Dell'  inferma  Virtù  stabil  colonna , 

Dell’ eli  rugginosa  unico  pregio; 
Esempio  di  belli,  nido  d' Amore, 
Specchio  di  caslilì , fonte  d’ onore. 

Dal  gran  centro  del  elei  lunga  catena 
Di  bel  diamante  inanellata  pende. 

Con  questa  Amor,  che  l’ universo  affreDa, 
Annoda  altrui  soavemente  e prende. 

Per  questa  l'uom  dalla  beltà  terrena 
D'un  grado  in  altro  alla  coleste  ascende, 
E di  questa  quel  bel , che  in  lei  s’ammira. 
Un  amo  è d'or,  die  qui  l’ anime  lira. 


Questa , che  deve  a tulli  quattro  i venti 
Far  poi  la  gloria  sua  chiara  c solenne, 
Soddisfaralli  In  più  dilTusi  accenti. 

Cosi  detto  chiamnila  ed  ella  venne. 
Battca  per  le  serene  aure  ridenti 
Con  moto  infaticabile  le  penne. 
L’occhiuto  augel  rassomigliava  aH’ali, 
Che  (S  varie  floriaii  gemme  immortali. 


Quest’  amo  ascose  infra  suoi  strali  Amore 
In  quel  divino  e maestoso  aspetto  , 

In  cui  di  due  bellezze  un  «loppio  ardore 
Abbaglia  ogni  pensier,  scalda  ogqi  affetto, 
L'una  di  nubii .fiamma  accende  il  core. 
L’altra  è degli  occhi  un  reverito  oggetto; 
E quel  gemino  bel  si  ben  si  mesce , 

Che  qual  foco  per  foco  incendio  cresco. 


Di  tersa  luce  e folgorante  accesa 
Brando,  a’  cui  lampi  il  Sol  perdea  di  molto, 
Stringea  nell’ una  man,  l’altra  .sospeso 
Reggca  dal  busto  esangue  un  capo  sciolto. 
Per  la  squallida  chioma  avvinto  e preso, 
Foko  nel  ciglio  c pallido  nel  volto , 
Spirava  nebbia  ; e seppe  Adon , che  questa 
DeU’Obbliu  smeiiiuralo  era  la  testa. 


L’  una  il  cupido  senso  alletta  ia  gnisa 
Con  vivi  lampi  di  serena  luce. 

Che  empie  d’alto  piacer  chi  in  lei  s’aflìsa, 
Sebben  casti  desir  seiivprc  produce. 
L’altra  dal  career  suo  l’alma  divisa 
Di  raggio  in  raggioal  sommo  Sol  conduoe, 
Mostrandole  laggiù  sotto  uman  velo 
Quella  beltà,  che  si  contempla  in  ciclo. 


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L’ ADONE.  195 


Den  tu  prrqnoita  scaia  ancor  le  phime 
Del  tuo  basso  intelletto  alzar  potrai , 

E nello  specchio  del  creato  lume 
Ocirincreato  Investigar  I rai ; 

E del  corporeo  e naturai  costume 
L’Impiira  qualilì  vinta  d’assai. 

Di  quel  bei  cIkIìo  alla  beata  sfera 
Tornar  d' iimil  farfalla  aquila  altera. 

Laggiù  nel  arando  a soggiornar  ben  lardi 
Verrà,  ma  carca  di  raduta  salma. 

E benché  la  gentil . per  citi  tu  ardi , 
Pnasegga  di  betta  la  prima  palma. 

Si  nobili  però  non  son  que’  darli , 

(Con  pace  sna'  rite  ti  saeltan  l' alma. 

L’ una  è lasciva  Dea  , r altra  pudica  , 
L’una  madre  d’  Amor,  l’altra  nemica. 

£ tl  so  dir,  elle  allin,  poiché  avrà  mollo 
Vestile  hi  terra  le  terrene  spoglie  , 
Quando  il  ikkI»  vital  le  sarà  sciolto 
Dalla  falce  crudel , che  II  tolto  scioglie , 
Lo  suo  spino  resi  fìa  qui  raccniio 
In  questo  istcsso  ch  i,  dove  or s' accoglie; 
E (come  é legge  di  destino  demo) 

8i  usurperà  di  Venere  il  governo. 

A lei  di  questo  giro  il  grave  pondo 
Dal  sovrano  Motor  sarà  commesso , 

E d'influir  laggiù  nel  vostro  monde 
Quanto  Uiflùisce  il  suo  bel  Nume  istcsso. 
E ben  contenta  dcU'onor  secondo 
Bramerà  la  tua  Dea  di  starle  appresso  ; 
Nè  ben  possente  ad  emularla  appieno , 
Una  delle  sue  Grazie  essere  almeno. 

Potrebbon  forse  per  cessar  le  gare 
Delle  vicende  lor  partir  le  cure. 

Quella  le  notti  aildur  icrene  e chiare, 
Questa  portar  le  torbide  ed  oscure. 
Crederò  ben , che  per  Invidia  amare 
Tal  cose , ed  a solTrirle  saran  dure , 

Ma  perché  il  corso  deireteme  rote 
Porta  questo  tenore,  altro  non  potè. 

Senno  farà , se  voientier  le  cede , 

E porta  iu  pace  il  vergognoso  oltraggio. 
Poiché  pur  di  sua  stirpe  è degna  erede , 
E di  sua  luce  un  segnalalo  raggio. 

Sai  ben  di  qual  origine  procede 
Del  famoso  Quirin  l’ alto  legnaggto. 

Sai , che  d' ogni  suo  raato  é ceppo  Enea, 
Che  fu  figliuol  della  medesma  Dea. 


Tu  del  dunque  saver, che  a nascer  hanno 
Del  iHion  sangue  trolan  Palme  Ialine, 
Onde  il  Tebro  ornerà  dopo  qualch'anno 
Prosapia  di  prupagini  divine. 

Quindi  gli  AiricJ  c 1 Pier  Leon  verranno. 
Poi  d’ Austria  i regi , Indi  d'  Etniiia  alfine 
A dilatar  nel  secolo  più  fosco 
Il  romano  splendor,  Pansltiacn  e il  tosco. 

Veggio  dell' Austro  l’onorata  pianta 
Si  fatti  partorir  germi  felici , 

Clic  nell’arbor  dell'or  non  fu  mat  tanta 
Ricca  copia  di  rami  c di  radici. 

Ma  tra’ primi  virgulti , onde  si  vanta, 
Quelcheavràplùd’ognialtrol  Clell  amid. 
Sarà  Filippo , onor  di  sua  famiglia , 

Dico  colui , che  reggerà  Castiglla. 

Seguirà  Carlo,  al  fortunato  Impero 
Promosso  poi  con  titolo  di  Quinto, 

Che  di  trionfi  laureati  altero, 

E d’illustri  trofei  fregiaro  e cinto. 

Poiché  partito  dal  paterno  Ibero 
Avrà  l’ Affrica  corsa  c il  mondo  vinto. 
Romito  abltator  (T  enni  rieettl , 

Di  porrà  il  fascio  de’  terreni  affetti. 

Sottentrerà  l' altro  Filippo  al  peso 
Quasi  d’  un  novo  .\llante  un  novo  Ale!  Jc. 
Ré  tanto  a pare  ed  a virtiite  inteso 
Giammai  da  polo  a polo  II  Sul  non  vi  le. 
Questi  lo  scettro  In  Lnsitania  steso 
(Cotanto  il  Fato  a’  bel  pensieri  arride) 

In  regione  aneor  non  nota,  o vista, 

Di  là  rial  mondo  un  altro  mondo  acquista. 

Cattcrìna  vicn  poi  con  Isabella, 

Qui  le  vedi  ambedue  starsene  in  gioia. 
Onesta  va  Belgia  a far  beata , c quella 
Di  sne  bellezze  ad  ahbelHr  Savoia. 

Ecco  il  terzo  Filippo;  oh  degna,  oh  bdla 
Progenie  del  gnerrier, che  nsci  di  Troia! 
Spagna, costui  con  l'arme  c col  consiglio 
TI  fia  principe  e padre  c padre  c figlio. 

Non  fia  dima  remoto,  estrema  zona, 
Dove  lo  scettro  suo  l’ ombra  non  stenda. 
Ma  l’ampia  monarchia  della  corona 
È la  luce  minor,  che  In  lui  risplenda. 
Qud  che  sovramortal  gloria  gli  dona, 

E quella  coppia  amabile  e tremenda  , 
Pietà,  che  con  Giustizia  insicinc  alberga  ; 
Oh  di  tronco  bennato  inclita  verga! 


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19<  MARINO. 


Oh  come  a propagar  di  stelo  in  stelo 
Viensi  la  stirpe  del  gran  rege  ispano  ! 

Ecco  novo  Filippo  innanzi  II  pelo 
Già  di  novo  spavento  empie  Ottomano. 
Destina  alni  (piell’angcletla  il  Cielo, 

Che  la  donna  reai  si  tìen  per  mano, 

10  dico  delle  tre  la  meno  acerba , 

Quella,  che  ha  la  corona  a lui  si  serba. 

Ma  del  regio  Ironcon , che  si  dirama , 

11  secondo  gerntoglio  ecco  discerno. 
Fernando  il  buon , la  cui  temuta  fama 
Fia  del  Turco  crndel  terrore  eterno,  [ma, 

E perchè,  fuorché  il  giusto,  altro  nonbra- 
Sempre  rivolto  ai  rai  ilei  Sol  superno, 
Spiegherà  nel  vessillo  altero  e bello 

Del  sommo  Giove  Io  scudiero  augello. 

Lascio  Massimo  poi , trapasso  Ernesto, 
E Ridolfo  e Mattia  , del  gran  cultore 
Di  quel  più  che  altro  avventuroso  innesto 
Successori  all’ impero  ed  al  valore. 

E taccio  Alberto,  il  qual  non  lia  di  questo 
(Quantunque  ultimo  di  anni)  ultimo  onore, 
Chè  all' indomito  Reti  quel  giogo  grave. 
Che  si  duro  gli  fu  , sarà  soave, 

L’ altra  è Giovanna,  c ben  scorger  la  puoi 
Dolci  balli  menar  per  questi  campi , 
Lieta,  die  al  del  per  lei  di  tanti  eroi  [pi. 
Si  aggiunga  un  Sul  che  più  del  Sole  avi  am- 
Stupisce  i’Islr.o,  e dei  cristalli  suoi 
Stemprar  sente  lo  smalto  a si  bei  lampi , 
Mentre  passando  in  braccio  al  gran  Fran- 
Con  r italico  cici  cangia  il  tedesco,  [cesco 

Ecosi  fla,  che  un  stretto  groppo  incalme 
D’Austria  e d’ Etruria  ambe  le  piante  insie- 
Etruria,acui  non  già mennobil  alme  [me. 
De’  gran  Medici  ancor  promette  il  seme , 
Che  per  tante,  che  aduna  e spoglie  epalnie. 
Fin  di  Bisanzio  il  ficr  Soldan  ne  teme. 
Ma  quando  ogni  altro  pur  venga  mancando 
Basta  a supplir  per  tutti  un  sol  Fernando. 

Questi  non  pur  con  ben  armati  legni 
Tremar  fa  in  guerra  i più  lontani  mari. 
Di  (iorinlo  c di  Ponto  i lidi  c i regni 
Purgando  ognor  di  barbari  corsari  ; 

Ma  in  pace  ancor  dei  più  famosi  ingegni, 
E di  cigni  nutrisce  incliti  c chiari. 
Schiere  felici,  onde  per  lui  diviene 
L’Arno  Meaiidro  e la  Toscana  .Atene. 


Cosmo,  di  Caismo  ancb’  ei  degno  nipote, 
I.ascerà  dopo  lui  memorie  illustri , 

E le  genti  rubelle  e le  devote 
Domerà,  reggerà  per  molti  lustri. 

L’ oro  fla  il  men  della  sua  ricca  dote , 
Quando  con  degne  nozze  Europa  illustri. 
Copulando  I’  Esperie  e novi  onori 
Traendo  d’ Austro  la  Città  dei  fiori. 

Mira  colei,  che  alluma  e rasserena 
Tutto  di  questo  ciel  l’ ampio  orizzonte. 
Quella  fla  sua  consorte , e Maddalena 
(Leggilo  in  lettre  d’oro)  ha  scritto  in  fronte. 
Del  gran  fiume  german  limpida  vena , 

Pur  scaturita  dall'austriaco  fonte. 

Rosa  giammai  non  vagheggiò  l’Aurora 
PIÙ  modesta,  o più  bella  in  grembo  a Flora. 

Lunga  istoria  sareblve,  o bell’ Adone, 
Della  srhialta,  eh’  iodico,  a contar  gliavl. 
Giulio,  Clemente,  Ippolito,  Leone, 

E I lor  sommi  maneggi  e i pesi  gravi.  . 
Ostri,  mitre,  diademi,  elmi,  corone, 

E stocchi  e scettri  e pastorali  e chiav  i ; 

E la  linea  non  mai  rotta  dagli  anni 
De’  Lorenzi , de’  Pieri  e de’  Giovanni. 

Ma  sovra  questi  e sovr’  ogni  altro  frutto. 
Che  si  nobii  giammai  ceppo  produca  , 

Un  rampollo  gentil  sarà  prodotto. 

In  cui  taiito  valor  fia  che  riluca. 

Che  allo  splendor  del  suo  lignaggio  tutto 
Par  che  tenebre  e lume  a un  punto  adduca. 
Siccome  Sol , che  ilinfflina  le  stelle  , 

Ma  sorgendo  tra  lor,  le  fa  men  beile. 

Vi  è quel  cerchio  lucente , ove  raccolte 
Quasi  I II  aureo  epickln,  al  tr’ombre  stanno. 
Quivi  in  gran  nelibia  di  splendore  involte 
Le  miglior  di  sua  stirpe  insieme  vanno , 
E follissimo  stuol  di  molte  e molte 
Stelle  terrene  e Dee  «iietro  si  tranno  j 
Ma  di  tutte  è colei , che  le  conduce. 

La  lumiera  maggior,  I’  unica  luce. 

Quella,  che  seco  parla  c che  si  asside 
Sovra  la  rugiadosa  erba  vicina, 

E d' esser  del  bel  numero  sorride, 

Pur  con  regio  diadema,  è Catterina, 

E rintuzzar  saprà  Tarmi  omicide,  ,na. 
Che  hall  col  tempo  a sbranar  Gallia  nicsclll- 
E saprà  del  gran  corpo  in  sè  diviso 
Saldar  le  piaghe , onde  sia  (|uasi  ucciso. 


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L’ADONE.  IBT 


CoDgiiingerassi  in  nobll  giogo  e degno 
L’ una  al  secondoe  l’altra  al  quarto  Enrico. 
Non  si  turbi  però , nè  prenda  a sdegno 
Di  restar  vinta  da  costei , eh’  lo  dico  , 

E di  cedere  a lei  non  pur  del  regno 
Lo  scettro  sol , ma  d' ogni  pregio  antico  ; 
Non  pur  della  reai  giuria  e grandeua , 
Ma  la  corona  ancor  della  bellezza. 

Dell’  Istessa  brigala  eccoten  una , 

Ohe  come  singoiar  fra  l’ altre  io  sceglio, 
Qie  l’Arno  e il  Mincio  Illustra  c in  sè  raguna 
Del  fior  d’ogni  beltò  la  cima  e il  meglio; 
Gemma  d' Amore  , c senza  menda  alcuna 
Di  grazia  c di  virtù  limpido  speglio, 
Leonora,  che  onora  ogni  alto  stile, 

E desta  amore  In  ogni  cor  gentile. 

Un’  altra  Catterina  ha  in  compagnia , 
Che  come  il  volto , ha  l’ abito  vermiglio. 
Quella  c questa  del  par  sposata  Ila 
Del  sangue  d’Ocno  a genitore  e Aglio. 

Ma  vedi  come  alla  gran  suora  e zia 
Reverenti  ambedue  volgono  il  ciglio. 
Dico  a costei,  che  senza  spada,  o lancia 
Ha  sol  coD  gli  occhi  a trionfar  di  Francia. 

Dal  mare  il  nome  avrò , di  cui  fu  prole 
L’ istessa  Dea , che  ha  del  tuo  core  il  freno  ; 
E come  è di  bellezza  un  chiaro  Sole, 
Cosi  Aa  un  inar  di  mille  grazie  pieno. 
Raccorrà  in  sò  quanto  raccoglier  suole 
Di  ricco  il  mare  e di  pregiato  in  seno. 
Anzi  al  mar  darà  perle  il  suo  bel  riso. 
Oro  il  bel  crine  e porpora  II  bel  viso. 

In  ({ucslu  sol  dal  mar  fla  dlfrerente  ; 
Ricetta  ei  scogli  e mostri , ira  e furore  , 
Ma  costei  sosterrà  scettro  innocente  , 
Pien  di  clemenza  e privo  di  rigore. 

In  lei  due  vivi  Sull  lianno  Oriente  , 

Nel  mare  il  Sol  tramonta  c il  giorno  more. 
Agli  assalti  de’  venti  il  mar  soggiace, 

L’  animo  suo  tranquillo  ha  sempre  pace. 

Non  Oa  giammai  fra  le  più  degne  e conte 
Dovunque  il  volo  mio  stenda  i suoi  tratti. 
Altra  die  la  pareggi , o la  sormonle 
In  leggiadre  fattezze,  o in  chiari  fatti. 
Prudenza  in  grembo  c pudicizia  in  fronte. 
Senno  ne'  detti  e maestà  negli  alti 
Nova  As|>asia  la  fan,  nova  Mammea, 
Anzi  degna  del  del,  novella  Astrea. 


FIen  magnanime  imprese , opre  virili 
Del  suo  nobll  pensier  le  cure  prime. 

All’  ago,  all’  aspo , a’  rozzi  studj  e vili 
Non  piegherà  giammai  I’  alma  sublime. 

Ma  dalle  basse  valli  erger  gli  umili , 

I superbi  abbassar  dall'  alte  cime , 
Maneggiar  scettri  e dispensar  tesori , 
Questi  Aen  di  sua  man  degni  lavori 

Uopo,  che  molle  amomo  unga  il  bel  crine, 

0 che  barbaro  nastro  unqua  lo  stringa 
Non  avrà  già , chè  gli  ori  e I’  ambra  One 
Fla  che  col  suo  biond’  or  d’ invidia  tinga. 
Non  della  guancia  I’  animale  brine 
ArteAce  color  Aa  che  dipinga. 

Altro  che  quel  color  di  Aamme  e rose. 

Che  beltà  sol  con  onestà  vi  pose. 

Non  1n  terso  cristallo  avrà  costume 
De’  begli  occhi  arrotar  lo  strai  pungente. 
Ha  le  Aa  solo  il  cliiaro  antico  lume 
Del  suo  sangue  reai  specchio  lucente. 
Sangue  reai, che  quasi  altero  Aume, 

Di  grandezza  immortai  colmo  e possente. 
Verrà  dal  fonte  di  si  ricche  vene 
Le  belle  a fecondar  galliche  arene. 

Tenteran  Morte  rea , Fortuna  avara , 
Ambe  d’  Amor  nemiche  e di  Natura , 

Di  quest’  indilo  Sol  la  luce  chiara 
Con  benda  vedovi!  render  Oscura. 

Ma  nel  manto  funesto  assai  più  cara 
Fla  de’  begli  occhi  suol  la  dolce  arsura; 

E come  Aamma  di  notturna  sfera. 

Coprirà  doppio  lume  in  spoglia  ocra. 

Barbara  man  con  sacrilegio  infame  , 
Ferro  crudcl  con  perAda  ferita 
Dell’  Alcide  dì  Calila  il  lùglo  slame 
Troncando  [ahi  stolta  in  ciò  viepiù  che  ar* 
Oserà  di  spezzar  r aureo  legame  [dila)  ■ 
Della  più  degna  e gloriosa  vita. 

Cosi  talvolta  avvien , che  chi  di  spada 
Cader  non  può , di  tradimento  cada. 

Ma  come  a questa  Venere  novella 
Quando  il  velo  mortai  squarcerà  Morte , 
Per  esser  più  dell’  altra  onesta  e bella  , 

II  terzo  cielo  è destinato  in  sorte  ; 

Cosi  costui , che  la  guerriera  stella 
Vincerà  di  valor,  Marte  pù  forte  , 

Dei  suo  giorno  vitale  a sera  giunto, 

Fla  del  quint'orbe  al  gran  dominio  assunto. 


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» 


198  MARINO. 


Ahi  yual  allor , qual  esser  (leve  e quanto 
OMiise,  il  vostro  affanno,  il  vostro  lutto? 
Dritto  , che  resti , abhamloiiando  il  can- 
Da'sos|)ir  vostri  il  sacro  feote  asciutto,  [to. 
Dritto  È,  die  tonti  poi  cui  largo  pianto 
De’  vostri  lumi  a ricolmarsi  tutto. 

Degno  u’  i il  caso;  e se  mortai  non  siote, 
Esser  aimcu  passibili  dovete. 

Ma  die  fia  di  costei , veduto  estinto 
Sotto  un  colpo  felloii  l’Ercol  noveiJo? 

E di  sangue  reai  bagnato  e liuto 
Cbiudcrc  il  corpo  augusto  angusto  avello? 
Languirà,  piangeri , nò  phró  vinto 
Eia  il  decoro  dal  duolo,  o il  duol  nien  bello. 
Mcn  bello  il  duol  uon  Ila  nel  suo  bel  v iso , 
Che  il  festivo  screii  del  dolce  riso. 

Nè,  sebben  sola  c sconsolata  resta 
Dopo  r orrendo  c scellerato  scempio , 
Tedova  lagrimosa  in  bruna  vesta. 

Cede  il  fren  del  discorso  al  dolor  empio; 
Anzi  qual  buon  noccliieroiii  ria  tempesta, 
Di  bontà  Sole  c di  giustizia  esempio. 
Mar  di  prudenza  e di  fortezza  scoglio. 
Degli  scogli  c del  mar  rompe  l’ orgogUo, 


Ma  strano  caso  avvien,  meotre,  per  Ton- 
L’ edilìzio  mirabile  cammini , [de 
Però  clic  tra  le  cupe  acque  profonde 
L’  assorbe  la  voragine  marina. 

Ciprigna  istessa , die  nel  niar  a’  asconde, 
E dal  mar  naotpie , ed  è dei  mar  ndna , 
Crodendol  Marte,  in  quel  pamaggio  il  preti- 
Perabbracciarlo,  aUin  delusa  il  rende.  [4e 

Dal  divino  scullar  veggio  snhnato 
L’altodcstrier.che  sembra  un  piccioi  mon- 
Veggiol,  quasi  da  Pallado  intagliato,  [te. 
Far  con  la  vasta  imago  ombra  al  gran  pon* 
E meuire  quivi  in  cutalatto  annata  [te. 
Sè  medesmo  a miiar  clihia  la  fronte, 

I.’  Istesso  rree,  del  elei  fatto  guctriere. 
Non  sa  dal  liuto  suo  scegliere  il  vero. 

Ella,  ebe  dell'  artefice,  che  avanza 
Natura  istessa,  il  gran  prodigio  ammira, 
Sente  dall’  insensibile  sembianza 
Uscir  live  faville,  onde  sospira; 

E temprando  il  uiartir  eoa  la  ueinbranza. 
Dalla  seuUura,  che  si  move  c spira  ; 
Pende  immobile,  e tace,  e cosi  intanto 
Inganna  gli  ocelli , e disacerba  il  pianto. 


E del  vero  sembiante  essendo  priva  | 
( Benché  l'abbia  nel  cor  ) del  gran  marito,  j 
Procura  pur , se  non  l’ effigie  viva , 

D'  averne  almeno  un  idolo  mentito. 
Qutuido  venir  dalla  toscana  riva, 

Per  man  d’  altro  Lisippo  a sè  scolpito. 

Fa  di  pesante  c concavo  metalio 
Il  colosso  rea!  sul  gran  cavalku 


Ma  come  quella , a cui  non  d’ altro  cale, 
Cbe  in  vera  pane  euecurar  Parigi , 

Per  rkinirsi  alla  corona  australe 
Stringe  con  esso  lei  la  Fiordiligi. 

Figlia  del  gran  monarca  occidentale 
l.’  alla  sposa  sarà  del  buon  Luigi. 

Anna,  che  ne’  verd’  anni  ed  immaturi 
Fia,  cbe  agli  amii  rapaci  il  nome  furi. 


E onder  di  bronzo  ornai  più  non  bisogna 
Canne  tonanti,  o fulmini  guerrieri.. 

Anzi  couvicii, 


lormenti  ha  Marte  orridi  c fieri. 
Tempo  é,  clic  abbiano  a far  srorno  e vergo- 
Lc  statue  illustri  e isiuiulacri  alteri  [ gna 
Al  crudi  ordigni,  agli  organi  da  guerra  , 
Poiché  mercè  d’  Enrico , é |iace  in  terra. 


S’jjèWfWil,  Ltiilnlangi  hoViOriente, 

Aprii  di  puri  gigli  il  sen  le  infiera, 
r.h’  ella  porta  negli  occhi  il  Sol  nascente, 
E nelle  guance  la  vermiglia  Aurora  ; 
Poro  direi , scldien  vcracemenie 
Quanto  dir  ne  saprei , iiieiuir  non  fora. 
Ma  il  più  s’asconde  c ilmeii  che  inleis'ap- 
E la  terrena  csterìur  bellezza.  [ prezza , 


Edie  quando  per  lui  bombarde  cdnrmi 
In  aratri  c in  trofei  vedrò  cangiale , 
Poicliè  ficu  tulli  i bronzi  e lutti  i marmi 
Rosi  dal  dente  doli’  ingorda  elate, 

Per  eternar  con  gloriosi  carmi 
Del  magnanimo  re  l'oprc  ounrate. 

Non  già  d’altra  materia, od’ altre  tempre 
l.e  trombe  mie  vo'  fabbricar  per  sempre. 


Vedila  là , rhe  per  sulingtie  strade 
Spoglia  il  prato  de’  fregi,  oiid’  è vestito  , 
F.  per  crescer  bellezza  alla  briiadc 
Intrecciando  ne  va  serto  fiorilo. 

Dall’  Iben),  ove  il  Sol  tramonta  e cade  , 
Nascerà  1’  altro  Sol,  che  or  io  t’ addilo. 
Vedi  che  del  crin  biondo  il  bel  tesoro 
Come  il  fiume  paterno , ha  I’  onde  d’ oro. 


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* 


L’ADONE.  >99 


0 foce  di  bcItA  gemina  e doppia, 

A cui  taiilc  il  desilo  glorie  predice. 

Là  dove  Amor  con  nnbii  laccio  accoppia 
D’ Iberla  e Calila  il  Sole  e la  fenice  ! 
Leggiadra , augusta,  avventurata  coppia. 
Nasca  da.  voi  succcssion  felice , 

Che  con  sempre  fecondo  ordin  d’  eroi 
Susciti  in  terra  II  prisco  onor  de’  tuoi. 

Esca  sien  queste  nozze , onde  pugnaci 
Verrà  poi  Marte  ad  eccitar  faville, 

Sicché  d’ Amore  c d’imeneo  le  faci 
Fiamme  saran  di  saccheggiate  ville. 

Dal  letto  al  campo  andrassl  e'I  siion  de’baci 
Turbato  Ila  da  mille  trombe  e mille. 
Hagionarti  di  ciò  pamii  soverchio, 

Che  già  mostro  ti  fu  nell’  altro  cerchio. 

Altri  accidenti  ancor  volger  si  denno 
Pria  clic  cresciuto  il  pargoletto  giglio. 
Ella  deponga  (e  deporrallo  a un  cenno  ] 
Lo  scettro  franco , c ceda  il  trono  al  figlio; 
E la  costanza  accompagnando  al  senno  , 
Dimostri  animo  invitto  e lido  ciglio. 
Costanza  tal,  che  si  può  far  ritratto 
D’ ogni  altra  sua  virtù  sòl  da  quest’  atto. 

Ordì  qual  più  bei  lauro  ornarle  chiome? 
DI  qual  fregio  miglior  vergar  le  carte 
Speran  gl'  Illustri  spirti  ? o i|uale  al  nome 
Trarmagglor  luce  altronde,  o gloria  all'ar- 
Machc?  forano  lor  troppo  gran  some  [te? 
A segnarne  pur  l’ ombra,  a dirne  parie  , 
Ancorché  dalle  Dee  del  verde  monte 
Tutto  in  lei  si  versasse  il  sacro  fonte. 

Sembra  penna  mortai , die  osi  talora 
Ritrae  dc’suoi  splendor  gli  abissi  inmieosi, 
Pennel , che  bella  immagine  colora , 

Ma  non  le  dà  però  spirti , nè  sensi. 

Onde  se  non  I’  esalta  e non  I’  onora 
Il  mio  roco  parlar  quanto  conviensi. 
Scusimi  il  Sol  de’  begli  ocelli  sereno , 
Che  quanto  splende  più , si  vede  meno. 

Sveller  però  per  celebrarla  io  voglio 
Dalle  mie  piume  I più  spediti  vanni. 

Con  cui  più  d’  uno  stile  in  più  d’ un  foglio 
Farà  scrivendo  a Morte  illustri  inganni  ; 
E con  queir  armi , ond'  io  trionfar  soglia , 
Torrà  l’ ira  a|l'  obblio,  la  forza  agli  anni  ; 
Fra’  quali  un  oc  verrà,  che  Austro  e Boote 
Risonar  ne  farà  con  chiare  note. 


Dal  mare  ancor  costui  fia  che  s'  a|ipelli. 
Per  in  parte  adeguar  I’  alto  suggello  , 

Ma  presso  al  mar  |i’  onor  si  grandi  c belli 
Fia  piccini  fiume  il  suo  rozzo  intelletto. 
Pur  come  ( benclié  poveri  ) 1 ruscelli 
Corrono  al  mare,  ed  lian  dal  mar  ricetti); 
Cosi  .sprezzalo  ancor  non  fia  il  suo  slilq. 
Di  mar  si  vasto  tributario  umile. 

0 fortunato,  o ben  felice  Ingegno, 
Destinato  a cantar  divini  amori , 

Si  dal  del  favorito  e fatto  degno 
Di  tanti  e tanto  invidiali  onori  ! 

Tu  sarai  di  quel  uomc  alto  sostegno, 
Che  fia  ricca  mercede  ai  tuoi  sudori , 

DI  cui  fia  che  risoni  e Sona  c Senna  , 
Ornamento  immortai  della  tua  penna. 

Io  quanto  a me  non  poserò  volando. 
Benché  sia  ’l  mondo  a tanta  gloria  angustq. 
Finché  le  lodi  sue  non  spiego  e spando 
Dall'  Aliante  nevoso  all’  Indo  adusto. 

E con  bi.vbiglio  annooico  esaltando 
In  petto  femminil  pensiero  augusto, 
Sebbene  il  falso  al  ver  mescer  mi  pUC*i 
Sarò  lodando  lei  sempre  verace. 

E giuro  ancor  di  quest’  aurata  tromba 
Il  sonoro  metallo  enfiar  si  forte , 

Cile  a quell’  alto  roqior,  che  ne  rimbómbi» 
L’ ali  aITcmpo  cadran,  l’ armi  alla  Morta, 
Nè  vietar  potrà  mai  letargo,  o tomlw, 
Perfida  invidia,  ingiuriosa  sorte. 

Che  dovunque  virtù  la  scorge  e cbiama 
Non  la  segua  per  tutto  anco  la  Fama. 

Cosi  parlò , poi  fuggitive  s preste 
Le  penne  dispiegò  l’alata  Dea, 

E il  cavo  bronzo  acrompagaando  a quasta 
Voci , gli  atrj  del  del  fremer  face|. 

E da  più  d'  un  vidno  antro  celesti; 

Più  d’  un  eco  Iniiuortal  le  rispondeg. 

Allor  rEternilà  quant’  ella  disse 

Col  suo  scarpello  in  bel  diamante  scrisse. 

La  vista  intanto  Inusitata  e strana 
Di  quella  vaghe  e peregrine!  arve, 

Che  qual  si  fusse , o sussistente,  o Tana, 
Basta  che  grata  e dilcttosa  apparre , 
Divenuta  o più  chiara,  o più  lontana, 
Non  so  dir  come,  in  un  momento  sparve. 
Parve  pesce  fugace  In  cupo  fiume , 

Non  so  se  fusse  o la  distanza,  o il  lume. 


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200  MARINO. 


Come  In  superba  e luminosa  scena 
Al  dispiegar  della  veloce  tela  , 

Ogni  pompa  e splendore  ond’ellai  piena, 
Ai  riguardanti  subito  si  cela  ; 

Cosi  repente  in  men  che  non  balena 
Ciascuna  imago  agli  occhi  lor  si  vela , 

E nelle  più  seccete  e più  profonde 
Viscere  della  luce  si  nasconde. 

Sccndon  la  balza , e dal  poggetto  ameno  ■ 
Tornano  al  piano,  onde  partirò  avanti; 

Ma  di  stupore  inebbriato  e pieno 
Spesso  sospende  Adon  tra  via  le  piante; 
E perch’  alto  desio  gli  bolle  in  seno 
Di  saper  qual  destin  gii  è sovrastante  , 
Che  gliel  voglia  scoprir  Mercurio  prega, 
E in  $1  fatto  parlar  la  lingua  slega  : 

Or  che  di  tante  meraviglie  ascose 
L' ordin  m’  è nolo,  ai  secoli  prescritto , 
Molto  vago  sarei  con  l' altre  cose 
Di  udir  quanto  di  me  nei  Fato  è scritto. 
Tu , per  cui  ciò  che  san , san  le  famose 
Scole  di  Arcadia  e i gran  musei  d'Egitto  , 
Deh  qual  di  mie  fortune  in  del  si  cela 
Fausto,  o misero  evento , a me  rivela. 

Risponde  il  divin  messo:  Uom  pernatura 
Ad  oraeoi  fatidico  ricorre  , 

Perchè  qualunque  o buona,  o rea  ventura 
Sia  per  lui  flssa  In  Ciel,  gli  dcggla  esporre. 
Ma  sovente  addivien , che  egli  procura 
D’intender  quel  che  poscia  inteso  aborre  ; 
E so  infortunio  alcun  gli  si  predice , 

Vive  vita  dubbiosa  ed  infelice. 

E v’ba  talun,  che  da  gran  rabbia  mosso, 
Senza guardar,chell  mai  viendi  qua  sopra, 
Qual  can,  che  morde  il  sasso,  ond'è  percos- 
Odia  colui , che  la  bell'arte  adopra.  [so, 
Tacer  non  vo’  pertanto  e far  non  posso, 
Che'l  gran  rischioiniminenic  non  ti  scopra, 
Chèsebben  contro  il  Ciel  forza  non  hanno. 
Pur  giova  a molti  antivedere  il  danno. 

Quando  il  pianeta,  che  dei  ccrchj  nostri 
Regge  il  minor,  concorse  al  tuo  natale. 
Feri,  varcando  il  gran  sentier  de'  mostri 
Il  più  bravo  e magnanimo  animale, 

E il  settimo  occupò  di  tutti  I chiostri , 
Angolo,  che  è fra  gii  altri  occidentale. 
Talché  nel  lume  suo  trovossi  unito 
Ferino  il  segno  e violento  il  sito. 


Era  Saturno  in  su  quel  segno  anch'esso, 
E nel  niedesmo  albergo  avea  ricetto , 

Ed  all’umida  Dea  giunto  dappresso. 

La  risguardava  di  quartile  aspetto; 
Evibrando  il  suo  raggioaun  tempo istesso 
D'impression  contagiosa  infetto. 

Opposto  al  chiaro  Dio,  che  il  di  conduce, 
II  percotea  con  la  maligna  luce. 

Intanto  Marte  era  nel  Toro  entrato. 
Casa,  dove  abitar  suol  Cilerea, 

E già  dopo  il  ventesimo  passato 
Tutto  sdegnoso  il  quarto  grado  avea; 

E mandava